sabato 22 Novembre 2025
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La pubblicità di Facebook punta e profila i ragazzini

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Facebook, il social network più utilizzato al mondo, consente agli inserzionisti di pubblicare annunci pubblicitari indirizzati ai minori dai 13 ai 17 anni che hanno interessi come: il fumo, l’alcool, il gioco d’azzardo e la perdita di peso. È quanto emerge da una recente ricerca di Reset Australia, un’organizzazione che si occupa di contrastare le minacce digitali alla democrazia, dalla quale si apprende che Facebook non controlla in maniera rigorosa il modo in cui gli inserzionisti utilizzano i dati personali dei giovani, cosa che consente a questi ultimi di inserire pubblicità potenzialmente pericolose nei loro confronti. Per dimostrare ciò, Reset Australia ha infatti sviluppato una campagna di «annunci dubbi» ed è riuscita ad ottenere l’approvazione per quelli indirizzati ai minori aventi ad oggetto la promozione del gioco d’azzardo (per i giovani interessati allo stesso), di immagini di fisici perfetti (per quelli interessati a perdere peso) e di chat con uomini ricchi (per le ragazze single ed interessate ai servizi di incontri online). Tali annunci ovviamente non sono stati pubblicati: sono stati creati solo per provare che Facebook non tuteli realmente i minori.

La maggior parte dei giovani, però, non condivide il fatto che i dati raccolti da Facebook siano utilizzati in maniera impropria. In tal senso Reset Australia ha effettuato un sondaggio nei confronti di 400 ragazzi di 16 e 17 anni che usano il social, dal quale è emerso che quasi due terzi degli intervistati sono contrari alla «profilazione a fini commerciali» ossia alla creazione di profili basati sui loro interessi ed utilizzati per «scopi di pubblicità commerciale». Essi hanno fornito risposte negative a riguardo «definendolo sbagliato o invasivo o desiderando una migliore regolamentazione per frenare la pratica». A tal proposito, l’organizzazione chiede norme più rigorose che proteggano in maniera migliore i dati dei giovani australiani. «Reset Australia chiede l’introduzione di un codice dati per i minori di 18 anni per far sì che i loro dati vengano acquisiti ed elaborati solo in modi che siano nel loro interesse. Ciò limiterebbe la profilazione per le pubblicità puramente commerciali. Un codice simile, inoltre, è già stato approvato nel Regno Unito ed è in arrivo in Irlanda».

[di Raffaele De Luca]

Messico: crolla ponte metropolitana, 23 morti e 65 feriti

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A Città del Messico, la capitale del Messico, 23 persone hanno perso la vita ed altre 65 sono rimaste ferite in seguito al crollo di un ponte verificatosi mentre un treno della metropolitana lo stava attraversando. L’incidente è avvenuto questa notte nei pressi della stazione di Olivos sulla linea 12 della metropolitana, a sud della capitale. Tutto ciò è stato riferito dalla sindaca della metropoli Claudia Sheinbaum, secondo quanto riportato dai media locali.

Amazonia 2.0: tecnologia e comunità locali unite per l’ambiente

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Le comunità indigene sono l’anima della foresta amazzonica. Loro la vivono, la abitano, la conoscono meglio di chiunque altro. Gli indigeni sono i primi a percepire subito i cambiamenti ambientali rilevanti, come quelli causati dal clima. Per questo motivo è stato fatto in modo di rafforzare e valorizzare il ruolo di queste popolazioni attraverso la tecnologia. Nel 2017 infatti, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) ha dato vita ad Amazônia 2.0 per salvaguardare il territorio forestale in Ecuador, Perù, Colombia, Guyana, Suriname e, dal 2019, Brasile. Il progetto coinvolge, rispettandone l’autonomia, le popolazioni indigene locali per la raccolta di informazioni di monitoraggio dell’ambiente in cui vivono.

Entrando più nel dettaglio, Amazônia 2.0 sceglie dei punti di riferimento tra i membri più importanti delle comunità, i quali vengono inseriti in un vero e proprio programma di formazione che insegna loro ad utilizzare i dispositivi tecnologici e la connessione a internet per l’invio degli aggiornamenti ambientali. Le informazioni da loro inviate in tempo reale vengono elaborate da degli esperti che, a seconda dei casi, decidono se mettersi in contatto con le autorità locali per la ricerca di soluzioni. Inoltre, periodicamente sono previsti degli incontri – online dallo scoppio della pandemia – tra i coordinatori del progetto e i membri delle comunità atti al monitoraggio, al fine di confrontarsi sui rapporti ambientali.

Di recente, Amazônia 2.0 ha portato a una grandiosa vittoria contro i taglialegna illegali nella Riserva Comunale di El Sira, nella provincia di Atalaya, Perù. La legislazione peruviana consente alle popolazioni locali di raccogliere la legna per il proprio tornaconto economico entro limiti stabiliti e aree determinate. Grazie al progetto, i membri indigeni “addetti al monitoraggio” del territorio, sono venuti a conoscenza di alcuni taglialegna che fingevano di essere partner commerciali delle comunità. Seppur le loro azioni illegali avessero superato i limiti consentiti di deforestazione, per un lungo periodo sono stati gli abitanti delle foreste a essere puniti dalle autorità con multe salate. 

Da quando è nato, il progetto Amazônia 2.0 – che gode anche del contributo dell’Unione Europea – è riuscito a costruire un sistema di monitoraggio capillare con 57 “osservatori” formati e autorizzati nelle comunità locali, grazie a cui sono già stati redatti più di 1800 rapporti. Ma cosa ancora più importante, è che questa iniziativa ha sensibilmente aumentato la consapevolezza delle popolazioni indigene sull’importanza di collaborare per preservare la loro terra, al fine di far valere i propri diritti.

[di Eugenia Greco]

Ema avvia esame vaccino cinese

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L’Ema ha annunciato di aver dato avvio all’esame, in “rolling review”, del vaccino sviluppato dall’azienda cinese di biofarmaceutica Sinovac Biotech. Sulla base «di risultati preliminari di studi di laboratorio (dati non clinici) e studi clinici si ipotizza che il vaccino inneschi la produzione di anticorpi che colpiscono il Sars-Cov-2, il virus che causa Covid-19, e possa aiutare a proteggere dalla malattia», si legge in una nota dell’Ema.

Usa: “Ci ritiriamo dall’Afghanistan, ma non significa che ce ne andremo”

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Il Segretario di Stato USA, Antony Blinken, in una lunga intervista a tutto tondo con la giornalista Norah O’Donnell, ha affrontato anche la questione legata al ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan. L’ex Presidente Trump aveva fissato come “deadline” il primo di maggio di quest’anno. L’attuale Presidente Biden ha poi posticipato il ritiro delle truppe all’11 settembre 2021, giorno simbolico a venti anni di distanza dagli eventi dell’11 settembre 2001, causando l’ira dei talebani. Nell’intervista Blinken ha affermato: «Solo perché le nostre truppe stanno tornando a casa non significa che ce ne andremo».

Il Segretario di Stato ha spiegato che gli Stati Uniti rimarranno con la propria ambasciata e che continueranno con il loro sostegno in ambito economico e umanitario. «Dobbiamo essere preparati per ogni scenario e lì ce ne sono una serie. Noi stiamo guardando questo in modo molto chiaro», ha anche affermato Blinken.

Infatti, vi avevamo già parlato di come il ritiro delle truppe ufficiali statunitensi sia, in realtà, pura propaganda e reale privatizzazione della guerra. Da una parte si prende tempo e dall’altra si mantiene sul campo funzionari, agenti segreti e migliaia di soggetti privati tra contractors militari e quelli civili del settore delle infrastrutture e dell’energia. Insomma, Blinken ci conferma che le parole dell’amministrazione USA non corrispondono con le intenzioni e i fatti. L’Afghanistan, in un modo o nell’altro, non verrà lasciato.

[di Michele Manfrin]

Traffico di rifiuti a Milano

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Trenta ordinanze di custodia cautelare sono in corso di esecuzione da parte della Polizia Locale. “Rifiuti preziosi” è l’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia  e coinvolge il campo nomadi di via Bonfadini, nel capoluogo lombardo. Le ipotesi di reato sono quelle di “estorsione con metodo mafioso, associazione a delinquere per traffico illecito di rifiuti e associazione a delinquere per spaccio di stupefacenti”

I piani europei per il Green Pass erano già pubblici 20 mesi prima della pandemia

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La pandemia da Covid-19 ha portato i governi ad adottare soluzioni per far fronte all’emergenza e cercare di tamponare il contagio, sia in termini numerici sia di espansione geografica. Il Green Pass sembra proprio rispondere a queste esigenze e sarà richiesto per tutti i viaggi internazionali e, in molti paesi, per entrare in negozi, ristoranti, bar, palestre, hotel, teatri, concerti ed eventi sportivi: l’impressione che ci viene fornita è che la misura sia conseguenza diretta della pandemia. Eppure, la pianificazione dei “passaporti vaccinali” è iniziata almeno 20 mesi prima dell’inizio dell’epidemia di COVID-19. Dunque la pandemia non è la causa del “passaporto vaccinale” ma ha convenientemente fornito la giustificazione per la sua introduzione.

Infatti la Commissione europea, già il 26 aprile 2018, aveva prodotto un documento in cui si proponeva per la prima volta l’idea del “pass vaccinale”. L’anno successivo sono stati specificati i piani di proposta per l’attuazione di un documento elettronico utile per i viaggi transfrontalieri, prevedendo di poter legiferare in materia entro il 2022. Nel documento di pianificazione del 2019, uno dei punti chiave sembra essere il supporto ai paesi europei per «contrastare l’esitazione dei vaccini» e si fa specifico riferimento al sostegno per l’autorizzazione di «vaccini innovativi» oltre ad affermare che l’industria farmaceutica ha un ruolo centrale nel soddisfare gli obiettivi descritti nel documento. La tabella di marcia elenca «il miglioramento della capacità produttiva dell’UE» e lo stoccaggio dei vaccini come ulteriori punti d’azione da tenere in seria considerazione.

Si prevede che il mercato totale dei vaccini COVID-19 varrà 100 miliardi di dollari di vendite e 40 miliardi di dollari di profitti netti. Inoltre, le vaccinazioni annuali contro le mutazioni del coronavirus potrebbero aumentare ulteriormente questi numeri, visto che si tratterà di vaccinare centinaia di milioni di persone, se non miliardi, ogni anno e per molti anni a venire.

Il Green Pass, o “passaporto vaccinale”, oltre a porre il problema dei dati medici personali – in un mondo dove ormai la privacy è pura illusione – sembra essere un grande favore a chi fa enormi profitti con i vaccini. Infatti, senza dover mettere alcun obbligo formale al vaccino, il “passaporto vaccinale” forza la mano alle libertà degli individui che si sentirebbero costretti, seppur non obbligati, a vaccinarsi per poter vivere normalmente la propria vita, potendosi così spostare liberamente in altre nazioni oppure, addirittura, all’interno del proprio paese e nei luoghi del proprio vivere quotidiano.

[di Michele Manfrin]

Il governo messicano si scusa con i Maya

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Il governo del Messico ha ufficialmente presentato le sue scuse al popolo indigeno Maya, per i torti commessi contro di loro dopo la conquista spagnola. Le scuse sono state rese su iniziativa del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador e del suo omologo guatemalteco Alejandro Giammattei nel comune di Felipe Carrillo Puerto, nello stato sudorientale di Quintana Roo.

Negli Usa offrono di tutto per convincere i cittadini a vaccinarsi

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Dopo i grandi numeri delle scorse settimane, negli Stati Uniti si è verificato un rallentamento della campagna di vaccinazione anti Covid in quanto è notevolmente diminuito il numero di persone che sceglie di sottoporsi al siero. Per questo, diverse aziende ed amministrazioni locali hanno deciso di convincere i cittadini a vaccinarsi tramite offerte materiali di vario tipo tra cui cibo e ricompense in denaro.

La città di Detroit, ad esempio, sta offrendo 50 dollari a coloro che danno ad altri cittadini un passaggio per arrivare nei centri di vaccinazione e, inoltre, a partire da oggi invierà delle persone che busseranno ad ogni porta della città ed aiuteranno i residenti a prenotarsi. Anche lo Stato federato del West Virginia ha scelto di puntare sulle ricompense in denaro: i vaccinati più giovani (tra i 16 e i 35 anni) vengono premiati con un buono da 100 dollari. Nella città di Chicago, invece, i funzionari stanno progettando la costruzione di centri di vaccinazione all’interno dei luoghi dove si svolgono festival e feste con l’obiettivo di fare in modo che chi fa il vaccino potrà andare al concerto o all’evento del caso. Inoltre, i funzionari stanno anche cercando di accordarsi con barbieri e parrucchieri per offrire servizi gratuiti ai vaccinati.

Tra le aziende che hanno aderito alla campagna di promozione c’é la catena Krispy Kreme, che dal 22 marzo sta offrendo una ciambella gratuita al giorno a tutti coloro che mostrano il loro certificato di avvenuta vaccinazione. Anche la Boston Beer Company, società statunitense che produce la birra Samuel Adams, ha deciso di premiare le prime 1000 persone che posteranno sui social la foto dell’inoculazione con una birra gratis. Inoltre in varie città degli Stati Uniti, tra cui New York e Washington, alcuni dispensari di marijuana stanno offrendo spinelli e prodotti a base di cannabis ai cittadini vaccinati, mentre in Alaska la Norton Sound Health Corporation, un’organizzazione sanitaria senza scopo di lucro che gestisce 15 cliniche, ha regalato premi tra cui biglietti aerei e 500 dollari per l’acquisto di generi alimentari o carburante. Infine, il presidente Joe Biden ha annunciato negli scorsi giorni un credito d’imposta per le piccole imprese così da garantire ferie retribuite alle persone che si sottopongono al siero.

La diminuzione delle domande di vaccinazione negli Stati Uniti non era inaspettata, infatti era facilmente prevedibile che ciò sarebbe accaduto dopo che i soggetti più vulnerabili e più desiderosi di vaccinarsi avessero avuto la possibilità di farlo. In tal senso, secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention l’82% delle persone sopra i 65 anni e più della metà degli adulti ha ricevuto almeno una dose, e mentre a metà aprile si è raggiunto il record di sieri somministrati, mediamente 3,2 milioni al giorno, tale numero la scorsa settimana è sceso a 2,5 milioni ed in alcune zone degli Stati Uniti non viene più richiesta al governo la massima fornitura possibile di vaccini.

[di Raffaele De Luca]

Danimarca: stop definitivo al vaccino Johnson & Johnson

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Il vaccino Johnson & Johnson è stato escluso definitivamente dal programma di vaccinazione anti Covid della Danimarca: la decisione è arrivata a causa dei rari casi di trombosi riscontrati in seguito alla somministrazione ed è stata presa nonostante l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e l’Ema (Agenzia europea per i medicinali) abbiano autorizzato il siero in questione. «I vantaggi dell’utilizzo del vaccino Johnson & Johnson non superano il rischio di causare il possibile effetto avverso», si legge in un comunicato dell’autorità sanitaria danese.