Un’esplosione verificatasi a bordo di un autobus, in Pakistan, ha causato la morte di almeno 13 persone, di cui 9 cittadini cinesi. L’incidente nello specifico è avvenuto nel distretto di Upper Kohistan, situato nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa (Sarhad) ed ha provocato anche 28 feriti, tutti di nazionalità cinese. A renderlo noto è stato un funzionario locale, il quale ha spiegato che l’esplosione ha generato un incendio e che l’autoveicolo è successivamente precipitato in un burrone ed è finito sulla sponda di un fiume.
Blitz antimafia a Palermo: 11 misure cautelari
I Carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno dato esecuzione ad una misura cautelare nei confronti di 11 persone della famiglia mafiosa di Torretta, comune in provincia di Palermo appartenente al mandamento di Passo di Rigano. Quest’ultima è nota per avere solidi legami con la mafia newyorkese. Gli individui sono accusati a vario titolo di: associazione di tipo mafioso, favoreggiamento personale, detenzione di stupefacenti e tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Nove di essi sono finiti in carcere, uno ai domiciliari ed uno all’obbligo di dimora nel comune di residenza.
Sudafrica: proteste in tutto il Paese, almeno 45 morti
Si intensificano in tutto il Sudafrica le proteste a seguito dell’arresto dell’ex presidente Jacob Zuma, finito in carcere con una condanna a 15 mesi per oltraggio alla corte, per non essersi presentato davanti agli inquirenti nel processo per corruzione. Secondo quanto riferito da media locali sarebbero almeno 45 i manifestanti rimasti uccisi nelle manifestazioni, per fronteggiare le quali il governo ha schierato l’esercito. I manifestanti arrestati sono almeno 757, la maggior parte a seguito delle proteste nella capitale Johannesburg.
Tutti uniti per il calcio, ok ci sta! Ma se diventassimo popolo anche per le cose importanti?
Ancora una volta l’Italia si è stretta attorno alla propria nazionale di calcio. Le immagini delle piazze durante la finale degli Europei, vinta contro l’Inghilterra, ci restituiscono le scene di migliaia di connazionali festanti, per una volta strappati a vite sempre più orientate al privato per una nottata di dimensione collettiva. Tutto molto bello, sul serio. I facili moralismi dei bastian contrari a tutti i costi che bacchettano l’incongruenza del celebrare una squadra di milionari viziati non hanno senso. Piaccia o meno, il calcio è sport nazionale ed è normale, legittimo e anche bello che una nazione si riversi in strada a celebrarne il successo. E poi, dopotutto, non si capisce per quale ragione scatenarsi nella festa per una occasione ludica dovrebbe impedire ad una persona di essere anche conscia e impegnata sulle cose importanti. La storia è piena di grandi personaggi, che hanno lottato in prima persona per cambiare le cose e che erano anche ferventi tifosi.
Una volta, dopo la vittoria dei mondiali di calcio del 1982, un cronista chiese al presidente Pertini – uno che la lotta per i suoi ideali, prima come partigiano e poi in tempo di pace, non l’ha certo mai mancata – se i festeggiamenti non fossero una esagerazione che rischiava di far dimenticare agli italiani i problemi reali. Il presidente si arrabbiò, affermando: «ma ci dovrà pur essere una sosta dalle preoccupazioni. Sarebbe come andare a dire a chi è felice alla domenica “ma cos’hai da essere felice che domani sarà lunedì?”. Oggi pensiamo alla domenica, il lunedì lo affronteremo a suo tempo». È giusto, e se tanti la loro “domenica” vogliono passarla gioendo o soffrendo per il calcio non si capisce cosa ci sia da obiettare.
Tuttavia non si può non notare come gli italiani sembrino aver perso ormai ogni altra possibile dimensione collettiva se non legata a qualche cosa di ludico. Si scende in strada per il calcio, ma per tutto il resto – al massimo – c’è un post di protesta su Facebook? È questa la cosa che non ha senso. Così si rischia di diventare sempre più un popolo di professionisti della lamentela, che ha dimenticato come scendere uniti in piazza possa servire anche per cambiare le cose o per pretendere misure politiche che non vadano contro gli interessi collettivi. Una nazione che, in definitiva, accetta ogni cosa pensando non ci sia nulla che si possa fare: governi non eletti a ripetizione, l’introduzione di misure che erodono i diritti sul lavoro, limitazioni alle libertà personali senza precedenti.
Eppure non è così. In Francia, ad esempio, la determinazione popolare nelle proteste contro la nuova legge sulla sicurezza che impediva ai cittadini di filmare le forze dell’ordine ha portato alla sua modifica e sempre in Francia – popolo che in quanto a fermezza nel difendere i propri diritti andrebbe preso ad esempio – i vari governi da anni non riescono a far passare una riforma delle pensioni molto più timida di quella “lacrime e sangue” varata nel 2011 in Italia dalla ministra Fornero, perché ogni volta che ci provano si trovano centinaia di migliaia di francesi in piazza e scioperi in tutti i posti di lavoro. Anche in Spagna, dopo le proteste seguite all’arresto per reati di opinione del rapper Pablo Hasél, il governo si è dovuto impegnare a rivedere le norme contro la libertà di espressione. In Italia, pure, non mancano gli esempi: poche settimane fa i portuali di Ravenna sono riusciti a fermare i carichi d’armi che salpavano verso Israele, mentre in Val di Susa, da oltre vent’anni, la determinazione e l’unità dei cittadini impedisce la costruzione del Tav. Insomma, celebriamo pure i successi nello sport, ma ricordiamo che se utilizzassimo una frazione della stessa determinazione per cercare di cambiare le cose che non vanno avremmo molto più spesso delle buone ragioni per festeggiare, magari anche per cose che contano davvero.
Haiti dopo l’uccisione del presidente è nel caos, diversi indizi portano verso gli Usa
All’alba di mercoledì 7 luglio, un commando di mercenari ha fatto irruzione a casa del Presidente haitiano, Jovenel Moïse, 53 anni, crivellandolo fatalmente di colpi sotto gli occhi della moglie, ferita a sua volta, e del figlio. Si è trattata di una spedizione omicida portata avanti da una rete straniera composta da almeno 28 persone, perlopiù ex soldati colombiani che hanno raggiunto la nazione passando dalla Repubblica Dominicana e muovendosi adoperando delle Nissan Patrol nuove di zecca e prive di targa.
La polizia locale ha ucciso tre sospetti in occasione di uno scontro a fuoco e ha fermato almeno diciassette persone, tutte colombiane se non fosse per la presenza di due statunitensi di origini haitiane, James Solages, 35, e Joseph Vincent, 55. In quello che viene identificato come il plotone di esecuzione figurano ex informatori dell’FBI e della DEA, nonché Manuel Antonio Grosso Guarín, 41, ex militare pluridecorato che è stato più volte coinvolto come operativo dall’Intelligence USA. Gli Stati Uniti hanno immediatamente notificato di aver rescisso ormai da tempo i legami con i presunti killer.
Le autorità in carica, le opposizioni e persino la malavita locale sono concordi nel denunciare l’atto criminale come una manovra politica, tuttavia risulta estremamente insidioso il decifrare quale sia la parte che vuole effettivamente trarre vantaggio da un simile risvolto, se le gang armate, uno dei diplomatici locali o i poteri esteri preoccupati per la direzione che stava prendendo il Governo haitiano.
Negli ultimi mesi, il Presidente era stato infatti accusato dall’opposizione di non aver alcuna intenzione di abbandonare la sua poltrona, accusa che certamente non è stata quietata dal fatto che Moïse, avendo sciolto il Parlamento, stesse governando a colpo di decreti e che vagliasse una riforma costituzionale che gli avrebbe permesso di rinnovare la sua candidatura anche alle prossime elezioni.
La guida del Paese sarebbe dovuta cadere in seno al Giudice della Corte Suprema, il quale, deceduto a causa del Covid-19, fa scivolare l’onere sul Primo Ministro ad interim Claude Joseph, il quale potrebbe insediarsi solamente una volta ottenuta la benedizione di quello stesso Parlamento che ormai non esiste più. A complicare la situazione è il fatto che Moïse avesse appena nominato un nuovo Primo Ministro, Ariel Henry, e che nel frattempo il claudicante Senato di Haiti abbia votato per promuovere il Senatore Joseph Lambert a Presidente transitorio.
Le potenti gang haitiane stanno inoltre scendendo in campo per denunciare quello che identificano come un colpo di Stato, ventilando la volontà di scomodare l’intera alleanza malavitosa – il G9 – per portare avanti una battaglia armata contro un nemico non meglio definito. Di fatto una “rivoluzione” che permetterà loro di estendere ulteriormente la loro già soverchiante influenza.
Claude Joseph, soggetto all’approvazione delle forze internazionali, si appella all’esercito degli Stati Uniti per ottenere una mano nel “preservare la pace” nel Paese, ma gli USA stanno reagendo alle spassionate richieste guadagnando tempo, così da “valutare” la situazione.
Uno dei motivi di questo temporeggiamento può essere attribuito al fatto che tra i corridoi del potere di Washington stiano girando i lobbisti sponsorizzati da Reginald Boulous, i quali spingono perché gli Stati Uniti appoggino Joseph Lambert e Ariel Henry, rispettivamente nei ruoli di Presidente e Primo Ministro
Politico oppositore di Moïse e imprenditore dal passato torbido, Boulous è ritenuto da molti haitiani il mandante dell’omicidio presidenziale. Certezze popolari macchiate dalla presenza di audaci illazioni, tuttavia l’uomo ha in passato assoldato James Solages per sfruttare le sue competenze militari e possiede per vie traverse una concessionaria Nissan, elementi che certamente sollevano qualche dubbio nei confronti della sua trasparenza.
[di Walter Ferri]
Francia: multa record da 500 mln di euro a Google
L’autorità francese per la concorrenza ha inflitto a Google una multa da 500 milioni di euro. L’autorità contesta alla società statunitense di non aver negoziato «in buona fede» con gli editori della stampa per ciò che concerne l’applicazione dei cosiddetti diritti connessi. Non solo, Google dovrà «presentare un’offerta di remunerazione per l’attuale uso dei contenuti protetti» di agenzie di stampa ed editori se non vorrà subire ulteriori maxi-sanzioni. La società statunitense ha espresso delusione per il verdetto, ritenendo che la multa non consideri gli «sforzi messi in campo» per arrivare ad una soluzione ed ignori «la realtà di come funzionano le notizie sulle nostre piattaforme».
Vaccini Covid: dal nuovo report dell’Aifa emergono 76mila sospette reazioni avverse
L’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) ha recentemente pubblicato il nuovo (il sesto) Rapporto di Farmacovigilanza sui Vaccini Covid-19, il quale ha ad oggetto tutte le sospette reazioni avverse ai 4 sieri in uso segnalate dagli italiani dal 27 dicembre 2020 al 26 giugno 2021. Dal documento si apprende che, su un totale di oltre 49 milioni di dosi somministrate, sono state effettuate 76.206 segnalazioni: si tratta di 154 eventi avversi ogni 100.000 dosi. Come riportato nei precedenti rapporti, «la reazione si è verificata nella maggior parte dei casi (80% circa) nella stessa giornata della vaccinazione o il giorno seguente e solo più raramente l’evento si è verificato oltre le 48 ore successive». L’età media delle persone che hanno avuto un sospetto evento avverso è di 49 anni: il tasso di segnalazione è maggiore nelle fasce di età comprese tra i 20 ed i 60 anni, mentre è minore in quelle più avanzate.
Inoltre, nonostante una somministrazione del vaccino pressoché identica nelle donne e negli uomini (54% delle dosi somministrate nel sesso femminile e del 46% nel sesso maschile), il 73% delle segnalazioni riguardano le donne ed il 26% gli uomini, indipendentemente dal vaccino e dalla dose somministrata. L’1% mancante, invece, è determinato dal fatto che il sesso non è stato riportato appunto nell’1% delle segnalazioni. Quella della prevalenza femminile nelle segnalazioni, si sottolinea all’interno del rapporto, è una tendenza osservabile anche negli altri Paesi europei.
Per quanto riguarda poi il modo in cui ciascun vaccino contribuisce al numero delle segnalazioni, al primo posto vi è quello Pfizer/BioNTech, causa del 69% delle stesse. Va detto però che tale primato è legato al fatto che si tratta del siero finora più utilizzato nella campagna vaccinale (70,6% del totale dosi somministrate). Ad esso segue il vaccino AstraZeneca (17,3% del totale delle dosi effettuate) da cui dipendono il 24,7% delle segnalazioni, il vaccino Moderna (9,6% del totale delle dosi somministrare) con il 5,2% delle segnalazioni e, infine, quello della Johnson & Johnson (2,5% delle dosi somministrate), causa del 1,1% delle segnalazioni.
Detto ciò, l’87,9% degli eventi avversi segnalati non sono gravi e riguardano sintomi come: dolore in sede di iniezione, febbre, stanchezza e dolori muscolari. Gli eventi gravi, invece, rappresentano l’11,9% del totale, una percentuale maggiore rispetto a quella riportata in tutti i report precedenti. Inoltre, «il 46% di tutte le segnalazioni gravi valutate è correlabile alla vaccinazione, il 33% è indeterminato, il 19% è non correlabile e il 2% inclassificabile». Il 60% di questi eventi si è risolto con la guarigione o un miglioramento già al momento della segnalazione mentre il 24% dei soggetti risultano non guariti in quel momento.
Andando nello specifico, poi, si nota che tra le reazioni avverse gravi sono stati segnalati anche problemi cardiaci legati ai vaccini ad mRna (Pfizer e Moderna): 55 casi di pericardite (età media 52,6 anni) e 14 casi di miocardite (età media 32,3 anni) segnalati per il vaccino Pfizer, mentre 9 di pericardite (età media 51 anni) e 5 di miocardite (età media 29 anni) per il Moderna. Si tratta di un problema già sottolineato dal Centers for disease control and prevention (Cdc), l’agenzia federale di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda i casi fatali, invece, sono 423 le segnalazioni che «riportano l’esito decesso» con un tasso dello 0,85 ogni 100mila dosi somministrate, in leggera flessione rispetto ai rapporti precedenti. Il 51,5% dei casi riguarda donne, il 48% uomini mentre lo 0,5% non riporta questo dato. L’età media è di 77 anni, in 244 casi il decesso è stato registrato dopo la prima dose ed in 127 dopo la seconda.
Il vaccino con il più alto tasso di segnalazione di casi fatali è il Moderna (1,58 ogni 100.000 dosi), segue il Johnson&Johnson (1,15), l’AstraZeneca (0,84) ed il Pfizer (0,75). Tuttavia nel documento si ricorda che «il differente tasso di segnalazione di eventi con esito fatale è in larga parte dipendente dalla diversa popolazione target dei singoli vaccini e dalla diversa esposizione». Detto questo, per quanto riguarda il nesso tra vaccinazione e decesso, si sottolinea che «il 63,4% delle segnalazioni ad esito fatale presenta una valutazione di causalità con l’algoritmo OMS utilizzato per la vaccinovigilanza, in base al quale il 59,6% dei casi è non correlabile, il 33,6% indeterminato e il 4,2% inclassificabile per mancanza di informazioni necessarie. In sette casi (2,6% del totale), la causalità risulta correlabile».
Infine, nel rapporto vengono riportati anche i dati che riguardano la vaccinazione eterologa, ovvero il richiamo con un vaccino a mRNA per gli under 60 vaccinati in prima dose con AstraZeneca. La seconda dose è stata fatta nell’86% dei casi con il vaccino Pfizer/BioNTech e nel 14% con quello Moderna: sono state inserite 27 segnalazioni su un totale di 233.034 somministrazioni, con un tasso di segnalazione di 12 ogni 100.000 dosi effettuate. Dunque, si tratta di numeri più bassi rispetto a quelli totali, un risultato che potrebbe definirsi alquanto inaspettato dato che il mix vaccinale è stato approvato dall’Aifa sulla base di due ricerche scientifiche non attendibili.
[di Raffaele De Luca]