martedì 13 Maggio 2025
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Plastica monouso, quattro associazioni ambientaliste denunciano l’Italia

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Un gruppo di associazioni ambientaliste ha denunciato l’Italia per aver escluso le plastiche usa e getta compostabili dalla legge che recepisce la SUP, direttiva europea sulla plastica monouso, entrata in vigore lo scorso 3 luglio. Questa ha messo al bando alcuni oggetti come piatti e posate, cannucce, cotton fioc, palette da cocktail, bastoncini dei palloncini, e contenitori in polistirolo per alimenti e bevande. Tali prodotti potranno essere venduti fino ad esaurimento scorte, dopodiché saranno banditi definitivamente.

Non avendo però la direttiva fatto alcuna distinzione fra oggetti di plastica tradizionale e oggetti in plastica bio, con la legge di delegazione europea approvata dal Parlamento, l’Italia prevede che, per i prodotti banditi, si ammettano relative alternative in plastica biodegradabile e compostabile. Tuttavia, le linee guida della Commissione Europea, affermano chiaramente che le due tipologie di plastica siano da porre sullo stesso piano. Difatti, ad oggi, non si hanno dati scientifici concreti dimostranti che un oggetto in “bioplastica” non causi danni all’ambiente. Inoltre, c’è da dire, che questa si decompone esclusivamente in determinate circostanze caratterizzate da una certa temperatura, uno specifico tasso di umidità e, soprattutto, dalla presenza di alcuni microrganismi.

Pertanto, a causa della decisione presa dall’Italia, Greenpeace, ClienthEarth, ECOS e Rethink Plastic Alliance hanno presentato un reclamo ufficiale alle autorità europee. «L’Italia sembra preferire di gran lunga una finta transizione ecologica» si legge nel comunicato. Già a fine maggio, il gruppo di organizzazioni ambientaliste aveva inviato una lettera ufficiale al Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, informandolo della potenziale violazione inclusa nella bozza del recepimento italiana e richiedendo di organizzare un incontro per discuterne, senza tuttavia ottenere risposta. Sta di fatto che l’atto parlamentare c’è – anche se manca ancora il decreto legislativo definitivo- e se il governo dovesse seguire l’impostazione della legge delega, sarà impossibile evitare una procedura di infrazione.

[di Eugenia Greco]

Whirlpool: protesta dei lavoratori a Napoli

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Questa mattina, i lavoratori della Whirlpool hanno prima occupato i binari dei treni ad alta velocità, alla stazione centrale di Napoli, e successivamente si sono recati a piazza Garibaldi ed hanno attuato un blocco stradale. La protesta, a cui hanno aderito circa 200 operai del sito di via Argine, è stata fatta per chiedere il blocco dei licenziamenti da parte della multinazionale americana, che negli scorsi giorni ha appunto annunciato il licenziamento collettivo dei lavoratori impiegati nello stabilimento di Napoli.

L’Inghilterra verso la stretta finale contro i non vaccinati

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Il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha dichiarato nella giornata di ieri che nei locali notturni inglesi ed in «altri luoghi in cui si radunano grandi folle» ci si potrà recare solo se in possesso di un «attestato di vaccinazione completa», in quanto «i test negativi al Covid non saranno più sufficienti». Il premier ha precisato come la volontà sia quella di introdurre tale misura entro la fine di settembre, periodo in cui tutti i maggiorenni avranno avuto la possibilità di sottoporsi ad entrambe le dosi del siero anti Covid.

Tali parole sono arrivate nel medesimo giorno del “freedom day”, ovvero l’abbandono, a partire dalla mezzanotte di ieri, di quasi tutte le misure anti-Covid in Inghilterra nonché la riapertura dei locali notturni. Questi ultimi erano chiusi da 16 mesi e sono stati presi d’assalto: in diverse città sono state organizzate feste con il tutto esaurito da giorni. Detto questo, però, il capo consigliere scientifico Patrick Vallance ha affermato che i locali e gli altri luoghi simili potrebbero essere «potenziali eventi di super diffusione», data la  folla a stretto contatto. Sarà probabilmente anche per tale motivo che Boris Johnson ha fatto questo annuncio, aggiungendo di non voler «chiudere di nuovo i locali notturni come hanno fatto altrove. Ma questo significa che essi devono fare ciò che è socialmente responsabile».

Tuttavia, l’annuncio del primo ministro britannico è pieno zeppo di zone d’ombra. In tal senso, innanzitutto ci si chiede per quale motivo le persone non vaccinate debbano essere escluse dall’accesso ai locali: una misura del genere, infatti, sarebbe giustificata se ci fosse la certezza scientifica che i vaccinati non possano diffondere il contagio, che però al momento non si possiede. Anzi, proprio nel Regno Unito ultimamente il numero dei contagi è molto elevato e la media settimanale supera i 40.000 casi al giorno. Tutto ciò nonostante nel Paese vi sia un’alta percentuale di individui completamente vaccinati (54%).

Ma tralasciando tale questione, ciò che ad ogni modo non ci si spiega è il motivo per cui non essersi sottoposti al siero significhi automaticamente essere veicolo di contagio, a prescindere dal fatto che si sia effettivamente positivi al virus. È evidentemente questo, infatti, il principio alla base delle misure annunciate da Johnson. Dunque ci si chiede perché, mentre fino a questo momento le limitazioni alla libertà venivano applicate solo alle persone realmente contagiate, adesso si pensi di attuare delle restrizioni nei confronti di tutti coloro che non sono vaccinati. E non si tratta di applicarle solo a soggetti le cui condizione di salute sono sconosciute, ma anche a chi dimostri, tramite il risultato negativo al test, di non essere positivo al Covid.

Detto ciò, non si può non sottolineare come la scelta del premier britannico di preannunciare delle misure che, stando a quanto affermato da quest’ultimo, diverranno realtà a fine settembre, potrebbe essere stata presa con il solo scopo di portare un numero più elevato di persone a vaccinarsi. Senza dubbio, infatti, vi è la concreta possibilità che adesso i cittadini siano maggiormente disposti a farsi somministrare il siero, nel timore di perdere altre libertà personali. A tal proposito, anche in Francia l’annuncio fatto dal presidente Emmanuel Macron riguardante il futuro obbligo di munirsi del green pass per accedere a diversi locali e mezzi di trasporto pubblici nonché quello di vaccinarsi per il personale sanitario, ha spinto milioni di cittadini a prenotare l’iniezione nonostante tali misure non siano state ancora approvate. Ad ogni modo, però, la reazione del popolo non è stata esclusivamente positiva, e negli scorsi giorni vi è stata una ampia partecipazione alle proteste. Non è detto, quindi, che la stessa cosa non possa succedere anche in Inghilterra.

[di Raffaele De Luca]

Il massacro della Diaz 20 anni dopo: intervista al magistrato che condusse le indagini

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La notte del 21 luglio 2001 i reparti mobili della polizia di stato facevano irruzione all'interno della scuola Diaz di Genova, dove centinaia di cittadini dormivano dopo aver preso parte alle manifestazioni contro il G8. Fu quella che un vicequestore di polizia definì la "macelleria messicana". I manifestanti, a mani alzate, furono pestati dagli agenti. In 61 finirono in ospedale, tre dei quali in prognosi riservata e uno in coma. Per coprire gli abusi e giustificare l'irruzione la polizia si impegnò a produrre diverse prove false. Tra le più smaccate due bombe molotov che vennero introdotte ...

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Perù: Pedro Castillo proclamato vincitore delle presidenziali

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Pedro Castillo, il candidato della sinistra radicale, è stato dichiarato presidente eletto del Perù a più di un mese dal secondo turno tra quest’ultimo e la candidata populista di destra Keiko Fujimori, che aveva denunciato presunti brogli. I numeri forniti nelle scorse settimane dall’Ufficio nazionale dei processi elettorali (Onpe), che aveva decretato Castillo vincitore con il 50,12% dei voti contro il 49,87% della rivale Fujimori, sono infatti stati confermati dall’autorità elettorale competente per l’esame dei ricorsi. Castillo entrerà in carica il 28 luglio, giorno in cui terminerà il mandato del presidente ad interim Francisco Sagasti.

Francia, oltre centomila persone di nuovo in piazza contro il Green Pass

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Proseguono le proteste in Francia contro le misure annunciate la scorsa settimana dal presidente Emmanuel Macron, ovvero l’obbligo di munirsi del green pass per accedere a diversi locali e mezzi di trasporto pubblici nonché quello di vaccinarsi per il personale sanitario. Nella giornata di sabato, infatti, secondo i numeri riportati dal ministero dell’Interno, 114.000 manifestanti si sono riversati nelle strade delle principali città del Paese. Nello specifico, sono state identificate 136 manifestazioni che hanno mobilitato quasi 96.000 persone nelle regioni francesi, mentre solo a Parigi hanno preso parte alle proteste quasi 18.000 individui, che hanno espresso il loro dissenso al grido di «libertà» e «Macron non vogliamo il tuo pass».

Nella regione dell’Alsazia, poi, più di 7000 persone sono scese in strada secondo quanto riportato dai quotidiani locali. Nello specifico, in 3000 hanno manifestato a Strasburgo, in 2000 a Colmar ed in 2200 a Mulhouse. Anche a Montpellier e Marsiglia c’é stata una partecipazione corposa dei cittadini, con le autorità che hanno contato rispettivamente 5.500 e 4.250 manifestanti. A Lille invece, precisamente a Place de la République, sabato mattina si sono radunate centinaia di persone che, come sottolineato da alcuni media locali, non erano tutte “no vax”, bensì semplicemente contro l’estensione del green pass. Nel pomeriggio sono poi proseguite le contestazioni e migliaia di persone hanno marciato per le strade della città.

Sono state svolte anche proteste in luoghi in cui non erano state autorizzate: ad esempio a Lione le persone si sono radunate per manifestare contro il lasciapassare sanitario e si sono verificati attimi di tensione con le forze dell’ordine, che hanno utilizzato gas lacrimogeni ed hanno poi bloccato il corteo. Anche a Tolosa, nonostante il divieto imposto il giorno prima da parte della prefettura dell’Occitania, si è tenuta una manifestazione a cui hanno partecipato migliaia di cittadini.

Detto ciò, le proteste non erano inaspettate dato che la settimana scorsa i gilet gialli, che sabato hanno partecipato alle manifestazioni, avevano pubblicato un tweet contenente il calendario delle proteste da essi organizzate. Meno attesa, probabilmente, era invece la grande affluenza registrata a questi eventi: già solo attenendosi ai numeri indicati dalle autorità, generalmente al ribasso, è chiaro che non siano di certo poche le persone favorevoli all’introduzione di misure così rigide.

[di Raffaele De Luca]

Italia: il ministero della transizione ecologica si inventa le “trivelle sostenibili”

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Il direttore scientifico dell'IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) Roberto Cingolani al Forum sull' Economia Digitale, Milano, 11 Luglio 2019. ANSA / MATTEO BAZZI

Che l’abbandono delle fonti fossili fosse sempre più un miraggio si era intuito con i presupposti del nuovo Ministero della Transizione ecologica. La conferma ora arriva dallo stesso con l’adozione del paradossale Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI). Ovvero, “uno strumento – scrive il dicastero – volto ad individuare le aree dove sarà possibile svolgere o continuare a svolgere le attività di ricerca, prospezione e coltivazione degli idrocarburi in modo sostenibile”. In altre parole, un documento finalizzato a decidere dove trivellare – udite udite – senza peggiorare la crisi climatica. È legittimo chiedersi come sia possibile cercare petrolio o gas rispettando i principi della sostenibilità. La risposta è semplice: non è possibile. E non lo è per un’infinità di motivi. Primo fra tutti perché la responsabilità dell’industria petrolifera nella crisi climatica è appurata e incontestabile.

In qualunque modo o in qualunque area si decida di trivellare, non sarà mai e poi mai un atto sostenibile. Anzi, in ogni caso sarà esattamente l’opposto. Basti pensare, in primo luogo, all’impatto ecologico derivante dalla sola presenza fisica di una piattaforma petrolifera. Oppure, ad operazioni avviate, all’inquinamento marino generato dai rifiuti delle operazioni di fratturazione idraulica o acidificazione dei pozzi. O ancora, come nel caso africano, alla devastazione sociale e ambientale nelle comunità e nei luoghi interessati dalle perforazioni. Senza contare poi i rischi connessi alle fasi di trasporto del prodotto estratto. Guasti agli oleodotti che potrebbero, come accaduto recentemente a Taiwan, degradare interi ecosistemi, oppure, come testimoniano centinaia di casi sparsi nel mondo, perdite o interi sversamenti degli idrocarburi contenuti nelle migliaia di petroliere che ogni giorno attraverso i fragili oceani.

Ma non finisce qui. L’impatto ambientale delle fonti non rinnovabili continua anche e soprattutto dopo il loro utilizzo. Dal carbone al petrolio passando per il gas naturale, non c’è combustibile fossile che non emetta gas serra o sostanze inquinanti. Il risultato? La crisi climatica è qui e ora. Lo confermano, giusto per citarne qualcuno, gli ennesimi eventi meteorologici estremi che, in questo caso, hanno interessato il Nord Europa. In tutto ciò, la responsabilità dell’industria degli idrocarburi è evidente. Basti pensare che ai 20 colossi fossili globali è imputabile il 35 per cento delle emissioni che hanno portato all’emergenza climatica. Tuttavia, c’è da dire che il settore risponde alle esigenze di un modello socio-economico per troppo a lungo incurante del contesto naturale. Ma le cose non cambiano: una transizione culturale alla sostenibilità ideologica è già in atto, di conseguenza, modificato il nostro stile di vita, le fonti fossili non saranno più compatibili con la transizione energetica.

Il ministro Roberto Cingolani, colui che dovrebbe guidare quest’ultima nel nostro Paese, si è invece dimostrato particolarmente premuroso nei confronti degli interessi di Eni e altri giganti del petrolio. Lo conferma, da un lato, il numero di incontri preliminari alla definizione del Pnrr tra questi e il ministro stesso e, dall’altro, le contorte decisioni del neo dicastero ambientale. Come l’approvazione di nuove concessioni petrolifere e, in ultimo, proprio l’avvio della consultazione pubblica relativa al PiTESAI. Nel primo caso, dal canto suo, Cingolani si era giustificato dicendo che quelle trivelle erano già lì. «C’erano delle autorizzazioni, le ho trovate, erano state completate – ha dichiarato ad Ansa – non posso fare una operazione scorretta, se l’atto amministrativo è finito sono obbligato a mandarlo avanti». E in relazione al Piano ‘del paradosso energetico’ aveva al tempo aggiunto: «l’unica soluzione non può essere fermare tutto. Io penso che si debba decarbonizzare, ma la soluzione non è non fare il Piano e bloccare tutto in attesa di non si sa cosa». Quindi, per farla breve, secondo Cingolani alla transizione ecologica serve del tempo – che non abbiamo – nel mentre, però, bisogna continuare a trivellare con modalità sostenibili – che non esistono – e concedere altre proroghe al settore in prima linea nei cambiamenti climatici. Nel frattempo, in Belgio e Germania sono sommersi dall’acqua, l’Europa mediterranea è via via più arida, Canada, Stati Uniti e Siberia hanno toccato temperature record e la California e l’Australia bruciano senza sosta.

[di Simone Valeri]

Terrorismo: arrestato a Parigi ex brigatista Maurizio Di Marzio

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Questa mattina, la polizia francese ha arrestato a Parigi l’ex brigatista Maurizio Di Marzio. Si tratta dell’ultimo ex terrorista per cui l’Italia chiede l’estradizione: era sfuggito all’operazione “Ombre rosse” condotta dalla Polizia italiana d’intesa con quella francese, alla fine di Aprile. Il provvedimento, depositato l’8 luglio dalla Corte d’Assise di Roma, ha infatti stabilito che non è ancora prescritta la sua pena.

La Commissione parlamentare non indagherà sulla gestione della pandemia in Italia

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La Camera dei deputati ha recentemente dato il via alla discussione generale sulla proposta di istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla pandemia, la quale però non indagherà sulla gestione dell’emergenza da parte del governo italiano. Tramite una serie di emendamenti presentati da alcuni deputati nelle Commissioni affari esteri e affari sociali, ed approvati lo scorso 8 luglio, è stato infatti modificato il lavoro del collegio endorganico, che avrà ad oggetto esclusivamente il periodo antecedente alla dichiarazione di emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale da parte dell’Oms (30 gennaio 2020). In pratica, sarà preso in considerazione solo l’operato della Cina, l’unico Paese in cui il Covid si è manifestato prima di tale data. Inoltre, tramite queste modifiche è stata anche abolita la valutazione da parte della Commissione delle misure predisposte dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Si tratta di un vero e proprio stravolgimento dei compiti che il testo istitutivo prevedeva per la Commissione d’inchiesta. Quest’ultima infatti avrebbe dovuto indagare «sulle cause dello scoppio del Sars-CoV2 e sulla congruità delle misure adottate dagli Stati e dall’Oms per evitare la propagazione nel mondo», il che avrebbe permesso di fare luce, tra le altre cose, sull’operato dello Stato italiano. Ora, però, non sarà più possibile indagare sulla gestione italiana della pandemia a causa del limite temporale stabilito tramite gli emendamenti, di cui non vi era traccia nel vecchio testo.

È per questo, quindi, che si è scatenata l’ira dei familiari di alcune delle vittime da Covid, che pretendono chiarezza. Si tratta di uno «schiaffo morale e indecente ai familiari», ha affermato a tal proposito Consuelo Locati, l’avvocato che guida il pool dei legali dei parenti delle vittime, i quali sono impegnati nella causa civile contro il Governo, il ministero della Salute e la Regione Lombardia e stanno cercando di dimostrare che molte vite si sarebbero potute salvare se si fosse agito diversamente. Inoltre, anche il consulente legale dei familiari delle vittime, Robert Lingard, si è espresso a riguardo parlando di una «ingegnosa operazione di propaganda per gettare fumo negli occhi dei cittadini, un’operazione di omertà spacciata per verità».

Infine, una reazione vi è stata anche da parte dei deputati di Fratelli d’Italia, l’unico partito a non approvare i correttivi in questione. «Una vera e propria farsa per impedire di indagare sulle responsabilità politiche di quanto avvenuto», ha affermato Giorgia Meloni, che ha condiviso sui social un video in cui un altro deputato di Fdi, Galeazzo Bignami, definisce la vicenda «un insabbiamento istituzionale» finalizzato ad evitare che si indaghi nei confronti del governo per questioni come la non valorizzazione delle cure domiciliari o il mancato aggiornamento del piano pandemico. A tal proposito, va infatti ricordato che alle terapie domiciliari si è opposto proprio il ministero della Salute, guidato da Roberto Speranza, mentre il piano pandemico non viene aggiornato dal 2006. Ad ogni modo, però, si tratta solo di alcuni degli interrogativi che sono destinati a rimanere senza risposta.

[di Raffaele De Luca]

Tra mafia, Stato ed equilibri politici: cosa sappiamo dell’attentato a Borsellino dopo 29 anni

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Gli effetti della strage di via D'Amelio, consumata il 19 luglio 1992

19 luglio 1992, ore 17 circa. Un’autobomba esplode in via D’Amelio, prima periferia di Palermo, assassinando il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traiana.

Sono passati appena 57 giorni dall’attentato di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

A 29 anni da quei tragici fatti ancora ci si chiede perché Cosa Nostra abbia compiuto due attentati così clamorosi e ravvicinati che innescarono l’inevitabile intervento repressivo – approvazione di leggi antimafia, invio dell’esercito in Sicilia, numerosi processi e condanne ai boss – da parte dello Stato, che almeno inizialmente, metterà in ginocchio l’organizzazione criminale, minacciando seriamente di cancellarla. La mafia scelse autonomamente la strategia stragista o come in altri fatti di sangue precedenti fu solo la mano che si lasciò guidare da una mente esterna, anche a scapito dei propri interessi? Su questi temi si è espresso il 16 giugno scorso anche il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo Roberto Scarpinato, durante un’audizione presso la commissione Antimafia siciliana presieduta da Claudio Fava. Paolo Borsellino forse aveva capito che c’erano dei pezzi esterni a Cosa Nostra invischiati nella strage di Capaci. Lui capisce che sarà la mafia a ucciderlo, ma che al contempo ci sono entità superiori che lo decideranno prima. Acquisisce altre notizie con cui capisce che c’era un continuo colloquio tra mafia e parti infedeli dello Stato.

A tal proposito significativa è la posizione del giudice Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione, scomparso nel gennaio del 2018, che per molti anni si è occupano della lotta a Cosa Nostra, Camorra e terrorismo e degli intrecci tra questi fenomeni criminali e centri di potere nazionali e internazionali, massoneria, servizi segreti e Gladio, la propaggine italiana della vasta operazione atlantista Stay Behind, volta ad arginare il pericolo della diffusione del comunismo negli anni della guerra fredda. Una struttura paramilitare voluta dalla Cia, la cui esistenza è stata resa nota al popolo italiano da Andreotti solo nel 1990, in una fase in cui, col tramontare della contrapposizione tra Usa e Urss, veniva meno anche la sua principale funzione storica, ma che avrebbe avuto un ruolo centrale per traghettare il paese dalla “prima” alla “seconda” Repubblica. Proprio su Gladio e sui suoi legami con mafie, destra eversiva e massoneria – affermava Imposimato – si concentrarono le indagini di Falcone dal 1990 in avanti.

La chiave di lettura della strage di via d’Amelio – continua Scarpinato – sta in eventi che hanno preceduto e seguito la vicenda. Isolare la strage è un errore metodologico che può portare a risultati fuorvianti e che potrebbe far pensare che ci siano stati solo interessi di Cosa Nostra in ballo. Tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992 si tennero in Italia e in Sicilia in contemporanea riunioni tra i massimi vertici di Cosa nostra e ‘Ndrangheta per discutere di un progetto di destabilizzazione del Paese. Si temeva un avvento al potere della sinistra e che in questo tipo di governo alcuni ruoli chiave potessero essere affidati a Borsellino e Falcone. Si temeva anche una regolazione di conti con il passato che avrebbe colpito i vertici delle associazioni criminali come la massoneria deviata, la destra eversiva e le mafie. In alcune riunioni si prese atto che i vecchi referenti politici avevano voltato le spalle e non potevano più garantire nulla. Servivano per questo stragi e altri atti eclatanti per destabilizzare il vecchio ordine politico e impaurire la popolazione. Il nuovo soggetto politico che sarebbe nato era una ‘Lega meridionale’ che poteva allearsi con la Lega Nord per dividere l’Italia in tre macroregioni. Il progetto era quello di creare una secessione, la Sicilia doveva essere autonoma in tutto e diventare una specie di Singapore. Nacquero tanti movimenti indipendentisti che dovevano fondersi in una unica Lega sotto la regia di Licio Gelli (Gran Maestro della loggia massonica P2, ndr)”, con il coinvolgimento di personaggi come il terrorista nero Stefano Delle Chiaie e mafiosi come Vito Ciancimino. Un ruolo “era esercitato anche da apparati dei Servizi legati a Gladio”.

I progetti indipendentisti però sfumarono velocemente per lasciare spazio ad una nuova creatura politica, il movimento Forza Italia che ebbe tra i suoi fondatori principali Marcello Dell’Utri, braccio destro dell’imprenditore Silvio Berlusconi, che di lì a poco sarebbe sceso in campo direttamente e nel 1994 avrebbe ottenuto la carica di capo del governo. Come noto Dell’Utri verrà poi condannato a sette anni di carcere in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e a dodici anni in primo grado nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Lui e Berlusconi sono ad oggi anche indagati dai magistrati di Firenze per concorso nelle stragi mafiose del 1993. Forza Italia invece continua a quasi trent’anni dalla sua nascita ad essere protagonista della scena politica nostrana, tanto da trovare posto anche nell’attuale governo Draghi, che gli riserva tre ministeri.

[di Massimo Venieri]