venerdì 7 Novembre 2025
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Gabriel Boric è ufficialmente il nuovo presidente del Cile

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Gabriel Boric ha prestato giuramento nella giornata di venerdì 11 marzo, divenendo ufficialmente il più giovane presidente della storia del Cile. Ex studente attivista di 36 anni, Boric ha formato un governo socialdemocratico con un’altissima componente femminile, il quale intende tenere alta l’attenzione sulle tematiche ambientali e porre rimedio ai grandi problemi che dividono la società cilena, come le disuguaglianze di reddito, di accesso alla sanità e all’istruzione e la riforma del sistema pensionistico.

Cittadinanza, è arrivato il primo ok allo “ius scholae”: di cosa si tratta?

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Primo via libera in commissione Affari costituzionali per la proposta di legge sullo ius scholae, che permette il riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli di stranieri che siano nati e cresciuti in Italia o che siano giunti nel nostro Paese entro il compimento dei dodici anni e che abbiano frequentato la scuola per almeno cinque anni. La proposta di legge è a tutti gli effetti un compromesso volto a mitigare la severità dello ius sanguinis, senza però cedere allo ius soli e quindi al conseguimento della cittadinanza per nascita sul suolo italiano. La proposta ha riscosso il parere favorevole di numerosi partiti di sinistra, mentre ha profondamente diviso le posizioni del centrodestra.

La proposta di legge sullo ius scholae avanzata dal presidente della commissione Affari costituzionali Giuseppe Brescia, del Movimento 5 Stelle, ha incassato il voto favorevole di PD, Leu, M5S, Italia viva e persino di Forza Italia, dividendo così nettamente la destra riguardo alla tematica del diritto alla cittadinanza. Coraggio Italia si è astenuta dalla votazione, mentre Lega e Fratelli d’Italia si sono opposti alla proposta. FdI ha dichiarato che con l’approvazione dello ius scholae “Basteranno cinque anni di uno o più cicli scolastici senza alcun risultato conseguito, per essere italiani”.

Di tutt’altro parere il grillino Brescia, che vuole che la scuola sia percepita come “potente fattore di integrazione”. Il testo, però, non va tanto in là da arrivare a proporre l’introduzione dello ius soli, presentando invece la fattispecie tutta nuova dello ius scholae. Questa prevede che “il minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e abbia frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno 5 anni, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale, acquisti la cittadinanza italiana”. La richiesta deve essere avanzata “entro il compimento della maggiore età dell’interessato, da entrambi i genitori legalmente residenti in Italia o da chi esercita la responsabilità genitoriale”.

In Italia al momento il conseguimento della cittadinanza può avvenire solamente iure sanguinis, ovvero per diritto di nascita (o adozione) da genitori italiani. Eccezionalmente, in caso di genitori apolidi, ignoti o che non possano trasmettere la propria cittadinanza a causa della legislazione del proprio Stato di provenienza, interviene lo ius soli, ovvero il diritto di cittadinanza per nascita sul suolo italiano. Come spiega lo stesso Brescia, lo ius sanguinis dà accesso alla cittadinanza a partire dal diciottesimo anno di età, ma a causa dei ritardi burocratici nel gestire le domande inoltrate possono trascorrere anni prima che le procedure vengano finalizzate. A questo proposito, lo ius scholae si propone di snellire i tempi procedurali e garantire che ai giovani (i quali, essendo cresciuti in Italia e avendo frequentato le scuole, possono considerarsi perfettamente integrati) sia riconosciuto quella che a questo punto si configura come una banale formalità.

La legge che regola la concessione della cittadinanza italiana (legge n.91/1992) è ormai vecchia di trent’anni e, nonostante i tentativi da parte di alcuni gruppi politici di modificarne le norme, ad esempio tramite la proposta di introduzione dello ius soli (adottato da moltissimi altri stati europei e non, gli Stati Uniti in primis) nulla è mai cambiato davvero. L’introduzione della nuova fattispecie dello ius scholae si profila, in questo contesto, come una soluzione di compromesso. Tuttavia, l’opposizione ideologica di Lega e Fratelli d’Italia renderà l’iter di approvazione della legge difficoltoso e pieno di ostacoli.

[di Valeria Casolaro]

India, lancio accidentale di un missile verso il Pakistan

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L’India avrebbe erroneamente lanciato un missile verso il vicino Pakistan, a causa di un malfunzionamento tecnico durante alcuni controlli di routine. L’incidente ha messo in pericolo la vita di numerosi passeggeri aerei e di civili a terra, ma non ha causato vittime. Il ministro della Difesa indiano ha definito l’incidente “profondamente deplorevole” e ha comunicato la decisione del Governo di avviare “un’inchiesta ad alto livello”, mentre il ministro degli Esteri pakistano ha accusato l’India di “insensibilità verso la pace e la stabilità regionale”.

In Africa l’industria dell’olio di palma si è dovuta piegare alle comunità

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I progetti di svariate multinazionali volti a trarre profitto dall’industria dell’olio di palma in Africa, stanno fallendo e il merito è delle organizzazioni comunitarie per i diritti fondiari. A darne notizia è il nuovo report del think-tank Chain Reaction Research, che si occupa di argomenti legati alla deforestazione. Il sogno di arricchirsi approfittando di territori altrui è scemato grazie all’impegno costante delle diverse ONG, intente a sostenere il rifiuto delle comunità nel vedere le proprie terre occupate per il profitto di certi magnati. I giganti multinazionali credevano infatti di arricchirsi spropositatamente, quando negli anni 2000 ci fu l’aumento dei prezzi delle materie prime. Il continente africano era molto appetibile e sembrava ottimo per la coltivazione della palma da olio e soprattutto l’Africa occidentale e centrale sono diventate le regioni più allettanti per delle enormi aziende. Così alcuni tra i maggiori produttori europei e del sud-est asiaticosi sono trasferiti in Liberia, Gabon, Nigeria, Sierra Leone, Camerun e Costa d’Avorio. La ragione è legata a una convenienza da più punti di vista, dalle concessioni dei Governi ai disordini politici che “favoriscono” una scarsa supervisione ambientale, fino alla grande quantità di terreno coltivabile disponibile ma anche di un clima favorevole.

Dal 2008 nell’Africa occidentale e centrale è stata data disponibilità per utilizzare circa 1,8 milioni di ettari di terreno per piantagioni industriali di olio di palma. Eppure, nonostante la “fame” delle multinazionali, tante aree sono rimaste libere da coltivazioni. Soprattutto in Liberia dove dei 755.000 ettari concessi inizialmente alle compagnie, solo il 7 percento (quindi 54.000 ettari) sono diventati piantagioni. Anche in Congo-Brazzaville la situazione è simile, con solo 1.000 ettari stimati (0,2 percento su 520.000 ettari disponibili) trasformati in piantagioni di palma da olio. Per quanto invece riguarda uno Stato come la Nigeria, se per molto tempo si è assicurato il primo posto come produttore mondiale di olio di palma, ora lo Stato africano è ancora sul podio se comparato agli altri stati del continente africano, ma è sceso al quinto posto a livello mondiale. E la principale ragione è legata all’acquisizione dei terreni, perché la terra su cui erano stati fatti tanti progetti e investimenti, con concessioni da parte dei Governi su carta, non prendevano in considerazione le popolazioni “figlie” di quella terra.

A dispetto quindi degli accordi su carta, la lotta di decine di migliaia di contadini e abitanti dei villaggi rurali ha fatto sì che in poco più di dieci anni, tante concessioni siano fallite: tra il 2008 e il 2019, 27 progetti che avrebbero dovuto coprire 1,37 milioni di ettari di terra sono falliti o sono stati abbandonati e nemmeno il 10 percento dei 2,7 milioni di ettari di foresta in concessione è stato convertito in piantagioni. La resistenza delle comunità locali è stata quindi feroce e tangibile, a dispetto di quel che credevano gli investitori stranieri, pronti a fare delle terre altrui piccole miniere d’oro. Per quanto legati al “fallimento” si trovino anche motivi più connessi al terreno in sé e al mercato, la forte campagna da parte delle comunità agrarie e dei difensori della terra ha avuto i suoi succosi frutti. Nonostante le comunità che non hanno mai abbandonato la loro terra combattendo per essa, la maggior parte delle concessioni – per quanto “fallita” – esiste ancora sulla carta. Nel continente ci sono poi oltre 450.000 ettari di piantagioni di palme industriali su larga scala di cui più di 300.000 ettari sono di proprietà di sole cinque società e tra tutte spicca la Socfin, più grande produttore industriale di olio di palma in Africa. Con quasi 100.000 ettari in sette diversi paesi, la multinazionale è stata spesso attaccata dalle ONG e pesantemente criticata su più fronti, fino ad essere accusata lo scorso anno di evasione fiscale. Eppure, l’azienda resiste e persiste, occupando territori a discapito delle popolazioni e con un rispetto ambientale che esiste solo di facciata.

[di Francesca Naima]

Che cos’è la carne sintetica?

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Coltivare la carne non è più fantascienza ma realtà. La carne sintetica, chiamata anche dagli inglesi cultured meat (carne coltivata, o in vitro) è già stata creata in laboratorio e fa tanta paura all’industria della carne. Viene prodotta senza uccidere animali ma con una tecnologia molto più costosa e che richiede l’impiego di quantità maggiori di energia. Fermi tutti però: in realtà, al momento, si è prodotto solo un prototipo di questa carne sintetica e non si è ancora pronti per una produzione in larga scala, che possa sostituire almeno in parte la carne in commercio oggi. Prima che questo...

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Meta permetterà la pubblicazione di post violenti contro la Russia

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Meta, la società di proprietà di Marck Zuckerberg, permetterà agli iscritti alle piattaforme Facebook e Instagram di alcuni Paesi di postare contenuti di incitamento all’odio contro l’esercito russo e il presidente Putin. La pubblicazione di contenuti che inneggiano alla violenza è proibita dalle norme interne alla community, ma la società ha dichiarato che “come risultato dell’invasione russa in Ucraina” verrà fatta un’eccezione, secondo quanto riportato da Reuters. Il temporaneo cambiamento delle norme si applicherà in Armenia, Azerbaijan, Estonia, Georgia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia e Ucraina. L’ambasciata russa negli Stati Uniti ha chiesto a Washington di “fermare le attività estremiste” di Meta.

Dal 14 marzo la polizia sarà dotata di pistola taser in 18 città italiane

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Taser

A partire dal prossimo 14 marzo, in 18 città italiane le Forze di polizia saranno armate di taser. Si tratta di una pistola elettrica che paralizza temporaneamente la persona colpita ma che, secondo la Ministra degli Interni Luciana Lamorgese, «costituisce un passo importante per ridurre i rischi per l’incolumità del personale di polizia impegnato nelle attività di prevenzione e controllo del territorio». Nello specifico saranno 4.482 le armi ad impulso elettrico consegnate agli agenti, in 14 città metropolitane e in 4 capoluoghi di provincia (Caserta, Brindisi, Reggio Emilia e Padova). Il programma prevede però che l’iniziativa venga estesa, a partire da fine maggio, anche alle restanti aree del territorio nazionale.

 

La Ministra ha ribadito che in questo modo gli agenti saranno in grado di gestire in modo più efficace e sicuro le situazioni critiche e di pericolo. È davvero così? Capiamo meglio.

Il taser è stato introdotto per la prima volta nel 2004 in Regno Unito, affidato all’uso esclusivo degli agenti in Inghilterra e in Galles. Questi potevano usufruirne per un numero limitato di operazioni, e più in generale, solo in caso di estremo pericolo per la propria vita o per la sicurezza pubblica. Per la giurisdizione si tratta infatti di un’arma vera e propria (seppur non letale), che si aziona premendo il grilletto.

Dal click si diramano dal corpo della pistola due “dardi” collegati a fili conduttori che trasmettono una scarica di 63 microcoulomb di elettricità per 5 secondi. Che succede alla persona colpita? I suoi muscoli si paralizzano all’istante, anche se la mente rimane lucida e in grado di ascoltare. Ma il corpo è di fatto immobile. Tale effetto dovrebbe comunque svanire in poco tempo, permettendo al soggetto di recuperare una normale forma fisica. Tuttavia, indipendentemente dalle condizioni della “vittima”, gli agenti sono obbligati a richiedere l’intervento del personale sanitario.

Qual è stato l’iter italiano che ci ha portato fino a qui? Durante il Governo Conte I, nell’ottobre 2018, l’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, si fece promotore di un decreto legge – convertito poi in legge a fine anno– che introdusse l’utilizzo, in alcune zone, del taser per un periodo di prova.

Della pistola elettrica si è poi tornati a parlare nel gennaio 2020, dopo il via libera del Consiglio dei Ministri del Governo Conte II alla modifica delle norme del DPR 5 ottobre 1991. Le novità includevano un “ammodernamento” dell’armamento delle forze dell’ordine. In quell’anno l’utilizzo del taser è stato legalmente approvato in 12 città (Milano, Napoli, Genova, Torino, Bologna, Firenze, Palermo, Catania, Padova, Caserta, Reggio Emilia e Brindisi), autorizzato dal decreto legge 119/2014 e sua successiva proroga.

Tuttavia, nel luglio del 2020, l’attuale Ministro dell’Interno Lamorgese sospese l’utilizzo dell’arma con una circolare ministeriale, ritenuta non idonea dopo una serie di prove balistiche. Ma il suo ritiro, visto l’annuncio di questi giorni, è stato solo temporaneo.

Il taser serve davvero? Secondo uno studio dell’università di Cambridge di qualche anno fa, in realtà la pistola elettrica ha aumentato (quasi raddoppiato) il rischio che la polizia usi la violenza e che gli agenti vengano aggrediti. Mentre l’Organizzazione delle Nazioni Unite lo ha addirittura definito uno strumento di tortura.

Secondo una stima effettuata dall’agenzia Reuters, dall’inizio degli anni 2000, negli USA sarebbero state colpite a morte con un taser azionato dalla polizia 1.042 persone. Un quarto di loro soffriva di crisi psicotiche o disturbi neurologici, in nove casi su dieci la vittima era disarmata. Reuters ha potuto consultare le autopsie di 712 del totale delle vittime censite. In 153 casi il taser è indicato come unica causa o come fattore che ha contribuito alla morte, le altre autopsie menzionano invece una combinazione di problemi, da scompensi cardiaci all’abuso di droghe e traumi di vario genere.

[di Gloria Ferrari]

Istat: disoccupazione al 9,1% nell’ultimo trimestre 2021

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Nel quarto trimestre del 2021 il tasso di disoccupazione è stato pari al 9,1%, quindi stabile rispetto al trimestre precedente e in calo dello 0,7% rispetto allo stesso periodo del 2020. A comunicarlo è l’Istat attraverso un rapporto. Secondo i dati raccolti, i disoccupati sarebbero 2.277.000 (-0,3% sul terzo trimestre dello stesso anno e -5,4% sul quarto trimestre del 2020) e gli occupati 22.791.000, con un incremento rispetto al periodo precedente dello 0,4% (+80.000). Il tasso di occupazione si attesta dunque al 59,1%.

Bombe sui bambini o disinformazione? Cosa sappiamo di quanto successo a Mariupol

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Prima che essere un esempio di devastazione da guerra, il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol è un caso esemplare di confusione mediatica. Dichiarazioni, articoli di giornale, narrazioni, si sono rapidamente rincorse e smentite, rendendo impossibile farsi un’idea chiara di cosa sia successo il 9 marzo scorso. E questo non solo perché, come era prevedibile, la versione russa e quella ucraina sulla situazione all’ospedale sono diverse. Ma anche perché, in alcuni casi, sono le fonti di una stessa parte a divergere.

In questa situazione torbida, testate giornalistiche italiane non hanno comunque mancato di sospendere la deontologia professionale. Scegliendo arbitrariamente di trasmettere una sola versione, quella Ucraina, e spesso elevandola senza motivo a fonte certa e verificata, abbandonando oltretutto l’uso del condizionale. Ma le informazioni giunte, sino ad ora, non sono sufficienti per giudicare i fatti di Mariupol, rendendo evidente come siano  necessarie verifiche e conferme.

La notizia del bombardamento dell’ospedale pediatrico è stata data in primis dal premier ucraino Zelensky. Le sue parole, accompagnate da un video, sono state: «persone, bambini sono sotto le macerie. È un’atrocità! Per quanto tempo ancora il mondo sarà un complice che ignora il terrore? No fly zone adesso!». Tuttavia, quasi nello stesso momento, Pavlo Kyrylenko, attuale governatore del Donetsk Oblast, dichiarava che nell’attacco erano rimaste ferite 17 persone, ma che a quanto si sapeva non era morto nessuno: né donne né bambini. 

Da parte russa, poco dopo, è arrivata una decisa smentita, carica di accuse di fake news. Dmitry Polyanskiy, primo deputato e rappresentante permanente presso le Nazioni Unite della Russia, ha polemizzato per il modo in cui mezzi d’informazione occidentali e le stesse UN hanno parlato dell’accaduto: «Ecco come nasce una fakenews. Abbiamo avvertito nella nostra dichiarazione del 7 marzo che questo ospedale è stato trasformato in un oggetto militare dai radicali. Molto inquietante che l’ONU diffonda queste informazioni senza verifica».

Il comunicato russo del 7 marzo effettivamente esiste. È stato infatti pubblicato due giorni prima del bombardamento sul sito ufficiale della Rappresentanza russa alle UN. Vi si legge che le Forze Armate ucraine avrebbero da un po’ di tempo occupato l’ospedale pediatrico di Mariupol, rendendolo un appostamento militare per il tiro: «I radicali ucraini mostrano il loro vero volto ogni giorno di più. La gente del posto riferisce che le forze armate ucraine hanno cacciato il personale dell’ospedale n. 1 della città di Mariupol e hanno allestito un sito di tiro all’interno della struttura. Inoltre, hanno completamente distrutto uno degli asili della città»

In rete è poi possibile leggere un articolo di lenta.ru, sito di informazione russo, che confermerebbe la versione del comunicato. Pubblicato l’8 marzo, riporta il racconto di un cittadino, Igor, secondo cui l’ospedale di Mariupol era già stato evacuato e occupato da forze militari non identificate. Ecco il paragrafo in questione tradotto in Italiano: 

Igor ha detto che gli ultimi giorni di febbraio persone in uniforme sono arrivate all’ospedale di maternità, dove lavora sua madre. Riferisce che non sa se fossero combattenti delle Forze Armate ucraine o del battaglione nazionalista “Azov” (bandito nella Federazione Russa ). I militari hanno distrutto tutte le serrature, disperso il personale dell’ospedale e posizionato punti di fuoco, per preparare, come hanno spiegato ai medici, la “fortezza di Mariupol” alla difesa. La reazione dei militari alle obiezioni è standard: colpi con il calcio dei fucili, sparando in aria”.

A chi credere dunque? Le informazioni al momento non permettono di pendere da nessuna delle due parti. Siamo nel classico campo della battaglia informativa che accompagna ogni guerra

Ieri mattina, inoltre, la BBC ha pubblicato un video dove Sergei Orlov, vice sindaco di Mariupol, dichiara che a causa del bombardamento ci sarebbero 17 persone ferite e 3 morti, fra cui un bambino. Le nuove dichiarazioni sono compatibili con quelle di ieri, fatte dal governatore Pavlo Kyrylenko, tuttavia non è chiaro se le persone decedute fossero all’interno dell’ospedale. 

Fra i quotidiani ucraini che hanno trattato l’aggiornamento, vi è ad esempio Lb.ua. che riporta, come fonte, dei nuovi dati sulle vittime il profilo telegram del Comune di Mariupol. Effettivamente vi si trova un post dove si parla di tre persone decedute. Però non si dice di un bambino fra queste, ma una bambina. E alcune testate, anche italiane, come l’Adn Kronos, hanno riportato che “il bambino” aveva 6 anni. Il sospetto, a questo punto, è che vi sia un errore e che si tratti non di una vittima del bombardamento ma della bambina di 6 anni morta per disidratazione

È in questo quadro ancora poco chiaro che testate come la Repubblica, hanno titolato “L’agonia di Mariupol: mamme e bambini colpiti in ospedale”. Oppure “strage di donne e bimbi”, come ha fatto il Giornale di Brescia. Ma il titolo più gridato è forse stato quello di La Stampa. Senza la minima prova infatti il quotidiano torinese titola “Orrore a Mariupol: i bambini nel mirino” dando a intendere al lettore non solo che vi siano certamente morti e feriti, ma addirittura che l’intenzione russa fosse proprio quella di colpire civili, in particolare i più piccoli. 

Quale fosse l’intenzione dei russi è ancora da verificare, così come è da verificare ogni lato di questa notizia. Abbiamo invece certezza su quella dei giornalisti italiani che se ne sono usciti con titoloni: sposare la narrazione comoda all’Occidente e ignorare tutto il resto. Evidentemente, quando si tratta di guerra in Ucraina, non interessa più come stiano davvero le cose. Non c’è bisogno di verificare, è vero, giusto, fondato, solo ciò che viene una delle due parti in causa. E, naturalmente, al pubblico italiano va riportato con qualche esagerazione o abbellimento emotivo: così si fanno pure tanti click. Ma questa non è deontologia giornalistica. 

[di Andrea Giustini]

Le forze della NATO si stanno addestrando in Piemonte

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È iniziata in Piemonte l’esercitazione Volpe bianca – CaSTA2022, che vedrà impegnate per due settimane forze della NATO sul territorio italiano della Via lattea. Si tratta di un appuntamento annuale, non legato dunque alle attuali circostanze geopolitiche, che ha come obiettivo la verifica del livello di addestramento in ambiente invernale delle truppe di montagna. L’esercitazione spazierà dal soccorso al movimento e combattimento in alta quota, definito in gergo NATO come Mountain Warfare.

Alla 72° edizione dell’addestramento, interrotto soltanto negli ultimi due anni causa pandemia, prenderanno parte le Brigate Julia e Taurinense e il Centro Addestramento Alpino, a cui si aggiungeranno la 27ª Brigata di Fanteria da Montagna francese e la 173ª Brigata Aviotrasportata dell’esercito statunitense. L’appuntamento di quest’anno, sviluppato all’interno di un perimetro di circa 60 km², verrà suddiviso in due fasi: nella prima è prevista una collaborazione con reparti specialistici dell’Esercito, intervento di elicotteri, velivoli senza pilota Raven e sistemi di comunicazione con copertura satellitare. Nella seconda fase, chiamata invece “ricognizione sul ghiaccio”, le forze NATO prenderanno parte alla tradizionale gara di pattuglia, confrontandosi su diverse attività, tra cui: topografia, tiro, trasporto di un ferito, superamento di un ostacolo naturale, navigazione tattica, collegamenti radio e realizzazione di un bivacco.

«La montagna è quel caratteristico ambiente che impone una familiarizzazione e una preparazione fisica e mentale specifiche» ha spiegato il Comandante delle Truppe Alpine dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Ignazio Gamba. «In 150 anni di vita del Corpo degli Alpini, noi soldati di montagna abbiamo affinato e fatto sempre più nostre le caratteristiche di articità e verticalità, che ormai fanno parte del nostro Dna: la capacità di vivere, muovere e combattere in climi rigidi e in ambienti dove lo sviluppo verticale del movimento tempra e garantisce la consapevolezza di saper operare in tutti gli ambienti non permissivi».

[Di Salvatore Toscano]