Questo mese è stato di un’importanza vitale nel determinare il futuro tech dell’Unione Europea. Il 24 marzo 2022, Parlamento e Consiglio europei sono riusciti a trovare un accordo con cui portare avanti il Digital Market Act (DMA), il 23 aprile è stato invece il turno dell’approvazione della bozza per il Digital Service Act (DSA). Le due proposte erano state presentate nell’ormai lontano dicembre del 2020, con i legislatori europei che hanno dovuto portare avanti due anni di densi confronti nel pieno della crisi pandemica. Tenendo conto del contesto e dei naturali tempi della burocrazia, la qu...
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L’invio di armi in Ucraina ed in altri paesi, comprese quelle pesanti, minaccia la sicurezza europea: ad affermarlo, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, sarebbe stato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. «Si tratta, per definizione, di un’azione che minaccia la sicurezza del continente e innesca instabilità», avrebbe precisamente dichiarato Peskov commentando le parole della ministra degli Esteri britannica Liz Truss, la quale ha affermato che si debba garantire che «paesi come la Moldova e la Georgia abbiano la resilienza e le capacità per mantenere la loro sovranità e libertà».
Ieri, 27 aprile, è stato pubblicato sul Giornale ufficiale del ministero della Difesa il decreto interministeriale riguardante “la cessione alle autorità governative dell’Ucraina di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari“, che dovrebbe avvenire attraverso una lista secretata, come con i primi aiuti del Governo Draghi a Kiev. L’atto amministrativo, una fonte normativa secondaria, è stato il frutto di un lavoro congiunto tra i ministri degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Luigi Di Maio), della Difesa (Lorenzo Guerini) e dell’Economia e delle finanze (Daniele Franco), che hanno apposto la loro firma sul documento. Per la sua entrata in vigore sarà necessaria la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, fase finale di una procedura abbreviata che non coinvolge (nello stato avanzato dell’atto) il Parlamento.
Infatti, il decreto interministeriale è prescritto sempre da una norma: nel caso specifico dell’”autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative dell’Ucraina”, si tratta della legge 5 aprile 2022, n.28, nata non su iniziativa parlamentare ma governativa, essendo di conversione del decreto-legge 25 febbraio 2022, n.14, recante “Disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina” e caratterizzato dalla questione di fiducia posta dall’esecutivo. Il nuovo decreto interministeriale sarà al centro dell’audizione del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, prevista in giornata dinanzi al COPASIR (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che servirà per fare il punto sulla situazione anche alla luce della riunione del “Gruppo di Consultazione per il supporto all’Ucraina” organizzato dal Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd James Austin, al quale hanno preso parte i rappresentanti di più di 40 Paesi, anche extra-europei, della Nato e dell’Ue.
Il Bundestag tedesco ha approvato la consegna di armi pesanti all’Ucraina. Dopo il dibattito parlamentare, la mozione è passata con ampio consenso, sia da parte della maggioranza sia dall’opposizione. Infatti, si sono registrati 586 voti favorevoli, 100 contrari e 7 astensioni. “Con l’ampio isolamento economico e l’esclusione della Russia dai mercati internazionali, il modo più efficace e importante di fermare l’invasione russa è intensificare e velocizzare la consegna di munizioni e sistemi complessi, armi pesanti incluse”, si legge nella mozione “Difendere libertà e pace in Europa”.
I dati registrati negli ultimi otto anni mostrano l’impatto che l’autostrada Brebemi (A35) ha avuto nel corso della sua vita: quasi ininfluente sugli automobilisti, che continuano a scegliere l’A4, e insostenibile sul bilancio dell’omonima società. L’infrastruttura, inaugurata nel luglio del 2014, collega Milano e Brescia con un percorso posizionato più a sud rispetto al tracciato dell’autostrada A4, rappresentando quindi un’alternativa superflua, come dimostrano le scelte degli automobilisti e come denunciato all’epoca da diversi esperti e associazioni. Si tratta di un utilizzo di suolo e fondi pubblici che ha fatto, e fa tuttora, discutere, soprattutto alla luce di una condizione di netta disparità tra gli investimenti e la presenza di infrastrutture al nord e al sud, in contrasto con la politica di coesione che punta a ridurre il divario tra le regioni.
Rete, Autostrade per l’Italia
La Società di Progetto Brebemi Spa gestisce la seconda autostrada tra Brescia e Milano grazie a una concessione che scadrà il 22 gennaio 2040: il tempo c’è ma i dati non confortano. Dall’ultimo progetto di bilancio approvato a marzo 2022 dal consiglio d’amministrazione (CdA) emerge, infatti, l’assenza di un profitto. L’anno scorso i ricavi hanno raggiunto quasi la soglia dei 100 milioni di euro (+150% sul 2015, quando erano 40,7 milioni) a fronte però di costi troppo elevati, che hanno portato la bilancia in rosso. Si tratta di un evento non isolato ma ciclico. “Complessivamente dal 2012″ la società “ha maturato 451,5 milioni di euro di passivo”, hanno scritto in un comunicato Dario Balotta, responsabile nazionale trasporti e infrastrutture di Europa Verde-Verdi Europei, e Devis Dori, deputato di Europa Verde-Verdi Europei. Rientrando “nel programma di dismissioni di partecipazioni azionarie non più strategiche”, Intesa Sanpaolo ha deciso di cedere nel 2020 il controllo della Brememi alla Aleatica SAU, che risponde a un fondo d’investimento (IFM Global Infrastructure Fund) gestito da IFM Investors, creato più di 25 anni fa da un gruppo di fondi pensione australiani.
La progettazione e la costruzione dell’A35 vennero accompagnate dall’idea di star assistendo alla realizzazione di un’opera interamente finanziata da capitali privati. La realtà fu poi un’altra, visto l’intervento di Cassa depositi e prestiti e di Banca europea degli investimenti. Oltre alla spesa pubblica, l’autostrada Brebemi ha gravato sul territorio e non ha avuto l’impatto sperato sul traffico lombardo. La sua realizzazione, insieme alle “sorelle” Pedemontana Lombarda e Tangenziale Est esterna di Milano, ha occupato oltre 1.000 ettari di suoli agricoli. Secondo i bollettini pubblicati da AISCAT (Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori), l’A35 risulta tra le meno congestionate d’Italia. I 62 chilometri di Brebemi corrispondono all’1,4% della rete italiana, ma sono stati scelti da “appena” lo 0,74% delle auto e dei camion che hanno circolato nel primo mese del 2022.
Il colosso energetico Eni si starebbe preparando ad aprire conti in rubli presso Gazprombank JSC, mossa che accomoderebbe le richieste di Putin di pagare il gas erogato in valuta locale. Sono già 4 gli acquirenti europei, secondo quanto riportato da Bloomberg, che hanno pagato in rubli e altri 10 si starebbero preparando a farlo, nonostante la richiesta di non piegarsi alle pretese russe avanzata con forza dalla presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen. Al momento il portavoce di Eni avrebbe rifiutato di rilasciare commenti.
Il Governo è stato costretto a fare un passo indietro: la base militare che sarebbe dovuta sorgere all’interno della Riserva naturale di San Rossore, Migliarino e Massaciuccoli per il momento non si farà. È stato infatti accolto l’ordine del giorno del Movimento 5 Stelle e siglato dal vicecapogruppo Riccardo Ricciardi, che propone di “valutare un luogo alternativo per l’infrastruttura militare di Coltano (Pisa)”. La decisione del Governo di costruire la base nell’area verde aveva suscitato, nei giorni scorsi, una decisa opposizione politica e della società civile.
Con un decreto siglato il 14 gennaio e passato del tutto inosservato sino alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il 23 marzo, il premier Mario Draghi e il ministro della Difesa Lorenzo Guerini avevano deciso di destinare parte dell’area protetta del parco di San Rossore, Migliarino e Massaciuccoli alla costruzione di una nuova base militare. La struttura, che avrebbe dovuto ospitare i carabinieri del gruppo paracadutisti Tuscania e le unità cinofile, avrebbe occupato un’area di circa 70 ettari, con conseguenze “irreversibili” sulla fauna e sulla flora locali. Il costo, stimato intorno ai 190 milioni di euro, sarebbe stato coperto da parte dei fondi del PNRR.
La decisione del Governo ha colto di sprovvista anche l’amministrazione del Parco, tenuta all’oscuro della cosa. In pochissimo tempo ne è sorta una mobilitazione composta dalla società civile, dalle associazioni ambientaliste e da membri delle istituzioni che si è fermamente opposta alla deturpazione del parco, un polmone verde di 23 mila ettari dall’enorme valore naturalistico e storico. Una petizione lanciata sul sito change.org per dire “no” al progetto ha raccolto in pochi giorni quasi 100 mila firme.
Così, quando il M5S ha presentato all’esecutivo un ordine del giorno nel quale veniva proposto di valutare “un luogo alternativo” per la costruzione dell’infrastruttura, il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè ha accolto la richiesta. Ricciardi, vicecapogruppo del Movimento, ha dichiarato che, pur essendo la difesa nazionale “una priorità”, tuttavia allo stesso modo lo è “la tutela ambientale del nostro territorio” e che in questo momento “la costruzione di tale struttura non risulterebbe coerente né con il dettato costituzionale né con gli obiettivi del PNRR”.
Sia chiaro, in qualche modo la base militare dovrà essere realizzata comunque. Nei prossimi giorni avrà luogo una riunione tra la Regione Toscana e il Comando generale di Firenze, per passare al vaglio le alternative possibili. Secondo il presidente della Regione Eugenio Giani una soluzione potrebbe essere quella di riqualificare parte degli immobili del comune di Coltano ed espropriare l’area privata dell’Ospedaletto, dove si trova uno degli ospedali della città, in quanto misura già prevista dal piano regolatore della città di Pisa.
In un quadro storicamente e geopoliticamente complesso come quello che caratterizza il conflitto russo-ucraino, è difficile ricostruire gli eventi che hanno condotto all’attuale drammatica situazione, anche a causa di un’informazione non solo parziale ma anche interamente concentrata sulla cronaca dei fatti, da raccontare in un eterno flusso di presente. Ma ogni conflitto ha sempre delle radici nel passato e conoscerle aiuta anche a capire l’oggi, per questo abbiamo deciso di intervistare Franco Cardini: storico, professore di storia medievale e saggista.
Professore, quali sono le origini del conflitto russo-ucraino e che ruolo svolge in questo contesto la Nato?
La guerra in atto è nata nel biennio 2014-15, in seguito alla finta rivoluzione di piazza Maidan che ha condotto ad un cambio di regime, sostituendo il presidente legittimo e filorusso Victor Janukovich prima con un governo ad interim e poi con governi filoccidentali e filo-Nato. Questo ha portato ad una divisione tra ucraini filorussi e “nazionalisti”. Successivamente quindi, c’è stata la strage di Odessa, in cui secondo le stime ufficiali, quarantotto persone di etnia russa sono state ammazzate dai nazionalisti ucraini, e il massacro dei civili del Donbass di etnia russa, a favore dei quali Putin ha preso posizione. Questo ci fa capire come in Ucraina ci sia una vera e propria guerra civile e non da oggi o da un mese, ma da otto anni. Cosa di cui la maggior parte della gente non era a conoscenza perché i media non lo hanno mai raccontato. Fatto sta che in seguito al golpe del 2014, i rapporti tra l’Ucraina e la Federazione russa si sono aggravati perché le nuove amministrazioni filoccidentali erano dichiaratamente intenzionate ad entrare nella Nato e Putin questo non poteva permetterlo. L’ingresso di Kiev nella Nato significava, infatti, schierare sul confine missili a testata nucleare puntati verso Mosca, capaci di distruggerla in pochi minuti. Per la Russia è una questione di sicurezza nazionale e per questo il ruolo della Nato, e soprattutto della sua espansione verso est, in questa vicenda è fondamentale.
Ci spieghi meglio
La Nato è un’organizzazione militare internazionale a scopo difensivo, la cui funzione sarebbe il contenimento dei pericoli nella fascia nordatlantica. Tuttavia, l’Alleanza – specie dopo il dissolvimento dell’URSS – si è “riciclata” assumendo spesso funzioni diverse da quella originaria. Possiamo dire che ha avuto tre fasi: dal 1949 al 1991 ha avuto la funzione di contenimento della minaccia sovietica; poi un periodo intermedio in cui l’organizzazione si è riciclata in funzione antimusulmana e, infine, nell’ultima fase si è trovata un ulteriore scopo derivante dal fatto che la Russia con Putin ha ripreso quota e tende a rientrare nel novero delle grandi potenze mondiali. Questo è un problema perché minaccia l’unipolarismo americano. Giova ricordare che il comandante militare dell’Alleanza deve essere per statuto un generale americano, il quale a sua volta dipende dal Presidente degli Stati Uniti. Ciò significa che la Nato è una realtà militare nelle mani degli USA. Quindi, quando noi diciamo che l’Alleanza vuole avanzare a est, in realtà diciamo che sono gli Stati Uniti che vogliono creare un confine orientale sempre più incline al controllo di quello che fa la Russia.
Kiev, Ucraina, Rivoluzione di piazza Maidan
Prima ha citato la guerra civile tra nazionalisti ucraini e filorussi. Qual è l’origine storica del nazionalismo ucraino?
Una parte dell’Ucraina sta cercando di affermare che Russia e Ucraina sono due entità completamente diverse: questo non è vero. È vero però che nell’Ottocento, in gran parte d’Europa, sono nati movimenti patriottici, poi diventati nazionalisti, che hanno portato al dissolvimento di un concetto di solidarietà europea che prima esisteva attraverso il cristianesimo e poi attraverso il rapporto tra i vari regni europei. Questi movimenti patriottici si sono diffusi anche in Ucraina che ha preso come modello il patriottismo francese: uno dei primi elementi caratteristici del nazionalismo ucraino è stato un forte antiebraismo, per cui si era diffusa ampiamente anche la pratica dei pogrom e la distruzione dei villaggi ebraici. La divisione Azov viene fuori da questo. Soprattutto in periodo stalinista, i nazionalisti ucraini hanno dato un grosso contributo volontario all’esercito tedesco, creando tre divisioni corazzate di SS volontarie e per questo sono stati puniti duramente da Stalin che li fucilava in blocco. Il nazionalismo che si è affermato tra Ottocento e Novecento ha provocato un violento sentimento antirusso. Per questo è stato bacchettato prima dai sovietici e poi da Putin, mentre i notabili sovietici di origine Ucraina hanno sempre favorito il distacco dell’Ucraina dalla Russia. Quindi ora c’è una situazione di guerra civile tra gli ucraini che vogliono creare una nazione del tutto indipendente dalla Russia e magari anche antirussa e di Ucraini che, invece, vogliono rimanere etnicamente e culturalmente russi. Questa è la verità che dai nostri media non è emersa, perché per farla emergere ci vorrebbero delle trasmissioni ad hoc.
Come commenta l’affermazione di Putin secondo cui l’Ucraina moderna” è stata creata da Lenin?
L’affermazione di Putin è un po’ generalizzata: diciamo che l’Ucraina moderna l’ha creata soprattutto l’ex presidente sovietico Krusciov che era ucraino, concedendo una forte autonomia a Kiev nel 1962. Così come un altro personaggio importante dell’Unione Sovietica, il ministro Shevardnadze, aveva creato delle importanti forme di indipendenza per la Georgia che hanno dato luogo allo stato che in seguito si è staccato dalla Russia e ha finito per prendere un comportamento antirusso nel 2008. I notabili sovietici provenienti dall’Ucraina hanno sempre favorito il suo distacco dalla Russia. L’ideologia putiniana, invece, ha sempre considerato l’Ucraina parte integrante della storia e della cultura russa e quindi è in qualche misura ostile al raggiungimento di una reale indipendenza da parte di Kiev.
Storicamente qual è la relazione dell’Ucraina con la Russia?
L’Ucraina è il cuore storico della Russia. La Russia è nata a Kiev e questo è indiscutibile. Fino ad oggi nessuno ha mai obiettato il fatto che Gogol fosse ucraino e allo stesso tempo una gloria della letteratura russa. Più discutibile è il fatto che l’Ucraina debba tornare oggi ad essere russa. Questo è un ragionamento forzato e dopotutto nemmeno Putin lo chiede. Tuttavia, a differenza del periodo sovietico, l’attuale governo russo insiste molto sul fatto che l’Ucraina è una parte fondamentale e indispensabile per l’identità russa e questo è un fatto. Gli ucraini si sono sempre sentiti dei russi, sebbene esista un’identità ucraina, ma non è mai stata un’identità di tipo nazionale.
Kiev vista dall’alto prima della guerra con la Russia
Qualcuno dice che Putin vuole ricostruire l’impero russo. Quanto è verosimile un’affermazione del genere?
Sono state dette molte cose, tra cui quella che Putin vuole ricostruire l’Unione Sovietica, che abbia delle mire verso i Paesi baltici e addirittura che voglia riprendere la Germania. Questi sono tutti vaneggiamenti di carattere propagandistico. Putin non ha nessuna intenzione di questo tipo e anche se per assurdo l’avesse non avrebbe nessun potere di fare una cosa del genere. Quello che è vero, invece, è che Putin vuole restituire una forte identità politica e culturale alla Russia, rilanciandola a livello mondiale come grande potenza.
La Commissione europea ha attivato una procedura di indagine contro l’Ungheria per approfondire questioni riguardanti la corruzione nel Paese, sospette sottrazioni dei fondi UE da parte degli alleati di Orban e i modi in cui Budapest gestisce i sussidi che riceve dall’Unione (e che ammontano a miliardi di euro). È la prima volta nella storia europea che una procedura di questo genere viene attivata, riporta EuObserver. Se le violazioni dello stato di diritto individuate dai funzionari della Commissione UE fossero confermate, l’Unione potrebbe decidere di sospendere l’erogazione dei fondi diretti al Paese.
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