lunedì 10 Novembre 2025
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Lo speck dell’Alto Adige IGP è una grande truffa?

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Nell’ultimo anno in Alto Adige sono stati allevati 8.557 suini, calcolando che ogni maiale è dotato sempre e solo di due cosce e da ogni coscia si ricava una sola “baffa” di speck, come è possibile che nello stesso periodo nella medesima regione siano state prodotte 7.699.000 baffe di speck vendute con il marchio Alto Adige, di sui 2.755.541 marchiate con la preziosa denominazione di qualità Speck Alto Adige IGP? Secondo un rapporto del WWF la risposta è semplice: il 99,8% dello speck spacciato come altoatesino è in realtà prodotto con materie prime di importazione, principalmente tedesca.

«Presentato come regionale, autentico e genuino, è in realtà il prodotto di un’economia globalizzata»: è con queste parole che lo Speck dell’Alto Adige viene descritto dal Wwf di Bolzano. Le pubblicità che rappresentano lo speck con le montagne dell’Alto Adige sullo sfondo costruiscono un’icona «estremamente fuorviante» creata dagli «esperti di marketing del settore alimentare con il supporto istituzionale ed economico della Provincia di Bolzano», accusata dall’associazione ambientalista di nascondere l’insostenibilità degli allevamenti intensivi e la distruzione delle foreste.

«Nulla di più distante dalla realtà», come dimostrato dai dati sui maiali altoatesini diffusi in apertura, che fanno a pugni con quelli diffusi dal Consorzio Tutela speck Alto Adige scrive. Secondo il Wwf di Bolzano «solo lo 0,2% delle carni utilizzate nella produzione dello speck Alto Adige è di provenienza regionale, mentre il 99,8% della materia prima arriva dall’estero». «Gran parte delle carni destinate alla produzione dello speck altoatesino – aggiunge l’associazione – proviene dagli allevamenti intensivi e non dai masi e dalle valli alpine che vediamo nelle immagini pubblicitarie»: nello specifico, esse «giungono in Alto Adige da Germania (70%), Olanda (20%), Austria (2,5%), Italia (7%) e Belgio (0,5%)». Anche lo speck Alto Adige IGP sarebbe prodotto con maiali provenienti dall’estero secondo l’associazione, la quale spiega che tutto ciò «è stato reso legale dal disciplinare dello speck Alto Adige, che consente di esternalizzare la produzione delle carni di maiale e con essa anche gli effetti negativi dell’allevamento intensivo, ossia l’inquinamento dei terreni e delle acque a causa dei reflui zootecnici e le emissioni di ammoniaca».

Per quanto concerne infine la trasformazione del prodotto, «una volta terminato il periodo di ingrasso dagli allevamenti esteri i maiali arrivano nei macelli»: qui «vengono abbattuti, le carni lavorate ed esportate verso l’Alto Adige, dove vengono salate, affumicate e confezionate». L’etichetta del prodotto finale, poi, «non deve contenere le informazioni sull’intera filiera produttiva». Ben pochi consumatori, ricorda a tal proposito il Wwf di Bolzano, sarebbero disposti a comprare uno speck Alto Adige con tali informazioni: «meglio quindi riportare solo il marchio regionale Alto Adige Südtirol e non indicare null’altro».

Sono questi dunque i motivi per cui il Wwf di Bolzano consiglia al consumatore di «diffidare del marchio Alto Adige – Südtirol, dietro al quale si nascondono sfruttamento e danni ambientali che vanno ben oltre i confini provinciali». Oltre a ciò, il Wwf chiede poi che vengano eliminati gli allevamenti intensivi industriali e che l’Unione Europea, l’Italia e la Provincia di Bolzano non diano più sussidi alle produzioni alimentari che utilizzano carni provenienti da allevamenti intensivi e sostengano invece aziende agricole che producono con metodi biologici ed estensivi.

[di Raffaele De Luca]

Nuovi Licei TED: l’Italia progetta la scuola di domani insieme alle multinazionali

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Una riforma che avrà grandi conseguenze sul futuro dell’Italia sta passando completamente inosservata nel dibattito pubblico. È quella della scuola, inserita all’interno del PNRR e volta a riorganizzare l’istruzione alla luce della cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale, quella guidata dalla transizione energetica e dalla cosiddetta governance 4.0. Simbolo di questa riforma saranno i nuovi Licei TED (Transizione Ecologica e Digitale) già approvati ed in partenza sperimentale in 28 scuole italiane. I licei Ted saranno il primo esempio italiano di superamento della scuola pubblica come la conosciamo. Programmi e funzionamento – si legge sul sito – si avvalgono infatti “della rete di grandi gruppi e imprese che aderiscono al Consorzio di aziende CONSEL“, tra la quali figurano Microsoft, Eni, Atlantia, Huawei, BNL, Enel, Generali, IBM, Leonardo, Cisco, Nokia, Oracle, Sky, Vodafone e Snam. Le multinazionali, insomma, entrano direttamente nella formazione delle nuove generazioni, con il pretesto di renderle più “competitive” nel futuro mercato del lavoro.

Insomma, mentre negli Stati Uniti Amazon compra i programmi d’istruzione per formare i lavoratori su misura di domani, in Italia, con il tanto decantato PNRR, si traccia il nuovo modello di scuola. Del documento di 247 pagine, 25 sono dedicate alla scuola (tout court, dall’asilo nido all’Università). La “Missione 4: istruzione e ricerca” prevedrebbe lo stanziamento di 30,88 miliardi di euro suddivisi in due macro voci: potenziamento dell’offerta dei servizi, a cui vanno 19,44 miliardi di euro; dalla ricerca all’impresa, con 11,44 miliardi previsti. Per quanto concerne gli istituti di scuola superiore è evidente l’importanza che si vuol fare assumere alle materie così dette STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).

Il documento recita: «La riforma, implementata dal Ministero dell’Istruzione, mira ad allineare i curricula degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo del Paese. In particolar modo, orienta il modello di istruzione tecnica e professionale verso l’innovazione introdotta da Industria 4.0, incardinandolo altresì nel rinnovato contesto dell’innovazione digitale. La riforma coinvolge 4.324 Istituti Tecnici e professionali, il sistema di istruzione formazione professionale e sarà implementata attraverso l’adozione di apposite norme [..] La riforma rafforza il sistema degli ITS attraverso il potenziamento del modello organizzativo e didattico (integrazione offerta formativa, introduzione di premialità e ampliamento dei percorsi per lo sviluppo di competenze tecnologiche abilitanti – Impresa 4.0), il consolidamento degli ITS nel sistema ordinamentale dell’Istruzione terziaria professionalizzante, rafforzandone la presenza attiva nel tessuto imprenditoriale dei singoli territori [..] La misura mira al potenziamento dell’offerta degli enti di formazione professionale terziaria attraverso la creazione di network con aziende, università e centri di ricerca tecnologica/scientifica, autorità locali e sistemi educativi/formativi. Con questo progetto si persegue: l’incremento del numero di ITS; il potenziamento dei laboratori con tecnologie 4.0; la formazione dei docenti perché siano in grado di adattare i programmi formativi ai fabbisogni delle aziende locali; lo sviluppo di una piattaforma digitale nazionale per le offerte di lavoro rivolte agli studenti in possesso di qualifiche professionali».

Il tutto è poi specificato sul sito di Futura. La scuola per l’Italia di domani, ove si parla anche di didattica digitale, formazione degli insegnanti, estensione del tempo pieno e delle nuove competenze necessarie per il “nuovo mondo”.

Oltre alla rivoluzione degli istituti tecnici, prova ancor più tangibile delle profonde modifiche al sistema dell’istruzione è la già citata nascita del liceo quadriennale TED, Scienze applicate per la Transizione Ecologica e Digitale. Sono 28 gli istituti che hanno aderito in 12 regioni d’Italia. Il liceo intende «dare ai giovani gli strumenti per vivere da protagonisti la transizione digitale ed ecologica in atto. Si propone a tale scopo di sperimentare un nuovo modo di apprendere e insegnare, che favorisca la crescita dello studente dal punto di vista delle conoscenze tecnico-scientifiche da cui dipenderanno sempre di più le professioni del futuro, unite a cultura umanistica e competenze non cognitive, come maturità emozionale, capacità relazionale, comunicazione verbale e non verbale». La sperimentazione del nuovo liceo è promossa da ELIS come Progetto di Semestre sotto la presidente di Marco Alverà, CEO di Snam, avvalendosi della rete di grandi gruppi e imprese private che aderiscono al Consorzio di imprese CONSEL. E che cos’è CONSEL? Sul loro sito leggiamo: «Il Consorzio di Aziende ELIS (CONSEL) raccoglie in un rapporto stabile di collaborazione oltre 100 grandi gruppi, piccole e medie imprese, start-up e università, al fine di garantire il supporto del mondo economico, produttivo e della ricerca nel disegnare i percorsi di formazione di ELIS, il rapido ingresso degli studenti nel mondo del lavoro e la realizzazione di progetti d’innovazione e sviluppo con attenzione alla responsabilità sociale d’impresa». Tra le Università figurano la Bocconi e il Politecnico di Milano. Tra i grandi gruppi abbiamo: Microsoft, Eni, Atlantia, Huawei, BNL, Enel, Generali, IBM, Leonardo, Cisco, Nokia, Oracle, Sky, Vodafone e Snam.

Come del resto già avvenuto in passato, la scuola dovrà essere adesso la fucina dell’industria 4.0 frutto della Quarta rivoluzione industriale (4RI). Il cambiamento del paradigma sociale e antropologico che la trasformazione capitalista sta compiendo impone che la scuola vi si adatti per rispondere al meglio alle esigenze della nuova società globale. Un esempio stesso di quello che l’ultimo documento dal World Economic Forum (WEF) denomina governance 4.0, quella in cui élite politiche nazionali ed élite economico-finanziarie globali governano a braccetto. O se preferite, mantenendo la sintassi del documento, quella in cui il governo nazionale non agisce più “come se da solo avesse tutte le risposte”, accettando una verticalizzazione e una concentrazione dei processi decisionali che si pone al di fuori del perimetro delle istituzioni democratiche nazionali.

La scuola non potrà di certo sottrarsi alla ristrutturazione del sistema sociale; anzi, dovrà essere ancora una volta il carburante di un cambiamento imposto dall’alto. Una visione che, tra l’altro, i movimenti studenteschi hanno in buona parte compreso, denunciando quella che chiamano “aziendalizzazione” del sapere. Per questo da mesi stanno protestando ed occupando le scuole, mentre la politica ed il grosso dei media non sprecano nemmeno un momento ad ascoltarne le ragioni.

[di Michele Manfrin]

Piacentino, 37 indagati per falso, frode e corruzione

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Imprenditori edili, funzionari tecnici degli enti locali e sindaci: sono 37 gli indagati nel piacentino nei confronti dei quali i Carabinieri stanno eseguendo misure cautelari. Tra questi, 4 sono stati portati in carcere e 7 si trovano ai domiciliari. Tra i reati contestati vi sono associazione a delinquere, corruzione, concussione, abuso d’ufficio, traffico di influenze illecite, frode, falso materiale e ideologico commesso da pubblico ufficiale, truffa e voto di scambio. Previsto anche il commissariamento giudiziario per due aziende e l’interdizione dal contrattare con la Pubblica Amministrazione per una società. L’operazione, cominciata all’alba di oggi, ha coinvolto almeno 300 Carabinieri del Comando di Piacenza.

È morto a 89 anni il premio Nobel Luc Montagnier

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“Il professor Luc Montagnier, Premio Nobel per la Medicina 2008, è morto pacificamente l’8 febbraio 2022 alla presenza dei suoi figli” con queste parole ha dato la notizia della morte del virologo il quotidiano France Soir. Per ore la notizia è rimasta dubbia, con dubbi e smentite, fino alla conferma giunta dalla genetista francese Alexandra Henrion-Caude, collaboratrice del professore. Montagnier era direttore emerito del “Centre national de la recherche scientifique” e dell’Unità di Oncologia Virale dell’Istituto Pasteur di Parigi dove nel 1983, assieme a Françoise Barré-Sinoussi scoprì il virus HIV. Negli ultimi tempi era stato una delle voci più conosciute ad essersi espresso contro i vaccini anti-Covid.

Alberta: eliminato il pass vaccinale, prima vittoria dei camionisti canadesi

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«È tempo di passare a un approccio equilibrato in cui siamo in grado di convivere con il Covid-19 e tornare alla normalità»: sono queste le parole pronunciate da Jason Kenney, premier della provincia di Alberta, in Canada, che nella giornata di ieri ha annunciato un piano per la progressiva abolizione delle misure restrittive anti Covid. Per alcune di esse, però, è stata prevista l’immediata cessazione: il premier infatti ha fatto sapere che a partire dalla mezzanotte della giornata di oggi sarebbe cessata l’operatività del “Restrictions Exemption Program”, il quale ha ad oggetto il pass vaccinale contro cui da giorni protestano i camionisti canadesi.

L’annuncio del primo ministro infatti fa seguito alle proteste in tutto il Canada da parte dei camionisti riuniti nel movimento “Freedom Convoy”, che chiede l’abolizione di ogni restrizione legata al Covid. Il governo centrale guidato da Justin Trudeau sembra intenzionato però ad estendere l’obbligo di vaccinazione a tutti i camionisti che si muovono tra le province canadesi, non limitandosi a prevederlo solo per quelli che si muovono tra il Canada e gli Stati Uniti. Una possibilità che il premier della provincia di Alberta assolutamente non condivide, dato che recentemente ha fatto sapere che contro di essa «Alberta si batterà anche in tribunale, se necessario».

Ha idee del tutto differenti Jason Kenney dunque, che come anticipato ha annunciato un vero e proprio piano volto a eliminare gradualmente tutte le restrizioni legate all’emergenza sanitaria. Esso si divide precisamente in tre fasi: la prima prevede principalmente la rimozione del Restrictions Exemption Program sopracitata e, dal 13 febbraio, dell’obbligo di indossare le mascherine per tutti i bambini e i giovani nelle scuole. Se poi i tassi di ospedalizzazione continueranno a diminuire ci sarà la seconda fase, con l’eliminazione dal primo marzo di gran parte delle misure, quali le limitazioni relative agli assembramenti sociali ed il lavoro da casa obbligatorio. Infine, sempre se i tassi di ospedalizzazione continueranno a decrescere si arriverà alla terza fase, la cui data di inizio verrà successivamente individuata, con cui verranno rimosse le poche altre misure legate al Covid.

[di Raffaele De Luca]

Madagascar: sale a 80 bilancio vittime per ciclone Batsirai

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Il ciclone Batsirai, che negli scorsi giorni ha colpito il Madagascar, ha provocato 80 morti: è questo il bilancio attuale delle vittime secondo quanto comunicato dall’agenzia statale che si occupa dei soccorsi in caso di calamità. Quest’ultima, ha inoltre specificato che 60 decessi sono avvenuti in una singola area, ovverosia il distretto di Ikongo, situato nel sud-est del Madagascar. Oltre a ciò, il ciclone ha distrutto o comunque danneggiato le case di 91.000 persone.

La tutela dell’ambiente è entrata nella Costituzione italiana, cosa cambia ora?

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La tutela dell’ambiente e della biodiversità fa ora ufficialmente parte della Costituzione italiana. Con la quarta e ultima lettura, dopo che era stato già approvato due volte dal Senato e una dalla Camera, Montecitorio ha dato il via definito al disegno di legge. 468 i voti a favore, uno contrario e sei gli astenuti. La modifica della Costituzione, in particolare, riguarda gli articoli 9 e 41: «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico e – si legge nel nuovo testo – tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Figura poi che «la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». E inoltre, si specifica che «l’iniziativa economica è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute, all’ambiente».

Su carta, si tratta indubbiamente di un fatto dai connotati epocali che, tuttavia, non è detto trovi riscontro nei fatti. Nel caso della modifica dell’articolo 9, stiamo parlando dell’inserimento delle tematiche ambientali tra i principi fondamentali della Repubblica. Un passo tanto necessario e in linea con le nuove consapevolezze ecologiche quanto facile che venga disatteso. Basti pensare, ad esempio, che l’Italia detiene il record di procedure d’infrazione e di violazione di direttive europee in materia ambientale e di leggi sul clima. Difficile quindi credere che qualche riga in più possa guidare un significativo ed immediato cambio di rotta. Oppure, in riferimento alla modifica dell’articolo 41, ora, le attività economiche dovrebbero essere, di fatto, subordinate alla salvaguardia dell’ambiente, cosa che, con i presupposti attuali, appare comunque utopica. Emblematico in questo senso l’entusiasmo del Ministro Cingolani per l’approvazione del disegno di legge, come se la nuova Costituzione ‘verde’ potesse magicamente cancellare quanto fatto finora. Nessuno stop a nuove concessioni petrolifere, acceleratore sul gas e più di un occhio di riguardo per la multinazionale italiana in assoluto più impattante.

La modifica in sé, comunque, è un bene che sia accolta positivamente, se non altro, ora il Bel Paese è in linea con la maggior parte delle nazioni europee. L’Italia, così, è il 22esimo Stato membro dell’Ue ad aver inserito uno o più riferimenti all’ambiente nella propria Carta costituzionale. Quel che si auspica è che questa ispiri realmente le future mosse legislative. Certo è che l’inserimento di nozioni ecologiche, come biodiversità ed ecosistemi, nella principale fonte del diritto, conferma quantomeno una nuova visione socioculturale. Finora, infatti, al livello costituzionale, le uniche forme di conservazione dell’ambiente erano legate al concetto di ‘paesaggio’, inteso come una porzione di territorio il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Una veduta visibilmente antropocentrica, ora, invece, sostituita da un approccio più olistico focalizzato sull’ecologia. Discorso a parte va fatto poi per il nuovo riferimento alla tutela degli animali. In questo caso, l’Italia è appena il quinto Paese al mondo a dare uno spazio esclusivo ad altre forme di vita nei propri principi fondamentali. E soprattutto – poiché trattasi di una questione dai confini ben delineati e meno trasversale rispetto ad una più ampia ‘tutela ambientale’, rappresenta uno strumento concreto per procedere verso una loro effettiva protezione a livello legislativo e giurisdizionale.

[di Simone Valeri]

La Sicilia vara l’alternanza scuola-lavoro nell’Esercito

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L’Ufficio Scolastico Regionale (USR) per la Sicilia ha sottoscritto un Protocollo d’Intesa con il Comando Militare dell’Esercito in Sicilia, partnership avviata già nel 2019. L’offerta formativa per l’anno 2021/2022, ha fatto sapere l’USR, è stata così modificata e ampliata per includere una gran varietà di attività nei reparti dell’Esercito. La formazione militare si insinua così nei reparti scolastici, i quali invece che educare gli studenti alla cultura della pace li spinge a prendere parte alle attività nelle sedi dei reparti di guerra, peraltro alquanto diffuse in tutto il territorio siciliano.

In questi giorni di proteste studentesche è stato portato all’attenzione dell’opinione pubblica il tema dell’alternanza scuola-lavoro, denominata nel 2019 PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento). Dopo la morte di Lorenzo Parelli, al quale si aggiunge un discreto numero di incidenti gravi ai danni degli studenti sul “posto di lavoro”, migliaia di giovani in tutta Italia hanno portato nelle piazze le loro rivendicazioni contro un sistema che ne sfrutta la manodopera senza un corretto inquadramento e senza concedere le adeguate tutele.

In questo contesto è interessante osservare come la Regione Sicilia abbia in essere un percorso del tutto particolare per gli studenti dei propri licei: l’USR regionale ha infatti sottoscritto, per l’anno scolastico 2021/2022, un Protocollo d’Intesa con il Comando Militare dell’Esercito in Sicilia, grazie al quale gli studenti potranno familiarizzare con gli ambienti delle Forze Armate. Il connubio suona surreale e vagamente anacronistico, eppure è scritto nero su bianco. Gli studenti del triennio superiore hanno così la possibilità di dedicarsi a un ampio spettro di attività in diversi Reggimenti e Reparti dell’Esercito nelle sedi distaccate nella Regione: dalle riparazioni di apparati delle telecomunicazioni alla gestione della palestra, dall’accompagnamento dei visitatori nelle strutture alle lavorazioni meccaniche di officina, passando anche dalla gestione degli archivi e dei magazzini.

“Il Comando Militare dell’Esercito in Sicilia riserva particolare attenzione al mondo scolastico, accademico e scientifico per la diffusione dei valori etico-sociali, della storia e delle tradizioni militari, con un ‘focus’ sulla funzione centrale che la ‘Cultura della Difesa’ ha svolto e continua a svolgere a favore della crescita sociale, politica, economica e democratica del Paese” si legge nel protocollo siglato nel 2019, che definisce le finalità dell’inculcare un’educazione militare negli studenti.

Il sindacato USB Scuola Catania e USB Federazione Catania si sono subito mostrati critici nei confronti di questo accordo, facendo notare come “la militarizzazione in Sicilia della Scuola pubblica passa attraverso l’utilizzo dello strumento, macchiato di sangue, dell’alternanza scuola lavoro”. Per questo motivo hanno chiesto la revoca del Protocollo e convocato, per la giornata del 10 febbraio, un presidio davanti al Provveditorato di Catania.

Certo è che se come diceva Mandela, “l’istruzione è l’arma più potente che abbiamo per cambiare il mondo”, la scuola siciliana ha uno strano modo di interpretare questo concetto.

[di Valeria Casolaro]

La multinazionale Pfizer, con 81 miliardi di ricavi, licenzia 210 lavoratori in Italia

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Il 3 febbraio scorso la casa farmaceutica Pfizer ha annunciato il licenziamento di 130 lavoratori con contratto a tempo indeterminato nello stabilimento di Catania e il mancato rinnovo di altri 50 dipendenti formalmente sotto contratto con Randstad, società di lavoro interinale, ma impiegati presso lo stabilimento farmaceutico. Nel ridimensionamento saranno poi coinvolti altri 30 dipendenti, per un taglio totale di 210 posizioni lavorative, questo nonostante gli 81 miliardi di ricavi messi a segno da Pfizer nell’ultimo anno.

La notizia del ridimensionamento era stata intuita dai sindacati già nell’ottobre dello scorso anno, quando decisero di organizzare una protesta nei pressi dello stabilimento catanese. A confermare il presentimento è stata la stessa multinazionale americana il 3 febbraio scorso durante un incontro a Roma con i sindacati, quando ha annunciato i tagli parlando di una misura volta a garantire la continuità nella produzione dei farmaci secondo «elevati standard di efficienza e sicurezza». Secondo il rapporto rilasciato da Pfizer, solo nel terzo trimestre del 2021 il fatturato si è attestato a 24 miliardi di dollari, con un profitto di 8,15 miliardi. Buona parte di questi incassi è dovuta alla produzione del vaccino anti Covid-19 che non viene però realizzato nello stabilimento di Catania, forte di circa 800 dipendenti. Nei pressi dell’aeroporto di Fontanarossa ci si concentra infatti sulla produzione di antibiotici parentali per uso ospedaliero, la cui richiesta è in forte calo. Nel 2021 ne sono stati prodotti circa 3 milioni di flaconi contro picchi di 15 milioni tra il 2017 e il 2019.

I lavoratori dello stabilimento di Catania sciopereranno il prossimo 4 marzo, con l’obiettivo di annullare il ridimensionamento deciso da Pfizer, che lunedì 7 febbraio ha trasmesso ai sindacati l’elenco dei 130 dipendenti in esubero. Secondo alcune indiscrezioni, verrà proposto loro il trasferimento nella sede di Ascoli Piceno, dove da pochi giorni viene confezionato l’antivirale contro il Covid-19 Paxlovid, coinvolta anch’essa nel dicembre 2020 nel taglio di decine di lavoratori delle aziende interinali legate a Pfizer, tra cui la stessa Randstad e Adecco.

Nel frattempo si registra qualche movimento anche a Roma, dove il deputato di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, ha presentato un’interrogazione parlamentare e diversi membri del PD e del M5S hanno chiesto un intervento del Ministero dello sviluppo economico.

[di Salvatore Toscano]

Fondazione Open: chiesto rinvio a giudizio per Renzi e altri 10 indagati

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Il rinvio a giudizio di 11 persone – tra cui l’ex premier e attuale senatore e leader di Italia Viva Matteo Renzi – è stato chiesto dalla procura di Firenze per l’inchiesta sulle presunte irregolarità nei finanziamenti alla fondazione Open, nata per sostenere le iniziative politiche dello stesso Renzi. Vi sono anche Maria Elena Boschi, deputata di Italia Viva, e Luca Lotti, deputato del Partito Democratico, tra gli indagati per i quali è stato chiesto il processo nell’ambito dell’inchiesta, nella quale sono coinvolte altresì quattro società. L’udienza davanti al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Firenze si terrà il prossimo 4 aprile ed i reati, contestati a vario titolo, sono quelli di finanziamento illecito ai partiti, traffico d’influenze, corruzione, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed autoriciclaggio.