giovedì 28 Marzo 2024

Le ultime mosse di Putin e Zelensky prospettano una guerra ancora lunga

Il viaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Washington sancisce il ricompattamento del fronte occidentale intorno alla causa ucraina in uno dei momenti più delicati dall’inizio del conflitto: proprio mentre il generale inverno fa sentire la sua morsa, infatti, infuriano i combattimenti nel Donbass – in particolare nello snodo nevralgico di Bakhmut – e buona parte delle infrastrutture energetiche ucraine è fuori uso a causa dei bombardamenti russi. Si tratta, dunque, di una fase cruciale della resistenza di Kiev contro Mosca che necessita di un messaggio chiaro di unità agli “alleati”, in un momento in cui, da un lato, l’Europa inizia a sentire gli effetti concreti della crisi energetica e, dall’altro, occorre sostenere e rassicurare il morale della popolazione civile e delle forze armate ucraine che si apprestano a vivere il primo vero inverno di guerra.

Così, il presidente americano Joe Biden, durante la conferenza stampa al termine del colloquio con Zelensky, ha affermato che «Non sarete mai soli, saremo con voi finché sarà necessario», dicendosi altresì non preoccupato per la tenuta dell’Alleanza: «non ho mai visto Ue e Nato così unite su alcuna questione e non vedo alcun segno di cambiamento». Kiev ha incassato un nuovo importante sostegno militare e finanziario da parte dell’amministrazione statunitense che – dopo le elezioni di medio termine e la conquista repubblicana della Camera – non ha visto sostanziali cambiamenti nella sua linea di politica estera. Allo stesso tempo, il presidente russo, Vladimir Putin, ha annunciato la volontà di aumentare le dimensioni delle forze armate russe a 1,5 milioni, rispetto al milione attuale, e la prontezza al combattimento della sua triade nucleare, come risposta a quello che può essere letto come un rilancio della sfida Usa-Nato a Mosca. Si prospetta, dunque, una guerra ancora lunga di cui non si intravvede la fine con la relativa corsa agli armamenti da una parte e dall’altra.

Il nuovo pacchetto di aiuti militari approvato dal Congresso statunitense prevede 1,8 miliardi di assistenza all’Ucraina e comprende i tanto richiesti da Kiev missili Patriot (MIM 104 Patriot), il sistema missilistico terra-aria per la difesa tattica. Per il momento ne verrà inviata una sola batteria, in quanto ci vorrà tempo per addestrare le forze ucraine all’uso di uno dei sistemi di difesa aerea più sofisticati dell’arsenale Usa, ha spiegato un funzionario dell’Amministrazione. Altri 374 milioni di dollari saranno, invece, destinati all’assistenza umanitaria per aiutare gli ucraini a superare l’inverno. «Proprio oggi, ho approvato 1,8 miliardi di dollari di assistenza aggiuntiva all’Ucraina», ha dichiarato Biden in conferenza stampa, precisando che ci sono quattro aree chiave della difesa su cui gli Stati Uniti si stanno concentrando, tra cui la difesa aerea, con i Patriot che sono il sistema «migliore». Il presidente americano ha anche spiegato che «l’invio di Patriot non è un’escalation, sono sistemi difensivi», aggiungendo che il presidente ucraino «è pronto a perseguire una pace giusta». Da parte sua, Zelensky ha spiegato che per lui una “pace giusta” equivale ad «una pace senza compromessi riguardo la libertà e la sovranità territoriale con una compensazione per i danni subiti». Ancora una volta, dunque, la pace viene presentata come un ritiro e una resa incondizionata da parte della Russia la quale, tuttavia – pur con evidenti difficoltà – ha recuperato territori in Donbass, mentre la controffensiva ucraina risulta arenata per l’arrivo del gelo e la riorganizzazione delle forze moscovite. Si tratta quindi di un approccio che non favorisce i negoziati, bensì il proseguimento a oltranza dei combattimenti.

Su questo punto è intervenuto anche l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, il quale ha commentato sia il nuovo pacchetto di aiuti a Kiev, sia l’invio dei Patriot: secondo Antonov, «La visita di Zelensky negli Stati Uniti ha dimostrato che né Washington né Kiev sono pronte per la pace», aggiungendo che «Gli Stati Uniti sono pienamente responsabili di aver scatenato il conflitto ucraino nel 2014. In tutti questi anni, Washington ha ostinatamente ignorato o fatto finta di non notare i crimini disumani del regime di Kiev contro la popolazione russa in Ucraina». Per quanto riguarda l’invio dei Patriot, Antonov ha messo in luce il fatto che l’utilizzo di questo tipo d’arma comporta necessariamente la presenza di personale militare Nato sul campo, in quanto gli ucraini non sono in grado di utilizzarlo, confermando così il pieno coinvolgimento Usa e occidentale in un conflitto esterno ai confini NATO: «Nonostante i nostri avvertimenti, il sistema di difesa aerea Patriot sarà inviato a Kiev. Tuttavia, il paese non ha specialisti che sappiano utilizzarlo. Quindi, quelli saranno specialisti americani? O cittadini di un altro paese della NATO? Non possono fare a meno di rendersi conto qui in Occidente che le armi vengono sistematicamente distrutte dai nostri militari. Penso che tutti capiscano perfettamente quale destino può affrontare il personale che presidia questi complessi sul territorio dell’Ucraina», ha affermato.

Si prevede, dunque, l’ennesima escalation del conflitto che si riflette anche nella decisione di Mosca di rafforzare le proprie forze armate: durante un incontro con i vertici della Difesa, Putin ha illustrato la strategia per il 2023 che prevede nessun limite di finanziamento all’esercito. «Non ci sono limiti al finanziamento delle forze armate, daremo all’esercito tutto ciò che chiede», ha dichiarato il capo del Cremlino. Allo stesso tempo, nel recente viaggio a Minsk di Putin, durante l’incontro con il presidente bielorusso Lukashenko, si è discusso della creazione di uno «spazio di difesa unico»: «Abbiamo discusso le questioni relative alla formazione di uno spazio di difesa unifico e alla garanzia della sicurezza dello Stato dell’Unione, nonché alla cooperazione nell’ambito dell’organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva», ha spiegato il presidente russo.

Sono naufragati, dunque, i tentativi sotterranei di imbastire negoziati tra i vertici di Usa e Russia, dopo che il capo di Stato maggiore USA, Mark Milley, aveva parlato della necessità di una trattativa, auspicando che Zelensky cogliesse l’occasione di negoziare dopo l’abbandono russo di Kherson e l’arrivo dell’inverno. A quanto pare, invece, a Washington ha prevalso la linea oltranzista del “falchi” circa l’invio di materiale bellico all’Ucraina e la necessità di ottenere la vittoria sul campo. Allo stesso tempo, Mosca continua a ribadire che tutti gli obiettivi dell’“operazione militare speciale” «saranno raggiunti», attrezzandosi militarmente ed economicamente in questo senso. Si prospetta, dunque, una guerra ancora lunga e sanguinosa, con feroci scontri sul campo e le conseguenze economiche che si ripercuoteranno a livello internazionale, ma soprattutto sull’Europa. Quest’ultima molto più esposta rispetto agli Stati Uniti alle conseguenze del conflitto.

[di Giorgia Audiello]

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