martedì 16 Settembre 2025
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Cybercrime: oltre 5400 attacchi informatici nel 2021

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Nel 2021 il Cnaipic, ossia il Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche della Polizia postale, ha gestito 5.434 attacchi significativi nei confronti di servizi informatici relativi a sistemi istituzionali, infrastrutture critiche informatizzate di interesse nazionale, grandi imprese ed infrastrutture sensibili di interesse regionale. È quanto si evince dal report relativo all’attività della Polizia postale nei confronti del settore della cybersicurezza, dal quale emergono anche 110.524 alert di sicurezza riferibili a minacce per i sistemi informatici e telematici oggetto di tutela del Centro.

 

Gas e nucleare nella tassonomia verde Ue, la strada è segnata

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Come previsto, l’Unione europea è prossima a riconoscere il gas naturale e l’energia nucleare come fonti ‘pulite’ finanziabili in quanto utili alla transizione. Dopo varie indiscrezioni, la conferma verrebbe da una bozza circolata in Commissione Ue. Come ha segnalato Bloomberg, il testo prevede infatti l’inserimento delle due fonti energetiche nella tassonomia ‘verde’ dell’Ue a certe condizioni. Tuttavia, se confermata, sarà applicabile anche a strutture che potranno iniziare a essere costruite nel 2045. Come nel caso dei progetti nucleari ammissibili agli investimenti privati, purché prevedano piani per la gestione delle scorie radioattive e la disattivazione. Saranno accolti anche i progetti di gas con autorizzazioni rilasciate fino al 2030, a condizione che emettano meno di 270 g CO₂e/kWh. Immediata e dura l’opposizione di chi da subito si è detto contrario alla misura ma, nei fatti, la strada appare già segnata. Tra le principali reazioni di dissenso, a livello politico, degne di nota le severe accuse di greenwashing da parte del Ministro dell’economia tedesco e leader dei Verdi, Robert Habeck. Ciononostante, il governo Scholz non chiederà modifiche sostanziali alla bozza di Bruxelles e si asterrà nell’imminente voto al Consiglio sulla classificazione europea delle fonti sostenibili.

Nel complesso, sulla questione – rende noto il The Guardian – l’europarlamento resta diviso, anche se non esattamente a metà. Il fronte del No, alla luce della ritirata della Germania, può contare solo su Austria, Spagna e Lussemburgo. L’Italia, invece, resta in una sorta di posizione di silenzio assenso, sebbene la recente politica ambientale di Roberto Cingolani lasci intendere una propensione all’accogliere la bozza così com’è. Concretamente, allo stato attuale – come ha annunciato la ministra federale austriaca per il Clima, l’ambiente e l’energia, Leonore Gewessler – solo l’Austria appare determinata a fare ricorso. Vien da sé che, ormai, la decisione, salvo particolari colpi di scena, è quantomeno ad un passo dall’essere presa: il gas fossile sarà riconosciuto dall’Ue come fonte energetica di transizione e l’atomo come energia ‘verde’.

Il tutto poi senza un confronto aperto e senza la partecipazione attiva al processo decisionale di tutti i soggetti interessati. «Dopo la diffusione, in via riservata, del piano che classificherebbe gli investimenti su gas e nucleare come “sostenibili”, «la Commissione Ue – ha denunciato il Wwf European Policy Officenon terrà una consultazione pubblica sul tema, nonostante lo abbia fatto tre volte per il capitolo che riguardava le energie rinnovabili». Senza mezzi termini, poi, il parere della direttrice dell’Eu programme di Greenpeace, Magda Stoczkiewicz, secondo la quale la nuova tassonomia della Commissione diverrebbe una licenza per il greenwashing. «Le aziende inquinanti – ha dichiarato – saranno liete di avere il sigillo di approvazione dell’Ue per attirare denaro e continuare a distruggere il pianeta bruciando gas fossili e producendo rifiuti radioattivi. La promozione di queste forme di energia tossiche e costose per i decenni a venire rappresenta una minaccia reale per la transizione energetica dell’Europa. La Commissione ha dimostrato uno scioccante disprezzo per la crisi climatica, la natura e i cittadini europei».

[di Simone Valeri]

In Italia cresce solo la spesa militare: altri 5 decreti portano al record

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Anche se la pandemia avrebbe dovuto insegnare a chi governa un Paese a distribuire la maggior parte delle risorse economiche in settori come la scuola o la sanità, il settore di spesa che in Italia continua ad aumentare senza sosta è quello militare. Stando alle stime offerte dall’Osservatorio Milex, nel 2022 il ministero della Difesa avrà a disposizione 25,8 miliardi di euro. Un +5,4% rispetto al 2021, equivalente ad un aumento di 1,3 miliardi di euro. Gli ultimi cinque decreti il ministro li ha fatti trovare al Parlamento appena prima di Natale, e come previsto sono stati prontamente approvati da un Parlamento divenuto ormai mero esecutore delle proposte governative. Tra i capitoli di spesa: nuovi proiettili di precisione per i cannoni semoventi dell’Esercito, un avamposto di comando per le missioni all’estero dell’Aeronautica e una piattaforma di addestramento per gli incursori della Marina.

È vero che negli ultimi due anni legati al Coronavirus l’esercito ha avuto il suo da fare per la distribuzione dei vaccini, ad esempio, o per altre misure straordinarie. Ma l’aumento del budget in realtà non è collegato a questo. Sono i piani militari veri e propri a costare: ne sono nati altri 23, per un totale di 12 miliardi di euro. Per non parlare, poi, delle armi. Proiettili di precisione o piattaforme di addestramento altamente specializzate. L’incremento complessivo dei fondi destinati alla Difesa dipende anche da questo.

Secondo l’Osservatorio, dei 1.352 milioni di aumento di spesa, un miliardo sarà utilizzato per l’acquisto di nuovi armamenti. Un +13,8% rispetto al 2021, considerando che in tutto i miliardi impiegati nel settore saranno 8,27. Un aumento verificatosi gradualmente negli anni, ma che continua a crescere. C’è stato infatti un +73,6% negli ultimi tre anni. E nello specifico: +3,512 miliardi rispetto ai 4,767 miliardi del 2019.

Alla fine dei conti, sommando i costi proveniente dai vari settori, la spesa militare supera quella del ministero della Difesa. Come mai? Perché comprende spese che si trovano in altri ministeri. Ad esempio il fondo per le Missioni militari all’estero rientra in quello dell’Economia e Finanze, i fondi per acquisizione e sviluppo di sistemi d’arma in quello dello Sviluppo Economico. Fino ad arrivare a quei 25,8 miliardi riportati all’inizio dell’articolo, e che comprendono anche parte del costo delle basi statunitensi, gli ammortamenti dei mutui sulla spesa per armamenti del Mise e le pensioni militari.

In una conferenza stampa tenutasi a settembre del 2021, Draghi aveva detto che “Ci dobbiamo dotare di una difesa molto più significativa e bisognerà spendere molto di più nella difesa di quanto fatto finora, perché le coperture internazionali di cui eravamo certi si sono dimostrate meno interessate nei confronti dell’Europa”.

All’Italia serve davvero tutta questa “preparazione” militare? Molto probabilmente i veri nemici, ad oggi, non indossano un elmetto e non imbracciano un fucile. Ci troviamo a combattere contro marginalità sociale, crisi climatica, disoccupazione. È loro che dobbiamo temere.

[di Gloria Ferrari]

Cina, a Xi’an si ricorre al baratto in seguito al lockdown

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Nella città di Xi’an, capoluogo della regione cinese dello Shaanxi, diversi tra i residenti sono stati costretti a ricorrere al baratto tra famiglie residenti nel medesimo edificio a causa della carenza di cibo. Questi si troverebbero infatti in isolamento nelle proprie abitazioni a causa del dilagare dei contagi da Covid 19, senza la possibilità di uscire per comprare da mangiare. Secondo quanto riportato dalla Bbc, le autorità cinesi avrebbero distribuito cibo gratuitamente, ma le scorte si starebbero esaurendo. Sono 13 milioni le persone confinate in casa dal 23 dicembre, dopo che Xi’an è diventata l’epicentro della nuova ondata di contagi. In tutta la regione sono state messe in atto misure di contenimento del Covid sempre più restrittive, soprattutto in vista delle Olimpiadi invernali di Pechino che si terranno il mese prossimo.

I ghiacciai in Himalaya si stanno sciogliendo troppo velocemente

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Secondo quanto emerge da una nuova ricerca, lo scioglimento dei ghiacciai della catena montuosa dell’Asia meridionale, l’Himalaya, sta avvenendo in maniera spaventosamente “eccezionale”. Rispetto ai ghiacciai in altre parti del mondo, anch’essi in fasi preoccupanti, i ghiacciai himalayani si stanno riducendo molto più velocemente. Lo studio condotto dall’Università di Leeds e pubblicato su Scientific Reports riporta quanto negli ultimi decenni, il ghiaccio si sia sciolto dieci volte più velocemente rispetto alla media dall’ultima grande espansione dei ghiacciai, nota come Piccola era glaciale (PEG) che ha avuto luogo circa 400-700 anni. Le dimensioni e le superfici di ghiaccio hanno perso circa il 40 per cento della loro area, passando da 28.000 chilometri quadri a circa 19.600 chilometri quadri. I ricercatori, nel periodo preso in considerazione, hanno stimato una perdita di circa 390/586 chilometri cubi di ghiaccio. Per rendersi conto della quantità, basti pensare che ciò equivarrebbe alla completa scomparsa di tutto il ghiaccio contenuto ad oggi nelle Alpi dell’Europa centrale, nel Caucaso e in Scandinavia… messi insieme.

Le zone più preoccupanti sono quelle delle regioni orientali, compresi Nepal e Bhutan, dove i ghiacciai stanno perdendo massa ancora più rapidamente; ciò sarebbe dovuto a un diverso modello meteorologico generato dall’interazione tra i i due lati della catena montuosa (segnati da caratteristiche geografiche differenti) con l’atmosfera. Lo studio dimostra anche quanto i ghiacciai stiano diminuendo più rapidamente nelle zone in cui essi finiscono nei laghi rispetto a dove è invece presente la terraferma. Motivo per cui i laghi già esistenti si stanno ampliando mentre in certi punti se ne formano dei nuovi. Una delle conseguenze più temibili è poi l’innalzamento del livello del mare, che gli studiosi hanno dimostrato essere stato tra 0,92 mm e 1,38 mm.

L’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai della catena montuosa dell’Himalaya – la quale ospita la terza più grande quantità di ghiacciai al mondo (detta per questo “il terzo polo”) rappresenta anche una grande minaccia per l’approvvigionamento idrico di milioni di persone, le quali dipendono dai principali sistemi fluviali dell’Asia per il cibo e per l’energia. Le conseguenze dello scioglimento sono tangibili da tempo per le popolazioni residenti e la ricerca non fa altro che dare dimostrazione scientifica di tali evidenti cambiamenti, attestando quanto essi siano in un momento di preoccupante accelerazione. Gli scienziati hanno predetto quanto distruttivo potrà essere l’impatto su intere nazioni e regioni, se il ritmo continuerà ad essere tanto rapido.

[di Francesca Naima]

Indonesia, deforestazione al minimo dal 2015

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In Indonesia i livelli di deforestazione nell’estesa area dell’ecosistema Leuser, che ospita un gran numero di specie animali a rischio, hanno registrato il livello minimo dal 2015. Il risultato è frutto di una costante azione di monitoraggio e pattugliamento della zona da parte delle associazioni ambientaliste durante il 2021, dopo una sospensione nel 2020 a causa della pandemia che aveva portato a un rialzo delle attività di disboscamento illegale. Anche gli interventi del governo sono risultati determinanti, con la definizione nel 2007 dell’ecosistema come area protetta e le successive moratorie sulla coltivazione di palma da olio e sull’estrazione mineraria. A livello di mercato globale, inoltre, diverse aziende (tra le quali PepsiCo, Unilever e Mars) hanno adottato politiche che permettano di evitare l’acqusito olio di palma da piantagioni che deforestano.

La Finlandia sospende il Green Pass: non serve a risolvere la crisi pandemica

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In Finlandia l’uso del “passaporto Covid-19”, ossia del Green Pass, è stato di fatto sospeso: come riportato dal Ministero degli affari sociali e della salute, infatti, il governo finlandese ha adottato un decreto con cui è stato temporaneamente congelato l’utilizzo del lasciapassare sanitario. A partire dallo scorso 30 dicembre, e fino al 20 gennaio prossimo, il Green Pass non è più considerato un mezzo utile per accedere agli eventi pubblici e ai locali ovunque siano applicate restrizioni regionali. Come sottolineato dal quotidiano locale Yle News, ciò significa che praticamente in tutto il Paese saranno applicate tali regole.

Detto questo, tra le motivazioni delle limitazioni al lasciapassare sanitario vi è quella di far fronte all’attuale situazione epidemiologica e dunque di contribuire a «salvaguardare il diritto delle persone alla salute e al benessere frenando la rapida diffusione della malattia». Una ammissione indiretta del fatto che il Green Pass, evidentemente, non si sia dimostrato uno strumento utile al fine di contrastare l’emergenza sanitaria. A tal proposito bisogna infatti ricordare che nelle scorse settimane Markku Tervahauta – direttore generale dell’Istituto finlandese per la salute e il benessere (THL) – aveva affermato che sarebbe potuto essere utile ripensare al Green Pass: una decisione da prendere sulla scia del pensiero degli esperti, i quali temevano proprio che le persone non vaccinate contro il Covid avrebbero potuto contrarre l’infezione da individui vaccinati e portatori del virus.

[di Raffaele De Luca]

Il Perù sfida le multinazionali ricominciando a nazionalizzare il petrolio

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L’azienda nazionale peruviana di idrocarburi, Petroperú, ha assunto il controllo diretto di un lotto di pozzi petroliferi nella provincia di Talara, nella regione settentrionale di Piura, al confine con l’Ecuador. Una notizia apparentemente di poco conto che tuttavia testimonia un passo politico importante: dopo 25 anni di privatizzazioni forzate inaugurate sotto la guida dell’ex dittatore sostenuto dagli Usa, Alberto Fujimori (1990-2000), e proseguite dai successori, che avevano posto le ricchezze naturali del Paese interamente sotto il controllo delle multinazionali straniere, il Perù ricomincia a esercitare la gestione sovrana del sottosuolo. È così lanciato il guanto di sfida al liberismo che il nuovo presidente, l’ex maestro elementare Pedro Castillo, aveva annunciato all’indomani della sua elezione a sorpresa alla guida del partito di stampo socialista “Perù Libre”, quando aveva posto al primo punto dell’agenda la lotta contro «la dittatura del mercato».

Il presidente Castillo ha partecipato alla celebrazione per la nazionalizzazione dei pozzi di Talara, affermando: «Oggi cambiamo la storia, facendo il grande passo per il ritorno di Petroperú alle attività produttive a beneficio di milioni di famiglie peruviane»Il lotto in questione ha una capacità produttiva di 540 barili di greggio al giorno attraverso 90 pozzi e produce anche gas liquefatto. Castillo ha sottolineato che questo consentirà di rifornire la nuova raffineria di Talara, alle prese con un vasto progetto di ammodernamento portato avanti dallo stato con inaugurazione prevista ad aprile 2022, con una capacità di lavorare 95.000 barili di greggio al giorno. Ma non è tutto: è stato annunciato inoltre che Petroperú avrà presto accesso ai lotti petroliferi 192 e 74, nel nord del paese, per scopi di esplorazione e produzione, anche per la nuova raffineria. Da oltre 25 anni le attività di ricerca ed estrazione di petrolio erano interamente in mano private, mentre l’azienda di stato si occupava solo della raffinazione e della distribuzione del greggio che era costretto ad acquistare dalle aziende private.

La cerimonia della nazionalizzazione dei pozzi di Talara alla presenza del presidente Castillo [fonte: petroperu.com.pe]
Le azioni intraprese dal governo vanno inquadrate all’interno di un vasto piano per l’autosufficienza energetica del Paese, annunciato il mese scorso. In quest’ottica saranno riviste le royalties richieste alle aziende private che operano nel Paese allo scopo di garantire una maggiore partecipazione statale nella gestione delle ricchezze del sottosuolo e di garantire maggiori tutele per le comunità di cittadini che abitano nelle zone interessate dalle estrazioni. Il piano prevede inoltre la transizione a forme maggiormente pulite di estrazione e lavorazione, puntando sul gas come combustibile ponte mentre si porta avanti la pianificazione statale per l’attuazione di progetti di produzione di energia rinnovabile.

Naturalmente la strada per il governo Castillo non può dirsi in discesa. Non solo gli interessi che si vanno a toccare sono enormi, ma Perù Libre gode di una maggioranza parlamentare risicata e deve far fronte ad una opposizione forte e foraggiata dai poteri economici interni ed esteri che temono di perdere parte della loro ricchezza. Non per nulla Castillo ha già dovuto far fronte alla minaccia di un colpo di stato in appena sei mesi di presidenza. A questo proposito, anche se nulla si sa circa le responsabilità dell’accaduto, risulta necessario annotare come ad appena tre giorni di distanza dall’annuncio della nazionalizzazione dei pozzi petroliferi di Talara, un gasdotto statale nella regione amazzonica, abbia subito un misterioso sabotaggio.

L’esercito israeliano ha trascorso il Capodanno bombardando Gaza

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Israele ha sganciato diverse bombe su obiettivi a Gaza nel cuore della notte del primo gennaio. La città di Khan Ynis nel sud di Gaza è stata colpita da almeno dieci missili. Il Jerusalem Post ha riferito che l’esercito israeliano ha preso di mira anche siti nel nord di Gaza. Oltre al bombardamento aereo, i carri armati israeliani hanno sparato dal confine. Come sempre accade, le autorità israeliani giustificano l’attacco come un atto di legittima difesa contro razzi che sarebbero stati sparati precedentemente da parte palestinese.

È bastato un voto per dimostrare la vera faccia del Governo sull’ambiente

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Appena insediatosi a palazzo Chigi il premier Mario Draghi non aveva esitato a definire il suo governo nientemeno che “ambientalista”. Una definizione apparentemente rafforzata dall’istituzione, per la prima volta nella storia repubblicana, di un ministero della Transizione Ecologica (seppur affidato ad un curriculum a dir poco controverso come quello di Roberto Cingolani) e dalla retorica “green” con la quale si verniciano i comunicati e i momenti pubblici, tipo l’incontro di Cingolani stesso con la paladina di Fridays for Future Greta Thunberg. Non fosse solo retorica, ci si dovrebbe aspettare che tale ispirazione ambientalista del “governo dei migliori” si traduca in puntuali decreti legge volti ad attuare l’obiettivo dichiarato della riduzione delle emissioni nocive. Ma la realtà delle azioni e dei voti in Parlamento ci dimostra ancora una volta altro, ovvero che c’è un abisso tra le dichiarazioni in favore di telecamera e gli atti portati avanti dai partiti di governo.

Il 30 dicembre, ad esempio, i deputati di Alternativa hanno depositato un ordine del giorno alla Legge di Bilancio che in teoria avrebbe dovuto mettere tutti d’accordo. La proposta, depositata dal parlamentare Francesco Forciniti, chiedeva al Governo semplicemente di “emanare una disposizione normativa al fine di vietare il rilascio di nuovi permessi di prospezione e ricerca e di idrocarburi e nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi, destinando in tal modo maggiori risorse ad opere di bonifica ambientale dei territori danneggiati dalle attività in oggetto”. Niente di particolarmente radicale, insomma. Avrebbero continuato ad essere attive le 171 concessioni di coltivazione di idrocarburi attualmente in concessione e tutti i 1623 pozzi attivi (1298 di gas e 325 di petrolio). Semplicemente l’ODG impegnava il Governo a non concedere nuovi permessi di estrazione, obiettivo tra l’altro in linea con gli impegni presi alla COP26 per contenere le emissioni di carbonio.

Il risultato? L’ordine del giorno è stato sonoramente bocciato: 370 voti contrari, solo 19 a favore. Tutta la maggioranza compatta ha votato contro la proposta, incluso il Movimento 5 Stelle, che della protezione ambientale aveva fatto la sua principale bandiera nel motivare l’appoggio all’esecutivo Draghi. Contrario anche il gruppo di Fratelli d’Italia, che del governo sarebbe la principale forza d’opposizione. «Il Governo e i partiti hanno gettato la maschera: vogliono tenersi le mani libere per trivellare i nostri mari e non solo. Hanno respinto un ordine del giorno alla legge di Bilancio chiaro, pulito, lineare che impegnava l’esecutivo a non autorizzare nuove trivelle e Air Gun. La quasi totalità dell’aula della Camera con questo voto ha confermato di essere attenta all’ambiente solo a parole. Ai colleghi facciamo presente che sui territori non servono i comunicati stampa per dire di essere contro le trivelle se poi in Parlamento si vota a favore». Così hanno commentato il voto i deputati di Alternativa in un comunicato.