giovedì 28 Marzo 2024

Ma quali servitori dello Stato: chi sono gli assolti nella trattativa Stato-mafia

Dopo vent’anni di squallido mutismo, la politica italiana si è magicamente risvegliata sulla questione trattativa Stato-mafia. Lo ha fatto in coro solo perché, in seguito alle pesantissime condanne subìte in primo grado nel 2018, gli uomini dello Stato protagonisti di quella torbida vicenda sono stati assolti in Appello: i Carabinieri del ROS Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, che quella trattativa l’hanno portata avanti, “perché il fatto non costituisce reato”; Marcello Dell’Utri, già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, che secondo l’accusa la trattativa l’avrebbe presa in carico, “per non aver commesso il fatto”. Insomma, “il fatto sussiste”, ma a quanto si legge dagli organi di stampa pare proprio che i leader nostrani non l’abbiano capito o non l’abbiano voluto capire.

Matteo Renzi, su Twitter: “Oggi si scrive una pagina di storia giudiziaria decisiva per il nostro Paese. Viene condannato il mafioso, vengono assolti i rappresentanti delle Istituzioni. Ha vinto la giustizia, ha perso il giustizialismo”. Folla in delirio per la democrazia ritrovata.
Giorgia Meloni (la stessa che, solo tre anni fa, chiedeva a gran voce di fare luce sulle zone d’ombra della vicenda nel giorno dell’anniversario della nascita di Paolo Borsellino), all’Adnkronos: “E’ stata fatta giustizia, penso che quello sia un processo politico. E’ stato un tentativo di aggredire alcuni pezzi dello Stato”. Una piroetta che neanche Eleonora Abbagnato all’Opéra di Parigi.
Matteo Salvini, su Twitter: “Felice per l’assoluzione di chi ha servito lo Stato ed è stato ingiustamente accusato per anni”. Per poi proporre, in un afflato di grande generosità e senso delle Istituzioni, la nomina di Mori come senatore a vita. E si potrebbe andare avanti con molte altre dichiarazioni di membri di spicco di quasi tutte le forze politiche.

Andiamo dunque a conoscerli, questi “servitori dello Stato” tanto decantati dagli uomini politici.

Subranni: il «punciuto» che indagò su Impastato

Antonio Subranni, per esempio, è colui che venne indagato dalla Procura di Palermo come principale responsabile del depistaggio delle indagini sull’omicidio del giornalista antimafia Peppino Impastato. Il GIP, archiviando il caso per intervenuta prescrizione, ha ricordato come l’ufficiale dei Carabinieri escluse “aprioristicamente, incomprensibilmente, ingiustificatamente e frettolosamente la pista mafiosa”, parlando di “vistose, se non macroscopiche” anomalie investigative. Quattro giorni prima di essere ucciso, Paolo Borsellino, in un colloquio con la moglie, affermò di avere scoperto da una fonte terza che Subranni fosse “Punciuto”: un termine molto chiaro, che significa “affiliato a Cosa Nostra”. Nel 2019, mentre Subranni era imputato al fianco di Dell’Utri per aver veicolato la minaccia stragista contro lo Stato, sua figlia Danila è stata nominata capo della comunicazione di Forza Italia nel 2019. Guarda un po’, a volte, le coincidenze.

Mario Mori, che “dimenticò” di perquisire Riina

Mario Mori (anzi, il “servitore dello Stato Mario Mori”) è lo stesso che, nel 1993, si dimenticò di perquisire il covo di Totò Riina e che decise di interrompere la sorveglianza dello stabile, nonostante gli accordi presi con la Procura di Palermo, che non venne avvertita e scoprì tutto dopo due lunghissime settimane. D’altronde, con il capo dei capi Mori aveva appena trattato, facendogli pure investire energie a redigere un “papello”, forse pareva brutto andare anche a rovistare tra le sue carte. Al posto suo lo fecero direttamente i mafiosi, che non persero tempo e portarono via tutto.

Mario Mori è lo stesso che, nel 1995, si dimenticò di catturare il nuovo capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano dopo che un coraggioso informatore di nome Luigi Ilardo, rischiando la pelle, era riuscito ad ottenere un incontro con il padrino corleonese. L’infiltrato, dopo avere incontrato tre importanti magistrati e lo stesso Mori alla sede del ROS di Roma nel maggio del ’96 al fine di ufficializzare la sua collaborazione con la giustizia dopo una vita in Cosa Nostra, venne ucciso dai mafiosi prima di ottenere il programma di protezione. Come aveva riferito al Colonnello Riccio, che aveva gestito e supervisionato la sua delicata attività, avrebbe voluto parlare delle stragi di mafia e delle presunte collusioni tra Cosa Nostra e Bruno Contrada (numero tre del SISDE), Subranni e Dell’Utri: gli fu impedito a suon di proiettili.

Mario Mori è anche lo stesso che, sentito in Aula a Firenze nel ’98, ammise candidamente di aver fatto la trattativa con Vito Ciancimino (il “tramite” dell’invito al dialogo inaugurato dalle istituzioni), domandandogli sbalordito cosa fosse “questo muro contro muro” tra Stato e mafia.

Marcello Dell’Utri, il mediatore

Marcello Dell’Utri, infine, è colui che, grazie alla sua “opera di intermediazione” – come ricorda la sentenza definitiva che lo ha condannato per concorso esterno in associazione mafiosa – nel 1974 riusciva a far raggiungere un accordo tra Silvio Berlusconi e la mafia palermitana “che prevedeva la corresponsione da parte di Berlusconi di rilevanti somme di denaro in cambio della protezione a lui accordata da Cosa Nostra”. Dell’Utri, in tale schema, “aveva provveduto con continuità a effettuare per conto di Berlusconi il versamento delle somme concordate a Cosa Nostra”. Applausi scroscianti, immagine ripulita, bravo Marcello!

Una politica che confonde la verità giudiziaria (peraltro ancora parzialissima, essendo stato partorito solo un dispositivo di due pagine in attesa delle motivazioni della sentenza di Appello) con quella storica, è una politica con la p minuscola. Autoreferenziale, spocchiosa, che non padroneggia nemmeno i fondamentali. Una politica complice del decadimento totale di un Paese che non ha neanche più la forza di affermare con la schiena dritta e la testa alta quanto sia vergognoso scendere a patti con la mafia.

[di Stefano Baudino]

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