mercoledì 17 Settembre 2025
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I ghepardi tornano in India a 70 anni dall’ultimo avvistamento

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Cinquanta ghepardi verranno introdotti in India nei prossimi anni, lo ha annunciato il Ministero dell’Ambiente. Un’iniziativa che avrebbe dovuto concretizzarsi nel Madhya Pradesh (India centrale) già a novembre dello scorso anno ma, a causa della pandemia, il piano è fallito. Ciononostante il paese non ha abbandonato l’idea di ripopolare il territorio con un esemplare estinto dal 1952, e ha lanciato il piano d’azione alla 19a riunione della National Tiger Conservation Authority (NTCA), assicurando che 10/12 giovani ghepardi saranno importati dalla Namibia o dal Sud Africa e fungeranno da ceppo fondatore.

L’azione di ripopolamento di ghepardi in India richiederà pazienza e conoscenza della specie. I maschi, infatti, dovranno già essere un branco, così come le femmine, le quali verranno scelte in base a una preesistente coalizione tra loro. Inoltre è fondamentale che il lignaggio degli animali venga ben verificato per avere la certezza che gli esemplari non provengano da un ceppo eccessivamente consanguineo, e che questi rientrino nella fascia di età ideale. Solo in questo modo, infatti, la reintroduzione del grande felino nel territorio indiano, potrà dare i risultati sperati.

Tra i dieci siti – cinque stati dell’India centrale – presi in considerazione per la scelta del territorio in cui liberare i ghepardi, il Kuno Palpur National Park (KNP) nel Madhya Pradesh è stato posto in cima alla lista per via del suo habitat particolarmente adatto allo sviluppo della specie, e all’adeguata presenza di prede. Secondo quanto stabilito, il governo centrale, in cooperazione col Ministero dell’Ambiente, creerà un quadro organizzativo per collaborare con i governi della Namibia e del Sud Africa, attraverso il Ministero degli Affari Esteri.

Oltre al piano di ripopolamento del ghepardo, l’India si è attivata anche per un altro grande felino: la tigre. Questo, infatti, è un esemplare a rischio, e le cause sono principalmente tre: il bracconaggio con fucili ad aria compressa, la scarsa presenza di prede e la consistente perdita di habitat per via della domanda sempre più crescente di terre boschive. Pertanto, si è resa necessaria una gestione mirata della specie.

Tutto ha avuto inizio nel 2005, quando la National Tiger Conservation Authority, in collaborazione con il Wildlife Institute of India e altri partner minori, hanno stabilito di condurre una valutazione scientifica a livello nazionale dello stato della tigre (co-predatori, prede e habitat), ogni quattro anni. La prima è stata effettuata nel 2006 e, a seguire, nel 2010, 2014 e 2018. Il primo anno, la popolazione delle tigri contava 1411 esemplari, un numero eccessivamente inferiore rispetto alle stime precedenti (1660 circa), e ciò ha portato alla decisione di introdurre importanti cambiamenti per la preservazione dell’animale selvatico, come il trasferimento di alcuni villaggi in aree lontane dal suo habitat ideale. Fortunatamente, tali provvedimenti sono serviti e, in quindici anni, la popolazione delle tigri è raddoppiata. Nel 2018, infatti, sono stati individuati 2967 esemplari.

[di Eugenia Greco]

I non-fungible token (NFT), questi sconosciuti

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Zoë Roth è una ventenne originaria di Mebane, Carolina del Nord. Per molti versi, la sua è una storia comune a quella di molte altre giovani americane e la sua preoccupazione principale è stata a lungo quella di racimolare la cifra necessaria a saldare gli onerosi debiti accumulati per finanziarsi un’educazione. Quello che distingue Zoë dalle sue compagne di studio è il fatto che il padre ha avuto la prontezza di riflessi di immortalarla quando, ancora bambina, stava osservando con fare beffardo e un po' maligno un edificio che stava venendo consumato dalle fiamme. Quella foto ha prima vinto u...

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Clima: gli ultimi 7 anni sono stati i più caldi a livello globale

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Gli ultimi sette anni sono stati i più caldi a livello globale, con le concentrazioni di anidride carbonica e metano in costante aumento: è quanto si apprende dal rapporto annuale del Copernicus Climate Change Service dell’Unione Europea. Il record positivo se lo è aggiudicato il 2021, che secondo il rapporto è stato tra gli anni più freschi insieme al 2015 ed al 2018. Nonostante ciò, però, l’Europa ha avuto a che fare nel 2021 con la sua estate più calda, seppur simile alle precedenti estati più calde del 2010 e del 2018. Inoltre, l’analisi preliminare dei dati satellitari ha suggerito che la tendenza al progressivo aumento delle concentrazioni di CO2 si è verificata anche nel 2021 portando ad un record globale annuo medio di concentrazione della stessa, ossia circa 414.3 parti per milioni (ppm).

Fake news e omissioni: riassunto della conferenza stampa di Draghi sull’obbligo vaccinale

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Si è svolta ieri la conferenza con la quale il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha incontrato la stampa per spiegare i contenuti del decreto che ha introdotto il cosiddetto obbligo vaccinale per gli over 50. Un incontro avvenuto con 5 giorni di ritardo, il cui svolgimento è stato contrassegnato da un’anomalia che profila ancora una volta i contorni autoreferenziali del governo in carica: sono stati esclusi tutti i giornalisti appartenenti a testate giornalistiche non solo contrarie ma anche solo blandamente critiche verso l’operato del governo in tema pandemico. Un filtro che ha permesso una sola domanda vagamente in grado di mettere in difficoltà il presidente del Consiglio, posta da un giornalista della testata britannica The Times: questione alla quale, come vedremo, oltretutto Draghi non ha risposto.

Tutta colpa dei non vaccinati. Senza nemmeno attendere le domande, già nell’introduzione, il premier Draghi è voluto partire con il leitmotiv usuale del governo e degli organi di stampa mainstream: «Gran parte dei problemi che abbiamo oggi dipende dal fatto che ci sono dei non vaccinati». Una bufala al pari di quelle rifilate nella Conferenza stampa del 22 luglio scorso (quella in cui ebbe l’ardire di affermare che il green pass garantisce di «ritrovarsi tra persone non contagiose»). L’Italia è il paese dove dopo due anni non si sono adeguati gli ospedali e i loro organici (colpiti da 37 miliardi di euro di tagli negli ultimi 10 anni), dove non esiste tracciamento, dove effettuare un tampone è una costosa odissea, dove nelle scuole le uniche misure di protezione adottate sono i banchi monoposto, dove le mascherine Ffp2 sono in vendita a 2,50 euro l’una, dove chi è positivo si trova ancora ad avere come unica terapia domiciliare la tachipirina e l’auto-monitoraggio del livello di saturazione. In un paese come questo affermare che la colpa «dei gran parte di problemi che abbiamo» è dei non vaccinati è evidentemente una bugia. Una menzogna che porta il duplice risultato di continuare ad alimentare la corsa “all’untore no-vax” e al tempo stesso di deresponsabilizzare il governo dalle evidenti mancanze di cui una stampa indipendente dovrebbe chiedere conto. Ma “indipendente” non è certo l’aggettivo più calzante per il giornalismo italiano, tanto meno per quello rappresentato alla conferenza di palazzo Chigi, quindi i temi degni di nota da riportare sono assai pochi. Eccoli:

Rientro a scuola: Draghi ha difeso la decisione di riaprire le scuole regolarmente, senza ricorso alla didattica a distanza generalizzata come richiesto da diversi presidenti di Regione, rivendicando il principio che la scuola deve essere l’ultima attività a chiudere e non la prima, anche per far fronte alle disuguaglianze provocate dalla Dad. Nessuna risposta invece sul caos mascherine Ffp2, rese obbligatorie a scuola e promesse in dotazione ma ad oggi ancora non consegnate se non in minima parte.

Nessuna risposta sull’obbligo vaccinale generalizzato: un giornalista del quotidiano Avvenire ha provato a chiedere a Draghi verso quale scenario si muove il governo e se si prevede l’introduzione dell’obbligo vaccinale per tutta la popolazione. Draghi si è limitato ad affermare che lo scenario deve essere caratterizzato da «prudenza, rispetto delle regole, vaccinazione e molta fiducia». Nessuna risposta sull’obbligo vaccinale.

Le cure anticovid: il giornalista Giulio Gambino (The Post Internazionale) chiede al premier come mai il governo non abbia adottato verso le cure anti-Covid la stessa spinta dedicata alle vaccinazioni. Draghi non tenta nemmeno una risposta limitandosi a dire «darei la parole su questo al ministro Speranza e al professor Locatelli (coordinatore del CTS, ndr)». Locatelli afferma che vi è stata ampia attenzione su anticorpi monoclonali e farmaci antivirali, tuttavia il fatto che solo uno degli anticorpi monoclonali approvati si sia dimostrato efficace contro variante Omicron provoca difficoltà. Il referente del CTS ha affermato che un altro farmaco sarà disponibile non prima di marzo a causa dei tempi richiesti dalla Casa farmaceutica produttrice. Fino a qui la risposta tecnica, sarebbe stato opportuno che il ministro Speranza prendesse a sua volta parola per spiegare per quale ragione l’Italia, dopo due anni di pandemia, sia sostanzialmente al palo con il tracciamento, al punto che non vi sono dati su quale sia la preminenza attuale della variante Omicron nel Paese, fattore che evidentemente rende assai complicato per gli ospedali curare i soggetti che necessitano di trattamento, visto che solo uno dei dieci farmaci monoclonali approvati mostra efficacia contro la variante in questione. Speranza però ha preferito non prendere parola, nonostante l’invito del premier a farlo.

Il confronto con le politiche inglesi: Tom Kingdom, giornalista del quotidiano inglese The Times, pone una questione interessante a partire dalla situazione del Regno Unito, dove il premier Boris Johnson ha scelto di non porre nuove restrizioni e nonostante questo la curva pandemica sta decelerando. «L’Italia ha scelto di fare praticamente il contrario, quindi vorrei una sua riflessione su questo», ha chiesto il corrispondente britannico. Lapidario e sviante il presidente del Consiglio: «È molto difficile per me dare giudizi sulla politica del Regno Unito. Ho già gran difficoltà a farlo su quanto succede da noi, grazie». Fine.

Molti altri giornalisti hanno infatti preferito presentare le solite stucchevoli domande sulle beghe di governo e la corsa al Quirinale, quindi, queste sono in buona sostanza le domande poste al presidente del Consiglio sulla gestione pandemica. Poco, dato anche il filtro posto sulle testate partecipanti, ma qualche spunto di interesse pubblico c’era. Peccato che a nessuno dei punti rilevanti posti sia stata data risposta. Obbligo vaccinale generalizzato, cure, tracciamento e confronto con le più permissive politiche inglesi: su nessuno di questi punti né Mario Draghi né Roberto Speranza hanno ritenuto di dedicare una sola parola, driblando accuratamente le domande.

USA, trapiantato cuore di maiale in paziente terminale

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Negli Stati Uniti è stato effettuato un intervento di trapianto di un cuore di maiale geneticamente modificato in un paziente di 57 anni con una malattia cardiaca terminale. L’operazione, realizzata dall’Università di Medicina del Maryland, segna una pietra miliare nella storia della medicina, non essendovi infatti stato rigetto immediato. Sono trascorsi appena tre giorni dall’operazione ed è ancora troppo presto per stabilire se il trapianto si possa ritenere effettivamente concluso con successo: per il momento il paziente viene monitoriato ed è in buona salute. La sua condizione clinica lo aveva reso ineleggibile per un trapianto di cuore umano, motivo per cui la FDA ha concesso la sperimentazione come soluzione in extremis.

Il caso Djokovic riporta l’attenzione sulla condizione dei migranti in Australia

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La vicenda che ha visto protagonista il tennista serbo numero uno al mondo Novak Djokovic, chiuso per alcuni giorni all’interno di un hotel che accoglie migranti in attesa di permesso di soggiorno le cui condizioni di igiene erano a dir poco pessime, ha acceso i riflettori sulla condizione dei migranti che richiedono asilo in Australia. Si tratta di una situazione che da anni viene denunciata da numerose ONG internazionali, tra le quali Amnesty International, Human Rights Watch e Save the Children, le quali hanno più volte descritto l’allarmante situazione nella quale si vengono a trovare i richiedenti asilo arrivati nel Paese via mare. Tra questi, alcuni attendono da più di nove anni di veder regolarizzata la propria posizione.

Le condizioni nelle quali è stato detenuto “il più forte sportivo al mondo” in attesa della decisione circa la possibilità di rimanere sul territorio australiano hanno suscitato l’indiganzione della comunità internazionale, se non altro quella sportiva. A prescindere dall’esito della vicenda, tutto si concluderà nel migliore dei modi per Novak Djokovic, che partecipi o meno agli Australian Open. All’interno dell’hotel in cui si trovava, tuttavia, vivono più di 30 rifugiati, i quali attendono da mesi, se non anni, di vedere regolarizzata la propria condizione di immigrati e tornare alla libertà. All’interno della struttura fatiscente, dalla quale non sono autorizzati ad uscire, vivono in una condizione di abbandono morale e materiale da parte delle istituzioni: le camere sono popolate dagli scarafaggi ed il cibo è deteriorato e a volte infestato di larve.

 

Il Park Hotel è solo uno dei numerosi APOD, ovvero luoghi di detenzione alternativa, nei quali vengono detenuti i migranti. Secondo il Dipartimento degli Affari Interni sono almeno 103 le persone detenute in questi luoghi al 30 settembre 2021, su una popolazione totale di 1459 migranti in detenzione. Di questi, 317 (quasi il 22%) si trovano in detenzione da più di 3 anni, 117 (l’8%) da più di 5 anni. La media della durata della detenzione per un migrante è di 2 anni circa.

Il ricorso alla detenzione, in particolare di bambini e famiglie, è utilizzato dal governo australiano come deterrente per scoraggiare l’arrivo di altri migranti, nonostante si tratti di una misura che andrebbe utilizzata in modo eccezionale e nonostante si sia cercato di abolirla con le modifiche del 2013 al Migration Act. Se per gli adulti, inoltre, il tempo di detenzione andrebbe ridotto il più possibile, i bambini non dovrebbero finirci affatto. L’approccio duro lungo i confini è tuttavia una tattica utilizzata dai governi populisti australiani da anni, che contribuisce a giustificare gli abusi come mezzi d’intervento.

Associazioni come Human Rights Watch (HRW) e Save the Children denunciano da anni la situazione di migranti e minori in questi centri. Nonostante gli investimenti straordinari (più di nove miliardi di dollari) fatti tra il 2013 e il 2016 per potenziare le strutture esistenti e costruirne di nuove, le condizioni di vita all’interno rimangono deprecabili. Va notato che l’Australia è Paese firmatario della Convenzione sui Rifugiati ed è un paese ricco e benestante, ragion per cui i servizi fondamentali come l’accesso alle cure mediche e all’educazione dovrebbe essere garantito. Tra le problematiche riscontrate all’interno dei centri, in particolare in quelli situati all’esterno dei confini Australiani come quelli nell’isola di Nauru o in Papua Nuova Guinea, vi sono la scarsa possibilità di accesso all’acqua, l’alto tasso di violenza e di aggressioni sessuali sui bambini, la mancanza di programmi per la tutela dei minori, le perquisizioni giornaliere e generali condizioni di abbandono. Episodi di tentato suicidio e di sindrome da stress post traumatico (PTSD) come conseguenza delle condizioni di detenzione sono stati riscontrati in moltissimi bambini.

Nel 2016, il consulente per i diritti dei bambini di HRW aveva affermato che “Portare i rifugiati adulti e persino bambini al punto di rottura con abusi continuativi sembra essere uno degli obiettivi dell’Australia“. Le autorità australiane, denuncia HRW, sono consapevoli degli abusi che avvengono, ma il fatto che questi vengano ignorati suggerisce che la violenza consapevole sia parte della politica di gestione dell’immigrazione.

Quando i riflettori sulla vicenda di Djokovic si abbasseranno, è auspicabile che l’attenzione della comunità internazionale rimanga alta. Quando a calpestare i diritti fondamentali sono i Paesi ricchi che se ne fanno promotori, il silenzio della comunità è ancora più assordante.

[di Valeria Casolaro]

Fonti fossili, gli interessi dell’Italia in Kazakistan

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Tra proteste e violente repressioni, l’Italia guarda con apprensione quanto sta accadendo in Kazakistan. Il motivo, tuttavia, non ha a che fare con una particolare sensibilità alle tematiche sociali, bensì riguarda gli interessi fossili del nostro Paese. Il Kazakistan, infatti, è il nostro nono partner in termini di valore importato di petrolio greggio. Solo nei primi mesi del 2021, ci ha fornito oltre 517 milioni di euro di petrolio: più del 60% del valore delle importazioni totali. Non a caso, il Paese asiatico – come evidenziano i dati dell’International Energy Agency – rientra tra i primi produttori al mondo di petrolio, gas e carbone. E, nel 2020, si è attestato alla 14esima posizione della lista dei produttori globali di greggio.

Ma che la ‘rivolta del gas‘ resti senza conseguenze lo auspicano anche diversi colossi economici privati. I copiosi giacimenti di idrocarburi fossili che il Kazakistan ospita, parlando ancora di relazioni con l’Italia, non sono ad esempio passati inosservati alla multinazionale ‘nostrana’ Eni. Il Cane a sei zampe è presente nel Paese dal 1992. Un’alleanza strategica storica e recentemente rafforzata: nel 2020, le attività di sviluppo del giacimento Kashagan, dove Eni detiene il 16,81%, hanno puntato a un progressivo aumento fino a raggiungere i 450 mila barili di olio al giorno. Così, già nel primo semestre del 2021, il 9% della produzione di idrocarburi da parte di Eni è stato in quota kazaka. Ma per la multinazionale italiana, il Kazakistan è anche terreno fertile per attuare la sua personale ‘transizione energetica’. Nel luglio 2021, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha incontrato il presidente Tokayev e il primo ministro Mamin, siglando accordi con la compagnia nazionale KazMunaiGas per lo sviluppo di progetti nell’ambito di energie rinnovabili, idrogeno e biomasse. «Attraverso la propria controllata locale Arm Wild LLP, in mano al 100% al socio Eni Energy Solutions BV, domiciliato nell’Olanda a fiscalità agevolata – rende noto AltreconomiaEni ha annunciato di voler realizzare due parchi eolici e un impianto fotovoltaico per una capacità totale di circa 150 MW».

Ad ogni modo, oltre le fossili, il Kazakistan resta una nazione strategica per l’Italia. I benefici commerciali sono infatti a doppio senso. Nel 2018, l’export italiano di vari beni a favore dei partner kazaki aveva raggiunto la quota di 1 miliardo e 86,35 milioni di euro. E addirittura l’anno successivo, tra gli Stati membri Ue, la nostra Penisola ne era il primo alleato commerciale. Poi il crollo del 15% nelle esportazioni Made in Italy come conseguenza della pandemia. Ora, mentre si fatica a riportare gli scambi al vigore originario, in tanti, Italia in primis, temono per i risvolti delle proteste. In termini commerciali, non umanitari, chiaro.

[di Simone Valeri]

Kazakistan, tra due giorni ritiro truppe guidate dalla Russia

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Le truppe del CSTO, alleanza militare formata da sei repubbliche ex-sovietiche e guidata dalla Russia, si ritireranno dal Kazakistan entro due giorni. È quanto affermato dal presidente kazako Toqaev, che ha dichiarato “completata con successo” la missione del CSTO e falliti i tentativi di colpo di Stato. Toqaev ha anche dichiarato la creazione di nuove unità delle Forze Speciali e della Guardia Nazionale e nominato Alikhan Smailov nuovo primo ministro. Il 2 gennaio in Kazakistan erano esplose proteste che avevano portato a scontri violenti in tutto il Paese, situazione attribuita dal presidente Toqaev alla presenza di “estremisti islamisti” provenienti dall’estero. Per riprendere il controllo della situazione, Toqaev aveva richiesto l’intervento delle truppe del CSTO.

Obbligo vaccinale: le risposte ai dubbi sul nuovo decreto del Governo

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È stato pubblicato venerdì sulla Gazzetta Ufficiale il nuovo decreto legge con cui, come è noto, è stato introdotto il cosiddetto obbligo vaccinale per gli italiani che abbiano compiuto i 50 anni di età. L’analisi del testo ufficiale è quanto permette di comprendere pienamente alcune pieghe del provvedimento e chiarire dei punti che analizzando solo la sua bozza erano rimasti non chiari. Il decreto stabilisce che l’obbligo vaccinale inizi dalla data di entrata in vigore dello stesso – ossia l’8 gennaio – e duri fino al 15 giugno 2022. La disposizione si applica anche agli individui che al momento non hanno ancora 50 anni ma li compiranno entro il 15 giugno, e ad essere potenzialmente esenti dalla stessa sono solo coloro che per motivi di salute, attestati dal medico di base o dal medico vaccinatore, non possono sottoporsi alla vaccinazione: in questi casi infatti la stessa può essere omessa o differita. A produrre esclusivamente il differimento della vaccinazione, poi, è l’infezione da SARS-CoV-2, che «determina il differimento fino alla prima data utile prevista sulla base delle circolari del Ministero della salute».

Fatta questa breve premessa, bisogna specificare che l’obbligo seppur sia scattato formalmente l’8 gennaio sarà effettivamente in vigore dal primo febbraio: è a partire da tale data, infatti, che sarà applicata la sanzione prevista per chi non lo rispetterà, ossia una semplice sanzione amministrativa pecuniaria da 100 euro una tantum. Essa sarà irrogata a tutti i 50enni che entro il primo febbraio non abbiano «iniziato il ciclo vaccinale primario», che «a decorrere dal 1° febbraio 2022 non abbiano effettuato la dose di completamento del ciclo vaccinale primario nel rispetto delle indicazioni e nei termini previsti con circolare del Ministero della salute» e che, sempre a decorrere da tale data, «non abbiano effettuato la dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario entro i termini di validità delle certificazioni verdi Covid-19». Proprio in virtù di tale sanzione però, adesso si può comunque parlare di obbligo vaccinale, che al momento della diffusione della bozza non sembrava di fatto esserci per tutti dato che nella stessa erano praticamente previste sanzioni esclusivamente per i lavoratori. Si tratta però di un obbligo dalle sanzioni piuttosto tenui, dato che la multa è comminata “una tantum”, ovvero una sola volta. D’altra parte però permarranno tutte le prescrizioni dettate dal non possesso della certificazione verde rafforzata.

Per ciò che concerne l’irrogazione della sanzione, essa sarà «effettuata dal Ministero della salute per il tramite dell’Agenzia delle entrate-Riscossione che vi provvederà, sulla base degli elenchi dei soggetti inadempienti all’obbligo vaccinale periodicamente predisposti e trasmessi dal medesimo Ministero». Il Ministero della salute, sempre avvalendosi dell’Agenzia delle entrate, comunicherà dunque ai soggetti inadempienti l’avvio del procedimento sanzionatorio, indicando altresì ai destinatari il termine perentorio di dieci giorni dalla ricezione per comunicare all’Azienda sanitaria locale competente per territorio l’eventuale certificazione relativa al differimento o all’esenzione dall’obbligo vaccinale, oppure la presenza di un’altra ragione di «assoluta e oggettiva impossibilità».

Vi è poi un’altra serie di controlli e sanzioni che riguardano i luoghi di lavoro: a partire dal 15 febbraio tutti lavoratori over 50 (pubblici, privati, e liberi professionisti) saranno tenuti a possedere ed esibire il super green pass (ottenibile tramite vaccinazione o guarigione) all’accesso al luogo di lavoro. I controlli spetteranno ai datori di lavoro pubblici e privati ed ai responsabili della sicurezza delle strutture in cui si svolge l’attività giudiziaria: nel caso di accesso ai luoghi di lavoro in violazione dell’obbligo vaccinale, scatterà una sanzione che potrà andare da 600 a 1.500 euro. Invece, i lavoratori che comunicheranno di non essere in possesso del super green pass o che semplicemente ne risulteranno sprovvisti al momento dell’accesso al luogo di lavoro, saranno considerati assenti ingiustificati: per loro scatterà il blocco dello stipendio e di qualsiasi altro compenso o emolumento, ma non ci saranno conseguenze disciplinari e vi sarà comunque il diritto alla conservazione del posto di lavoro. Infine, bisogna ricordare che ai lavoratori over 50 sopracitati si aggiungono anche quelli di qualsiasi età dell’università e delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica e degli istituti tecnici superiori, ai quali si è deciso infatti di estendere dal primo febbraio l’obbligo del vaccino.

Detto questo, non si può non sottolineare come vi siano alcuni punti critici legati alle nuove misure introdotte: il primo è legato agli eventuali effetti avversi, che in base a quanto previsto dalla legge lo Stato introducendo l’obbligo dovrebbe risarcire. Eppure la volontà dello Stato di farsi carico delle reazioni avverse viene messa in dubbio dalla attuale presenza del consenso informato, nel quale in merito agli effetti collaterali si legge semplicemente che sarà responsabilità del cittadino “informare immediatamente il proprio Medico curante e seguirne le indicazioni”. Una stranezza di cui si è reso conto il Codacons, che ha richiesto in una nota al Governo di modificare il foglio di consenso informato per coloro per i quali è stato introdotto l’obbligo, minacciando una raffica di ricorsi in tribunale contro lo Stato se ciò non dovesse essere fatto.

A ciò si aggiunga che anche il modo in cui l’obbligo è stato introdotto, ossia il decreto legge, lascia abbastanza perplessi. L’articolo 32 della Costituzione, infatti, prevede che nessuno possa essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Questo non vuol dire che il decreto legge non possa essere utilizzato, trattandosi di un atto avente forza di legge da convertire in legge entro 60 giorni, ma che senza dubbio introdurre l’obbligo direttamente tramite una legge sarebbe stato maggiormente corretto dal punto di vista costituzionale. Infatti, se il decreto legge non viene convertito in legge, esso perde efficacia retroattivamente. Ciò genera un problema di non poco conto in tal caso, in quanto se, ad esempio, il Parlamento non convertisse il decreto i suoi effetti non potrebbero essere rimossi. Per dirla in altre parole, coloro che nei giorni a venire si sottoporranno alla vaccinazione in virtù dell’attuale obbligo, non potrebbero di certo divenire nuovamente non vaccinati nel caso in cui il Parlamento non lo convertisse in legge. Vero che si tratta di una ipotesi trascurabile in una legislatura nella quale il Parlamento è divenuto approvatore acritico dei provvedimenti governativi, tuttavia la Costituzione prescriverebbe di prendere quantomeno in considerazione l’ipotesi.

[di Raffaele De Luca]

Morto David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo

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È venuto a mancare nella notte David Sassoli, 65 anni, volto storico del giornalismo italiano e presidente del Parlamento europeo. Era ricoverato dal 26 dicembre scorso per una grave disfunzione del sistema immunitario. Nel 2009 Sassoli aveva lasciato la conduzione del Tg1 per dedicarsi alla politica, divenendo capo della delegazione Pd presso il Parlamento europeo. La carriera da eurodeputato lo aveva portato presto a ricoprire il ruolo di vicepresidente e poi quello di Presidente dell’assemblea: è stato il secondo italiano a ricoprire l’incarico, il cui mandato sarebbe scaduto a giorni. Del suo ricovero si era appreso solamente nella giornata di ieri 10 gennaio: stamattina il suo portavoce Roberto Cuillo ne ha annunciato il decesso.