venerdì 21 Novembre 2025
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Torture ai detenuti: in manette 7 agenti del carcere di Santa Maria Capua Vetere

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Decine di misure giudiziarie sono state comminate ad agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, nella provincia di Caserta. La causa di tali misure sono gli avvenimenti occorsi il 6 aprile 2020, giorno in cui gli agenti hanno compiuto torture e violenze nei confronti dei detenuti. La mattanza scatenata dagli agenti è stata una sorta di vendetta per la protesta che il giorno prima i carcerati avevano inscenato per la situazione all’interno del carcere in relazione alla pandemia da Covid-19.

Un ispettore e 7 agenti della polizia penitenziaria sono finiti in manette mentre per altri 18 sono scattati gli arresti domiciliari. Tre ispettori sono invece posti all’obbligo di dimora nel proprio Comune di residenza. Inoltre, sono state 23 le misure cautelari interdittive che prevedono la sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio rispettivamente rivestito, per un periodo che va dai 5 ai 9 mesi, sono state notificate al comandante del Nucleo Investigativo Centrale della polizia penitenziaria, Nucleo Regionale di Napoli, al Provveditore Regionale per la Campania, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nonché a 21 agenti della polizia penitenziaria.

Le accuse rivolte ai soggetti coinvolti sono molteplici: torture pluriaggravate ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio.

Un video con le immagini delle telecamere di sicurezza del carcere, mostra i tremendi atti che gli agenti della polizia penitenziaria hanno commesso ai danni dei detenuti: manganellate, calci e pugni, testate, persone inermi stese a terra brutalmente picchiate, corridoi zeppi di agenti che aggrediscono i carcerati che vi passano in mezzo.

[di Michele Manfrin]

Canada: caldo record, sfiorati i 50 gradi

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A Lytton, un villaggio a nordest di Vancouver, sono stati registrati 49,5 gradi. L’ondata di caldo record ha fatto registrare decine di morti nella regione canadese. Le autorità di Vancouver parlano di circa 130 decessi improvvisi nell’aerea metropolitana, da venerdì scorso ad oggi.

Spagna: Governo approva legge su cambio di genere

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Il Consiglio dei ministri spagnolo ha approvato una proposta di legge che riconosce ai propri cittadini la possibilità di cambiare il proprio genere a livello legale e amministrativo senza dover presentare referti medici o avere effettuato cure ormonali. L’approvazione governativa arriva dopo una lunga fase interlocutoria che ha coinvolto associazioni Lgbt+ e dopo un acceso dibattito politico.

Recovery Plan, i colossi fossili ci hanno messo lo zampino

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Secondo un’inchiesta di ReCommon, “tramite una capillare attività di lobbying“, il settore dei combustibili fossili è riuscito a imporsi alle decisioni del governo italiano. In collaborazione con la rete europea Fossil Free Politics, l’associazione ha redatto il rapporto “Ripresa e Connivenza” dove si svela come il comparto fossile italiano, capeggiato da Eni e Snam, sia riuscito ad incassare una cospicua parte dei fondi di ripresa.

Da luglio 2020, mese in cui è stato annunciato il Recovery Plan, ad oggi, i colossi petroliferi italiani sono riusciti a ottenere almeno 102 incontri con i ministeri incaricati di redigere il piano. Una media – rende noto il documento – di oltre 2 incontri a settimana. Tramite richieste di accesso agli atti ed analizzando le agende dei ministeri, ReCommon è riuscita ad evidenziare come solo le multinazionali Eni e Snam abbiano ottenuto 20 incontri ufficiali a testa. Eni in questo modo, ad esempio, ha potuto pubblicizzare le proprie discutibili soluzioni alla crisi climatica. Come il caso dell’idrogeno, ad oggi prodotto per oltre il 90% a partire dagli idrocarburi gassosi, per cui ne avevamo già spiegato i controversi interessi del ‘cane a sei zampe’. Stesso discorso per i – rischiosi ed ancora privi di efficacia dimostrata – progetti di Cattura e Stoccaggio dell’anidride carbonica (Ccs).  Snam, dal canto suo, controllando la rete di gasdotti in Italia e nel resto d’Europa ha avuto modo di promuovere le proprie iniziative col solo fine di prolungare la vita delle sue infrastrutture fossili, nonché di realizzarne di nuove. «Come le decine di stazioni di rifornimento a idrogeno per treni e camion incluse nel PNRR – denunciano gli autori del report – utili solamente a rallentare un reale cambio di modello nei trasporti».

In tutto ciò, le responsabilità politiche non mancano. Cruciale, infatti, è stata la fondazione del Ministero della transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani. Una conversione in linea con il resto d’Europa che in Italia, tuttavia, ha presto dato vita ad una visione industriale dell’ambiente. Dalla sua nascita lo scorso febbraio – ha svelato il rapporto – il ministero ha avuto oltre tre incontri a settimana con il comparto fossile, di cui 18 con la presenza del ministro in persona. In poco più di un mese, Cingolani ha ricevuto l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e quello di Snam, Marco Alverà, ben quattro volte, per discutere dei progetti da inserire all’interno del Recovery Plan. Quel che ne è risultato è stato che, rispetto alla bozza iniziale del Piano, i finanziamenti destinati a “promuovere la produzione, la distribuzione e gli usi finali dell’idrogeno” erano lievitati di oltre 3 miliardi. Fortunatamente poi, in quanto la prima versione fragorosamente bocciata dalla Commissione europea, ridimensionati fino alla comunque mastodontica cifra di 3,19 miliardi di euro. Mastodontica non perché non conforme ai potenziali bisogni, ma poiché destinata ad arricchire, in parte se non totalmente, i soliti colossi del settore energetico.

«È disarmante la facilità con la quale le lobby del fossile siano riuscite a influenzare le scelte dei governi rispetto a un Piano di investimenti che condizionerà non poco il futuro del Paese. Ci fa comprendere – ha dichiarato Alessandro Runci di ReCommon, autore del rapporto – la necessità di riconquistare dal baso spazi di democraticità, senza i quali sarà impossibile vincere battaglie epocali come quella per la giustizia climatica».

[di Simone Valeri]

Estrarre acqua potabile dall’umidità senza energia, ora è possibile

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Da anni esistono delle tecnologie in grado di estrarre l’acqua dall’umidità atmosferica e renderla potabile. Si chiamano generatori di acqua atmosferica e il loro potenziale è notevole. Ma quelli realizzati fino ad oggi, presentano ancora un limite che ne arresta la diffusione. Tali strumenti sfruttano infatti l’escursione termica tra il giorno e la notte e, di conseguenza, riescono ad estrarre l’acqua solo al calare del sole. Questo perché – come le pellicole raccogli rugiada -, il sole riscalda le lamine durante il dì e rende impossibile la formazione della condensa.

Oggi però, un team di scienziati dell’ETH di Zurigo (Politecnico federale), con l’obiettivo di aiutare i paesi afflitti dalla siccità, è riuscito a creare un condensatore in grado di produrre H2O dall’umidità, 24 ore su 24 – anche sotto il sole cocente – e senza energia. Come? Con una lastra di vetro rivestita di strati di polimero e argento, in grado di riflettere le radiazioni solari, respingere il calore e raffreddarsi fino a 15° C al di sotto della temperatura ambientale, in modo che, nella parte inferiore del pannello, l’umidità dell’aria si condensi in acqua. Si tratta di un rivestimento speciale, appositamente progettato, il quale fa sì che il pannello emetta radiazioni infrarosse a una specifica lunghezza d’onda verso lo spazio esterno, senza assorbimento da parte dell’atmosfera, né riflessione sul pannello. 

Un altro elemento essenziale di questo nuovo condensatore è lo schermo per radiazioni a forma di cono, il quale devia la radiazione termica dall’atmosfera e scherma la lastra dalla radiazione solare in arrivo, consentendo contemporaneamente al dispositivo di irradiare suddetto calore verso l’esterno e di autoraffreddarsi completamente. Inoltre, solitamente le altre tecnologie richiedono che, con un dispendio di energia, l’acqua di condensa venga rimossa dalla superficie affinché non resti lì e ostacoli l’ulteriore condensazione. Ecco quindi che gli esperti hanno applicato un rivestimento estremamente idrorepellente alla parte inferiore della lastra del condensatore, in modo che l’acqua scorra via dalla superficie.

Questo generatore super sofisticato è stato testato e ha dimostrato di poter produrre almeno il doppio di acqua rispetto alle migliori tecnologie. Con un pannello di soli 10 centimetri di diametro, eroga 4,6 millilitri di acqua al giorno. Quindi, pannelli più grandi genererebbero quantità maggiori di acqua potabile. Gli scienziati hanno anche dimostrato che, in condizioni ideali, ogni ora possono raccogliere fino a 0,53 decilitri di acqua per metro quadrato di superficie della lastra. Adesso quindi, il loro obiettivo è quello di sviluppare ulteriormente questa tecnologia e aumentarne la resa. 

[di Eugenia Greco]

 

Sudafrica: condannato a 15 mesi di carcere l’ex presidente Jacob Zuma

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La Corte Costituzionale del Sudafrica ha condannato oggi l’ex presidente del Paese, Jacob Zuma, a 15 mesi di carcere per oltraggio alla corte. Egli non si è presentato davanti agli inquirenti nel processo per corruzione. È infatti accusato di aver permesso il saccheggio delle casse dello Stato nel corso della sua permanenza in carica: è stato presidente dal 2009 al 2018. «Non mi resta altra scelta che mandare il signor Zuma in prigione» ha dichiarato il giudice, Sisi Khampepe.

Milano: quando la violenza delle forze dell’ordine è coperta dalla cattiva informazione

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Domenica mattina, all’esterno del McDonald’s di Piazza XXIV Maggio, a Milano, vi sono stati momenti di tensione tra un gruppo di giovani ed i carabinieri: questi ultimi hanno picchiato i ragazzi per motivi ancora non definiti ma, stando alle testimonianze dei protagonisti della vicenda e soprattutto ad alcuni video pubblicati in rete, potrebbe non essere remota l’ipotesi di un abuso di potere. Nello specifico, una ragazza presente sul posto ha pubblicato su Instagram diversi video tramite i quali da un lato ha raccontato la vicenda e dall’altro ha fornito le prove delle violenze subite dai giovani. Per la ragazza si è trattato senza dubbio di un «abuso di potere guidato da discriminazioni razziali».

Secondo quest’ultima, infatti, un gruppo formato da circa 15 giovani stava facendo colazione al McDonald’s. Ad un certo punto un ragazzo di colore seduto affianco a loro decide di prendere uno dei monopattini forniti dalla città e di iniziare a suonare il suo campanello in maniera scherzosa. In quel momento arriva una volante della polizia che inizialmente minaccia di arrestare il ragazzo e successivamente chiama i rinforzi. Si presentano dunque sul posto 6 pattuglie della polizia e due camionette dei carabinieri, da cui scendono le forze dell’ordine in tenuta antisommossa. Così i giovani, per dimostrare di non star commettendo alcun reato, iniziano a cantare e ballare. A quel punto, però, le forze dell’ordine li spingono ed in particolare uno di loro viene preso a calci e manganellato. Per questo, la sorella del giovane si avvicina per protestare contro la condotta delle forze dell’ordine e per tutta risposta riceve una manganellata sulla testa. Dopodiché  i carabinieri iniziano ad inseguire e picchiare altri ragazzi, nel frattempo armatisi con delle bottiglie di vetro.

Inoltre, la testimone racconta anche che le forze dell’ordine non hanno fornito aiuto alla ragazza manganellata ed i giovani stessi hanno dovuto chiamare l’ambulanza. Infine, sempre a detta dell’autrice del video, la vicenda si sarebbe conclusa con degli insulti razzisti nei confronti di un’altra ragazza di colore che non aveva con sé il documento di identità e con un ragazzo preso a calci e caricato a forza sulla volante senza che gli agenti gli fornissero alcuna motivazione per il fermo. Anzi, la testimone racconta che l’unico commento da parte loro sia stato il seguente: «Annientate questo negro». Ma, al di là delle dichiarazioni dei ragazzi, ci sono appunto i video a dimostrare le lacune della versione ufficiale fornita dai carabinieri e riportate acriticamente sulla stampa.

La vicenda è stata infatti riportata anche dai media mainstream, che però hanno omesso alcuni dettagli fondamentali. L’Ansa ad esempio, basandosi esclusivamente sulla versione dei carabinieri, ha fornito una ricostruzione molto diversa rispetto a quella dei testimoni. Ha infatti riportato che i carabinieri siano arrivati sul posto in quanto «era stata segnalata una rissa» e che «i militari hanno constatato la presenza di un gruppo di giovani, in prevalenza stranieri, che si sono rivolti ai carabinieri con atteggiamenti provocatori, ed erano assembrati nei pressi del locale bevendo alcolici ed ascoltando musica ad alto volume». Dunque «hanno fatto allontanare i presenti» ed alcuni di loro «hanno lanciato bottiglie di vetro verso i militari e si sono dispersi dopo una breve azione di contenimento». Infine, oltre a rendere noto che siano poi state identificate e sanzionate 12 persone per via delle misure anti Covid, nonché arrestato un italiano di 19 anni e denunciato un italiano di 22 anni, l’articolo si conclude fornendo un’altra informazione parziale. Si legge infatti che «una 20enne originaria del Burkina Faso ha riportato una leggera contusione alla testa ed è stata trasportata all’Ospedale Fatebenefratelli», omettendo che la contusione le è stata provocata da una manganellata.

Lo stesso è accaduto sulla gran parte delle testate della stampa italiana, che hanno ripreso acriticamente il comunicato delle forze dell’ordine, producendo titoli faziosi come “Rissa a Milano davanti al Mc Donald’s, lancio di bottiglie ai carabinieri” (Corriere della Sera) o “Milano, rissa e bottiglie contro carabinieri” (Sky Tg24). Una informazione strumentalizzata, in parte falsa (visto che fa partire la cronaca dal momento in cui alcuni giovani hanno preso in mano le bottiglie, senza considerare quanto accaduto prima) e assolutamente non obiettiva, perché riporta solo la versione dei carabinieri, non solo scegliendo di non dare voce ai ragazzi, ma addirittura omettendo totalmente di riportare i video che mostrano come la versione fornita dalle forze dell’ordine sia assolutamente lacunosa.

[di Raffaele De Luca]

Canada: l’orrore delle scuole per “integrare” i bambini indigeni, spiegato

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Nel Nordamerica si è nuovamente acceso il dibattito sulla violenza che le tribù native hanno subito nel corso degli ultimi secoli. Un nuovo ritrovamento di ben 751 tombe di bambini indigeni avvenuto in Canada ha fatto esplodere la rabbia e il dolore nelle comunità nativo-americane di tutto il Nordamerica, che hanno risposto anche dando fuoco ad alcune chiese. Fatti di cronaca che hanno portato anche all’attenzione dei media il fenomeno delle Boarding School, ovvero le scuole per l’assimilazione dei bambini indigeni, che fanno riemergere un passato di indicibile sofferenza che i popoli nativi hanno affrontato con la conquista e la colonizzazione del continente.

La tribù dei Cowessess ha annunciato di aver scoperto 751 tombe non segnate vicino alla vecchia Indian Residential School di Marieval, nella provincia canadese del Saskatchewan, conosciuta anche come “Grayson”. Alla fine di maggio era stata scoperta una fossa comune coi resti di 215 bambini indigeni appartenenti alla tribù dei Tk’emlúps te Secwépemc, vicino alla Indian Residential School di Kamloops, nella British Columbia. A seguito di questi recenti avvenimenti sono state date alle fiamme un totale di quattro chiese cattoliche nella Columbia Britannica. Due sono state incendiate dopo l’ultimo ritrovamento e altre due erano già state distrutte dal fuoco dopo il ritrovamento della fossa comune alla fine maggio.

La Kamloops Indian Residential School, una delle più grandi del Paese, iniziò l’attività alla fine del 1800 sotto la gestione della Chiesa cattolica prima di passare sotto il controllo del governo nella seconda metà degli anni Sessanta del Novecento, prima di chiudere i battenti nel 1978. Il Primo Ministro canadese, Justin Trudeau, ha espresso il suo dolore dicendo che il suo Paese deve imparare dal passato e lavorare per la riconciliazione, invitando anche il Papa e la Chiesa a fare la propria parte. Per il Ministro dei Servizi Aborigeni canadese, Marc Miller, questa verità è stata «troppo spesso negata».

Le Boarding School sono state, sia in Canada che negli USA, un’istituzione religiosa e/o statale fulcro delle politiche di assimilazione forzata dei popoli indigeni. Sotto il giogo della guerra totale, nella seconda metà dell’Ottocento, in tutto il Nordamerica, è stata allestita la politica assimilazionista che mirava a fare del nativo un soggetto integrato al sistema sociale moderno e cristiano. La più famosa Boarding School del Nordamerica è stata senz’altro quella di Carlisle, in Pennsylvania. Quest’istituto fu fondato dal capitano R.H. Pratt, nel 1879, il quale riteneva che tali scuole fossero funzionali ad una “educazione all’estinzione”. Il motto di Pratt era “kill the indian, save the man”; “uccidi l’indiano, salva l’uomo”. I corpi degli indigeni erano intesi come contenitori da svuotare per essere riempiti con la cultura dell’uomo bianco. Spesso, il violento processo di svuotamento portava alla morte dei corpi che dovevano essere assimilati. Così, dalla seconda metà dell’Ottocento, fino ad una buona parte della seconda metà del Novecento, decine e decine di migliaia di bambini indigeni vennero strappati con la forza alle proprie famiglie per essere educati alla civilizzazione. Una volta che i bambini entravano in questi luoghi dovevano dimenticare tutto ciò che sapevano di sé stessi, della propria cultura e delle tradizioni: venivano tagliati loro i capelli e veniva affidato loro un nome cristiano scelto dalla Bibbia. Da quel momento in poi avrebbero dovuto seguire i precetti della Bibbia e adottare usi e costumi degli uomini bianchi. Ogni volta che venivano infrante le regole i trasgressori venivano puniti severamente: digiuno forzato, frustate e abusi sessuali erano utilizzati come metodi di annichilimento e indottrinamento forzato.

Alessandro Martire, rappresentante presso l’Alto Commissariato dei Diritti Umani delle Nazioni Unite della tribù Lakota Sicangu, spiega nel suo libro Nuovo Mondo. Errori, orrori e furori della colonizzazione delle Americhe lo scopo delle terribili azioni condotte a danno delle giovani generazioni. Con tali atti di violenza si voleva instillare «la vergogna nei giovani nativi verso la loro cultura, la loro storia, la loro famiglia, rendendo ridicole le loro usanze e la loro spiritualità attraverso quindi un vero e proprio “lavaggio del cervello” effettuato al fine di spersonalizzare completamente il ragazzo. Non sono mancati casi di ripetuti abusi sessuali perpetrati da preti e suore delle Missioni nei confronti di bambine e bambini e in molti casi i bimbi morivano di stenti, si lasciavano morire o le malattie facevano il loro lavoro; in tali casi i corpicini dei nostri piccoli non venivano neppure restituiti ai genitori, ma sepolti in fosse comuni vicino alla missione stessa».

Due giorni prima del ritrovamento dei 751 corpicini in Canada, il Ministro dell’Interno USA, Deb Haaland (appartenente ai Laguna Pueblo), si era rivolta alla conferenza di metà anno del Congresso nazionale degli indiani d’America (NCAI). «Come molti di voi, sono stato profondamente colpita dalla notizia dei 215 bambini trovati in una fossa comune in un collegio in Canada. Non ho potuto fare a meno di pensare alle loro famiglie», aveva detto Haaland in quell’occasione, annunciando l’istituzione, negli Stati Uniti, della Federal Indian Boarding School Initiative. L’iniziativa ha il compito di identificare le Boarding School che sono state attive nel Paese e fare una ricerca di siti di sepoltura. Haaland ha chiesto al suo ufficio che sia stilata una relazione dettagliata entro il 1° aprile 2022.

«C’è una resa dei conti», ha detto Chase Iron Eyes, attivista indigeno degli Stati Uniti e consulente principale per il Lakota People’s Law Project, con sede nel North Dakota. Nelle scuole canadesi e statunitensi non insegnano «che ci sono fosse comuni di bambini in scuole residenziali e collegi gestiti dal governo. E ora non siamo più in grado di nasconderci da quelle verità», ha concluso Iron Eyes. «Abbiamo il diritto di sapere cosa è successo ai bambini che non sono mai tornati a casa dai collegi indiani», ha scritto in una nota la National Native American Boarding School Healing Coalition (NABS)».

[di Michele Manfrin]

Torino: 7 arresti per traffico internazionale di rifiuti

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La guardia di finanza di Torino, in collaborazione con i colleghi di Napoli territorialmente competenti, sta dando esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 7 persone. Si tratta del proseguimento dell’operazione “Ferramiù”, che lo scorso marzo aveva generato 15 fermi e sequestri per oltre 130 milioni di euro. Gli individui sono accusati di traffico internazionale di rifiuti metallici nonché emissione ed utilizzo di documenti attestanti operazioni inesistenti. Inoltre, in seguito alle nuove indagini vi è stato anche il sequestro di un’azienda lombarda operante nel settore del commercio di metalli ferrosi e di beni per un valore di oltre 43 milioni di euro.

Lo Stato italiano ha stanziato nuovi contributi pubblici per i giornali

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Il Dipartimento per l’informazione e l’editoria del governo italiano ha rilasciato l’elenco dei giornali che beneficeranno del contributo pubblico diretto per l’anno 2020. Circa 28,6 milioni di euro per i primi sei mesi dell’anno. Il giornale in testa alla classifica dei contributi pubblici si conferma il misconosciuto Dolomiten, antico quotidiano altoatesino in lingua tedesca che ha ricevuto la somma di denaro maggiore oltre 3 milioni di euro, seguito da Libero (2,7 milioni di euro) e dal giornale dei vescovi Avvenire (2,5 milioni di euro). Tali cifre rappresentano la prima rata, una seconda di eguale importo gli sarà corrisposta alla fine dell’anno. A tal proposito, analizzando la prima tranche del 2019 si nota come non vi siano stati cambiamenti significativi, ad eccezione di alcune percentuali differenti: le prime 11 testate per contributi ricevuti rappresentano il 59.2% del totale, a differenza del 50.7% del 2019. Inoltre, le prime tre costituiscono il 28.6% del totale, mentre nel 2019 rappresentavano il 22.8%.

Non tutti i giornali ricevono il contributo pubblico, ma solo quelli che rispettano alcuni requisiti, come ad esempio essere pubblicato da cooperative di giornalisti o da società senza fini di lucro, essere espressione di minoranze linguistiche o essere edito e diffuso all’estero o edito in Italia e diffuso prevalentemente all’estero. Inoltre, la somma di denaro viene stabilita in base a diversi calcoli che tengono conto di alcuni fattori, tra cui i costi sostenuti dal giornale e la sua diffusione.

Teoricamente questi finanziamenti all’editoria vengono erogati per sostenere il pluralismo dell’informazione, dando una mano alle piccole testate ed a quelle indipendenti, come quelle appunto edite da cooperative di giornalisti. In teoria appunto, perché in verità molti giornali sono cooperative fittizie, in verità non controllate dai giornalisti stessi ma da editori come tutte le altre (unico caso di vera cooperativa controllata effettivamente dai giornalisti tra le testate nazionali è Il Manifesto). Sono varie le testate che sfruttano le pieghe dell’attuale legislazione e riescono ad avere contributi (24.3% del totale, nel 2019 erano il 20.5%) ai quali in realtà non dovrebbero accedere. Ad esempio, alcuni dei giornali presenti nell’elenco hanno editori privati e non potrebbero accedere a tali contributi: generalmente però riescono ad ottenerli attribuendo formalmente la proprietà della testata del giornale ad una cooperativa, anche se de facto esso è di proprietà di una società commerciale.

Di seguito le prime 15 testate per contributo ricevuto:

Dolomiten: 3.088.498,02 euro
Famiglia cristiana: 3.000.000 euro
Libero quotidiano: 2.703.559,99 euro
Avvenire: 2.533.353,97 euro
Italia oggi: 2.031.266,98 euro
Il quotidiano del Sud: 1.848.080,44 euro
Il manifesto: 1.537.625,76 euro
Corriere Romagna: 1.109.178,49 euro
Cronacaqui.it: 1.103.650,03 euro
Il Foglio: 933.228,99 euro
Primorski dnevnik: 833.334,04 euro
Il Cittadino: 712.049,4 euro
Cronache di (Libra editrice): 629.978,39 euro
Quotidiano di Sicilia: 524.703,62 euro
Neue Südtiroler Tageszeitung: 516.650,56 euro

[di Raffaele De Luca]