mercoledì 14 Maggio 2025
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Caso De Donno: la Procura apre un’inchiesta per istigazione al suicidio

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La procura di Mantova ha aperto formalmente un’inchiesta sulla morte di Giuseppe De Donno, l’ex primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma che per primo aveva iniziato a sperimentare la cura contro il Covid tramite la terapia basata sulla trasfusione di plasma iperimmune. Il corpo del medico 54enne, che si sarebbe suicidato impiccandosi, è stato trovato martedì pomeriggio dai familiari nella sua casa di Eremo di Curtatone, in provincia di Mantova. Tuttavia, al momento non si hanno certezze sulle motivazioni alla base del tragico gesto di De Donno, che non avrebbe lasciato alcun messaggio. Perciò, i giudici hanno intenzione di capire se dietro l’estrema decisione possano esserci responsabilità da parte di terzi: nello specifico, gli inquirenti vogliono fare luce sull’eventuale reato di istigazione al suicidio e comprendere se qualcuno possa aver indotto l’ex primario a togliersi la vita. Nel frattempo, martedì sera i carabinieri e il magistrato hanno sentito i familiari, la moglie ed i due figli, mentre i cellulari ed il computer di De Donno sono stati messi sotto sequestro.

L’ex primario, a detta di alcune persone a lui vicine, stava attraversando un periodo difficile, ma dopo essersi dimesso dall’ospedale ed aver iniziato, il 5 luglio scorso, la nuova attività di medico di base, sembrava essersi risollevato. In tal senso, il direttore generale di Asst Mantova Raffaele Stradoni ha affermato: «Con il suo nuovo incarico aveva detto di stare meglio. Ora la notizia della sua morte ha sconvolto anche noi colleghi dell’ospedale». Ha inoltre aggiunto che De Donno «stava combattendo con una sua grave situazione di difficoltà personale» che, a detta del direttore, «nulla c’entrava con il suo lavoro da medico e con il suo studio e sperimentazione sul plasma iperimmune come cura contro il Covid».

Alcuni colleghi infatti sostengono che De Donno sia stato profondamente segnato dalla scarsa attenzione data alle sue ricerche sulla terapia a base di plasma, la quale inizialmente sembrava potesse salvare i pazienti Covid gravi prelevando il sangue dai contagiati guariti ed infondendolo nei malati. A tal proposito, De Donno credeva che la sua cura fosse molto efficace e in una intervista rilasciata a maggio affermava che fosse riuscito ad azzerare i decessi tra i suoi pazienti («48 malati guariti da una cura che non costa nulla. Eppure mi ritrovo i Nas in corsia», aveva dichiarato). Questi ultimi, stando alle sue parole erano arrivati in ospedale per un motivo a lui ignoto. Tuttavia, il dottore era alquanto insospettito, ed aveva affermato: «Le cose non avvengono a caso. Se qualcuno crede di scoraggiarmi, non ci riuscirà. La comunità scientifica dovrà rispondere ai cittadini di questo».

Giusto sottolineare il fatto che le ricerche scientifiche fino ad ora svolte, anche all’estero, sull’efficacia del plasma iperimmune contro il Covid-19 non hanno portato a risultati particolarmente brillanti, meno convincenti di altre terapie come quelle basate sugli anticorpi monoclonali che l’Unione Europea si appresta ad approvare. Negli Usa, ad esempio, dove la terapia sul plasma iperimmune venne autorizzata dall’FDA, portando al trattamento di 105.000 pazienti affetti da Covid19, venne riscontrato che l’11% dei pazienti non intubati che avevano ricevuto il plasma morirono entro 7 giorni dalla trasfusione, rispetto al 14% di quelli che avevano ricevuto il plasma con basse cariche anticorpali: un miglioramento non particolarmente significativo, che aveva comunque portato all’autorizzazione d’emergenza della terapia in quanto priva di pericoli per la salute. Risultati analoghi anche quelli raccolti in Italia dall’Aifa, che nell’aprile scorso aveva affermato che non era «stata osservata una differenza statisticamente significativa» tra i pazienti curati rispetto agli altri. Lo stesso Donald Trump, che aveva incentivato la ricerca sul plasma iperimmune quando era presidente Usa, preferì tuttavia sottoporsi alle cure con anticorpi monoclonali quando contrasse il virus. Risultati che però non avevano affatto convinto De Donno, il quale continuava a ritenere che gli studi non fossero stati effettuati in modo corretto.

Tornando alle ipotetiche ragioni del suicidio, lo stesso medico aveva denunciato di aver «ricevuto tantissime critiche e tantissimi attacchi», fenomeno a suo parere inevitabile nel momento in cui «ci si espone mediaticamente». Tuttavia, De Donno si diceva pronto a tutto per raggiungere il suo fine, ossia quello di «cercare di salvare più vite possibile». Poi qualche cosa deve essere successo, forse – è quanto evidentemente ipotizzano i magistrati che hanno aperto l’inchiesta – a causa di possibili pressioni esterne.

[di Raffaele De Luca]

Val di Susa: lo Stato schiera altri 10.000 agenti contro i No Tav

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Ancora una volta il governo italiano sceglie la strada della militarizzazione del territorio per far fronte alle proteste dei cittadini della Val di Susa che si oppongono alla costruzione della linea Tav Torino-Lione. In occasione del question time alla Camera dei Deputati – interpellata su quali misure fossero state prese per garantire la tranquillità dei lavori contro le proteste No Tav – la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha annunciato che nei prossimi giorni aumenteranno il numero di forze dell’ordine a difesa del cantiere con lo schieramento di 10.000 unità supplementari. Una forza militare degna di una guerra, dove solo “come rinforzo” verranno schierate due volte e mezzo le 4.000 unità complessive che l’intera Nato impiega in Iraq. Il tutto per proteggere la costruzione di una linea ferroviaria per le merci che la popolazione locale osteggia giudicandola superflua e dannosa per il territorio.

Il dispositivo messo in piedi dal ministero dell’interno prevede attualmente 180 unità tra poliziotti e soldati in permanenza a presidiare il cantiere di Chiomonte e 170 sul fronte San Didero, presenze fisse che aumenteranno appunto fino a 10.000 agenti in occasione di “specifiche iniziative di protesta”. La misura è stata così commentata dal movimento No Tav attraverso le pagine social: «Mentre i giornali si riempivano di lacrime di coccodrillo per l’anniversario del G8 di Genova non si può fare altro che prendere atto che la strategia dello Stato per gestire il dissenso è sempre la stessa. Le questioni sociali sono trattate come materia di ordine pubblico e l’esercito viene regolarmente schierato contro la popolazione civile. Dovremo aspettare altri 20 anni per intendere qualche vagito dai sinceri democratici a scoppio ritardato? Perché qui in Val di Susa il silenzio è assordante».

La misura si inserisce in un contesto di progressiva e crescente attività da parte dello stato per imporre l’avanzamento dei lavori. Una tattica che si basa tanto sulla repressione delle proteste (in modi anche brutali come testimonia il grave ferimento di una attivista colpita da un lacrimogeno lanciato ad altezza d’uomo lo scorso aprile), quanto sulla attività di propaganda, promossa sia attraverso fondi pubblici utilizzati dall’azienda costruttrice dell’opera (la Telt, posseduta al 50% dalle Ferrovie dello Stato) per attività di marketing, sia attraverso una capillare campagna di informazione a senso unico, spesso accompagnata da vere e proprie fake news, portata avanti dai media mainstream.

 

Ottomila ettari di foreste italiane sono diventate patrimonio dell’umanità

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Quando si parla di patrimonio forestale, si pensa subito a territori esotici, dall’altra parte del mondo. Eppure anche il nostro paese detiene migliaia di ettari di verde importantissimi per la diversità ecosistemica che, infatti, per la loro unicità e l’efficacia delle azioni di conservazione, sono stati proclamati Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco. È stata la 44° sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale a riconoscere i caratteri ecologici peculiari delle faggete vetuste mediterranee italiane. Si parla di ben 8mila ettari, vale a dire uno dei più grandi e articolati siti forestali a livello continentale. Inoltre, l’Italia risulta essere uno dei pochi paesi ad avere ottenuto un giudizio pienamente favorevole su tutte le iniziative, senza particolari raccomandazioni per quanto concerne la gestione e la relativa conservazione.

L’importantissimo riconoscimento rende effettiva l’iniziativa seguita dal Mite (Ministero della Transizione Ecologica) con il coordinamento del Parco Nazionale del Lazio, Abruzzo e Molise e la cooperazione di altri paesi europei (Bosnia-Erzegovina, Francia, Macedonia del Nord, Montenegro, Polonia, Repubblica ceca, Serbia, Slovacchia, Svizzera), di estendere il sito transnazionale naturale delle Antiche faggete dei Carpazi e di altre regioni d’Europa all’area del Pollinello, estensione di quella di Cozzo Ferriero (Parco Nazionale del Pollino) già facente parte del sito; alla foresta “Valle Infernale” nel Parco nazionale dell’Aspromonte; e all’area Pavari-Sfilzi nella Foresta Umbra (Parco Nazionale del Gargano).

Sono dunque 13 le faggete italiane riconosciute dall’UNESCO: Valle Cervara, Selva Moricento, Coppo del Morto, Coppo del Principe e Val Fondillo nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; Cozzo Ferriero e Pollinello nel Parco Nazionale del Pollino; Falascone e Pavari-Sfilzi nella Foresta Umbra, nel Parco Nazionale del Gargano; Monte Cimino (Viterbo); Monte Raschio (Oriolo Romano, Viterbo) e Sasso Fratino, nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi; Valle Infernale nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. Questa peculiare vegetazione, grazie alle azioni di tutela attuate dalle riserve integrali dei parchi nazionali e dai Carabinieri forestali, conserva inalterati i cicli naturali della vita degli alberi, rendendo le foreste più forti e resistenti ai cambiamenti climatici. Nonostante il predominio di una singola specie arborea, la faggeta – specialmente se con un’elevata quantità di alberi vetusti – essendo un ambiente ombroso e riparato anche nelle stagioni più calde, è l’habitat preferito di moltissime specie di flora, fauna e funghi.

[di Eugenia Greco]

Hong Kong: 9 anni di carcere al primo condannato per legge sicurezza

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È stato condannato a 9 anni di carcere Tong Ying-kit, l’attivista pro democrazia di Hong Kong. Si tratta della prima volta in cui viene applicata la nuova legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino: il ragazzo 24enne ha ricevuto la condanna per incitamento alla secessione ed al terrorismo in quanto il primo luglio del 2020, poche ore dopo l’entrata in vigore della legge, aveva sventolato una bandiera con uno slogan popolare durante una manifestazione anti-governativa ed aveva travolto alcuni poliziotti con la propria moto.

Gli effetti della pandemia sulla salute mentale e l’impreparazione della Sanità italiana

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È in corso un’altra epidemia. Un’epidemia silenziosa che corre sottotraccia. Meno appariscente e forse meno tangibile di quella da covid-19, è in arrivo una pericolosa ondata di disagio psichico, in molte delle sue forme. Dall’inizio della pandemia di coronavirus ad oggi la ricerca scientifica ha accumulato una quantità molto rilevante di evidenze empiriche riguardo all’aumento della sintomatologia che rileva di un aggravarsi di disturbi di tipo psicologico e psichiatrico. Che ci siano e ci saranno gravi ripercussioni sull’equilibrio psico-emotivo della popolazione mondiale a causa dell’impatto della situazione pandemica è ormai accertato. L’ultimo dato in ordine di tempo proviene dal Rapporto Nazionale Osmed 2020 sull’uso dei farmaci in Italia, pubblicato dall’Agenzia Italiana del Farmaco. Il report rivela che nel 2020 il consumo degli antidepressivi rappresenta il 3,7% del consumo totale di farmaci in Italia, con un aumento, rispetto al 2019, dell’1,7%. Per ora, tuttavia, l’incremento sembra in linea con il trend degli ultimi anni. Il dato che balza maggiormente agli occhi è l’aumento dell’11,6% rispetto al 2019 del tasso di prescrizione di antidepressivi e antipsicotici nella popolazione di età pediatrica.

Uno studio condotto su gemelli italiani ha mostrato che «i livelli di ansia, depressione e stress, misurati durante il periodo di lockdown, sono risultati superiori a quelli stimati nella popolazione generale prima dell’emergenza sanitaria»; tra le principali determinanti dell’aumento del disagio psichico si contano «la giovane età, la presenza di un familiare con sintomi, i problemi finanziari e la solitudine». Il Centro di riferimento per le Scienze comportamentali e la Salute mentale dell’Istituto Superiore di Sanità in uno studio coordinato dal Dipartimento di salute mentale dell’Università della Campania ha evidenziato un incremento della presenza di sintomi dello spettro ansioso-depressivo, ossessivo-compulsivo e post-traumatico da stress, soprattutto nella popolazione femminile. Inoltre si è studiato come una maggiore durata dell’esposizione al lockdown «ha rappresentato un fattore predittivo significativo del rischio di presentare peggiori sintomi ansioso-depressivi». Un ulteriore studio pubblicato su Frontiers in Psychiatry ci fa vedere come, su 1639 intervistati il benessere psicologico minore si riscontra tra le donne di meno di 50 anni con salute a rischio e tra i soggetti che sono stati esposti all’infezione o conoscevano persone infette. La maggior parte del campione ha segnalato un generale peggioramento delle condizioni demografiche, economiche, sociali e relazionali. Aumentato il tempo passato sui social, in cucina e a vedere film e diminuito il tempo dedicato ad attività fisica.

Tra i giovani i sintomi più frequenti sono stati: difficoltà di concentrazione (76,6%), noia (52%), irritabilità (39%), irrequietezza (38,8%), nervosismo (38%), sentimenti di solitudine (31,3%), disagio (30,4%) e preoccupazioni (30,1%). Il Telefono Azzurro ha segnalato un aumento delle richieste per problemi di salute mentale del 14,4% e un aumento del 22,6% dei contatti via chat. Incremento significativo anche dei casi di abusi e violenze, problemi in rete, disturbi del comportamento alimentare, e atti di autolesionismo e tentativi di suicidio.

Ora la domanda è: a fronte di indicatori così drammaticamente chiari, il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) è preparato ad affrontare l’emergenza psicologica montante? Ad oggi, la risposta parrebbe negativa. In Italia la spesa per la salute mentale è pari al 3,5% del Fondo Sanitario Nazionale. Il Report sul personale del Servizio Sanitario Nazionale del Ministero della Salute relativo all’anno 2018 parla di uno psichiatra pubblico ogni circa 10mila cittadini adulti e uno psicologo pubblico circa ogni 12mila cittadini, con una età media di 52 anni per i medici e di 56 per gli psicologi. Inoltre, la debolezza del servizio pubblico emerge anche dal fatto che solo il 5% dei 130.000 psicologi operanti in Italia lavori in strutture del SSN. Dunque, l’accesso alle cure per soggetti che non possono ricorrere a servizi privati è gravemente compromesso.

In conclusione, va segnalato un primo passo importante: è stata approvata la mozione concernente iniziative in materia di salute mentale a prima firma della deputata Pd ed ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Essa impegna il governo ad ampliare l’accesso alle terapie psicologiche, a garantire fino a 10 sedute di psicoterapia ai giovani depressi a causa della pandemia, e a mettere su un piano nazionale per la salute mentale.

[di Jacopo Pallagrosi]

Migranti: 1192 in hotspot Lampedusa, struttura al collasso

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L’hotspot di Lampedusa è al collasso: la capienza massima della struttura, infatti, è di 250 posti, ma sono 1192 i migranti presenti al suo interno. Tutto ciò nonostante i diversi trasferimenti effettuati nelle ultime ore: 6 tunisini sono stati trasferiti sulla nave quarantena “Adriatico” diretta a Porto Empedocle, mentre altri 115 sulla “Azzurra”, che li porterà a Siracusa. Inoltre, altri viaggi sono previsti per oggi: in base alle disposizioni della prefettura di Agrigento, 110 persone saranno trasferite dal traghetto di linea a Porto Empedocle ed altri 50 tunisini da una motovedetta della Capitaneria a Pozzallo.

Overshoot Day: da oggi consumiamo risorse che la Terra non ci ha dato

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Quando mancano ancora 5 mesi abbondanti alla fine dell’anno gli esseri umani hanno già consumato tutte le risorse che la Terra riesce a generare in un anno. Il consumo di risorse riprende a galoppare segnando un nuovo record dopo lo stop dello scorso anno (quando l’overshoot era giunto il 22 agosto a causa del lockdown). Il 1970 fu il primo anno in cui consumammo più risorse di quelle concesse, terminandole il 29 dicembre, poi un costante e rapido peggioramento. E se fosse per i paesi occidentali tutto andrebbe decisamente peggio. L’Italia, ad esempio, ha terminato le risorse che il suo suolo può generare già il 13 maggio scorso e da allora è in debito con la Terra per l’alimentazione (frutta, verdura, carne, pesce, acqua), l’energia (legna, combustibili) e altri prodotti.

Plastica da rifiuto a risorsa: dei batteri possono trasformarla in vanillina

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Tantissimi scienziati di tutto il mondo sono alla perenne ricerca di metodi di riciclaggio innovativi per la plastica. Uno dei più recenti viene dall’Università di Edimburgo dove, un gruppo d ricercatori, è riuscito a trasformare la plastica in vanillina, grazie all’utilizzo di batteri geneticamente modificati. La vanillina è una sostanza ampiamente utilizzata dalle industrie alimentari e cosmetiche, ma anche una sostanza chimica sfusa che viene impiegata nella produzione di prodotti farmaceutici e per uso domestico. Dato che la vaniglia è molto richiesta e anche molto costosa, da tempo vengono prodotti aromi artificiali la cui base di partenza sono derivati del petrolio, proprio come la plastica delle bottigliette.

La plastica più diffusa e utilizzata è il polietilene tereftalato – comunemente noto come PET e impiegato nella produzione di bottiglie – il quale, si è scoperto, può essere decomposto da alcuni microrganismi, come quelli presenti nello stomaco delle muccheGli scienziati, infatti, hanno modificato geneticamente l’Escherichia Coli per far sì che trasformasse l’acido tereftalico, unità di base del polietilene tereftalato, in vanillina. Hanno quindi preso una bottiglia in plastica, l’hanno trattata chimicamente e poi sottoposta al metabolismo dei batteri, riuscendo ad ottenere una conversione al 79%. Un risultato significativo che fa sperare di poter presto trasformare i rifiuti plastici – nocivi per il nostro pianeta – in un bene di largo consumo. A tal proposito, gli esperti hanno affermato non solo che l’aroma ottenuto sia adatto al consumo umano e che provvederanno ad effettuare ulteriori test per certificarlo, ma anche l’intenzione di modificare ulteriormente i batteri per aumentare il tasso di conversione.

[di Eugenia Greco]

L’Ecuador abbandona Julian Assange al suo destino

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Piove sempre sul bagnato, almeno per Julian Assange. L’Ecuador ha infatti deciso di prendere le distanze dall’editore australiano, revocandogli la cittadinanza con quelle che il suo avvocato, Carlos Poveda, reputa delle scappatoie prive di legittimità.

La naturalizzazione ecuadoregna di Assange è stata ufficialmente annullata poiché, stando a quanto sostiene l’Amministrazione del Paese sudamericano, i carteggi relativi conterrebbero incongruenze, firme differenti, possibili falsi e, persino, alcuni difetti nel versamento degli oneri burocratici.

Elementi che sono stati discussi in tribunale senza che l’accusato potesse dire la sua, visto che l’attivista fondatore di WikiLeaks è attualmente detenuto nel carcere londinese di massima sicurezza di Belmarsh in relazione alla fuga di informazioni che nel 2010 aveva esposto crudamente alcuni degli abusi e dei misfatti perpetrati dal Governo statunitense.

Facile intuire che Guillermo Lasso, Capo di Stato dell’Ecuador insediatosi appena lo scorso maggio, stia cercando di smarcarsi da Assange, una zavorra diplomatica ereditata dal predecessore che potrebbe causare non poche noie politiche, visto che gli USA stanno facendo di tutto per assicurarsi di mettere personalmente le mani sull’uomo.

Assange si era avvicinato a Quito nel 2012 quando, ricercato dalla Svezia a causa di alcune accuse di stupro, aveva deciso di rifugiarsi proprio nell’ambasciata londinese dell’Ecuador, nel disperato tentativo di evitare un’estradizione che, accusa l’attivista, sarebbe stata orchestrata al fine di consegnarlo al potente alleato d’oltreoceano.

Il governo ecuadoregno aveva preso in considerazione di garantirgli l’immunità diplomatica, ma nel mentre i giudici svedesi hanno lasciato cadere il caso e i rapporti tra il fondatore di WikiLeaks e l’ambasciata si sono incrinati pesantemente, con il risultato che nel 2019 l’uomo è stato letteralmente buttato fuori e consegnato di fatto alle Forze di polizia britanniche.

Allora la sua cittadinanza era stata solamente sospesa, ma il nuovo Governo ha infine deciso di recidere definitivamente ogni legame con Assange, personaggio che sta sempre più divenendo il fulcro di scomodissime tensioni internazionali.

[di Walter Ferri]

I Canadair italiani sono in mano a un monopolio

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canadair

La Sardegna è in fiamme. I media generalisti stanno rimbalzando le immagini “mematiche” di cani pastore ustionati dal fuoco, altrove si discute di come la Regione, ma anche l’Italia intera, si stia dimostrando impreparata a gestire un’emergenza cronica che nel prossimo futuro potrebbe progressivamente intensificarsi.
Inadeguato, il Bel Paese ha infatti dovuto chiedere all’Europa una mano per gestire gli incendi, con Francia e Grecia che hanno provveduto a inviare una manciata di Canadair per assistere la flotta aerea italiana. La cosa ha scatenato polemiche, con testate quali Il Manifesto che ...

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