venerdì 11 Ottobre 2024

Lo Stato Islamico sta continuando ad avanzare in Africa

Lo Stato Islamico (ISIS) negli ultimi anni è riuscito a conquistarsi un pezzo di Africa e continua ad avanzare. Se qualcuno lo pensava morto dopo la sconfitta patita in Siria, grazie in buona parte alla lotta delle Unità di Protezione Popolare curde (YPG), sbagliava. Il gruppo islamista è stato in grado di riorganizzarsi e mutare strategia, ottenendo un’avanzata favorita anche dall’instabilità crescente di cui soffre il continente, di cui la situazione libica e l’insurrezione islamista in Mali sono due degli esempi più lampanti. L’Isis si è così aperto la strada verso la penetrazione nel Sahel, una fascia di terreno a sud del deserto del Sahara che dal Senegal all’Eritrea arriva a toccare una decina di stati. In queste aeree negli anni ha guadagnato sempre più terreno lo Stato Islamico del Gran Sahara (IS-GS, EIGS).

L’espansione dello Stato Islamico in Africa non si ferma solo alla zona sub-sahariana del continente, esistono infatti diverse cellule attive anche in altre aree, come lo Stato Islamico nell’Africa Occidentale (ISWAP) e lo Stato Islamico dell’Africa Centrale (ISCAP). Oltre la metà delle provincie che il gruppo terrorista rivendica nel mondo, si trovano in Africa, rendendo di fatto il continente una zona strategica per il gruppo fondamentalista. Qui infatti sono attive alcune delle cellule con il più alto numero di miliziani, oltre al fatto che i paesi in cui il gruppo terrorista è presente sono spesso ricchi di risorse naturali da poter sfruttare.

Molti stati dell’Africa oltre ad avere delle strutture di governo deboli, ossia non in grado di controllare il territorio né di fornire alla popolazione i servizi più basilari, devono fare i conti anche con tutta una serie di problematiche interne e esterne che ne indeboliscono ulteriormente l’operato. Dal punto di vista interno questi paesi si trovano in molti casi a dover affrontare tensioni politiche, etniche, religiose e sociali. Fattori che spesso hanno favorito il reclutamento da parte dei gruppi fondamentalisti. Bisogna inoltre considerare le condizioni economiche, un ampia fetta della popolazione africana vive in condizioni di estrema povertà, altro fattore che sicuramente ha inciso nello spingere migliaia di giovani africani ad unirsi ai vari gruppi terroristi attivi nel continente, incluso l’ISIS.


Oltre ai fattori interni, anche quelli esterni giocano un ruolo cruciale nel creare instabilità. Le multinazionali, i gruppi terroristi e i cartelli criminali, sono attori non statali anch’essi interessati ad allargare la loro influenza su un continente ricco di materie prime e di canali “sicuri” per i traffici di armi, droga o esseri umani. Organizzazioni criminali che sono state capaci negli ultimi anni, ed anche durante il periodo pandemico, di allargare la propria influenza in diverse aree del continente. L’Africa subisce, secondo le stime, una perdita annuale di 88,6 miliardi di dollari in flussi finanziari illeciti legati ad attività criminali, ossia circa il 3,7% del PIL (Prodotto Interno Lordo) dell’intero continente.

Altro fattore esterno che incide nel creare instabilità sono i vari stati in lotta per l’influenza. Stati Uniti, Francia, Europa, Cina, monarchie del Golfo e Russia sono tra i principali attori coinvolti in questa lotta. In una moderna forma di colonialismo, che vede questi attori internazionali combattersi a colpi di interventi militari, aiuti economici, umanitari o “semplice” supporto politico ai vari regimi che si trovano alla guida dei paese. Scarsi risultati sono stati ottenuti dalle varie missioni militari sul continente, come l’operazione antiterrorismo Barkhane della Francia. Presente in Mali per quasi dieci anni e terminata negli scorsi mesi, l’operazione militare di Parigi ha probabilmente fatto più danni di quanti intendeva risolverne, dato che attentati terroristici e insicurezza sono notevolmente aumentati. In alcuni paesi invece i militari francesi sono stati sostituiti dai mercenari del gruppo Wagner, legati al Cremlino. Sfruttando l’instabilità, anche la Russia sta tentando di accrescere la propria influenza sul continente, ai danni di Francia e Stati Uniti. Uno scarso impatto, nel ripristinare una parvenza d’ordine, l’hanno avuto anche le Missioni di mantenimento della Pace a guida delle Nazioni Unite (UN). Negli scorsi mesi in Repubblica Democratica del Congo (RDC) ci sono state numerose proteste contro MONUSCO, la missione a guida UN presente nel paese dal 2010. Operazione che per la popolazione locale si è dimostrata totalmente incapace di contrastare le attività dei gruppi ribelli e terroristi presenti nelle regioni orientali della RDC. Anche l’operato dei militari nel continente è stato un fattore che in parte ha favorito il reclutamento dei gruppi fondamentalisti, i numerosi abusi subiti dalle popolazioni locali hanno influito nello spingere le persone ad unirsi ai vari gruppi.

Purtroppo il futuro per il continente africano non appare roseo, dato che le condizioni che hanno creato e mantenuto l’instabilità sono probabilmente destinate a durare, alla luce anche della crisi energetica e della conseguente inflazione. La lotta tra le potenze mondiali, acuitasi con la guerra in Ucraina, è un altro fattore che sicuramente avrà ripercussioni su un continente a cui servirebbe più di ogni altra cosa indipendenza, pace e stabilità.

[di Enrico Phelipon]

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3 Commenti

  1. Interessante articolo…
    notavo che africacenter dal suo sito dice che “è un’organizzazione accademica con sede nel dipartimento della Difesa U.S. …”, quindi bene che và fornisce dati parziali.
    Sarebbe utile un approfondimento su questi “gruppi islamici’ e sulle questioni africane… per capire meglio cosa sta succedendo veramente.

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