mercoledì 17 Settembre 2025
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L’associazione Essere Animali è stata denunciata dal Consorzio Grana Padano

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L’associazione Essere Animali è finita nel mirino del Consorzio che tutela il Grana Padano DOP: quest’ultimo, infatti, ha intentato una causa civile presso il Tribunale di Brescia nei confronti dell’associazione ed ha presentato una denuncia-querela nei confronti di quattro membri dell’organizzazione per i reati di diffamazione, sostituzione di persona, interferenza nella vita privata e ricettazione. A riferirlo è stata proprio Essere Animali, la quale tramite un articolo ha comunicato che il Consorzio ha agito in tal modo in seguito alla diffusione di due investigazioni dell’associazione in due differenti allevamenti di mucche da latte produttori di Grana Padano.

Per quanto riguarda la causa civile il Tribunale, seppur nella fase cautelare, su diversi aspetti ha dato ragione ad Essere Animali, tuttavia ha disposto la rimozione dal web dei video delle investigazioni ed inibito la divulgazione di ulteriori contenuti relativi ai fatti oggetto delle inchieste in quanto l’associazione avrebbe trasmesso il messaggio che «l’intera produzione del formaggio a marchio Grana Padano avvenga con le modalità violente e nelle condizioni denunciate». Essere Animali però non si dà per vinta, ed anzi i suoi avvocati proporranno reclamo contro quanto disposto dal Tribunale cercando di far revocare l’ordine di rimozione e rendendo nuovamente visibili i video.

L’associazione in tal senso specifica di ribadire da tempo in ogni video e comunicato che in tutti gli allevamenti di mucche da latte, indipendentemente dal fatto che esso sia utilizzato per la produzione di Grana Padano, avvengono determinate pratiche denunciate tramite le investigazioni essendo esse legali, così come da tempo specifica che alcune irregolarità di legge, documentate nelle inchieste, non costituiscono di certo il motivo per affermare che esse avvengano nella maggior parte degli allevamenti italiani. Venendo poi nel dettaglio alla prima investigazione incriminata, riguardante un allevamento intensivo in provincia di Bergamo, essa oltre a mostrare alcuni maltrattamenti da parte degli operatori verso gli animali si concentrava principalmente sulle condizioni di vita dei vitelli, separati dalla madre alla nascita e rinchiusi in piccoli recinti individuali. Un modus operandi appunto consentito dalle leggi: proprio per questo, ciò che chiedeva Essere Animali con tale investigazione nonché con la seconda investigazione era un cambiamento delle stesse, sulla cui base tali pratiche vengono generalmente attuate negli allevamenti di mucche da latte.

Successivamente però il Consorzio, secondo quanto riferito da Essere Animali, ha chiesto la rimozione dei riferimenti al marchio dal video dell’investigazione. Richiesta rifiutata dall’associazione che anzi – nonostante la successiva richiesta del Consorzio di astenersi dal pubblicare altri contenuti che facessero riferimento diretto alla DOP Grana Padano – ha poi diffuso la seconda investigazione. Quest’ultima, realizzata in un allevamento di mucche da latte in provincia di Brescia produttore di Grana Padano, oltre a documentare la pratica di prassi nei confronti dei vitelli sopracitata documentava anche un grave stato di incuria.

Detto ciò, per conoscere in maniera dettagliata la posizione di Essere Animali riguardo ai reati contestati, abbiamo contattato l’avvocato dell’ufficio legale dell’associazione, Alessandro Ricciuti, secondo cui ci sarebbe un’enorme distanza tra quello che Grana Padano contesta nella denuncia e la realtà dei fatti. L’avvocato ha premesso in tal senso che le indagini sono state svolte tramite un “infiltrato”, ossia un collaboratore dell’associazione che si è presentato all’azienda dicendo di essere interessato a lavorare. Durante l’investigazione, dunque, il collaboratore «era sul posto legittimamente essendo stato chiamato a lavorare». Di conseguenza, «il reato di sostituzione di persona non c’è, perché esso vi è nel momento in cui si assume un’identità fittizia mentre il collaboratore si è presentato sul luogo di lavoro con il suo nome e cognome reali ed è stato in tal modo assunto».

Riguardo invece le interferenze illecite nella vita privata, «il Consorzio sostiene che aver filmato all’interno dell’allevamento configuri tale reato, che però in realtà si realizza nel momento in cui si filma – senza esserne autorizzati – l’interno di una privata dimora, che secondo la giurisprudenza consolidata corrisponde al luogo dove si svolge la vita privata della persona e quindi non di certo un allevamento». Conseguentemente, «non vi è nessuna interferenza illecita».

Venendo alla ricettazione, invece, «il consorzio ritiene vi sia in base al presupposto, falso, che siano stati commessi i due reati sopracitati, sostenendo che i responsabili dell’associazione abbiano utilizzato le immagini ottenute commettendo questi due reati, macchiandosi così del reato di ricettazione». Tuttavia, «venendo meno i primi due reati viene meno anche la ricettazione». Infine vi è la diffamazione, che però l’avvocato sostiene non vi sia in quanto i contenuti degli articoli di Essere Animali non hanno «mai superato il limite della continenza verbale» e «la comunicazione è sempre stata corretta». Ad ogni modo per quanto riguarda la denuncia, che «è stata depositata nel giudizio civile», l’avvocato ricorda che «l’esame dai fini penalistici della nostra comunicazione sarà oggetto del giudice penale solo eventualmente, non essendo scontato che il pm chiuda le indagini con la richiesta di rinvio a giudizio e potendo anche chiuderle con la richiesta di archiviazione. Dunque, «solo se sarà necessario ci difenderemo».

[di Raffaele De Luca]

Corea del Nord: testato missile ipersonico

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La Corea del Nord ha annunciato di aver testato con successi un nuovo missile ipersonico: a riportare la notizia è stata infatti l’agenzia centrale coreana di stampa ufficiale (KCNA), la quale ha fatto sapere che il lancio di prova è stato condotto nella giornata di ieri dall’Accademia delle scienze della difesa. Durante il test, a cui ha assistito anche il leader nordcoreano Kim Jong, il missile ipersonico ha colpito l’obiettivo prefissato in acque a 1.000 km di distanza.

Lo studio della FIASO rivela: “Il 34% dei pazienti positivi ricoverati non è malato Covid”

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Il 34% dei pazienti positivi ricoverati in ospedale non è malato Covid, non soffre di sindromi respiratorie o polmonari e non ha sviluppato la malattia da Covid. Un paziente su tre viene ospedalizzato per curare tutt’altro: traumi, infarti, emorragie, scompensi, tumori, ma al momento del tampone pre-ricovero risulta positivo al Sars-Cov-2. I dati emergono da uno studio effettuato in data 5 gennaio da FIASO sui ricoveri di 6 grandi aziende ospedaliere e sanitarie: Asst Spedali civili di Brescia, Irccs Ospedale Policlinico San Martino di Genova, Irccs Aou di Bologna, Policlinico Tor Vergata, Ospedale San Giuseppe Moscati di Avellino e Policlinico di Bari.

Dei complessivi 550 pazienti monitorati, campione pari al 4% del totale dei ricoverati italiani, 363 (il 66%) sono ospedalizzati con diagnosi da infezione polmonare. Mentre 187 (il 34%) non manifestano segni clinici, radiografici e laboratoristici di interessamento polmonare: ovvero sono stati ricoverati non per il virus ma con il virus. E la frase assume un significato ben diverso perché infezione non equivale per forza malattia.

Di questi 187, per il 36% si tratta di donne in gravidanza che necessitano di assistenza ostetrica e ginecologica. Il 33%, invece, è composto da pazienti ospedalizzati per motivi derivati da diabete, patologie cardiovascolari, neurologiche, oncologiche o broncopneumopatie croniche.
L’8% riguarda pazienti con ischemie, ictus, emorragie cerebrali o infarti e un altro 8% è rappresentato da pazienti che devono sottoporsi a un intervento chirurgico urgente e indifferibile pur se positivi al Covid. Inoltre, il 6% del totale, è composto da pazienti che arrivano al pronto soccorso a causa di incidenti.

Da sottolineare infine, secondo la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere, è la differenza d’età tra i gruppi di degenti positivi. I pazienti ricoverati per il Covid sono molto più anziani e hanno in media un’età di 69 anni, mentre i positivi privi di sintomi e ricoverati per altre patologie ne hanno in media 56. Tra i soggetti che hanno sviluppato la malattia polmonare da virus, risulta vaccinato con un ciclo completo di tre dosi o con due da meno di 4 mesi, solo il 14%. Mentre tra i positivi al Sars-Cov-2 ricoverati per altre patologie, il 27% è vaccinato con tre dosi o con due da meno di 4 mesi.

[di Iris Paganessi]

YouTube, 80 gruppi fact-checking chiedono più controllo su disinformazione

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Oltre 80 gruppi di fact-checking, che si occupano cioè di verificare la veridicità delle informazioni diffuse in rete, hanno chiesto alla piattaforma YouTube di migliorare il monitoraggio dei propri contenuti, dopo che il sito è stato definito “uno dei principali canali di disinformazione online”. In una lettera aperta alla CEO di YouTube Susan Wojcicki le associazioni hanno chiesto di “intraprendere azioni efficaci contro la disinformazione”, fornire contesto ai contenuti e smascherare coloro che pubblicano informazioni false, oltre ad assicurarsi che l’algoritmo non proponga contenuti di disinformazione agli utenti. La portavoce della piattaforma Elena Hernandez ha risposto rivendicando lo sforzo che da anni YouTube dichiara di mettere in campo per contrastare la disinformazione e rimuovere i contenuti violenti.

Riders: 17 a processo per aver difeso i propri diritti

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Si apre oggi il processo contro i 17 riders che nella giornata del 13 aprile 2018 erano entrati negli uffici della sede milanese di Deliveroo, una delle aziende di consegna di cibo tramite ordini online. Lo scopo dei manifestanti era incontrare il general manager per leggere in sua presenza una lettera di rivendicazione dei propri diritti di lavoratori, ma in risposta hanno visto arrivare le Forze dell’Ordine che li hanno prima cacciati e poi denunciati. Gli eventi di quel giorno hanno segnato l’inizio di una maggiore sensibilizzazione pubblica e delle istituzioni riguardo le condizioni lavorative del settore del food delivery. Molto poco è cambiato, tuttavia, negli anni successivi: numerosi fattorini si trovano ancora nella condizione di lavoratori autonomi (quindi senza garanzie), mentre l’inizio di questo processo potrebbe aprire la fase di repressione delle rivendicazioni dei lavoratori.

Il 13 aprile 2018 ha costituito “il primo tassello” della lotta dei riders per la rivendicazione di condizioni lavorative migliori. Esasperati da una situazione di sfruttamento lavorativo, assenza di tutela assicurativa e incertezze, un gruppo di fattorini è entrato negli uffici della sede milanese di Deliveroo. Il gruppo aveva intenzione di incontrare il general manager Matteo Sarzana per potergli leggere una lettera di denuncia della propria condizione lavorativa. La pronta risposta di Sarzana è stata una chiamata alle Forze dell’Ordine, che hanno usato la forza per trascinare fuori i riders e disperdere le persone presenti al presidio esterno al palazzo. Qualche mese dopo, ai manifestanti sono stati contestati reati tra i quali violazione di domicilio, rifiuto di dare indicazioni sulla propria identità personale, oltraggio a pubblico ufficiale e così via.

Nonostante da quel momento sia scaturita una nuova sensibilità nell’opinione pubblica, che ha portato alla nascita di numerosi movimenti in sostegno dei fattorini, e una maggiore attenzione delle istituzioni (e in qualche sporadico caso a vittorie legali), non molti sono stati i miglioramenti nella condizione dei riders. Nonostante lo stesso Parlamento europeo abbia richiesto per i fattorini “la stessa protezione e remunerazione dei dipendenti tradizionali“, in quanto “sono spesso erroneamente classificati come lavoratori autonomi, il che non garantisce loro diversi diritti dei lavoratori, tra cui la protezione sociale”, sono ancora numerose le piattaforme che mantengono contratti di lavoro autonomo come unica alternativa (tra queste Glovo, UberEats e Deliveroo). Questo non permette di avere accesso a garanzie quali il salario minimo, la manutenzione dei mezzi utilizzati (che non sono in dotazione) o una copertura assicurativa.

“Lo sfruttamento e la precarietà dei riders non hanno fatto che aumentare” denuncia il gruppo Rider in lotta Milano. Anche il nuovo sistema Scoober proposto da JustEat viene definito “l’ennesima presa in giro: chi lavora continua a subire l’arroganza e la prepotenza dei suoi superiori che lo costringe a svolgere una delle mansioni più pericolose, nelle peggiori condizioni atmosferiche e in cambio di paghe da fame e di diritti praticamente inesistenti”.

La prima udienza di oggi è volta alla definizione degli aspetti tecnici: si saprà solo nei prossimi mesi quale sarà il destino dei fattorini messi a processo. Quanto sta accadendo, tuttavia, sembra rendere ben chiara la direzione nella quale Deliveroo (che ha definito i riders che protestavano “sovversivi di professione“) intende muoversi.

[di Valeria Casolaro]

La Cina vuole “robotizzare” gli operai

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La Cina lo aveva promesso, sarebbe divenuta un’avanguardia della robotica entro il 2025. A tre anni dalla dead-line segnalata iniziamo finalmente a vedere nei fatti cosa il gigante orientale intendesse dire e quale sia la sua visione del futuro. Se in Occidente l’idea è quella di automatizzare i robot in modo che possano gestirsi autonomamente e sostituire la bassa manovalanza, i ricercatori cinesi starebbero vagliando un universo maggiormente ibrido in cui uomini e macchine creano un rapporto di simbiosi, stiamo parlando del mondo dei co-bot (robot collaborativi).

A rivelarlo è una ricerca firmata dall’accademico Dong Yuanfa dello Intelligent Manufacturing Innovation Technology Centre, China Three Gorges University. L’uomo e il suo team hanno chiesto a otto volontari di vestire un paio di sensori non invasivi, quindi di sottoporsi a centinaia di ore di addestramento così da sviluppare una sincronia con gli strumenti testati. Il primo apparecchio messo in campo è stato un cerchietto capace di intercettare le onde cerebrali e prevedere le intenzioni del lavoratore, il secondo assumeva la forma di una costellazione di sensori da far aderire sul braccio dominante dei soggetti, così da studiarne i movimenti muscolari. Il documento annuncia trionfalmente di aver riscontrato una precisione di cooperazione del 96%, ovvero di aver creato il contesto ideale per cui dei bracci meccanici siano in grado di fornire all’operatore l’assistenza di cui ha bisogno ancor prima che egli ne faccia esplicitamente domanda.

Tutto molto bello, se non fosse che l’applicabilità pratica dello strumento è estremamente dubbia. Se si tiene conto dei soli impulsi cerebrali, la performance dello strumento crolla a un meno impressionante 70%, in più l’uso di questi accorgimenti finisce velocemente con lo stremare gli operai. La fascia, essendo esterna, si dimostra poco sensibile e richiede da parte di chi la veste una concentrazione costante e profonda, mentre gli elettrodi pare che affatichino non poco i muscoli. Si è valutato di intessere i sensori direttamente negli abiti, ma anche nel caso ci sono dubbi che questi possano essere funzionali visto che gli indumenti potrebbero muoversi o i contatti potrebbero essere disturbati dal sudore sviluppato in fase di movimento.

Risultati dubbi e dipendenti straziati dalla stanchezza sono presupposti terribili per concretizzare le ambizioni dichiarate da Yuanfa, ovvero trovare un escamotage con cui ammortizzare i costi umani del lavoro di assemblaggio, i quali rappresentano a suo dire il 20-30% dei costi sostenuti dalle aziende cinesi. Un costo che ora come ora sembra destinato a crescere poiché la manodopera sta diventando sempre più onerosa anche entro i confini del gigante asiatico, inoltre la società cinese sta invecchiando velocemente e c’è una sensibile latitanza di nuove leve che vadano a sostituire coloro che si ritirano dal mercato del lavoro.

Un problema molto vicino alla realtà italiana, realtà in cui sempre più contadini e industriali vagliano l’idea di ricorrere alla robotica per sostituire una componente umana ormai estremamente difficile da reperire, almeno a costi contenuti. Non sorprende dunque lo scoprire che non solo il Bel Paese è celebre in tutto il mondo per le sue competenze ingegneristiche, ma che in questi anni la Cina abbia liberamente attinto alle imprese e alle esperienze nostrane del settore.

[di Walter Ferri]

Toscana, avviato importante progetto per bonifica lago in Maremma

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Il Consorzio di Bonifica 6 Toscana Sud ha messo in moto un progetto da 8 milioni di euro per il recupero del lago San Floriano, nella Maremma meridionale. La bonifica renderà nuovamente fruibili le acque del bacino, oggi in stato di degrado e abbandono, permettendone l’utilizzo per l’approvvigionamento della vicina oasi naturale di Burano, per l’irrigazione e per i velivoli di soccorso in caso di incendio. L’opera è di “fondamentale importanza”, secondo il coordinatore delle Oasi WWF della Maremma Fabio Cianchi, perchè tutela un’area ecologica funzionale, messa a rischio da siccità e scarichi fognari. Se realizzati in maniera ottimale questi interventi “rappresentano l’unico modo per contrastare le drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici”, garantendo anche la tutela della fauna che popola questi luoghi.

Libia, con rinvio elezioni rischio nuovo conflitto

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Un rapporto del centro americano Carnegie Middle East Center sostiene che il rinvio delle elezioni presidenziali in Libia, inizialmente fissate per il 24 dicembre 2021, costituisca un’occasione per le milizie di usare la forza per fare pressioni sul Governo di Unità Nazionale (GNU). L’altissima frammentazione della scena politica costituisce un fattore di rischio preponderante: da una parte vi sono figure politiche di spicco e fortemente in opposizione, dall’altra sul territorio è presente una moltitudine di milizie e gruppi armati influenzati da potenze straniere come Russia, Turchia, Emirati Arabi ed Egitto. Il rischio, sostiene il rapporto, è che nel 2022 scoppi un nuovo conflitto, scatenato dagli interessi contrastanti di questa moltitudine di fazioni.

Morì per mano della polizia, il caso Magherini finisce alla Corte europea

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Riccardo Magherini

Riccardo Magherini è morto la notte tra il 2 e il 3 marzo del 2014 a Borgo San Frediano, dopo essere stato fermato da una pattuglia dei Carabinieri. Negli ultimi giorni il suo caso è tornato a far parlare in seguito al ricorso presentato dalla famiglia del ragazzo alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, arrivato dopo le decisioni della magistratura di assolvere i Carabinieri. L’ex senatore Luigi Manconi ha riferito che la CEDU – Corte europea dei diritti umani- ha chiesto al Governo italiano spiegazioni in merito alla morte di Magherini.

In particolare la Corte Europea ha sollevato alcuni dubbi sulla legittimità della tecnica usata dagli agenti per fermare Riccardo Magherini, manovra che Manconi ha definito “codice Floyd”. La scelta di chiamarla così non è casuale. George Floyd è morto il 25 maggio 2020 dopo essere stato bloccato a terra dall’ex agente Derek Chauvin, che ha tenuto il suo ginocchio sul collo dell’uomo per 9 minuti e 29 secondi, causandogli la morte. Proprio come nel caso di Riccardo.

Nello specifico la CEDU ha chiesto all’Italia se l’uso della forza da parte dei carabinieri è stato «assolutamente necessario e strettamente proporzionato al raggiungimento dello scopo perseguito» – cioè il contenimento della persona fermata – e se «le autorità pubbliche hanno garantito che fosse tutelata dagli operatori la particolare condizione di vulnerabilità del soggetto in questione? Le stesse autorità possono dimostrare di aver fornito agli agenti che operano in circostanze simili una formazione adeguata, capace di evitare abusi e trattamenti inumani e degradanti?».

Per l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia insieme all’avvocata Antonella Mascia, «l’Italia dovrà rendere conto della morte di un giovane uomo che chiedeva aiuto e della cattiva giustizia riservatagli».

Un epilogo per niente scontato dato che la quarta sezione penale della Cassazione nel 2018 aveva assolto i tre carabinieri dall’accusa di omicidio colposo, ordinando l’annullamento senza rinvio della sentenza d’appello – anche se in primo e secondo grado la condanna erta stata confermata –

Quella notte Magherini vagava per la sua città sotto l’effetto di cocaina e in preda ad allucinazioni, convinto che qualcuno le stesse inseguendo per ucciderlo. Gli agenti lo avevano bloccato ammanettandolo per terra, a pancia in giù, facendolo rimanere in quella posizione –e a torso nudo – per almeno 15 minuti. L’arrivo dell’ambulanza – con a bordo tre volontari ma senza un medico – non è servito a salvargli la vita.

Come riporta Repubblica, il 30 gennaio del 2014 una circolare del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, raccomandava di evitare “i rischi derivanti da immobilizzazioni protratte, specie se a terra in posizione prona”. E si chiariva che “la compressione toracica può costituire causa di asfissia posturale”. Avvertenze sospese solo due anni dopo. L’interrogazione chiesta della CEDU potrebbe significare una svolta importante nella risoluzione di casi come questo. Il Governo dovrà dire la sua entro il 26 aprile.

[di Gloria Ferrari]

20 anni di Guantanamo: la prigione che nessun presidente Usa vuole realmente chiudere

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L’11 gennaio 2022 segna i 20 anni dall’apertura di Guantanamo Bay, la famigerata prigione statunitense situata a Cuba, che ha permesso alle varie amministrazioni americane che si sono susseguite negli anni, di trattenere, senza regolare processo e in barba a tutte le leggi internazionali, i prigionieri a tempo indeterminato.

La prigione, uno dei principali strumenti della “guerra al terrore” (war on terror) portata avanti dalla amministrazione di George W. Bush in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre, avrebbe dovuto chiudere i battenti già nel 2009 su decisione dell’allora presidente Barack Obama. Il 22 gennaio 2009, il neoeletto presidente aveva infatti firmato l’executive order 13492 che stabiliva la chiusura della prigione entro 12 mesi. Nonostante la pubblicazione dell’ordine esecutivo, la prigione ha continuato ad operare in tutti gli 8 anni in cui Obama è stato presidente. Durante il suo mandato Trump aveva poi annullato l’ordine di Obama decidendo di mantenere aperta la prigione. Biden e la nuova amministrazione democratica hanno rinnovato la volontà di volere chiudere Guantanmo, eppure, secondo un report del New York Times il pentagono starebbe portando avanti dei lavori, che ammonterebbero a quattro milioni di dollari, per ampliare la prigione.

In questi venti anni 780 persone sono state “trattenute” a Guantanamo, e stando ad un report di Amnesty International 40 persone sono tutt’oggi ancora detenute nella prigione. Il rapporto documenta inoltre tutta una serie di violazioni dei diritti umani perpetrate nei confronti delle persone detenute a Guantanamo. Torture, abusi sessuali e piscologici sarebbero stati strumenti comunemente utilizzati dalla Central Intelligence Agency (CIA) per estorcere confessioni ai prigionieri. L’utilizzo di questa base ha garantito alla CIA la possibilità di aggirare le protezioni dei diritti umani e gli obblighi del rispetto delle leggi internazionali nel perseguimento della raccolta di informazioni. Nell’ottobre 2021, Majid Khan membro di al-Qaeda dichiaratosi colpevole, ha raccontato per la prima volta in un tribunale americano le torture subite durante la sua detenzione a Guantanamo. Khan ha infatti descritto di essere stato sottoposto a waterboarding (annegamento simulato), abusato fisicamente e sessualmente e di altre vessazioni durante le sessioni di enhanced interrogation (interrogatorio potenziato) da parte della CIA. Le tecniche di interrogatorio potenziate, indicano il programma di tortura sistematica dei detenuti da parte della CIA, della Defense Intelligence Agency (DIA) e dell’esercito nei vari black sites (prigioni segrete) intorno al mondo, inclusi Bagram, Guantánamo e Abu Ghraib, direttamente autorizzato dai funzionari della presidenza Bush. Queste torture, infatti, non sono il risultato degli eccessi di qualche funzionario ma appunto una precisa scelta politica. Nell’agosto del 2002, un memorandum del Dipartimento di Giustizia all’allora consigliere della Casa Bianca Alberto Gonzales suggeriva che il presidente potesse autorizzare un’ampia gamma di “tecniche di interrogatorio avanzate” che non equivarrebbero a tortura e quindi non sarebbero perseguibili secondo la legge statunitense. Anche se si verificasse la tortura, sostiene il memorandum, la teoria della “necessità” o “autodifesa” potrebbe essere utilizzata per eliminare qualsiasi responsabilità penale.

Che la tortura sia uno strumento utile o meno per ottenere confessioni è argomento ampiamente discusso negli anni da vari studiosi e accademici, rimane in dubbio però, che se si arrestano innocenti anche tramite la tortura non si otterrà alcun tipo di informazione utile. Nel 2011, WikiLeaks aveva rilasciato oltre 700 file militari classificati che mostravano come a Guantanamo fossero stati tenuti prigionieri per anni più di 150 uomini innocenti. Che numerosi innocenti siano finiti nelle prigioni segrete americane è una diretta conseguenza delle prime fasi (molto confusionali) della “war on terror”, quando numerosi arresti di “sospetti” vennero effettuati sulla base di fonti di intelligence insufficienti se non del tutto assenti, rendendo di fatto alcune operazioni di antiterrorismo dei semplici rastrellamenti di civili.

A nulla sono valse negli anni le denunce sulle condizioni dei prigionieri a Guantanamo da parte della Croce Rossa e di svariate ONG, così come non ha portato alcun risultato concreto nemmeno il rapporto del 2006 delle Nazioni Unite che ne chiedeva la chiusura. Gli Stati Uniti, in questi ultimi 20 anni, non hanno di certo esitato a puntare il dito verso altri paesi sul rispetto dei diritti umani commutando sanzioni, embarghi e pressioni politiche, nonostante, con tutto quello che succedeva a Guantanamo, fossero consci di violarli a loro volta. Questa prigione, di fatto, rappresenta alla perfezione il concetto di unilateralismo americano, perché volendo citare un famoso film di Alberto Sordi “io so io e voi non siete un ca…”.

[di Enrico Phelipon]