mercoledì 17 Settembre 2025
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Russia e Cina rafforzano i legami in chiave anti-americana

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Si intensificano le relazioni diplomatiche tra Russia e Cina, mercoledì 15 dicembre; infatti, si è tenuta una videoconferenza tra il presidente russo Vladimir Putin e la sua controparte cinese Xi Jinping. L’avvicinamento tra Mosca e Pechino, dovuto in parte alle tensioni tra i due paesi e gli Stati Uniti, si basa su alcuni aspetti principali, la cooperazione economica e militare e il principio di non ingerenza nelle questioni interne. Il presidente Putin al termine della riunione ha infatti dichiarato che «tra i due paesi esiste un vero esempio di cooperazione interstatale, e che ulteriori colloqui ci saranno a seguito della cerimonia di apertura delle Olimpiadi Invernali a Pechino il prossimo febbraio».

Il crescente isolamento di Mosca a livello internazionale, a seguito dell’annessione della Crimea e della questione Ucraina, è indubbiamente uno dei fattori principali che hanno spinto il Cremlino ad avvicinarsi sempre di più alla Cina. Le sanzioni economiche (in vigore dal 2014) hanno di fatto provocato l’aumento sensibile dei rapporti commerciali trai due paesi, al punto che gli scambi commerciali sono quasi raddoppiati, passando da 58 miliardi di dollari nel 2010 a 107 miliardi nel 2020. Il settore energetico è il punto chiave delle relazioni bilaterali, la Russia è infatti diventata il secondo paese esportatore di petrolio verso la Cina (dopo l’Arabia Saudita). Così come è diventato strategico per la Russia l’avere a disposizione capitali, non a caso, la borsa di Mosca ha modificato i propri orari di attività per incrementare le operazioni da parte dei trader cinesi. Esiste anche un progetto volto a sviluppare la creazione di un sistema finanziario indipendente (slegato dallo SWIFT di Bruxelles), che limiterebbe le possibili ingerenze esterne negli scambi commerciali tra i due paesi. Non è un segreto, poi, che il sogno nel cassetto di Pechino sia quello di sostituire il dollaro americano con lo yuan come principale valuta utilizzata negli scambi a livello globale.

Anche il governo di Pechino si è trovato ad affrontare negli anni diversi temi spinosi a livello di relazioni internazionali. Le numerose denunce sulle violazioni dei diritti umani da parte del governo cinese ai danni degli uiguri, così come la violenta repressione delle proteste ad Hong Kong, hanno giustificato (o hanno fornito il pretesto) alla decisione da parte del presidente americano Biden di boicottare diplomaticamente le Olimpiadi Invernali di Pechino. Ma è chiaro che a preoccupare l’Occidente siano innanzitutto questioni economiche e di egemonia geopolitica. È innegabile che negli anni la Cina sia diventata a livello globale una (se non LA) potenza commerciale. La Cina è il principale paese esportatore mondiale di beni (coprendo da solo il 13% delle esportazioni). Questo ruolo di potenza commerciale è inoltre destinato a crescere, Pechino sta infatti portando avanti un ambizioso progetto commerciale la One Belt, One Road (OBOR), per ricreare una nuova “Via della Seta”. Il progetto, che verrebbe sviluppato in collaborazione con altri 120 paesi, prevede la creazione di tre vie commerciali terresti: con l’Europa, il sudest asiatico e il Medio Oriente. Sono previste inoltre anche due rotte marittime una verso l’Europa (attraverso l’oceano Indiano e il Mar Rosso), l’altra verso le isole del pacifico. Se tale progetto andasse in porto, il peso politico della Cina aumenterebbe significativamente. Per questo gli Usa stanno cercando di contrastarlo in tutti i modi possibili. Anche se, almeno fino ad ora, senza ottenere risultati significativi.

Appare quindi probabile che le relazioni tra Russia e Cina siano destinate ad aumentare in futuro. Oltre agli interessi commerciali che li legano, entrambi fanno parte della lista dei cosiddetti “paesi canaglia” (assieme a Venezuela, Iran, Siria, Bielorussia e Corea del Nord). Le tensioni tra l’occidente e i governi di Mosca e Pechino hanno di fatto portato i due paesi ad avvicinarsi, ma bisogna anche considerare che, dal punto di vista tattico, ad entrambi fa comodo questa alleanza. Mosca e Pechino hanno interesse a rinforzarsi reciprocamente di fonte agli Usa, paese che entrambi al momento percepiscono come nemico principale. Inoltre le diverse direttrici verso cui si muovono i Paesi in politica estera consentono a Putin e Xi di evitare possibili tensioni: la Cina punta ad aumentare la propria influenza grazie al suo potere economico in particolare in Africa (dove fa incetta di materie prime), mentre la Russia continua ad affidarsi alle sue capacità militari come strumento di politica estera, vedi Ucraina, Siria e Libia.

[di Enrico Phelipon]

Un emendamento notturno del Governo apre le porte alla privatizzazione dell’acqua

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L’esecutivo Draghi ha presentato nella serata di mercoledì 15 dicembre un emendamento dell’ultimo minuto che impone una deadline per valutare se i criteri in base ai quali ad alcuni comuni è stata affidata la gestione autonoma del Servizio Idrico sono ancora validi. In caso contrario, questa tornerà nelle mani di un gestore unico il quale, nell’ottica del Pnrr e delle politiche di privatizzazione di Draghi, potrebbe con tutta porbabilità essere una Spa anche ad azionariato privato. Per opporsi al rischio di una deriva privatistica nella gestione dell’acqua, il parlamentare Giovanni Vianello, insieme al gruppo Alternativa, depositerà la prossima settimana una proposta di legge costituzionale che inserisca il diritto all’acqua potabile in Costituzione.

Sono molti i comuni che in Italia godono di una amministrazione propria del Sistema Idrico Integrato, gestito da un servizio giuridico di diritto pubblico. Acqua pubblica gestita da enti pubblici. Nonostante si fosse già tentato di sfilarne loro la gestione con il decreto “Sblocca Italia” di Renzi (legge 133/2014), venne prevista una clausola di salvaguardia a tutela dei comuni con meno di mille abitanti e il cui approvigionamento provenisse da “fonti qualitativamente pregiate”, “sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali protette” o che presentino “utilizzo efficiente della risorsa e tutela del corpo idrico” (art. 147, comma 2-bis del decreto legislativo 152/2006). Con la riformulazione dell’emendamento 22.6 al dl Recovery, presentato mercoledì sera viene aggiunto un ulteriore comma a tale articolo, che prevede una data perentoria di scadenza, fissata per il 1° luglio 2022, per la rivalutazione di tali criteri: nel caso in cui i “requisiti per la salvaguardia” non venissero confermati, la gestione del Servizio Idrico confluirà “nella gestione unica” individuata dall’Ente di Governo dell’Ambito, che si occupa di affidare le gestioni. In linea con la corsa alle privatizzazioni del Governo Draghi, vi è il concreto rischio che questa passi nelle mani di aziende private.

Il testo dell’emendamento votato, non ancora pubblicato sul sito della Camera, ottenuto da L’Indipendente da fonti parlamentari

«Una norma similare era già spuntata nel vecchio decreto Semplificazioni, qualche mese fa, ma i piccoli comuni vennero a protestare vicino al Parlamento, a Roma, e con il Movimento 5 Stelle facemmo una pressione molto grossa affinchè fosse ritirata» spiega Giovanni Vianello, parlamentare del gruppo Alternativa ed ex membro dei 5 Stelle, a l’Indipendente. «Ora che hanno imparato non l’hanno più messo nella bozza del decreto, ma l’hanno inserito all’ultimo minuto mercoledì sera, con un emendamento. Si tratta di una questione preoccupante dal punto di vista democratico, perchè si è fatto in modo di azzerare il dibattito con gli enti locali. È questo il nuovo modo di fare». Non si tratta di certo di una novità nel modo di agire del Governo Draghi, che fa spesso ricorso a voti blindati e decreti emergenziali per impedire il dibattito circa le iniziative di governo. Inoltre, aggiunge Vianello, si è cercato di far passare tutto «sotto traccia»: «Per contrastare le resistenze interne al partito della maggioranza, dei deputati del PD e del M5S che non volevano questa norma, l’hanno inserita in un emendamento che riguarda i bacini idrici. Come a dire “Se volete la salvaguardia dei bacini idrici, dovete includere anche questo”».

«L’approccio deve cambiare. Dobbiamo fare come hanno fatto altre democrazie, e riconoscere il diritto all’acqua potabile in Costituzione: per questo motivo sto elaborando una proposta di legge costituzionale, che dovrebbe essere depositata la settimana prossima, che inserisca il diritto all’acqua in Costituzione, esattamente negli stessi termini in cui è stato dichiarato dalle Nazioni Unite, garantendo anche il quantitativo minimo vitale» dichiara Vianello. «Ricordiamo che stiamo parlando di acqua, uno dei diritti umani fondamentali dell’uomo. Garantire in Costituzione tale diritto è l’unica maniera di agire per contrastare la privatizzazione. Con una norma ordinaria sarebbe più complicato».

[di Valeria Casolaro]

Meta sospende più di 1500 account di “cyber-mercenari”

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Meta, la società proprietaria dei social Facebook, Instagram e Whatsapp, ha sospeso oltre 1500 account dai propri social in quanto appartenenti a sette società accusate di hacking, sorveglianza e altri abusi online. L’indagine di Meta è durata diversi mesi ed ha concluso che queste aziende perseguitavano all’incirca 50 mila tra giornalisti, dissidenti, critici di governi autoritari, attivisti dei diritti umani e persino i famigliari degli oppositori, distribuiti in 100 Stati diversi. Quattro delle aziende individuate avevano sede o erano state fondate in Israele, leader nel settore della cyber-sicurezza. Le restanti si trovavano in India, Macedonia e Cina.

Vertice UE sull’energia concluso in un nulla di fatto

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Si è concluso senza giungere a una decisione il capitolo riguardante l’energia all’interno del summit dei leader UE di ieri. “Le divergenze sul tavolo che hanno reso impossibile adottare conclusioni sull’energia” ha comunicato il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. I punti di scontro sono stati tanti: il ricorso al carbone in seguito agli aumenti del prezzo del gas e alla crisi delle forniture di questa settimana, l’inserimento di nucleare e gas nella “tassonomia verde” europea, le quote ETS e molto altro. Non avendo individuato una linea comune è stato impossobile concordare più di una dozzina di atti legislativi progettati per tagliare le emissioni di CO2 nei prossimi 30 anni. “Torneremo sull’argomento in un prossimo Consiglio” ha comunicato Michel.

In Canada nasce il primo santuario al mondo per la protezione dei cetacei

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In Nuova Scozia (Canada) sta per essere realizzato il Whale Sanctuary Project, un enorme santuario marino per restituire a orche, balene e delfini che per anni hanno vissuto in cattività, una vita il più possibile simile a quella che avrebbero condotto nel loro habitat naturale. Si tratta di uno spazio dove, finalmente, i cetacei salvati dai parchi acquatici, potranno trascorrere un’esistenza dignitosa e priva di violenza. 

La domanda che sorge spontanea è: perché non rimettere semplicemente questi animali in libertà? Perché non sarebbe possibile, in quanto fare una cosa del genere con esemplari che hanno vissuto per moltissimo tempo – la maggior parte delle volte dalla loro nascita – in una realtà confinata, vorrebbe dire ucciderli. Strappati alle loro famiglie da cuccioli, tanti non imparano a cacciare e quindi a sopravvivere, e trovarsi liberi in mare senza un branco, sarebbe sinonimo di morte. Questo è il motivo principale che ha spinto un gruppo di ricercatori e ambientalisti canadesi a creare per loro uno ambiente sicuro.

Il nuovo santuario – si parla di 484mila metri quadrati – sta prendendo forma facendo leva sull’approvazione della legge canadese che, nel 2019, ha vietato la detenzione in cattività di delfini, balene e foche. Sorgerà a Sud di Port Hilford, nelle acque dell’Oceano Atlantico, e sarà uno spazio molto grande, pensato per ospitare fino a otto Beluga, meglio conosciuti come “balene bianche”. Il prossimo passo consiste quindi nell’ottenimento di tutti i permessi necessari, per arrivare all’obiettivo di accogliere i primi cetacei a partire dal 2023.

Questi mammiferi acquatici sono organismi importantissimi poiché proteggendo loro, si contribuisce alla tutela del resto dell’ambiente marino. Prima di tutto, sono essenziali per la lotta ai cambiamenti climatici, perché tra i primi a percepire la nascita o l’intensificazione di problemi ambientali. Inoltre, nello specifico, le balene vengono definite specie “ombrello”, in quanto la loro esistenza è fondamentale per l’esistenza dell’enorme e complessa rete ecosistemica in cui si inseriscono, dove ogni organismo dipende da altri organismi e questi, a loro volta, da altri ancora.

Un altro aspetto significativo di questi animali è l’importanza delle loro feci per la vita marina, poiché ricche di ferro e azoto. I mammiferi marini, balene e delfini, sono i soli animali dell’oceano a defecare in superficie e, a differenza delle altre specie, le loro feci sono liquide e non affondano. Questo fa in modo che le sostanze nutrienti restino alla portata del fitoplancton, organismi microscopici di cui si nutrono molti piccoli pesci e, per questo, alla base della catena alimentare degli oceani. Un processo che confuta tanti modelli scientifici, i quali hanno sempre affermato come le balene avessero un effetto negativo sulla produttività marina per via delle grandi quantità di sostanze nutritive da loro consumate, eccessivamente maggiori rispetto a quello restituite. Infine, i cetacei svolgono un ruolo fondamentale nella riduzione del carbonio, in quanto vere e proprie spugne di CO2. Questi, infatti, sono in grado di immagazzinare fino a 33 tonnellate di anidride carbonica.

 

[di Eugenia Greco]

Lo scandalo del caporalato arriva fin dentro il ministero dell’Interno

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Tra le persone indagate in un’inchiesta per caporalato dei Carabinieri e della procura di Foggia vi è anche Rosalba Livrerio Bisceglia, la moglie di Michele di Bari, già prefetto di Reggio Calabria nonché ormai ex capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale. Quest’ultimo dopo aver appreso la notizia ha infatti abbandonato tale incarico dando le sue dimissioni – che sono state accettate dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese – ed ha affermato di essere «dispiaciuto moltissimo» per la vicenda legata alla moglie ma altresì certo della sua «totale estraneità ai fatti contestati». Al momento però Livrerio Bisceglia, socia amministratrice di una delle dieci aziende agricole coinvolte nell’indagine, è indagata per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, accusa ipotizzata a vario titolo per tutti i 16 individui al centro dell’inchiesta. Tra questi, 5 sono stati arrestati (due in carcere e 3 ai domiciliari) mentre per i restanti 11 – tra cui appunto Livrerio Bisceglia – è scattato l’obbligo di firma.

A finire in galera sono stati precisamente due cittadini stranieri, un 33enne gambiano e un 32enne senegalese, secondo gli investigatori colpevoli di essere l’anello di congiunzione tra i rappresentanti delle aziende e i braccianti. I due infatti vivevano nel ghetto di Borgo Mezzanone (Foggia) – dove si trova un accampamento che ospita circa 2000 persone – e grazie a loro veniva reclutata la manodopera per le aziende del territorio, che l’avrebbero successivamente impiegata nei campi del Foggiano. Si tratta di attività svolte tra luglio ed ottobre 2020, che venivano portate a termine grazie ad un modus operandi ben collaudato. Secondo gli investigatori, non appena le aziende richiedevano di trovare lavoratori i due si attivavano selezionando i braccianti, trasportandoli presso i terreni e sorvegliandoli poi durante il lavoro. Chiedevano inoltre 5 euro per il trasporto e 5 euro da ogni lavoratore per aver fatto da tramite. Per quanto riguarda le buste paga riservate ai braccianti, invece, esse sono risultate non veritiere: al loro interno, infatti, venivano indicate un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente effettuate, senza tener conto dei riposi e delle altre giornate di ferie spettanti. A tutto ciò si aggiunga che i lavoratori non venivano nemmeno sottoposti alla prevista visita medica.

Insomma, un sistema ben dettagliato in cui sarebbe coinvolta Rosalba Livrerio Bisceglia, «consapevole delle modalità delle condotta di reclutamento e sfruttamento». È questo ciò che, come riportato dall’agenzia di stampa Ansa, è stato scritto dal gip di Foggia nell’ordinanza nei confronti degli indagati per l’inchiesta sul caporalato. La moglie del ex capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale secondo gli inquirenti impiegava nella sua azienda «manodopera costituita da decine di lavoratori di varie etnie» per la coltivazione dei campi, «sottoponendoli alle condizioni di sfruttamento» desumibili anche «dalle condizioni di lavoro (retributive, di igiene, di sicurezza, di salubrità del luogo di lavoro)» ed «approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie». Non solo, secondo quanto emerso dall’ordinanza Bisceglia trattava direttamente con Bakary Saidy – uno dei due caporali sopracitati – il quale si occupava di condurre nei campi i braccianti dopo averli selezionati «in seguito alla richiesta di manodopera di Livrerio Bisceglia, che comunicava telefonicamente il numero di lavoratori necessari sui campi». Questi ultimi, venivano «assunti tramite documenti forniti dal Saidy» che per tale motivo «riceveva il compenso da Livrerio Bisceglia».

[di Raffaele De Luca]

Blitz antimafia nel Messinese: sequestrati beni per 100 milioni di euro

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Nella giornata di oggi un’operazione antimafia condotta dalla polizia di Messina ha determinato il sequestro di beni per un valore complessivo di 100 milioni di euro. Ad essere colpiti dallo stesso, nello specifico, sono state società, aziende agricolo-faunistiche, cooperative sociali, locali di pubblico intrattenimento, hotel e immobili nelle aree di Milazzo e dei Nebrodi. Sono state congelate, inoltre, anche somme di denaro in Paesi esteri. Si tratta dunque di un vero e proprio impero creato dall’imprenditore messinese Giuseppe Busacca, il quale è accusato di aver reinvestito soldi illeciti provenienti dal clan mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto.

Le scorie nucleari italiane sono sotto attacco hacker

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Domenica 12 dicembre, sono comparsi sugli anfratti loschi della Rete alcuni file sensibili che riguardano l’Italia. Un utente noto solamente con il nom de guerre zerox296 ha infatti pubblicato sui forum Raidforum e Xss dei documenti riguardanti la Sogin, documenti che riguardano perlopiù dei carteggi relativi al progetto Cemex dell’Eurex di Saluggia. Si trattava di un piano che mirava a creare dalle parti di Vercelli un vascone di cemento da 230 metri cubi in cui depositare scorie radioattive liquide, piano che è stato poi rivisto a causa della lentezza dei lavori.

Non una lettura particolarmente accattivante agli occhi delle masse, ma ciò che è stato esibito può comunque risultare utile nella macrosfera dello spionaggio industriale/governativo, inoltre non è che un assaggio di quello che hanno in mano i cybercriminali. I documenti non erano che un piccolo esempio con cui dimostrare che i contenuti trafugati sono “legittimi” e affidabili, così da invogliare i papabili acquirenti a farsi avanti con una proposta d’acquisto. Quello che si può consultare in chiaro non è dunque che la punta dell’iceberg, un iceberg la cui portata è stimata sui 800 GB e per cui gli hacker chiedono circa 250mila dollari sotto forma di criptovalute.

Sogin, vale la pena ricordare, è l’azienda statale che si occupa di decommissioning – ovvero di smantellare gli impianti nucleari – e di gestione dei rifiuti radioattivi, una realtà che opera innegabilmente in un contesto sensibile, soprattutto ora che il discorso nazionale è tornato a propagandare l’importanza “green” ed economica della rivalutazione delle opzioni energetiche di origine nucleare, le quali sembravano ormai state accantonate dal referendum del 2011. La società con partecipazione diretta del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha altresì commentato la situazione con una lapidaria nota stampa in cui si limita a riconoscere l’esistenza dell’attacco hacker e a segnalare che l’operatività e la sicurezza degli impianti sia garantita.

Lo scarno comunicato non offre nessuna lettura sugli elementi più importanti della faccenda, ovvero come questa fuga di dati sia avvenuta e quale sia la portata del danno. Sappiamo grosso modo che i criminali hanno messo le mani su dati sensibili quali contratti, curriculum vitae dei collaboratori, cartografie e certificazioni di sicurezza, ma non è dato sapere se le informazioni siano state raccolte con un vero e proprio attacco, attraverso il cosiddetto data scraping, se siano state intercettate in un Cloud o, per assurdo, se qualche malintenzionato sia incappato in una memoria esterna custodita troppo goffamente.

Si tratta di un omissis gigantesco, visto che l’Italia, omologandosi all’Occidente intero, si sta tuffando a capofitto nella digitalizzazione, cosa che a sua volta si tradurrà nel tempo in una lievitazione esponenziale delle fughe di dati e degli attacchi informatici. Non solo risulta dunque necessario consolidare in maniera quasi ossessiva la sicurezza informatica delle infrastrutture sensibili, ma si rende indispensabile già da adesso la definizione di un protocollo comunicativo che garantisca al pubblico massima trasparenza sull’effettiva portata dei danni.

Negli 800 GB  persi da Sogin ci sono molti contenuti irrilevanti, ma anche password e chiavi d’accesso di cui è difficile intuire la destinazione d’uso. Una simile ignoranza sarebbe già discutibile se stessimo parlando di un qualche servizio di intrattenimento quale potrebbe essere il video-streaming, tuttavia qui stiamo prendendo in analisi un’azienda che tratta materiali dannosi e che collabora gomito a gomito con realtà quali Enel e Leonardo, anche se venisse fuori che le informazioni trafugate sono innocue, questo episodio può essere interpretato come un pragmatico segnale d’allarme che dovrebbe spingere le autorità a intensificare grandemente gli sforzi preventivi e gestionali di una nazione che vuole informatizzare ogni suo minimo aspetto.

[di Walter Ferri]

Google licenzierà i dipendenti non vaccinati

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Google ha comunicato al suo personale statunitense che dovrà tassativamente vaccinarsi contro il Covid-19 entro il 18 gennaio. Per coloro che decideranno di continuare ad opporsi – a meno che non siano in possesso di una esenzione medica o religiosa – sono previsti tre livelli di “pena”: prima 30 giorni di aspettativa dal lavoro retribuita, poi sei mesi di sospensione non retribuita ed infine, se non provvederanno, il licenziamento. A riportare la notizia è stata la CNBC, che ha visionato una serie di documenti interni all’azienda statunitense.

Miniere sottomarine: la nuova frontiera “green” della geopolitica

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Nell’era della “transizione green” e, soprattutto, dello scontro geopolitico tra i vari imperi mondiali, su tutti USA e Cina, c’è chi crede che la strada sia l’estrazione mineraria sottomarina. Sul fondo dell’Oceano Pacifico giacciono trilioni di rocce grandi come patate composte da metalli quali il litio, il nichel il cobalto e il manganese, tutti elementi necessari per la costruzione di batterie per veicoli elettrici. Gli squali, quelli umani, si sono già mossi e il Codice minerario che l’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA) – organizzazione affiliata alle Nazioni Unite – doveva adottare non vedrà la luce prima di due anni.

Mentre cresce l’opposizione di moltissimi Stati contro l’estrazione mineraria sottomarina ce ne sono altri che non vedono l’ora di consentire l’inizio dello sfruttamento in profondità. La lotta per la redazione del Codice minerario presso l’ISA si prende altri due anni di tempo dopo che è saltato l’ordine del giorno inerente presso la riunione mondiale che in questi giorni riunisce virtualmente i 167 Stati membri. L’opposizione del micro-Stato dell’Oceano Pacifico, Nauru, ha fatto saltare le discussioni per l’adozione del Codice minerario chiedendo una fase interlocutoria ulteriore con la redazione di una tabella di marcia.

Nauru, con soli 21 chilometri quadrati, è il terzo paese più piccolo del mondo dietro Città del Vaticano e Principato di Monaco, e la più piccola Repubblica del pianeta, ma dietro la sua decisione c’è qualcosa di più grande. Nauru ha agito per conto di Nauru Ocean Resources Incorporated (NORI), una consociata interamente controllata da The Metals Company, una società registrata in Canada e precedentemente chiamata DeepGreen. «Il futuro verde è metallico», ha detto Gerard Barron, CEO della compagnia canadese, in riferimento alle “patate” da raccogliere ed estrarre dal fondale marino oceanico. «Questi noduli, come quello che tengo in mano, sono il nuovo petrolio», ha affermato il CEO durante un’intervista con The Detroit News, sostenendo che l’estrazione mineraria sottomarina è molto meno impattante rispetto a quella in terraferma.

Douglas McCauley, professore di biologia marina presso l’Università della California-Santa Barbara, ha affermato: «C’è una base abbastanza chiara della scienza che sappiamo che ci saranno alcune gravi ripercussioni negative per l’estrazione mineraria sulla biodiversità oceanica».  Nella lettera che più di 600 scienziati ed esperti di politica hanno firmato, in cui si esortano le Nazioni Unite a mettere un blocco su qualsiasi licenza mineraria, si legge che «la perdita di biodiversità e il funzionamento dell’ecosistema che sarebbe irreversibile su scale temporali multigenerazionale».

La decisione adottata da Nauru, oltre a riflettere la traiettoria industriale e tecnologica impressa al mondo, con la fantomatica “transizione green”, nasconde lotte geopolitiche di enormi proporzioni ove i contendenti principali sono gli Stati Uniti e la Cina.

Mentre sale a livello globale la richiesta dei metalli utili alla costruzione di batterie per veicoli elettrici, la Cina dispone del 75% di tutta la capacità di produzione di batterie e circa l’80% della capacità di raffinazione globale dei metalli inizialmente citati. «Non possiamo semplicemente ridistribuire la torta lontano dai cinesi e da altri paesi», ha detto Duncan Wood, specialista in politica nordamericana presso il Wilson Center, il quale ha proseguito dicendo: «Semplicemente non c’è abbastanza prodotto in questo momento per soddisfare la domanda». La catena di approvvigionamento globale, con la crisi pandemica, ha palesato le criticità della centralità della Cina nella produzione mondiale e il Wilson Center spiega, nel documento The Mosaic Approach: a Multidimensional Strategy for Strengthening America’s Critical Minerals Supply Chain, quale debba essere la strategia statunitense nel riposizionamento globale delle economie e delle catene di approvvigionamento, compresa quella delle materie prime frutto dell’estrattivismo.

La compagnia guidata da Barron intende soddisfare questa esigenza dettata dalla nuova agenda globale “transizionista” che vede gli interessi imperiali in competizione per la supremazia mondiale; e The Metals Company non è la sola: sulla “torta” si sono gettati la belga GSR e UK Seabed Resources, una sussidiaria dell’appaltatore della difesa statunitense Lockheed Martin.

[di Michele Manfrin]