mercoledì 5 Novembre 2025
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Roberto Speranza, unico in Europa, vuole continuare con il green pass a oltranza

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Dal Regno Unito alla Svizzera, passando per Austria, Irlanda e Danimarca, praticamente tutti i ministri della Salute dell’Unione hanno già eliminato il grosso delle restizioni nonché l’uso del green pass e degli obblighi vaccinali, oppure – quelli più prudenti – hanno stilato calendari precisi di fuoriuscita dall’emergenza sanitaria, come nel caso della Finlandia. Ad oggi si registra in Europa un solo ministro della Salute che pare intenzionato a continuare sulla strada delle restrizioni, degli obblighi e della certificazione verde senza nemmeno immaginare una fine dell’emergenza, quello italiano. Roberto Speranza è tornato a farsi vivo sul tema annunciando: «Il Green pass è stato ed è un pezzo fondamentale della nostra strategia. Le mascherine al chiuso sono ancora importanti: non riesco a vedere un momento X in cui il virus non esiste più e cancelliamo insieme tutti gli strumenti. È ovvio che misure del genere devono avere una temporaneità, ma dire ora – con sessantamila casi al giorno – che l’impalcatura va smantellata, beh, penso sia un errore». In buona sostanza, mentre in tutta Europa si dice «Il virus non scomparirà, quindi dobbiamo accettare di conviverci e tornare alla normalità», Speranza partendo dalle stesse considerazioni arriva, unico, alla conclusione opposta: Il virus non scomparirà, quindi dobbiamo mantenere le restrizioni alla libertà a oltranza.

«Con un Green Pass solido abbiamo piegato l’ondata senza chiusure generalizzate», ha affermato nella stessa intervista, rilasciata a La Repubblica, il ministro della Salute, dimostrando ancora una volta di non considerare i dati provenienti da altri Paesi che il green pass hanno scelto di non adottarlo neppure e ciononostante hanno registrato curve di contagio, ricoveri e decessi non solo analoghi, ma addirittura migliori rispetto all’Italia, come nel caso della Spagna. Nessuna valutazione nemmeno sui dati provenienti dal Regno Unito: per mesi la narrazione governativa italiana ha dipinto come “irresponsabile” la linea tenuta dal premier Boris Johnson, giudicando affrettate le riaperture inglesi e l’abbandono della certificazione sanitaria. Invece oltre Manica sta succedendo l’esatto opposto, e pochi giorni fa l’Office for National Statistics ha reso noto che la mortalità generale è addirittura scesa a livelli più bassi rispetto all’epoca pre-pandemica. Solo tre giorni fa, il 18 febbraio, Israele – paese che per primo al mondo introdusse le restrizioni – ha annunciato l’abolizione immediata del green pass. Il governo, dopo mesi di utilizzo, lo ha bocciato giudicandolo, senza mezzi termini, misura «priva di logica medica ed epidemiologica».

Sfugge quindi quali siano le evidenze sanitarie e statistiche attraverso le quali il ministro della Salute italiano voglia giustificare il mantenimento della certificazione verde ad oltranza, anche oltre la fine dell’emergenza. Anzi, ogni scarna giustificazione addotta nelle interviste a mezzi di stampa al solito compiacenti e non inclini a porre vere domande, è in verità smentita dai fatti e dalla semplice comparazione con quanto avviene negli altri Paesi europei. Ma a Roberto Speranza questo non sembra interessare.

La crisi energetica si sta dimostrando un grande affare per Eni

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Il repentino aumento del costo dell’energia preoccupa milioni di famiglie e imprese. Per cercare di arginare l’emergenza rincari il Governo ha di recente stanziato nuovi fondi (6 miliardi), in linea con il provvedimento precedente (5,5 miliardi), ritenuto insufficiente da diverse realtà coinvolte nella crisi, tra cui l’Associazione artigiani e piccole imprese (CGIA) di Mestre. Chi invece non risente dell’emergenza energetica, e anzi sembrerebbe beneficiarne, è l’Eni, il cui Consiglio di amministrazione ha approvato il 17 febbraio scorso i risultati consolidati dell’esercizio e del quarto trimestre 2021, periodo in cui la multinazionale degli idrocarburi ha visto moltiplicare i propri profitti, segnando in bilancio un utile operativo adjusted di 3,8 miliardi di euro (+53% rispetto ai tre mesi precedenti).

In generale il 2021 ha rappresentato per Eni un anno di grandi affari, così come dimostrano i 9,7 miliardi complessivi di utile operativo adjusted, ritornato ai livelli pre-pandemia anche grazie al rincaro dell’energia. I prezzi di realizzo delle produzioni Eni sono infatti aumentati dell’11% per i liquidi e del 43% per il gas rispetto al terzo trimestre 2021. Prendendo invece in considerazione la differenza fra i due anni, si nota un aumento dell’82% e del 154% rispetto al trimestre 2020. Dei quasi 10 miliardi di euro di profitti, ben 9,3 provengono dal settore “Exploration and Production“, confermando la natura essenzialmente fossile della compagnia, nonostante l’emergenza climatica e gli impegni per la decarbonizzazione. A confermare i dati sono altri dati: nel quarto trimestre del 2021 la produzione di idrocarburi è infatti salita a 1,74 milioni di barili di petrolio equivalente al giorno, segnando un +2,7% rispetto al 2020. Questa tendenza non dovrebbe arrestarsi nel 2022, nonostante l’Agenzia internazionale dell’energia ricordi che per raggiungere gli obiettivi di zero emissioni nette di CO2 entro il 2050 sia necessario bloccare sin da subito l’esplorazione e lo sviluppo di nuovi giacimenti. Eni, invece, sembrerebbe aver individuato “oltre 700 milioni di barili di petrolio equivalente di nuove risorse”. Tra queste, va segnalata “l’importante scoperta ad olio nel blocco CI-101 nell’offshore della Costa d’Avorio”, annunciata lo scorso settembre dalla multinazionale stessa: si tratta di Baleine, il primo pozzo esplorativo perforato da Eni nello Stato africano.

Anche la direttrice degli investimenti tecnici sembrerebbe confermare l’interesse della compagnia a restare un caposaldo del settore petrolifero: dei 5,3 miliardi di euro investiti nel 2021, 3,4 sono indirizzati allo sviluppo di giacimenti di idrocarburi. Le fonti rinnovabili sono invece comprese nella categoria della “commercializzazione del gas ed energia elettrica nel business retail”, e i loro investimenti fermi a 366 milioni di euro.

[Di Salvatore Toscano]

Nepal: manifestanti in strada contro gli aiuti USA

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Domenica 20 febbraio centinaia di manifestanti sono scesi in piazza per protestare nei confronti del disegno di legge presentato in Parlamento che autorizzerebbe l’arrivo di 500 milioni di dollari statunitensi nelle casse del Nepal. La polizia ha sparato proiettili di gomma e gas lacrimogeni sui manifestanti, preoccupati per la sovranità del Paese e per l’intromissione degli Stati Uniti nella sua gestione. La sovvenzione, secondo la parte di governo favorevole, rientrerebbe nei parametri del Millennium Challenge Corporation (MCC), un accordo firmato dai due Paesi nel 2017.

I fiumi italiani stanno soffrendo un’ondata anomala di siccità

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Troppo caldo, poca neve e piogge più scarse che mai hanno portato l’Italia intera a un preoccupante periodo di siccità. A soffrire maggiormente di un grave calo idrico è stato il Nord Italia, con scene alquanto allarmanti. Un esempio è l’immagine del fiume Po in secca nel mese di febbraio, con una portata minima, evento raramente accaduto nello stesso periodo. Come intuibile i fiumi privi di acqua hanno importanti conseguenze sull’ecosistema, ma non solo. Il problema è anche per l’agricoltura e qualsiasi attività che abbia bisogno della forza idrica e dell’acqua in sé per poter sopravvivere.

Dal report settimanale dell’Osservatorio sulle Risorse Idriche si palesa quanto allarmante sia la situazione dei fiumi, ma è anche Copernicus, nonché l’osservatorio satellitare europeo ad allarmare riguardo la siccità in Pianura Padana. Sono state condivise delle immagini del satellite Sentinel2, volte a dimostrare la differenza tra gennaio dello scorso anno e il mese di febbraio 2022. Dalle foto satellitari condivise è palese il minore innevamento sulle montagne che circondano il Lago di Como. La quasi assenza di neve sulle Alpi è uno dei motivi per cui nella Pianura Padana, come denuncia Copernicus, esiste un allarme siccità. Al Nord Italia, oltre a una quasi totale assenza di innevamento alpino, non ci sono state piogge negli ultimi due mesi. In Piemonte le precipitazioni avvenute durante i primi mesi del nuovo anno sono del 93% inferiori rispetto alla media. Così, i fiumi Adige e Natisone stanno registrando una preoccupante portata minima, ma anche la portata idrica del Po nella città di Torino ha raggiunto valori ancor inferiori a quelli riscontrati normalmente durante l’estate. Anche la Valle d’Aosta soffre la quasi assenza di precipitazioni, visto che non ci sono piogge importanti da praticamente un mese, motivo per cui il fiume Dora Baltea ha una portata idrica dimezzata rispetto alla norma. In tutto il territorio dell’Italia settentrionale le temperature sono poi aumentate, toccando i massimi storici in Piemonte, ma anche in Liguria, regione in cui le temperature sono aumentate più di un grado e mezzo rispetto a trenta anni fa.

Per quanto riguarda il resto della penisola, la situazione è meno allarmante ma sicuramente non rosea. La Toscana prima di tutto è la regione centrale più in crisi per quanto riguarda il problema della siccità, con il fiume Arno che nel febbraio 2022 registra una portata i 13,80 metri cubi al secondo, contro la media solita dello stesso mese che è pari a 110,82 metri cubi al secondo. C’è poi il fatto che in quasi tutto il territorio dell’Emilia Romagna, sono mesi che non piove in maniera significativa. Motivo per cui i fiumi emiliani registrano in questo inverno portate solitamente tipiche per mesi ben più caldi. Storie simili per Marche e Lazio, con i livelli dei fiumi in diminuzione come non accadeva dal 2007. Anche se in maniera meno significativa, i corsi d’acqua in Campania, Basilicata e Puglia preoccupano, così come allarma la diminuzione delle piogge.  A “salvarsi”, per il momento, solo l’Abruzzo, la Calabria e la Sardegna. Infatti i volumi idrici registrati nel periodo preso in considerazione non hanno subito un drastico calo come per altre zone italiane, anzi. In certi casi i valori sono addirittura superiore ad alcuni momenti degli anni precedenti. Situazioni positive che però non bastano a diminuire l’allarme generale sulla questione, con grossa parte dell’Italia che si trova alle prese con la mancanza d’acqua in una stagione, quella di fine inverno, che solitamente è contraddistinta da livelli ben maggiori.

[di Francesca Naima]

Indagine conti Credit Suisse: migliaia sarebbero legati ad attività criminali

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Un soggetto anonimo avrebbe fatto trapelare informazioni su oltre 18 mila conti di clienti della Credit Suisse, una delle istituzioni finanziarie più importanti al mondo, dando il via a un’investigazione internazionale. I dati rivelerebbero come, tra i clienti della banca, vi siano soggetti colpevoli di gravi crimini tra i quali narcotraffico, traffico di esseri umani, corruzione e mafia. Si tratta di fondi cifrati, cui avevano accesso solo i dirigenti dell’istituto. La banca si è limitata per il momento a replicare di aver «operato nel rispetto delle regole internazionali e locali».

L’Europa mira ad esportare la missione Frontex in Senegal

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La Commissione Europea starebbe lavorando a una collaborazione tra l’agenzia europea Frontex, la quale si occupa di gestire i flussi migratori lungo le frontiere dell’Europa, e il Senegal. Al momento non è stato firmato nessun accordo con il governo di Dakar, al quale la proposta è stata ufficialmente presentata giovedì scorso. In caso di esito positivo, si tratterebbe della prima cooperazione di questo tipo per Frontex nel continente africano, con un’agenzia europea direttamente implicata nella gestione delle migrazioni in un Paese extra-europeo.

Il primo annuncio pubblico è stato fatto nel corso di una conferenza stampa tenutasi al termine di una serie di visite dei commissari europei in Africa. In tale occasione, la commissaria europea agli Affari Interni Ylva Johansson ha spiegato come Frontex si occupi in Europa del controllo delle frontiere con “soldati armati con mezzi e uniformi che proteggono i confini esteri dell’Ue” e che le stesse mansioni potrebbero essere svolte direttamente lungo le frontiere senegalesi. Frontex andrebbe così a esercitare una diretta ingerenza nel controllo delle frontiere di un Paese non europeo, permettendo all’Europa di avere un controllo diretto sulle migrazioni già in uno dei luoghi di partenza.

La proposta giunge dopo il significativo aumento di partenze di migranti irregolari che hanno tentato di attraversare il Mediterraneo occidentale per giungere alle Isole Canarie, dopo che le politiche europee sono riuscite a contenere le partenze dalla Libia. “L’Europa ha bisogno di più migrazione, ma non attraverso le mortali strade marittime. La migrazione può essere gestita con la cooperazione tra Paesi di partenza, transito e destinazione” ha scritto la commissaria Johansson in un tweet. Curioso come la retorica securitaria si unisca a un presunto intento filantropico, cercando così di far passare il messaggio che il controllo lungo le frontiere senegalesi sarebbe funzionale all’interesse dei migranti di non rischiare la vita nella tratta mediterranea.

Le modalità di Frontex di gestione dei flussi migratori sono ormai più che note, grazie alle continue denunce di decine di organizzazioni non governative. Sono decine le relazioni che riportano le attività di collaborazione con le forze militari di controllo delle frontiere, dove vengono messi in atto respingimenti illegali e violenti. Il ruolo di Frontex è fondamentalmente quello di impedire l’attraversamento dei confini da parte dei migranti, non certo quello di garantire migrazioni più sicure per la loro vita come la commissaria Johansson vorrebbe far credere.

Ad oggi, l’unica missione attiva di Frontex in territori extra europei è nei Balcani occidentali, dove svolge le proprie mansioni in collaborazione con i governi di Albania, Serbia, Montenegro, Bosnia ed Erzegovina e Macedonia del Nord. Lo stesso tipo di accordi potrebbe essere raggiunto in Senegal, ha dichiarato Johansson, dove “potremmo anche schierare mezzi e strumentazioni di sorveglianza“, allo scopo di regolare la migrazione illegale. Al momento non è stato firmato nessun accordo tra Europa e Dakar, ma la questione potrebbe riemergere nel corso del summit Unione Europea-Unione Africana che avrà luogo a Bruxelles il 17 e 18 febbraio prossimi.

L’eventuale accordo si andrebbe a inserire nella più ampia politica europea di esternalizzazione delle proprie frontiere, in base alla quale gli Stati cercano di porre barriere all’attraversamento dei confini in punti di molto esterni ad essi. Tale modo di agire, comporta di fatto una negazione del diritto alla richiesta di asilo dei migranti oltreché costituire una barriera che i numeri dimostrano ben poco efficace contro le partenze dei migranti via mare. Fino ad oggi, infatti, ad ogni via delle migrazioni chiusa ne è stata aperta una nuova, spesso semplicemente più dispendiosa e pericolosa per i migranti stessi.

[di Valeria Casolaro]

Mafia e droga: maxi blitz nel Barese

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In queste ore nella provincia di Bari è in corso l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari nei confronti di 43 persone, a cui viene contestato il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico e alla illecita commercializzazione di stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso. L’operazione arriva al culmine dell’attività investigativa della Polizia di Stato, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia (DDA) di Bari. Ulteriori dettagli dovrebbero essere forniti in mattinata durante una conferenza stampa in cui saranno presenti il procuratore Roberto Rossi e il Direttore centrale Anticrimine Francesco Messina.

Il Canada, nel silenzio globale, sta reprimendo brutalmente il Freedom Convoy

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In Canada, precisamente ad Ottawa, la polizia sta reprimendo fortemente le proteste dei cittadini contro le misure governative anti Covid, iniziate grazie ad un gruppo di camionisti canadesi – ribattezzato Freedom Convoy – che più di tre settimane fa ha raggiunto la capitale con lo scopo di bloccarla. Parliament Hill, zona che ospita gli edifici del Parlamento del Paese e che ha rappresentato il cuore delle proteste, è infatti stata grossomodo sgomberata dalle forze dell’ordine, con i poliziotti che a partire da venerdì mattina hanno arrestato 170 persone e rimorchiato 53 veicoli. Nel farlo, però, gli agenti hanno attuato condotte alquanto violente, ma nonostante ciò i media mainstream di fatto non hanno posto la lente di ingrandimento sulla repressione messa in campo. In tal senso, nella giornata di sabato gli agenti hanno usato spray al peperoncino e granate stordenti contro i manifestanti, mentre in quella di venerdì alcune persone sono state buttate a terra e schiacciate dalla polizia a cavallo.

Per questo, la polizia ha ricevuto diverse chiamate da parte dei cittadini, scossi per il modo in cui sono stati trattati i manifestanti. Tuttavia, le forze dell’ordine hanno minimizzato la vicenda, chiedendo ai cittadini di smettere di fare telefonate del genere. La polizia ha infatti affermato che le persone gettate a terra dai cavalli si sarebbero alzate e che non vi sarebbe stato alcun ferito, ed inoltre ha giustificato l’accaduto sostenendo che una bicicletta sarebbe stata lanciata contro un cavallo facendolo inciampare. In più, secondo le forze dell’ordine i manifestanti avrebbero aggredito gli ufficiali con “armi che giustificavano il dispiegamento, da parte loro, di armi da impatto a medio raggio”.

A tutto ciò si aggiungano anche le vere e proprie minacce da parte del capo della polizia ad interim di Ottawa Steve Bell, il quale nella giornata di sabato ha affermato che la polizia cercherà di identificare le persone coinvolte nella protesta così da attuare nei loro confronti «sanzioni finanziarie e accuse penali», aggiungendo che l’indagine «andrà avanti per i mesi a venire». «Questa occupazione illegale è finita», ha inoltre affermato Bell, precisando che la polizia continuerà ad effettuare operazioni di contrasto «fino a quando non sarà completata la missione». Il rischio infatti risiederebbe nel fatto che la protesta potrebbe semplicemente spostarsi in qualche altro luogo della città. «Siamo a conoscenza di manifestanti che lasciano il distretto parlamentare per trasferirsi nei quartieri circostanti, ma non andremo da nessuna parte finché non avrete riavuto le vostre strade», ha detto in tal senso Bell rivolgendosi ai cittadini di Ottawa.

A tal proposito, poi, non si può non citare un tweet con cui il governo canadese, poche ore prima dell’esplosione della repressione della polizia ad Ottawa, ha sostanzialmente condannato l’assenza di democrazia a Cuba giudicando in maniera negativa il modo in cui sono state gestite le proteste del luglio 2021 e sostenendo fermamente la “libertà di espressione e il diritto a un’assemblea pacifica libera da intimidazioni”. Affermazioni che non solo risultano quasi ironiche in virtù del modo in cui si stanno gestendo le proteste canadesi, ma che confermano ancora una volta come i paesi democratici ed economicamente avanzati siano sempre pronti a condannare le violazioni dei diritti umani che si verificano al di fuori dei loro confini salvo poi attuare anche essi una repressione brutale. Una repressione – quella messa in campo ad Ottawa – che come anticipato non è stata in alcun modo condannata a livello mediatico né ha determinato una presa di posizione da parte della politica nonostante si stia appunto verificando in un paese democratico, dove in maniera alquanto netta il diritto a manifestare delle persone è stato sostanzialmente vietato.

Detto ciò, il modus operandi che si è attuato ad Ottawa rischia tra l’altro anche di essere fine a se stesso, dato che anche in altre città canadesi i cittadini stanno continuando a manifestare nonostante tutto. A Calgary, ad esempio, ieri le persone sono scese in strada per protestare contro le restrizioni anti Covid e per mostrare altresì sostegno proprio alle proteste di Ottawa, ed inoltre manifestazioni vi sono state anche a Quebec City ed a Toronto, dove tra l’altro la polizia ha chiuso diverse strade del centro per il terzo fine settimana consecutivo.

[di Raffaele De Luca]

Caro bollette, Cgia: rincaro da 33,8 miliardi per famiglie e imprese nonostante aiuti

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Nel primo semestre di quest’anno le famiglie e le imprese dovranno “farsi carico di un rincaro da 33,8 miliardi di euro”. È quanto comunica la Cgia (Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre), la quale – sulla base delle stime relative all’aumento del costo delle bollette di luce e gas nel primo semestre del 2022 rispetto al 2019 – ritiene che precisamente 8,9 miliardi in più graveranno sulle spalle delle famiglie e 24,9 su quelle delle aziende. Tutto ciò nonostante in questo primo semestre siano stati erogati “ben 11 miliardi di euro per raffreddare i rincari energetici” dal governo Draghi, al quale la Cgia chiede di essere più incisivo. “Spagna e Francia, ad esempio, hanno imposto dei tetti agli aumenti delle bollette per un periodo temporaneo”, afferma a tal proposito la Cgia.

Soldi, riti e tratta: cos’è realmente la mafia nigeriana

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Il nostro Paese è conosciuto in tutto il mondo per avere partorito le organizzazioni mafiose più celebri e potenti, cullandone lo sviluppo per decenni. Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta hanno rivoluzionato il crimine globale, incamerato miliardi, mietuto vittime civili e istituzionali, entrando in contatto con alti organi dello Stato e procedendo a una progressiva espansione in vaste aree di Paesi esteri. Eppure, nel pressoché totale silenzio mediatico, negli ultimi decenni sta parallelamente imperversando nelle regioni dello stivale una organizzazione criminale potente, estremamente ramifica...

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