venerdì 21 Novembre 2025
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La Rai ammette e giustifica di essere parziale nell’informazione sul Covid

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La Rai ha ammesso, in maniera alquanto esplicita, che la sua non sia un’informazione libera ed imparziale bensì faziosa e di parte. Lo si apprende dalle parole del senatore Gianluigi Paragone, il quale ha dichiarato di aver chiesto in Commissione di vigilanza Rai, tramite apposita interrogazione, una risposta circa lo stato dell’informazione dell’azienda pubblica essendo essa «a senso unico», in particolare nei confronti del tema della vaccinazione anti Covid. A tal proposito il senatore riferisce che la Rai ritenga che, per ciò che concerne la somministrazione dei vaccini, «non vi sono temi o notizie paragonabili a queste, per cui non esistono regole volte a una sorta di par condicio che si possano ragionevolmente applicare a questa fattispecie» e che «non vi sono riferimenti che obblighino la Rai a rispettare le logiche di ricerca di equilibrio nelle posizioni». In pratica mancano le condizioni sulla base delle quali debba essere garantita una reale pluralità di punti di vista.

Tuttavia, aggiunge Paragone leggendo il testo della Rai, «in diverse situazioni è stata data la possibilità di esprimere la propria opinione a chi ha deciso di non vaccinarsi, in un leale contraddittorio». Ma è proprio il “leale contraddittorio” uno dei temi contestati dal senatore in quanto secondo quest’ultimo, tranne in rare occasioni, «chi ha posto dei dubbi è sempre stato oscurato o denigrato». Ed in tal senso ricorda, tra i diversi casi, quello del virologo Luc Montagnier ​(premio Nobel per la medicina nel 2008) che «è stato deriso» nel programma condotto da Fabio Fazio, o anche quello del dottor Mariano Amici, invitato in Rai da Bruno Vespa, a cui poi è stata tolta la parola.

Insomma, secondo il senatore anche i cosiddetti “no-vax” dovrebbero vedersi garantito il diritto di esprimersi e vi dovrebbe essere un effettivo e reale contraddittorio. Soprattutto poiché, ad essere etichettati in tal modo, sono anche anche medici e ricercatori che mettono semplicemente in discussione la narrazione ufficiale sul virus. In più, Paragone aggiunge che chi decide di non sottoporsi al siero non stia violando alcuna regola non essendo il siero obbligatorio, dunque non si vede quale sia il motivo di limitare o denigrare argomentazioni e tesi differenti sui vaccini. A tutto ciò, si aggiunge il fatto che i cittadini italiani pagano un canone alla Rai, motivo per cui «devono avere la possibilità di formarsi un’idea, che la Rai non dà». Di conseguenza, «il modo in cui si comporta la Rai è una truffa ai danni di chi paga».

Dunque, per tutti questi motivi il senatore ritiene che vi sia una “violazione del contratto di servizio”, motivo per cui “faremo un esposto o una class action”.

[di Raffaele De Luca]

Migranti: il fallimento dell’agenzia europea Frontex è senza appello

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L’organizzazione di difesa dei diritti umani Human Rights Watch ha dichiarato in un rapporto che Frontex, l’agenzia di guardia di frontiera e costiera dell’Unione Europea, ha completamente fallito nel suo compito di proteggere i diritti fondamentali delle persone lungo i confini esterni dell’unione. Come riporta il documento, «anche in presenza di prove inconfutabili di violazioni di diritti umani». Modificare nel profondo il funzionamento dell’agenzia è una priorità impellente, considerato che Frontex sta diventando un’organizzazione sempre più rilevante nello scenario europeo.

Secondo quanto riportato nel rapporto di Human Rights Watch, Frontex ha preso parte attiva in una serie di respingimenti illegali e violenti lungo il confine greco-turco. In Ungheria, solo dopo 4 anni di negligenza e silenzio ha sospeso delle operazioni che stavano comportando serie violazioni dei diritti umani – e solo una volta che le operazioni erano state dichiarate in violazione della legge europea dalla Corte di giustizia UE. Normalmente, come evidenzia il rapporto, «secondo l’articolo 46 del regolamento Frontex, l’agenzia è in dovere di sospendere o porre fine ad operazioni ove si registrino casi seri di abusi». Quello dell’Ungheria, però, è stato l’unico caso.

Anche in Croazia, l’agenzia di frontiera ha respinto violentemente migranti e richiedenti asilo fuori dai confini del paese, verso Bosnia e Serbia. Casi simili si sono registrati anche a Malta, a Cipro e in Bulgaria. Frontex è tenuta a rispettare la legge internazionale ed europea in fatto di diritti umani, che ovviamente includono anche il diritto all’asilo. Non è però la prima volta che le organizzazioni civili denunciano i suoi abusi e l’agenzia è in questo momento sotto indagine da parte del Parlamento Europeo. Nonostante le numerose segnalazioni provenienti da varie istituzioni, Frontex stessa ha registrato solo 3 casi di violazioni dei diritti umani. Eppure, il suo stesso consiglio direttivo ha mostrato segni di preoccupazione per la disfunzionalità ed inefficienza dei meccanismi di monitoraggio e segnalazione.

Di abusi ne sono stati commessi molti: Frontex ha negato il diritto fondamentale all’asilo, ha respinto migranti e richiedenti asilo con estrema violenza, spesso prendendoli a pugni e calci e senza risparmiare nemmeno i bambini. Ha costretto molti a subire trattamenti degradanti e detenzioni arbitrarie. Ha oltretutto commesso tutti questi abusi con la complicità delle forze di polizia locali, giustificando e supportando le loro azioni violente anziché condannarle e contrastarle. In quanto istituzione dell’Unione Europea incaricata di gestire umanamente i confini esterni dell’unione, ha fallito su tutta la linea.

Tutto questo assume poi una particolare gravità se consideriamo che Frontex ha registrato una crescita piuttosto esponenziale negli ultimi anni. Dalla sua fondazione 17 anni fa, l’agenzia ha più che triplicato il proprio budget (passato da 118 a 460 milioni di euro tra il 2011 e il 2020). Una cifra che, secondo le stime, non farà che aumentare nei prossimi anni. Parallelamente, ha visto anche una crescita di poteri esecutivi nonché di responsabilità legale che fanno sì che, come dichiara Human Rights Watch, una revisione del suo funzionamento sia di massima urgenza.

[di Anita Ishaq]

Usa: ondata di caldo, in Oregon 63 morti

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Sono almeno 63 le persone che hanno perso la vita nello stato dell’Oregon a causa dell’ondata di caldo che si è abbattuta sugli Stati Uniti. Lo hanno reso noto i media americani. Queste morti vanno ad aggiungersi a quelle verificatisi nello Stato di Washington, dove vi sono stati almeno 16 decessi legati al caldo. Inoltre nella British Columbia, la provincia canadese confinante proprio con lo Stato di Washington, in questi giorni sono state segnalate dalle autorità locali centinaia di vittime per il caldo.

La svolta del Messico: i narcos si combattono legalizzando la cannabis

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La Corte Suprema messicana ha eliminato il divieto di consumo di cannabis a scopo ricreativo: con otto voti a favore e tre contrari ha annullato una parte della Legge generale sulla salute, che proibiva di utilizzare la marijuana al di fuori del campo medico e scientifico. Precisamente, la Corte ha «risolto» la Dichiarazione generale di incostituzionalità del 2018: in quell’anno, infatti, aveva dichiarato incostituzionale il divieto nei confronti della cannabis, ed aveva ordinato al Congresso (ossia il Parlamento) di occuparsi di una sua regolamentazione. Tuttavia quest’ultimo non lo ha mai fatto: ha violato varie volte le scadenze imposte dalla Corte, motivo per cui la stessa ha preso questa decisione. A tal proposito, in seguito a quanto stabilito, i messicani potranno chiedere alla Commissione federale per la protezione contro i rischi sanitari (Cofepris) i permessi per poter consumare, coltivare e trasportare marijuana per scopi ricreativi.

Ad ogni modo, però, la decisione della Corte costringe ancora una volta il Congresso ad occuparsi del tema Infatti, come sottolineato da Lisa Sánchez, la direttrice generale della Ong Mexico Unido contra la Delinquencia, «sono i legislatori a dover determinare il modo migliore per rilasciare i permessi, le quantità e gli spazi di consumo, dunque dovrebbero legiferare su questo».

Detto ciò la direzione in cui si sta muovendo il Messico, la patria dei narcos, va contro la cosiddetta “war on drugs” ossia la “guerra alla droga”. Si tratta difatti del paese dove più che in ogni altro l’ideologia della guerra ad ogni tipo di sostanza stupefacente ha generato i maggiori danni. Basti pensare alle innumerevoli persone morte in questi anni (spesso civili) a causa degli scontri tra i vari cartelli della droga o tra di essi e lo stato, o anche al sistema di sicurezza prodotto da tale politica, rivelatosi violento ed inaffidabile. In tal senso, va ricordato che il governo negli anni della presidenza di Felipe Calderon (2006-2012) ha dato carta bianca ai militari, alimentando così abusi di potere, torture, e sparizioni. Tutto ciò però non ha minimamente indebolito i cartelli della droga: ha solo reso maggiormente insicuri i quartieri delle città messicane, che si sono appunto caratterizzati per le violenze non solo dei criminali ma anche delle forze dell’ordine. Insomma, essendo chiaro che il proibizionismo non si sia rivelato efficace nella lotta alla droga, il Messico ora si appresta ad intraprendere la strada opposta.

[di Raffaele De Luca]

Libano: la crisi senza fine dell’ex isola felice del Medio Oriente

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C’era un tempo in cui il Libano si fregiava dell’appellativo di “Svizzera del Medio Oriente”, soprannome guadagnatosi grazie alla prosperità che aveva costruito. Niente è più lontano di questa immagine e la lunga crisi che ha colpito il Paese, ormai da gennaio in stato di emergenza, non fa che peggiorare. Mentre la moneta perde valore e beni essenziali come acqua, medicine e carburante scarseggiano, si intensificano le proteste e cresce la violenza. Tra il sabato 26 e domenica 27 giugno, dieci soldati libanesi e vari manifestanti sono stati uccisi nella città di Tripoli. Altri scontri hanno avuto luogo in varie località del paese. Un nuovo capitolo si è aperto in queste ore: l’esercito libanese è intervenuto in forze nella stessa Tripoli, dopo che alcuni uomini armati hanno aperto il fuoco con armi automatiche, in un atto riportato dai media locali come ” un segno di protesta per le penose condizioni di vita”.

Si tratta della crisi peggiore che il paese mediorientale abbia mai registrato. L’inflazione ha raggiunto livelli senza precendenti. La lira libanese sta registrando una precipitosa svalutazione, perdendo quasi il 90% del suo valore: sabato 26 giugno è arrivata ad un tasso di cambio pari a 18.000 al dollaro nel mercato nero. Mancano internet, elettricità e forniture mediche. L’educazione è diventata pressoché inaccessibile, il che ha intensificato la fuga di cervelli. Il prezzo di cibo e bevande è aumentato del 670% e, conseguentemente, povertà estrema ed insicurezza alimentare sono diventati dilaganti.

Questa situazione senza precedenti va avanti ormai da 18 mesi, a partire dalla tristemente nota esplosione che ad agosto del 2020 devastò il porto di Beirut, portando alla morte di più di 200 persone. Eppure l’aiuto internazionale ha tardato a farsi vedere e anzi gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni sul paese, esempio che l’Unione Europea e la Banca Centrale sembrano voler seguire. Questo nonostante le Nazioni Unite abbiamo dichiarato che almeno 1 milione e mezzo di libanesi sono in stato di necessità. Secondo l’organizzazione, più della metà della popolazione del paese vive oggi in condizioni di povertà, e tra i rifugiati siriani la povertà colpisce addirittura 9 persone su 10. Ovviamente a tutto questo si aggiunge la crisi sanitaria causata dal Covid, che ha ulteriormente aggravato la situazione.

Un tempo, il Libano era un paese eccezionalmente pacifico e libero, una sorta di isola felice nel panorama mediorientale. Negli ultimi anni, il paese è stato devastato da un governo sempre più autoritario e disinteressato alle sofferenze della popolazione, da un’ondata di proteste comuni a tutto il mondo arabo, ma soprattutto dall’indifferenza e ostilità della comunità internazionale.

Gli Stati Uniti hanno imposto durissime sanzioni contro Hezbollah, che come sempre succede hanno colpito più la popolazione che non il regime. L’intento era favorire un cambiamento di governo, possibilmente in linea con gli interessi occidentali, indebolendo la resistenza locale. Come riportato dall’agenzia Reuters, proprio a giugno l’Europa, con la Francia in testa, ha iniziato ad accarezzare idee simili, insistendo che il Libano e solo il Libano è responsabile della sua attuale situazione.

[di Anita Ishaq]

Migranti: naufragio al largo di Lampedusa, 7 morti

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Sette migranti, tra cui una donna incinta, hanno perso la vita a causa del naufragio di un barcone avvenuto a circa 5 miglia da Lampedusa. Sono 46, invece, i superstiti recuperati dai soccorritori: essi sono stati ascoltati all’hotspot e in base alle loro testimonianze ci sarebbero ancora 9 dispersi, molti dei quali potrebbero essere bambini. In tal senso, le ricerche in mare aperto da parte delle motovedette di carabinieri, Capitaneria e guardia di finanza sono in corso.

La Commissione Europea si è convinta: presto l’approvazione di 5 terapie anti-Covid

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Con la campagna vaccinale ormai in fase avanzata e pur sottolineando che quella dell’immunizzazione di massa rimane la strategia principale, l’Unione europea si appresta ad approvare anche alcune terapie anti Covid. Lo ha reso noto la Commissione europea nella giornata di martedì, che ha annunciato di aver identificato cinque trattamenti promettenti contro il coronavirus. Nello specifico, si tratta di quattro anticorpi monoclonali attualmente in revisione da parte dell’Agenzia europea per i medicinali e di un immuno-soppressore. Quest’ultimo è stato già autorizzato per i pazienti non Covid e potrebbe ricevere il via libera anche per il trattamento del coronavirus. Si tratta di terapie che secondo gli esperti potrebbero essere somministrate anche a casa (e in questo senso esistono già esperienze in Italia), andando finalmente incontro alle evidenze scientifiche che da tempo sottolineano la necessità di permettere le cure domiciliari, fino ad oggi osteggiate.

La selezione di tali farmaci fa parte della strategia dell’Unione europea sulle terapie per il Covid, lanciata a maggio per perseguire l’obiettivo di «integrare la riuscita strategia dell’Ue sui vaccini» con una sulle terapie anti Covid che sostenga lo sviluppo e la disponibilità delle stesse. In tal senso, per incrementare l’accesso ai farmaci, l’Ue ha affermato di voler investire per migliorare la loro produzione. Inoltre, punta a facilitare le partnership tra le aziende farmaceutiche così da affrontare rapidamente possibili colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento ed il «primo evento di matchmaking dell’industria» si terrà il 12-13 luglio.

Detto ciò, va ricordato che l’unico farmaco anti Covid finora approvato nell’Ue è il remdesivir, un farmaco antivirale che l’Unione europea ha acquistato con un appalto congiunto poco prima che l’Organizzazione mondiale della sanità si pronunciasse circa la sua inefficacia sui pazienti gravemente malati di Covid. Tuttavia, le terapie adesso selezionate «potrebbero essere presto disponibili per il trattamento dei pazienti in tutta l’Ue», in quanto vi è una elevata possibilità che esse ricevano l’autorizzazione entro ottobre 2021, il che costituisce l’obiettivo fissato dalla Strategia. Inoltre, entro lo stesso mese la Commissione elaborerà un portafoglio composto da almeno 10 potenziali terapie per il Covid.

[di Raffaele De Luca]

Finanziamenti fossili: quale banca scegliere per non essere complici?

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Dopo alcuni articoli pubblicati su come alcune grandi banche che, pur cercando di accreditarsi come amiche dell'ambiente, siano in realtà grandi finanziatrici di progetti devastanti, molti lettori ci hanno chiesto di fornire indicazioni su come investire i propri risparmi in istituti che assicurino un utilizzo etico degli stessi. Questo articolo prova a mettere un primo punto sulla questione, anche se non è stato affatto semplice, perché mancano certificazioni che si occupino di classificare le banche in base a requisiti etici. Alcuni tentativi in merito sono stati promossi dagli istituti stes...

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Hong Kong: Next Digital, editrice di Apple Daily, chiude

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Next Digital, la società quotata alla borsa di Hong Kong, nonché editrice del quotidiano Apple Daily, il tabloid chiuso la scorsa settimana dalle autorità in base alla legge sulla sicurezza nazionale imposta dalla Cina a giugno 2020, chiuderà i battenti domani. La holding è di proprietà del magnate Jimmy Lai che si trova in carcere dalla fine del 2020.

Torture ai detenuti: in manette 7 agenti del carcere di Santa Maria Capua Vetere

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Decine di misure giudiziarie sono state comminate ad agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, nella provincia di Caserta. La causa di tali misure sono gli avvenimenti occorsi il 6 aprile 2020, giorno in cui gli agenti hanno compiuto torture e violenze nei confronti dei detenuti. La mattanza scatenata dagli agenti è stata una sorta di vendetta per la protesta che il giorno prima i carcerati avevano inscenato per la situazione all’interno del carcere in relazione alla pandemia da Covid-19.

Un ispettore e 7 agenti della polizia penitenziaria sono finiti in manette mentre per altri 18 sono scattati gli arresti domiciliari. Tre ispettori sono invece posti all’obbligo di dimora nel proprio Comune di residenza. Inoltre, sono state 23 le misure cautelari interdittive che prevedono la sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio rispettivamente rivestito, per un periodo che va dai 5 ai 9 mesi, sono state notificate al comandante del Nucleo Investigativo Centrale della polizia penitenziaria, Nucleo Regionale di Napoli, al Provveditore Regionale per la Campania, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nonché a 21 agenti della polizia penitenziaria.

Le accuse rivolte ai soggetti coinvolti sono molteplici: torture pluriaggravate ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio.

Un video con le immagini delle telecamere di sicurezza del carcere, mostra i tremendi atti che gli agenti della polizia penitenziaria hanno commesso ai danni dei detenuti: manganellate, calci e pugni, testate, persone inermi stese a terra brutalmente picchiate, corridoi zeppi di agenti che aggrediscono i carcerati che vi passano in mezzo.

[di Michele Manfrin]