La Corea del Nord avrebbe effettuato un nuovo lancio di un missile balistico nel Mar del Giappone a quattro giorni dalle elezioni presidenziali di Seul, che si terranno il 9 marzo. Il lancio sarebbe stato osservato dall’esercito della Corea del Sud e confermato anche dal Giappone, secondo quanto riporta Al Jazeera. Dall’inizio del 2022 Pyongyang ha notevolmente intensificato i test missilistici, atteggiamento allarmante per il Consiglio di sicurezza nazionale di Seul in quanto in opposizione alla pace nella penisola coreana e nella comunità internazionale.
Nei mari italiani sono in sperimentazione le navi aspira plastica
Un nuovo dispositivo capace di trasformare le navi in vere e proprie aspira-plastica del mare, è quello in sperimentazione nelle imbarcazioni che operano in Italia del gruppo Grimaldi. Il filtro è stato inserito a livello dei sistemi di depurazione dei gas di scarico – detti anche scrubber navali- i quali rimuovono ossidi di zolfo, idrocarburi, metalli pesanti e altri elementi inquinanti prodotti dai motori diesel delle grandi imbarcazioni. Dalle prove si è dimostrato in grado di ripulire i mari solcati dalle microplastiche, aiutando a ripristinare l’habitat marino.
Secondo l’associazione Plastics Europe, nel 2019 sono state prodotte 368 milioni di tonnellate di plastica a livello globale, di cui il 3% circa (11,4 milioni di tonnellate) è finito negli oceani. Per questo motivo, la multinazionale napoletana, in collaborazione con il gruppo Wärtsilä – grande produttore di motori nel settore marittimo – ha ideato un innovativo sistema di filtraggio per intrappolare le microplastiche prima che l’acqua di lavaggio venga restituita all’oceano. Si tratta, quindi, di una vera e propria “aspiraplastica” in grado di trattenere anche le particelle di dimensioni inferiori a 10 micrometri.
Questo sistema richiede pochissime modifiche alla procedura di bordo, e utilizza le funzionalità degli scrubber open loop (a circuito aperto) già installati su decine di navi del Gruppo Grimaldi, i quali prelevano ogni giorno enormi quantità di acqua per poi immetterla nuovamente in mare. Dotati del nuovo dispositivo di filtraggio, questi riuscirebbero a pulire l’acqua dalla plastica, salvaguardando, così, il delicato ecosistema marino. Il test pilota della nuova tecnologia è già stato effettuato e completato, e ha riguardato una delle navi Grimaldi impiegate tra Civitavecchia e Barcellona. I risultati sono stati molto positivi: più di 64.680 microparticelle sono state raccolte durante il viaggio.
[di Eugenia Greco]
Ucraina, Russia annuncia tregua per aprire corridoi umanitari
Secondo quanto riportato dall’agenzia Tass, la Russia avrebbe annunciato un cessate il fuoco per la giornata di oggi 5 marzo al fine di garantire l’uscita dei civili dalle cittadine di Mariupol e Volnovakha. Lo avrebbe dichiarato il Ministero della Difesa russo, che ha specificato che la tregua avrà inizio dalle ore 10. Le vie di uscita dei cittadini dai centri abitati sarebbero stati concordati con la parte ucraina.
Alberi solari: una soluzione possibile per l’energia e l’ambiente
I cosiddetti solar trees (“alberi solari”) esistono da tempo ma solo ultimamente stanno godendo di una crescente popolarità. Visto l’attuale concetto di sostenibilità, i solar trees appaiono una soluzione ottimale perché producono energia pulita attraverso la conversione dei fotoni solari in elettricità. Stesso identico meccanismo dei comuni pannelli fotovoltaici, convenienti sia dal punto di vista economico che di rispetto ambientale. In più, i dispositivi a forma di albero fanno risparmiare molto spazio, perché integrati verticalmente. Le “foglie” dell’albero sono pannelli fotovoltaici che catturano l’energia solare e la convertono in elettricità. I “rami” fanno sì che l’elettricità arrivi a una batteria centrale all’interno del tronco.
Dove serve ricoprire un intero tetto per ottenere una certa quantità di energia, basterebbero pochi metri di spazio a terra dove far sorgere uno o più alberi solari. Non solo, ma essendo più alti essi ricevono meglio la luce solare rispetto ai pannelli disposti a terra o sul tetto, senza parlare di quanta ombra creino negli ambienti urbani riducendo la quantità di energia termica riflessa dalle superfici urbane come l’asfalto, il cemento o i mattoni. Guardando a zone del mondo in cui esistono vere e proprie “foreste solari urbane” si ha già la prova di come queste possano fornire un nuovo habitat cittadino per flora e fauna. I Gardens By the Bay di Singapore, per esempio, sono abbastanza grandi da ospitare fiori tropicali, viti e piante sul tronco e sui rami. Si tratta di 101 ettari di superficie (1,01 km²) nel centro di Singapore, in cui non solo si ha una “foresta ecologica” con piante alte dai 25 e ai 50 metri, ma una vera e propria istallazione artistica che emula la natura.

Se poi si parla di spese e tempo per la manutenzione, i solar trees hanno solo bisogno di
una pulizia sporadica ai pannelli solari per levare i detriti. I dispositivi sono infatti unità elettriche autonome che richiedono una manutenzione quasi nulla. Insomma, gli “alberi solari” hanno lo stesso scopo dei più diffusi pannelli fotovoltaici, ma ancor più vantaggi. Un punto a “sfavore” di queste apparecchiatura, ma principalmente perché ancora poco presenti sul mercato, riguarda il costo medio di istallazione, per ora ancora abbastanza elevato. Negli Stati Uniti, Spotlight Solar (la principale azienda di alberi solari) chiede in media dai 40.000 agli 80.000 dollari. Con una cifra del genere, si otterrebbe un sistema che va dai 15 kW ai 30 kW che basta e avanza per una casa di medie dimensioni (che chiede dai 5 kW ai massimo 10 kW). Una soluzione ancora poco diffusa ma apparentemente molto buona per ottenere autonomia energetica e supporto ambientale, mentre la consapevolezza sul bisogno e la possibilità di avere un’energia pulita cresce, visto quanto le strutture siano straordinarie e attirano l’attenzione.
[di Francesca Naima]
Polonia, arrestato giornalista spagnolo sospettato di spionaggio per la Russia
Pablo Gonzalez (nome riferito dal suo avvocato), reporter spagnolo per diversi media quali Publico e La Sexta, è stato arrestato in Polonia con l’accusa di svolgere attività di spionaggio per la Russia. Se le accuse fossero confermate, Gonzalez rischierebbe una pena detentiva di 10 anni. Dal giorno dell’arresto, avvenuto lunedì 28 febbraio, Gonzalez non avrebbe avuto la possibilità di ricevere alcuna assistenza legale o comunicazioni con il mondo esterno. Varie associazioni di tutela dei giornalisti, quali Reporters senza frontiere (RSF) e il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) hanno contestato la legittimità dell’arresto e richiesto l’immediato rilascio del giornalista.
Xylella, nuove prove sulle origini del batterio killer
Xylella fastidiosa, il batterio che ha letteralmente devastato il paesaggio salentino, è arrivato in Puglia dal Costa Rica ‘a bordo’ di una pianta da caffè infetta, probabilmente, nel 2008. Queste nuove informazioni sulle origini del patogeno dell’olivo provengono da un recente studio condotto da un gruppo di ricerca internazionale di cui fa parte anche il Centro Nazionale delle Ricerche italiano. Scoperte, inoltre, specifiche mutazioni nel batterio adattato agli olivi pugliesi che aprono nuove porte per soluzioni più mirate. Geni che potrebbero diventare bersagli per contrastare la patologia alterando il patogeno fino a renderlo innocuo.
I ricercatori, tra il 2013 e il 2017, hanno raccolto campioni biologici da oltre 70 olivi affetti da CoDiRO, il Complesso del Disseccamento Rapido di cui Xylella fastidiosa è responsabile. Sfruttando un nuovo protocollo per estrarre il Dna batterico, gli scienziati si sono poi concentrati sulla variabilità di quest’ultimo, confrontandolo, inoltre, con quattro campioni analoghi di piante da caffè del Costa Rica. Studi precedenti, infatti, avevano già individuato in quest’ultima specie dell’America centrale il più probabile serbatoio originario. Ora, la conferma: i risultati hanno difatti evidenziato poche differenze genetiche tra i campioni suggerendo che il patogeno è arrivato in Italia con un’unica introduzione dal Costa Rica. Valutando poi il tasso medio di mutazione del Dna batterico è stato possibile risalire anche ad un preciso anno di introduzione in Italia: il 2008. Considerando che il periodo di incubazione della patologia può durare più di due anni e che le prime segnalazioni di alberi infetti da parte degli agricoltori pugliesi sono giunte nel 2010, tale evidenza appare ancor più verosimile.
Xylella fastidiosa è un patogeno altamente invasivo. Si trasmette alle piante dagli insetti vettori che si nutrono della loro linfa, provocando gravi conseguenze in circa 595 specie diverse. In Europa l’epidemia ha fatto la sua comparsa proprio in Puglia, per poi diffondersi in Francia, Spagna e Portogallo. È però tra le province di Lecce e Brindisi dove ha avuto gli impatti peggiori, tanto da essere definita «la peggior emergenza fitosanitaria al mondo». Le varietà di olivo tipiche del Salento, difatti, sono tra le più vulnerabili alla patologia. Tra deceduti e abbattuti, ad oggi, sono già milioni gli alberi che non produrranno più olive con disastrose conseguenze per una terra culturalmente ed economicamente fondata sul settore olivicolo. Già secondo le stime del 2019, erano almeno 4 milioni le piante che avevano perso del tutto la loro capacità produttiva. Ogni anno sono state perse 29 mila tonnellate di olio d’oliva, pari in media a circa il 10% della produzione olivicola italiana, per un totale di 390 milioni di euro complessivi di valore della mancata produzione. Senza contare poi gli impatti sul paesaggio, ora, visibilmente cambiato.
Un’epidemia che crea ancora problemi e in continua evoluzione, sebbene appaia oggi meno invadente. «Negli ultimi anni – ha commentato Maria Saponari, ricercatrice del Cnr e tra gli autori dello studio – abbiamo riscontrato focolai nella zona di Bari, a nord, ma la diffusione è inferiore, grazie alle misure di contenimento e al fatto che questa zona è più diversificata, con colture e paesaggi diversi che frenano la trasmissione». Misure di contenimento che oggi restano l‘unica arma a disposizione. Allo scopo di eradicare il batterio, inizialmente, si è puntato tutto, in quanto unica soluzione tangibile, sull’abbattimento degli olivi infetti e di quelli nei loro paraggi. Già da qualche anno, però – secondo uno studio del 2017 – si è appurato come non sia più possibile eliminarlo dal territorio salentino. In questa fase, quindi, intervenire biotecnologicamente andando a modificare il batterio in funzione delle nuove evidenze genetiche potrebbe contribuire a risolvere l’emergenza. Allo scopo, sarebbe necessario creare un ceppo mutato di Xylella, con geni silenziati o aggiunti, «ma tali studi – secondo Saponari – saranno difficili da eseguire in Italia, a causa della mancanza di impianti con le strutture di quarantena necessarie per manipolare il patogeno».
[di Simone Valeri]
UE domina esportazioni pinne di squalo in Asia: rischio estinzione di molte specie
Un rapporto realizzato dall’IFAW (Fondo Internazionale per il Benessere Animale) ha rivelato come i Paesi europei dominino la metà del commercio asiatico di pinne di squalo, nonostante un terzo delle specie di squali esistenti sia a rischio estinzione. Il rapporto ha analizzato circa 20 anni di dati doganali in 3 importanti centri commerciali asiatici. La Spagna, in particolare, si è rivelata la maggior fonte di importazioni per i mercati di Hong Kong, Singapore e Taiwan, avendo esportato quasi 52 mila tonnellate di pinne di squalo in 20 anni. Tali pratiche, spiega il report, favoriscono l’estinzione degli squali, mettendo a rischio interi ecosistemi oceanici e la sicurezza alimentare di molti Paesi.
Vaccini ai bambini: l’efficacia sbandierata da Pfizer affossata dai dati reali
Nei mesi scorsi le approvazioni delle vaccinazioni a bambini e ragazzi si erano basate sugli studi condotti dalle aziende produttrici. La Pfizer, nei propri comunicati, aveva sbandierato una “efficacia del 100%” nei soggetti di età compresa tra i 12 ed i 15 anni nonché di oltre il 90% nei bambini tra i 5 e gli 11 anni. Ma i dati che stanno arrivando dalle ricerche indipendenti mostrano una realtà assai diversa. Con la diffusione della variante Omicron, l’efficacia nel prevenire il contagio di due dosi del vaccino Pfizer è diminuita rapidamente nei più piccoli: è quanto si evince da uno studio realizzato da alcuni ricercatori del Dipartimento della Salute dello Stato di New York, che hanno analizzato i dati di oltre mille individui rientranti nella fascia di età 5-17 anni. Secondo lo studio l’efficacia nel prevenire il contagio sarebbe crollata dal 68% al 12% in appena sei settimane nei bambini tra 5 e 11 anni. In calo anche la capacità dei vaccini di prevenire la malattia, anche se questo dato – per stessa ammissione degli esperti – non può essere calcolato in modo esatto poiché il numero dei ricoveri «è troppo basso» anche tra i non vaccinati.
Dal 13 dicembre 2021 al 30 gennaio 2022, infatti, nei bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni l’efficacia del vaccino nel prevenire il contagio è scesa dal 68% al 12%, mentre per i ragazzi rientranti nella fascia 12-17 anni è passata dal 66% al 51%. Inoltre, per quanto riguarda i soggetti vaccinatisi recentemente, ossia tra il 13 dicembre 2021 ed il 2 gennaio 2022, l’efficacia contro il contagio entro due settimane dalla vaccinazione è stata del 76% ed entro 28-34 giorni del 56% per i ragazzi di età compresa tra i 12 ed i 17 anni, mentre per i bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni l’efficacia è comunque diminuita dal 65% al 12% entro 28-34 giorni. Oltre a tutto ciò, anche l’efficacia contro il ricovero è risultata essere diminuita, scendendo dal 100% al 48% nei bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni e dall’85% al 73% nei ragazzi di età compresa tra i 12 ed i 17 anni.
Commentando quanto emerso dallo studio, i ricercatori si affrettano a consigliare in ogni caso la vaccinazione in quanto, nonostante tutto, si è rivelata “protettiva contro le malattie gravi”, tuttavia hanno altresì sottolineato che “questi risultati evidenziano la potenziale necessità di studiare un dosaggio alternativo di vaccino per i bambini“. A tal proposito, bisogna infatti ricordare che la differenza di efficacia tra i bambini ed i ragazzi potrebbe essere dovuta al fatto che i bambini tra i 5 e gli 11 anni ricevono 10 microgrammi di vaccino in meno rispetto ai giovani di età compresa tra 12 e 17 anni. La soluzione proposta è quindi quella di valutare un eventuale aumento dei dosaggi spalmato su tre dosi.
Lo studio è attualmente in fase di preprint – ossia non è stato ancora sottoposto a revisione paritaria – motivo per cui i risultati debbono essere considerati ancora provvisori. Ad ogni modo però, il suo valore preliminare è degno di nota, non solo poiché i ricercatori appartengono come detto al Dipartimento della Salute di New York ma anche perché i dati analizzati riguardavano centinaia di migliaia di bambini. Certo c’è anche chi, come l’esperto di malattie infettive pediatriche presso il Children’s Hospital di Filadelfia Paul Offit, sostiene che il numero di ricoveri sia troppo basso per trarre conclusioni certe riguardo ad una significativa diminuzione dell’efficacia del vaccino contro le malattie gravi. Tuttavia questo non fa che alimentare i dubbi sul fatto che, nei periodi in cui puntava ad ottenere l’approvazione del vaccino da parte delle agenzie federali per queste fasce di età, la Pfizer abbia sbandierato percentuali di efficacia elevate nonostante la malattia sia di fatto molto rara nei giovani ed essendo dunque difficile capire con precisione quale sia la reale protezione offerta.
La Pfizer infatti negli scorsi mesi non si è astenuta dal diffondere comunicati trionfali relativi ad una presunta ” efficacia del 100%” nei soggetti di età compresa tra i 12 ed i 15 anni nonché di oltre il 90% nei bambini tra i 5 e gli 11 anni. Tuttavia ora, davanti ai dati che stanno col tempo emergendo circa una efficacia nettamente ridotta, Pfizer sembra voler prevenire i danni in quanto ha affermato di star studiando un programma a tre dosi del vaccino nella popolazione pediatrica, dato che gli studi sugli adulti suggerirebbero che “le persone vaccinate con tre dosi possono avere un grado di protezione più elevato”.
[di Raffaele De Luca]
No Tav, attivista condannato per aver cercato di appendere uno striscione
Un anno e sei mesi: questa la condanna che dovrà scontare Stefano Mangione, giovane attivista No Tav, per aver cercato di appendere uno striscione sulla ringhiera del Tribunale all’esterno del Palazzo di Giustizia di Torino. Secondo quanto riferito dal sito notav.info, Mangione si trovava all’esterno del Palazzo insieme a un gruppo di No Tav con l’intenzione di esprimere solidarietà a un’attivista molestata dalla polizia durante alcune proteste in Val Clarea e poi accusata di resistenza. La polizia avrebbe reagito al presidio caricando i presenti e in seguito denunciandone alcuni, tra cui Stefano, che ora si trova al carcere Le Vallette di Torino con una condanna per resistenza aggravata.









