mercoledì 24 Aprile 2024

Come l’industria alimentare ha trasformato il cibo che mangiamo

Nell’ultimo secolo abbiamo assistito ad una evoluzione alimentare e contemporaneamente a un declino, in quanto il sistema ha puntato tutto su quantità e prezzo. Cioè a produrre la massima quantità possibile al prezzo più basso possibile, ignorando gli effetti disastrosi che questo avrebbe potuto causare sulla qualità e il profilo nutrizionale degli alimenti. E sulla nostra salute. In questo articolo parleremo delle differenze nutrizionali tra cibo industriale e pre-industriale prendendo in considerazione quattro alimenti che mangiamo tutti i giorni o quasi: la carne di pollo, il pomodoro, la pasta, la pizza.

Cibo industriale VS artigianale: il pollo

Uno studio del 2010, pubblicato su varie riviste scientifiche tra cui Public Health Nutrition dell’Università di Cambridge, presenta una analisi del pollo dal punto di vista del profilo nutrizionale e dal punto di vista dell’evoluzione storica nel metodo di allevamento. Se guardiamo alla tabella, appare inconfutabile un trend peggiorativo riguardo i contenuti di grassi e di proteine del pollo oggi in commercio. Da fine ‘800 ad oggi si registra un aumento enorme nel contenuto di grasso. Ne troviamo infatti tra il 2 e il 4% alla fine dell’800, poi aumenta fino al 23% di oggi. Parallelamente il contenuto di proteine cala. Una volta il contenuto era costantemente sopra il 20% e ora invece siamo nettamente al di sotto (16%). Il contenuto di calorie è passato dalle 110-120 Kcal per etto dei polli di fine ‘800 alle 270 calorie del pollo di oggi.

Se poi guardiamo la tabella 2 dello studio, che analizza il profilo di grassi omega-6 e omega-3, vediamo come il grasso omega-6 è drasticamente aumentato anche solo rispetto ai polli degli anni 70 del secolo scorso, passando da un 14% circa ad un 20-28% attuali. Viceversa il contenuto di grassi omega-3, i grassi buoni antinfiammatori, è diminuito in maniera pesante. Di oltre un decimo rispetto a quello degli anni 70. Agli inizi del secolo scorso un pollo impiegava in media 16 settimane per raggiungere il peso di 1 chilo e mezzo, oggi impiega un terzo del tempo (5-6 settimane) e viene macellato quando non ha ancora raggiunto nemmeno la pubertà. Oggi un pollo in allevamento intensivo può essere pronto per la macellazione in meno di 6 settimane. Una gallina deponeva in media circa 90 uova l’anno negli anni ’30, oggi ne produce facilmente almeno 250.

Cibo industriale VS artigianale: il pomodoro

Se confrontassimo un pomodoro degli anni ’70 e uno di oggi, apparentemente non noteremmo grosse differenze, oltre al fatto che quello di oggi è un po’ più grosso e forse un po’ più bello a vedersi. Se potessimo assaggiarli entrambi, però, ci accorgeremmo subito che quello di oggi ha un sapore molto più “diluito”. Dire che il pomodoro di oggi non sa più di niente non ha solo a che vedere con la bontà, ma riflette un gravissimo problema nutrizionale.

Il pomodoro che non sa di nulla è un cibo industriale impoverito di vitamine, minerali e sostanze antiossidanti che sono appunto gli elementi che conferiscono al pomodoro, fra le altre cose, il suo sapore. E questo significa non solo che il pomodoro di oggi è meno buono, ma che per avere la stessa quantità di vitamina C o di licopene (il caratteristico antiossidante dei pomodori) che cent’anni fa ottenevamo mangiando un pomodoro, oggi bisogna consumarne forse due o tre.

Infatti, maggiore è la resa per ettaro nei campi (agricoltura intensiva industriale) e minore sarà il contenuto di licopene e vitamina C. Alla pianta infatti servirebbe un terreno non impoverito di sostanza organica e un lasso di tempo più lungo per conferire al frutto un buon contenuto di vitamine, minerali e antiossidanti. Con l’agricoltura intensiva invece si punta a ridurre i tempi di maturazione della pianta e si impoveriscono i terreni con forte utilizzo di sostanze chimiche di sintesi come fertilizzanti, pesticidi, fungicidi ecc. L’agricoltura industriale raccoglie i frutti ancora in parte acerbi, anche per esigenze di logistica e trasporto delle merci nelle lunghe distanze (se raccogliessimo il frutto quando è maturo, arriverebbe nei supermercati “troppo” maturo e non sarebbe desiderabile per il consumatore).

In agricoltura l’uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi impoverisce il suolo. Il fertilizzante di sintesi, infatti, pur fornendo azoto e facendo crescere la pianta più in fretta, non ha nulla a che vedere con un suolo naturalmente fertile in cui la pianta trova anche molte altre sostanze organiche. E quando la pianta è troppo “coccolata” (ovvero protetta da sbalzi climatici, insetti ecc. come avviene ad esempio nelle produzioni in serra) non ha più bisogno di produrre quei fitocomposti come i polifenoli, il licopene ecc. che sono delle difese per la pianta e anche per noi: ci aiutano infatti nella prevenzione delle malattie.

Cibo industriale vs artigianale: la pasta

Anche per la pasta possiamo registrare differenze significative tra un prodotto industriale e uno artigianale o più tradizionale. La cottura del grano e dell’amido in generale comporta la formazione di sostanze tossiche come la furosina e gli AGEs (prodotti avanzati della glicazione). Questo è un problema alimentare di cui quasi nessuno parla in Italia, ma che è in realtà addirittura normato e disciplinato per legge, purtroppo al momento solo per la produzione dei formaggi. Vediamo dunque più nel dettaglio questo problema.

La pasta secca, al contrario della pasta fresca e dei cereali in chicco, deve essere appunto essiccata prima di diventare commestibile. Nel processo industriale dell’essiccazione la pasta perde acqua e concentra la sua densità nutrizionale. Il trattamento di essiccazione ad altissime temperature tuttavia cambia il valore nutrizionale del frumento, cosa che suscita qualche perplessità tra gli esperti. I sistemi di essiccazione industriali (detti HTST e VHTS) permettono di raggiungere temperature molto elevate e di ridurre i tempi di lavorazione/essiccazione, con notevole risparmio sui costi. In commercio troviamo paste essiccate in poche ore ad alte temperature, ma anche pasta essiccata lentamente in tempi lunghi e con temperature più basse.

La furosina (ε-furoilmetil-lisina) è una sostanza tossica che deriva dalla unione tra una molecola di glucosio e un gruppo amminico delle proteine contenute nelle farine. Si forma nella fase terminale della lavorazione della pasta secca, quando la percentuale di acqua scende fino al 12%. L’essiccazione ad alte temperature e bassi valori di umidità del prodotto è la causa principale di formazione di furosina. Nelle parole di un nutrizionista di lunga esperienza come il Dott. Pier Luigi Rossi, questa sostanza «è aggressiva sui villi intestinali, viene assorbita nell’intestino tenue, entra nel sangue, non può essere bloccata, si diffonde nel tessuto connettivo presente in ogni organo per connettere le cellule tra loro. Destruttura il collagene e il tessuto connettivo compromettendo la nutrizione e la ossigenazione delle cellule. Può essere eliminata solo attraverso il rene. Insomma è una molecola inquinante».
La furosina andrebbe quantomeno limitata, cercando di assumere con più moderazione i cibi che la contengono (la pasta, il pane, la pizza ed il latte UHT sottoposto a trattamenti
termici ad alte temperature). Secondo quanto riportato in letteratura i valori di furosina oscillano da 100 a 200 mg/100 g di proteine quando le temperature di essiccazione sono inferiori agli 85°C. La pasta con valori di furosina inferiori a 200 viene considerata un prodotto con un buon indice di qualità nutrizionale, perché la quantità degli aminoacidi essenziali (come la lisina) restano elevate.

Che pasta scegliere? Ricercare quei marchi di pasta che garantiscono una essiccazione lenta e a basse temperature è sicuramente un criterio di qualità su cui puntare. Molti dei produttori di pasta che possiedono aziende piccole, a conduzione familiare o comunque che non hanno uno sbocco nella Grande Distribuzione hanno di solito metodi di essiccazione della pasta meno industriali e quindi offrono un prodotto di qualità superiore al marchio di pasta industriale. Per non parlare poi dei piccoli produttori di pasta fresca (sia all’uovo che semplice). Anche questi, di solito sempre a dimensione locale o artigianale e non industriale, ci dispensano dalla preoccupazione della furosina. Come abbiamo detto la furosina si crea durante il processo di essiccazione, ed è assente nella pasta fresca quindi.

Cibo industriale vs artigianale: la pizza

Esaminiamo ora l’etichetta di una pizza surgelata in vendita al supermercato: vedremo subito una elaborata lista di ingredienti, cosa che si traduce in una bassa qualità nutrizionale dell’alimento. Infatti, più ingredienti sono presenti e più il prodotto è industriale e di bassa qualità, e questo vale come regola generale per ogni alimento. L’esempio in questione è una pizza surgelata al salame.

In etichetta sono presenti ben 29 diversi ingredienti. Se il consumatore volesse sincerarsi delle genuinità di questo prodotto dovrebbe perlomeno leggere tutti gli ingredienti e capire di cosa si tratta. Sono presenti farina 0, salsa di pomodoro, sale e formaggio, quelli classici di ogni pizza. È presente anche l’olio, ma quale olio è stato usato? L’olio di colza, soprattutto, e in misura minore l’olio extravergine di oliva. Passiamo ad analizzare gli altri ingredienti della nostra pizza industriale. Il salame affumicato contiene un conservante nocivo, il nitrito di sodio. Si tratta di un conservante molto comune per carni e insaccati, che tuttavia nel 2015 è stato inserito dall’OMS tra le sostanze cancerogene di prima classe, in quanto nel nostro organismo tende a combinarsi con altre sostanze dando origine a dei composti altamente cancerogeni chiamati nitrosammine. Secondo l’AIRC (Associazione italiana per la Ricerca sul Cancro) un consumo eccessivo e regolare di nitriti è associato ad un aumento del rischio di tumori dello stomaco e dell’esofago.

Un altro ingrediente che troviamo nel salame di questa pizza surgelata è il destrosio, uno zucchero semplice ottenuto dalla lavorazione degli amidi del mais o dalla fecola di patate. Ha la mera funzione di esaltatore di sapidità in questo caso, dato che come conservante c’è già il nitrito di sodio. Ma l’aggiunta di zuccheri “nascosti” all’interno della nostra pizza non si ferma a questo: infatti troviamo la presenza anche di zucchero, maltodestrine e caramello. Le maltodestrine sono zuccheri a rapido assorbimento: si assimilano più in fretta del comune zucchero e hanno un indice glicemico più alto. Per questo sono molto utilizzate da chi pratica sport a livello agonistico. Ovviamente sono aggiunte inutili nel cibo delle persone comuni con fabbisogni di zucchero molto inferiori a quelli di un atleta.

Il caramello è anch’esso uno zucchero, il risultato della cottura del saccarosio sino alla sua fusione, che avviene a temperature di oltre 160°C. Il fenomeno di cottura degli zuccheri dà origine ad un’altra sostanza molto problematica e tossica per la nostra salute, l‘acrilammide, di cui sentiamo spesso parlare. E il caramello ne è appunto ricco. Da segnalare in questa pizza anche la presenza di amido modificato, un altro carboidrato ottenuto sempre dalla lavorazione dell’amido di mais o dalla fecola di patate, che serve per dare una consistenza più gradita al consumatore nel prodotto. Altri ingredienti del tutto improbabili per una pizza fatta in casa o anche da pizzeria, sono le proteine vegetali idrolizzate (si tratta solitamente di proteine di soia che rivestono la stessa funzione del glutammato come esaltatori di sapidità).

Appaiono del tutto evidenti le grandi differenze di contenuto nutrizionale e di salubrità tra un cibo industriale come le pizze surgelate e un cibo casalingo-artigianale. Dubito infatti che vostra moglie o il pizzaiolo sotto casa possano pensare di aggiungere caramello, destrosio e proteine idrolizzate nell’impasto della pizza

Conclusioni

La prima cosa da fare è usare il senso critico quando si va a fare la spesa. Soffermatevi a valutare qualche istante il prodotto (aldilà del prezzo e delle diciture in evidenza), a leggere l’etichetta degli ingredienti e prestate attenzione alla scelta di prodotti davvero di qualità, preparati con pochi ingredienti e se possibile di produzione locale o regionale e freschi.

Ne guadagnerà la vostra salute e anche l’ambiente che ci circonda, e darete il vostro sostegno a chi produce il cibo in maniera più pulita. Ricordate sempre che l’etichettatura dei prodotti è l’elemento di maggiore democraticità che esista: consente di fare scelte consapevoli e libere.

[di Gianpaolo Usai]

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6 Commenti

  1. ciao Gian Paolo, ciao L’Indipendente,
    apprezzo particolarmente la sezione
    ”Consumo critico”, argomento ch’é solitamente esclusiva di riviste specializzate.
    Tengo però a segnalare il passaggio
    ”Dubito infatti che vostra moglie o il pizzaiolo sotto casa possano pensare di [..]” perché porta indirettamente lo stereotipo secondo cui la preparazione dei pasti in ambiente domestico è responsabilità ”della moglie” (più giustamente donna, o meglio individuo) e in ambiente professionale è riserva ”del pizzaiolo” (perché non ”della pizzaiola”, o meglio ”della pizzeria”?).
    Beninteso che la mia intenzione non sia di fare critica fine a sé stessa

  2. Molto interessante e utile, forse si spiegano anche tutte quelle intolleranze alimentari che una volta non c’erano. Come alternativa ai prodotti industriali suggerisco di entrare a fare parte di un GAS (Gruppo di Acquisto Solidale), un modo semplice per riuscire a trovare una qualità migliore di alimenti a prezzi equi 🙂

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