La libertà di stampa e il dissenso si trovano sempre più soffocati dai poteri autoritari. Potrebbe sembrare un’ovvietà, se non addirittura un luogo comune qualunquista, eppure il fenomeno risulta evidente e misurabile. Per ogni scenografico scandalo in stile Jamal Khashoggi, per ogni vergognosa applicazione dello spyware Pegasus, esistono un’infinità di stratagemmi politici ben più discreti che stanno progressivamente logorando le possibilità di manovra del giornalismo, se non addirittura della libertà di parola. Si tratta di una deriva che tendenzialmente attribuiamo a nazioni lontane e illib...
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Articolo interessante. Concordo con i commenti precedenti. Magari avrei ricordato che i “due governi palestinesi” (Gaza e Ramallah) non brillano per eccessi di democrazia e libertà di stampa. Non credo che sia consentito a nessun giornalista palestinese approfondire sui temi legati alla corruzione in Palestina (che fine fanno gli ingenti finanziamenti occidentali?).
Un refuso: Canberra con c’entra nulla con il Canada (peraltro anche in Australia la libertà di stampa e di espressione sono pesantemente compromesse).
Nell’Occidente “democratico” è in atto da anni una lotta contro la crittografia – l’elemento tecnologico alla base della privacy online che è anche necessaria ad uno scambio realmente libero di opinioni. Nella UE si assiste da tempo alla messa in discussione della libertà di espressione: molte istituzioni sono favorevoli alla censura sui social, al controllo ex lege delle fake news (eufemismo moderno usato continuamente per etichettare non già le notizie false, ma le opinioni del campo avverso), e tante altre belle iniziative.
L’ultima novità in termini di tempo è la richiesta di registrare i documenti identificativi di ogni utente dei social – per combattere l’estremizzazione delle opinioni online, si dice. Intento indubbiamente positivo, ma misura per nulla idonea allo scopo e per di più potenziale fonte di ulteriori abusi.
Neanche l’Italia poi è messa bene sul lato libertà di stampa…
Concordo, l’articolo fa una bella sintesi ma avrei anch’io usato parole più chiare per indicare questa tendenza pericolosa tutta occidentale del considerare le opinioni simili alle proprie come controinformazione e quelle opposte alle proprie come fake news.
Bene invece aver detto chiaramente la pericolosità di una narrazione mono tono che sta prendendo sempre più piede in Europa.
Ti ringrazio Antonio per la segnalazione del refuso, ho provveduto a sistemare. Colgo l’occasione per sottolineare che il pezzo non ambisca a proporre un’immagine completa, piuttosto offre uno spaccato d’insieme. Australia, Spagna, Turchia e Corea del Sud sono tutte nazioni che ho preso in considerazione di citare o di approfondire, tuttavia le loro realtà sono estremamente articolate e ho preferito metterle da parte in favore di un articolo che si ponesse in maniera più lineare. Anche la situazione delle nazioni africane non è che toccata superficialmente. In Algeria, Marocco, Libia, Sudan si registra un repressione crescente di attivisti e giornalisti, mentre dal sahel verso sud vi è un panorama in costante evoluzione. Della Corea del Nord e dell’Arabia Saudita non abbiamo neppure fatto menzione, così come abbiamo sorvolato anche sulla temibile legge di lesa maestà della Thailandia.
Di omissioni ne sono rimaste molte, ma cerchiamo di tenere sempre gli occhi aperti su quanto avviene nel mondo e sicuramente provvederemo a seguire alcune di queste tematiche con pezzi dedicati. Sventuratamente, d’altro canto, non mancheranno mai occasioni per approfondire il tema della repressione.
Confermando i complimenti per l’articolo. Ma non mi è chiaro perché parlare di Israele e non della Palestina … anche solo per completezza di una realtà che ha un destino comune.