domenica 14 Dicembre 2025
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L’emergenza è finita, ma le navi quarantena sono ancora in funzione

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Con il decreto legge della Protezione civile del 12 aprile 2020 venivano istituite le navi quarantena, mezzi controversi strettamente legati alla durata dell’emergenza sanitaria, sui quali i profughi avrebbero dovuto espletare i 14 giorni di isolamento fiduciario. Nonostante l’emergenza sanitaria da Covid-19 sia terminata il 31 marzo e non esistano atti normativi che ne proroghino i termini, alcuni di questi mezzi non risultano ancora dismessi, nonostante non vi siano leggi né decreti che ne giustifichino l’esistenza. Sarebbero infatti 89, su 106 totali, i migranti fatti reimbarcare dopo essere approdati, grazie alla nave della ONG tedesca Sea-Eye 4, nel porto di Augusta, secondo quanto denunciato da un’inchiesta del Manifesto.

A poche settimane dall’esplosione dell’emergenza sanitaria in Italia, dovuta al dilagare della pandemia da Covid-19, con decreto legge interministeriale (num. 150 del 7 aprile 2020) il governo ha dichiarato che i porti italiani non disponevano dei requisiti necessari per essere definiti “sicuri”. Fondamentalmente, per tutte le navi straniere (tendenzialmente appartenenti alle ONG) che salvassero i migranti al di fuori dalla zona di stretta competenza italiana per quanto riguarda la ricerca e il salvataggio i porti italiani si rivelavano di fatto chiusi.

Cinque giorni dopo, con il decreto della Protezione civile del 12 aprile, venivano istituite le navi quarantena, delle quali abbiamo parlato approfonditamente nel Monthly Report n. 7. L’assegnazione delle navi, sulle quali i migranti avrebbero dovuto trascorrere i 14 giorni di quarantena previsti per i profughi provenienti dal Mediterraneo centrale, è stata fatta tramite bando, l’ultimo dei quali pubblicato il 10 dicembre 2021. Ad aggiudicarselo sono state le compagnie GNV (con le navi Aurelia, Azzurra, Splendid e Rhapsody) e Moby (con la nave Moby Zaza), con una spesa totale di 20 milioni di euro tra i mesi di gennaio e marzo. Tuttavia, nonostante l’emergenza sanitaria sia terminata il 31 marzo e nonostante non esistano, al momento, decreti che ne proroghino la validità o nuovi bandi per l’assegnazione dei mezzi, le navi quarantena sembrano essere ancora in funzione. Secondo quanto denunciato dall’inchiesta del quotidiano Il Manifesto, infatti, dopo essere sbarcati presso il porto di Augusta mercoledì 6 aprile grazie al salvataggio della ONG tedesca Sea-Eye 4, 89 dei 106 migranti sono stati fatti salire nuovamente a bordo.

Secondo quanto dichiarato al Manifesto dal Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, «Perseverare con l’utilizzo delle navi quarantena configurerebbe una illegittima privazione della libertà personale». Una soluzione pensata per essere «transitoria ed eccezionale», la cui necessità era strettamente legata all’emergenza sanitaria, rischia infatti di istituzionalizzarsi, trasformando le navi in «hotspot galleggianti». Secondo quanto riportato dal quotidiano, infatti, in Sicilia l’isolamento fiduciario per i profughi avverrebbe ancora a bordo delle navi quarantena, mentre in Puglia e in Calabria l’isolamento è previsto a terra. Per i profughi ucraini, invece, nulla di tutto ciò: bastano un tampone entro le prime 48 ore dall’ingresso in Italia e il regime di auto-sorveglianza per i cinque giorni successivi, con obbligo di utilizzo di mascherina FFP2.

L’adozione della misura delle navi quarantena è stata fortemente contestata da numerose realtà operanti nel sistema dell’accoglienza e dei diritti. Recentemente, in una lettera inviata al Governo e sottoscritta dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), LasciateCIEntrare, Sea-Watch e numerose altre realtà viene fatto appello alle istituzioni affinché “si ponga fine al sistema delle navi quarantena e si adotti procedure che garantiscano la sicurezza, il diritto di asilo, la libertà personale e un’accoglienza degna delle persone in arrivo sul territorio italiano”. Inoltre, aggiungono le associazioni, “A due anni dallo scoppio della pandemia, non hanno alcuna giustificazione misure d’emergenza lesive della dignità delle persone e dell’accoglienza, che costituiscono un ulteriore passo in avanti nell’evoluzione e amplificazione dell’approccio hotspot e delle violazioni da esso derivanti, con conseguenze gravi sulla vita delle persone coinvolte”.

Sono almeno tre le morti di cittadini stranieri sulle navi quarantena: due di questi erano minori che avevano bisogno di cure urgenti, le quali tuttavia hanno tardato ad arrivare. La magistratura sta verificando gli eventuali collegamenti con le condizioni a bordo delle navi.

[di Valeria Casolaro]

Rischio salmonella, Ferrero ferma attività fabbrica in Belgio

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La multinazionale italiana Ferrero ha disposto la sospensione delle attività a scopo precauzionale dello stabilimento di Arlon, in Belgio, a causa della probabile presenza di alcuni casi di salmonella. Le attività riprenderanno, fa sapere l’azienda, dopo il via libera delle autorità sanitarie. L’azienda aveva già richiamato da alcuni supermercati di Paesi europei, compresa l’Italia, lotti di prodotti provenienti dallo stabilimento di Arlon. L’azienda specifica che si tratta di una decisione “volontaria e precauzionale” e che al momento nessuno dei prodotti ritirati dal mercato è risultato positivo ai test per il batterio.

Italia: i creatori di contenuti digitali chiedono una legge che li tuteli

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Maggiori tutele per i creatori di contenuti digitali. È questo lo scopo dell’indagine conoscitiva sui lavoratori del settore, avviata con voto unanime il 07 aprile 2021 e conclusa il 9 marzo 2022, presso la Commissione XI Lavoro Pubblico e Privato della Camera dei Deputati su iniziativa di Valentina Barzotti, avvocato e deputato del Movimento 5 Stelle. L’indagine è il primo passo per proporre una legge, ora non resta che sperare che qualche parlamentare se ne faccia interprete, depositandola in Parlamento. 

Il documento, pubblicato sulla rivista Lavoro Diritti Europa e redatto da oltre 50 creators, ha evidenziato come in Italia manchi ancora una soddisfacente ricostruzione di questa nuova forma di lavoro (sviluppatasi in particolare durante la pandemia), una platea di soggetti riconducibili alla categoria di creatori di contenuti digitali e tutele rivolte a questi ultimi.

I soggetti presi in considerazione «risultano essere in una posizione di dipendenza funzionale ed economica rispetto alla piattaforma da cui trasmettono, senza però disporre di margini di contrattazione sulle modifiche dell’algoritmo, che determina la diffusione dei loro contenuti – spiega la parlamentare pentastellata – e senza scudi legati ai rischi connessi alle segnalazioni degli haters». 

Per tutti questi motivi, secondo quanto emerso dall’indagine, lo statuto di tutele da applicare ai creatori di contenuti digitali dovrà necessariamente essere individuato traendo i propri elementi dalla disciplina del lavoro autonomo, da quella del lavoro autonomo di seconda generazione, dalla normativa di tutela dei consumatori e degli utenti e da forme di protezione analoghe a quelle riconosciute ai lavoratori dipendenti.

L’obiettivo è quindi ricostruire una nuova forma di lavoro che già comprende, a livello globale, 50 milioni di creators. Un numero destinato ad aumentare, in effetti, poiché qualsiasi utente, su una qualsiasi piattaforma, è un potenziale creatore di contenuti. 

Ma chi è esattamente un creatore di contenuti digitali?

È una figura ricercata dalle aziende che già lavorano in campo digitale, capace di occuparsi, a più livelli, dei contenuti riguardanti un prodotto o un brand. Il creator infatti analizza, coordina e produce i contenuti grafici per social media ed e-commerce, tenendo sempre conto del contesto, delle piattaforme e dell’utente finale. Il ruolo è quindi essenziale per costruire un’immagine del brand chiara e coerente: in assenza di contenuti di qualità, infatti, siti web e social network non sono sufficienti a garantire la visibilità delle aziende.

Alle origini dell’Indagine con Il Pancio

Originariamente, l’idea della regolamentazione di questa professione nasce da Il Pancio (Andrea Panciroli), un comico che nel 2014 perse il proprio profilo (con 500.000 iscritti), rendendosi conto di quanto poco tutelata fosse la propria attività, e che, da padre con una figlia di 8 anni futura cittadina del mondo digitale, vorrebbe vedere regolamentato questo settore.

Il Pancio ha risposto ad alcune domande de L’Indipendente.

Da cosa è nata l’idea dell’indagine conoscitiva?

Nel 2014, fui uno dei primi a perdere il profilo su una piattaforma. Immagina di andare a dormire con un’azienda in tuo possesso e di ritrovarti il giorno dopo senza, come se fosse sparita in un buco nero. Immagina di perdere l’attività a cui avevi dedicato tempo, sacrifici e soldi senza avere risposte e diritti a riguardo. Ho pensato che non poteva esistere impresa in una situazione simile. Soprattutto senza un tavolo di trattativa con le piattaforme.

Nessuno faceva nulla ma la situazione persisteva. Quindi nel 2019 creai Confederazione Italiana Creatori di contenuti (CIC), un gruppo Facebook, in cui tante persone condividevano le proprie esperienze. Online mostrarono interesse anche due partiti: Fratelli d’Italia e il Movimento 5 Stelle. Scelsi così di scambiare le mie idee con quelle di Valentina Barzotti, deputato pentastellato, e in seguito, facemmo una ricerca di mercato con il professor Davide Bennato, Emanuele Pantano e Filippo Giardina. A questo punto cercammo 50 creators disposti a testimoniare alla Camera del Lavoro e, una volta trovati, chiedemmo di avviare un’indagine conoscitiva.

Quale è l’obbiettivo di tutto questo?

L’obbiettivo è tentare di riconoscere e suddividere i creatori di contenuti digitali attraverso codici ATECO ad hoc che identifichino in maniera precisa questo sistema lavorativo, suddividendo i lavoratori in base alla piattaforma su cui operano, le ore di lavoro effettivo e il metodo di retribuzione.

Inoltre, chiediamo allo Stato di iniziare a fare da garante tra piattaforme (aziende private) e partite iva italiane, creando uno statuto dei lavoratori del web chiaro e trasparente, in modo da permettere a tutti i lavoratori di essere tutelati e di lavorare regolarmente.

[di Iris Paganessi]

Israele, nuovo attentato a Tel Aviv: ucciso l’autore

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Nella tarda serata di giovedì un uomo sarebbe entrato in un pub in una via centrale di Tel Aviv, in Israele, uccidendo due persone a colpi di arma da fuoco e ferendone altre tre prima di darsi alla fuga. Si tratta dell’ultimo di una serie di episodi violenti che hanno avuto luogo in diverse parti del Paese e hanno scatenato una dura repressione da parte delle forze armate israeliane. Dopo una caccia all’uomo durata tutta la notte, le forze israeliane avrebbero individuato e ucciso l’autore dell’attacco, un palestinese di 28 anni originario di Jenin.

Lunga e forse allargata: i generali USA fanno le previsioni sulla guerra ucraina

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Negli ultimi giorni si sta assistendo a un lento ma progressivo cambiamento nella strategia adottata dall’Occidente per affrontare la guerra in Ucraina, con le ore che passano e le trattative di pace che non vanno a buon fine. Così, mentre la diplomazia fallisce mutano, parallelamente, le previsioni future: dalla NATO rimbalza l’idea di “un conflitto lungo, che potrebbe durare mesi se non addirittura anni“. Nelle scorse ore il vicesegretario dell’Alleanza, Mircea Geoana, ha parlato dell’inizio di una seconda fase del conflitto, in cui «il sostegno degli alleati cambierà», alla luce di «una maggiore fornitura di armi a Kiev, insieme ad aiuti umanitari e finanziari». Una strategia che avrà di certo la benedizione degli Stati Uniti, che hanno deciso di rispondere all’appello del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, inviando migliaia di armi al Paese: secondo la CNN, si tratterebbe di più di 12.000 sistemi anticarro, centinaia di droni suicidi e 1.400 sistemi antiaerei.

Mircea Geoana ha poi affermato che «nelle prossime settimane nel Sud-Est del Paese ci sarà un altro tipo di guerra, più convenzionale e su scala più vasta», in linea con quanto dichiarato dal Segretario della NATO, Jens Stoltenberg, circa l’attesa di «una grande offensiva di Mosca nel Donbass». In accordo ai due funzionari dell’Alleanza, dagli Stati Uniti rimbalza l’idea di una guerra “non solo lunga, ma anche larga”, almeno secondo le previsioni del generale statunitense Mark Milley e del Segretario alla Difesa Lloyd Austin che, in audizione al Congresso, hanno ribadito come le probabilità di “un conflitto internazionale significativo” siano in aumento. Milley ha dichiarato che «l’invasione russa dell’Ucraina è la più grande minaccia alla pace e alla sicurezza dell’Europa e forse del mondo», due condizioni per cui, a detta del generale, «una generazione di americani ha combattuto duramente». Riferendosi a Cina e Russia, Milley ha aggiunto che entrambe sono intenzionate a cambiare radicalmente l’attuale ordine globale basato sulle regole. È evidente che «stiamo entrando in un mondo sempre più instabile, dove le probabilità di un significativo conflitto internazionale stanno aumentando, non diminuendo». Il Segretario alla Difesa ha poi rincarato la dose, gettando benzina sul fuoco, con l’affermazione: «Se gli Stati Uniti avessero inviato forze militari in Ucraina per combattere Putin, ora staremmo parlando di una storia differente».

Nel frattempo, mentre il Pentagono ha affermato che “la guerra potrebbe essere vinta dall’Ucraina” e che Putin “non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi nel territorio”, il 5 aprile scorso gli Stati Uniti hanno approvato lo stanziamento di altri 100 milioni di dollari in armi per sostenere l’Ucraina, portando l’assistenza complessiva al Paese a circa 1,7 miliardi di dollari. La misura è in linea con quanto accordato ieri, 7 aprile, durante la riunione del Consiglio Atlantico, quando i ministri degli Esteri dell’Alleanza hanno deciso di “fornire più supporto militare per respingere l’esercito di occupazione russo”. Il Cremlino, attraverso le parole del portavoce Dmitry Peskov, ha prontamente risposto affermando che «rifornire l’Ucraina di armi non contribuirà al successo delle trattative russo-ucraine». Dunque, se da un lato le affermazioni dell’Alleanza ribadiscono la sovranità esclusiva dell’Ucraina in materia di trattati risolutivi con la Russia, definendola “decisore finale”, dall’altro le dichiarazioni e le azioni della stessa NATO sembrano compromettere, o almeno ostacolare, questo processo.

[Di Salvatore Toscano]

Italia, la doppia laurea è legge: ora è possibile iscriversi a più corsi universitari

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Nelle università italiane sarà possibile iscriversi contemporaneamente a due diversi corsi di laurea triennale, magistrale o master, anche presso diversi istituti. La legge relativa alla doppia laurea è ufficiale da mercoledì scorso, giorno in cui il Senato ha approvato senza alcuna modifica il disegno di legge 2415, testo già accolto dalla Camera dei deputati ad ottobre 2021. L’ultimo passaggio è ora la messa in pratica per la quale servirà un po’ di tempo, cosicché le università possano allinearsi alla norma. Dopo che i decreti attuativi del Ministero dell’Università e della Ricerca saranno pronti, gli studenti avranno modo di costruirsi un percorso formativo personalizzato, unendo diversi percorsi, discipline e interessi. Se i decreti attuativi saranno approvati a breve, già dal prossimo anno accademico la doppia iscrizione sarà realtà.

Il testo approvato a Palazzo Madama prevede l’abolizione di una norma di quasi 90 anni fa. Si parla di un decreto regio che risale al 1933, volto a impedire la doppia immatricolazione a chi è studente in Italia. Ma ora gli universitari avranno un’ importante possibilità, finora bloccata da un decreto tanto datato. Se gli studenti saranno liberi di immatricolarsi a due corsi contemporaneamente, la legge prevede anche delle restrizioni. Non sarà infatti consentito frequentare allo stesso tempo corsi di laurea appartenenti alla stessa classe e ai corsi di specializzazione medica. Al di fuori di ciò, per chi intraprende qualsivoglia percorso di studio avrà una nuova opzione e più libertà, visto che nella norma sono inclusi anche i corsi di diploma accademico, di primo o di secondo livello, presso le istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica.

Il testo prevede altresì un apposito decreto volto a disciplinare criteri e modalità per  la doppia iscrizione contemporanea, con particolare attenzione ai corsi che richiedono la frequenza obbligatoria. Il decreto dovrà essere adottato entro sessanta giorni dal Ministro dell’Università e della Ricerca, previo parere della Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), del Consiglio universitario nazionale (CUN) e del Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU). Tra tre anni, il Ministero dell’Università e della Ricerca dovrà infine presentare alle Camere una relazione sull’andamento della doppia laurea in Italia così da potere fare delle valutazioni e capire quali cambiamenti la legge abbia apportato.

[di Francesca Naima]

ISTAT, nascite al minimo storico

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In Italia, nel 2021, le nascite hanno vissuto un minimo storico, con 399.400 bambini nati nel corso dell’anno (-1.3% rispetto al 2020). A riferirlo è l’ISTAT, attraverso il rapporto sugli indicatori demografici, al cui interno sono emersi alcuni segnali di ripresa della natalità nella parte finale dell’anno scorso. Per quanto riguarda invece la nuzialità, nel 2021 sono avvenute 179.000 celebrazioni (3 ogni mille abitanti), a fronte delle 97.000 (1,6 ogni mille abitanti) del 2020, influenzate allora dai mesi di lockdown. Inoltre, il rapporto dell’ISTAT evidenzia come la speranza di vita alla nascita sia scesa nel Mezzogiorno a 81,3 anni, tredici mesi in meno rispetto alla media nazionale di 82,4 anni.

 

Foggia: ragazzo picchiato da un poliziotto in strada (video)

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Nelle scorse ore è diventato virale su TikTok il video di un ragazzo preso a calci da un poliziotto. I fatti risalgono al 2 aprile scorso, quando a Foggia un giovane di 23 anni è stato immobilizzato al culmine di un inseguimento in auto durato circa 3 km tra le vie della città, iniziato secondo la questura per il mancato accostamento a un posto di blocco. All’interno del video diffuso da un cittadino si può notare come il 23enne, immobilizzato a terra da un agente, venga sopraggiunto da un violento calcio da parte di un collega. L’aggressione continua per diversi secondi, anche con il tentativo di schiacciare la testa del ragazzo, fino a quando il poliziotto viene allontanato dagli altri agenti presenti sul luogo.

La questura di Foggia ha dichiarato in una nota che “nei confronti del poliziotto, destinato ad altra sede, è stata avviata l’azione disciplinare”. Nel frattempo, il giovane 23enne ha esposto la propria versione dei fatti, in linea con quanto immortalato all’interno del video: «Mi sono accasciato e lui mi ha tirato un calcio forte. Gli altri poliziotti dicevano di smettere ma lui continuava. Ha continuato anche quando eravamo in questura. Gli chiedevo scusa e lui continuava a schiaffeggiarmi». Il legale del ragazzo, Paolo Ferragonio, ha assicurato che “una volta raccolta tutta la documentazione medica e i video che circolano sul web, verrà presentata una denuncia alla Procura”. La notizia dell’episodio è arrivata anche fra i banchi della politica, dove il deputato Michele Bordo (Pd) ha annunciato l’intenzione di presentare un’interrogazione parlamentare.

[Di Salvatore Toscano]

Lecce, 17 arresti in un blitz antimafia

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Nelle prime ore del giorno a Lecce è scattata l’operazione Game Over. Il blitz, condotto dalla polizia, è nato da un’indagine della Direzione distrettuale Antimafia nei confronti di soggetti che farebbero parte del clan Briganti. Sono state disposte così diciassette misure di custodia cautelare per associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico e alla commercializzazione di sostanze stupefacenti, estorsione e violazione della legge sulle armi. In mattinata, la questura di Lecce fornirà ulteriori dettagli nel corso di una conferenza stampa.

È finalmennte iniziato il processo internazionale per i crimini di guerra in Darfur

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Il 4 aprile la Corte penale internazionale dell’Aia, con sede nei Paesi Bassi, ha dato il via al primo processo per condannare i crimini commessi durante la guerra civile in Darfur, dopo un lungo periodo dalla fine della missione delle Nazioni Unite nel paese. La provincia ad ovest del Sudan è stata infatti, dal 2003 al 2006, teatro di scontri che, a parere dell’ONU, hanno portato alla morte di 300mila persone. Chi sono gli imputati? Al momento uno solo: si tratta di Ali Kushayb, 72 anni ed ex capo di una milizia segretamente appoggiata dal Governo Nazionale (gli Janjawid), accusato di 31 incriminazioni relative a crimini di guerra e crimini contro l’umanità compiuti tra il 2003 e il 2004. L’uomo fu arrestato nel 2020 e consegnato alla Corte penale internazionale dopo ben 13 anni di latitanza.

Di cosa è accusato nello specifico? La Corte penale internazionale sostiene che Ali Kushayb, insieme alle sue milizie, abbia commesso in alcune zone del Darfur stupri, torture, omicidi e saccheggi. Il leader militare sarebbe inoltre stato fondamentale nella strategia d’attacco adottata dal Governo, che di fatto si concretizzò con il compimento di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Al processo però ci sarebbero dovute essere altre tre persone, incriminate proprio come Ali Kushayb. Tra loro l’ex presidente del Sudan, Omar al Bashir, accusato di crimini di guerra nel 2009. Bashir era salito al potere nel 1989, con un colpo di stato. Il suo Governo si è protratto fino al 2019, quando un altro colpo di stato lo costrinse a lasciare la presidenza. Il nuovo Governo, nel tentativo di guidare il Paese verso una transizione democratica, promise di consegnare Bashir alla Corte dell’Aia, ma ad oggi l’uomo è ancora detenuto nelle prigioni del Sudan.

Oltre all’ex presidente, sarebbero dovuti comparire in tribunale altri due funzionari: Abdel-Rahim Mohammed Hussein, ex Ministro dell’Interno, in carica durante il conflitto e Ahmed Harun, ex funzionario dedito alla sicurezza vicino a Bashir. Entrambi, accusati di crimini contro l’umanità, sono ad oggi latitanti.

Perché si è combattuta una guerra in Darfur?

Secondo gli arabi il conflitto nel Darfur, che ha effettivamente preso piede (per come lo conosciamo) dal febbraio del 2003, è stato generato in parte dall’astio fra etnie diverse. Di che etnie si tratta? In generale, da una parte c’erano gli arabi (nomadi) e dall’altra le tribù di neri africani (agricoltori). Il Governo sudanese – appoggiato dalle etnie arabe – sostiene che il conflitto nella regione del Darfur sia frutto unicamente della competizione tra pastori e allevatori (e quindi le due macro fazioni) per il controllo del territorio.

Al contrario, i leader delle tribù non arabe affermano che il Governo abbia portato avanti una strategia mirata per arabizzare il Darfur e soffocare con la violenza le proteste, cercando di spopolare i villaggi. Come? Servendosi dell’aiuto dei Janjawid ad esempio, una milizia di origine e di lingua araba responsabile di attacchi contro la popolazione civile. Le tribù dei neri hanno raccontato di brutali repressioni, discriminazioni da parte del governo sudanese ed esclusione dall’economia nazionale. L’Amministrazione di Khartoum è stata per questo più volte accusata di incoraggiare “la pulizia etnica e il genocidio” in Darfur (che va avanti tuttora) e di strumentalizzare a tale scopo alcune tribù arabe.

[di Gloria Ferrari]