Dal Regno Unito alla Svizzera, passando per Austria, Irlanda e Danimarca, praticamente tutti i ministri della Salute dell’Unione hanno già eliminato il grosso delle restizioni nonché l’uso del green pass e degli obblighi vaccinali, oppure – quelli più prudenti – hanno stilato calendari precisi di fuoriuscita dall’emergenza sanitaria, come nel caso della Finlandia. Ad oggi si registra in Europa un solo ministro della Salute che pare intenzionato a continuare sulla strada delle restrizioni, degli obblighi e della certificazione verde senza nemmeno immaginare una fine dell’emergenza, quello italiano. Roberto Speranza è tornato a farsi vivo sul tema annunciando: «Il Green pass è stato ed è un pezzo fondamentale della nostra strategia. Le mascherine al chiuso sono ancora importanti: non riesco a vedere un momento X in cui il virus non esiste più e cancelliamo insieme tutti gli strumenti. È ovvio che misure del genere devono avere una temporaneità, ma dire ora – con sessantamila casi al giorno – che l’impalcatura va smantellata, beh, penso sia un errore». In buona sostanza, mentre in tutta Europa si dice «Il virus non scomparirà, quindi dobbiamo accettare di conviverci e tornare alla normalità», Speranza partendo dalle stesse considerazioni arriva, unico, alla conclusione opposta: Il virus non scomparirà, quindi dobbiamo mantenere le restrizioni alla libertà a oltranza.
«Con un Green Pass solido abbiamo piegato l’ondata senza chiusure generalizzate», ha affermato nella stessa intervista, rilasciata a La Repubblica, il ministro della Salute, dimostrando ancora una volta di non considerare i dati provenienti da altri Paesi che il green pass hanno scelto di non adottarlo neppure e ciononostante hanno registrato curve di contagio, ricoveri e decessi non solo analoghi, ma addirittura migliori rispetto all’Italia, come nel caso della Spagna. Nessuna valutazione nemmeno sui dati provenienti dal Regno Unito: per mesi la narrazione governativa italiana ha dipinto come “irresponsabile” la linea tenuta dal premier Boris Johnson, giudicando affrettate le riaperture inglesi e l’abbandono della certificazione sanitaria. Invece oltre Manica sta succedendo l’esatto opposto, e pochi giorni fa l’Office for National Statistics ha reso noto che la mortalità generale è addirittura scesa a livelli più bassi rispetto all’epoca pre-pandemica. Solo tre giorni fa, il 18 febbraio, Israele – paese che per primo al mondo introdusse le restrizioni – ha annunciato l’abolizione immediata del green pass. Il governo, dopo mesi di utilizzo, lo ha bocciato giudicandolo, senza mezzi termini, misura «priva di logica medica ed epidemiologica».
Sfugge quindi quali siano le evidenze sanitarie e statistiche attraverso le quali il ministro della Salute italiano voglia giustificare il mantenimento della certificazione verde ad oltranza, anche oltre la fine dell’emergenza. Anzi, ogni scarna giustificazione addotta nelle interviste a mezzi di stampa al solito compiacenti e non inclini a porre vere domande, è in verità smentita dai fatti e dalla semplice comparazione con quanto avviene negli altri Paesi europei. Ma a Roberto Speranza questo non sembra interessare.




Anche la direttrice degli investimenti tecnici sembrerebbe confermare l’interesse della compagnia a restare un caposaldo del settore petrolifero: dei 5,3 miliardi di euro investiti nel 2021, 3,4 sono indirizzati allo sviluppo di giacimenti di idrocarburi. Le fonti rinnovabili sono invece comprese nella categoria della “commercializzazione del gas ed energia elettrica nel business retail”, e i loro investimenti fermi a 366 milioni di euro.







