I carabinieri del Ros hanno notificato un provvedimento di fermo per Maria Licciardi, boss dell’omonimo clan. La donna è stata bloccata poche ore fa mentre si trovava all’aeroporto di Roma-Ciampino; il provvedimento di fermo è stato emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli. Il DDA di Napoli considera Maria Licciardi – a capo dell’omonimo clan – ai vertici del cartello camorristico chiamato “Alleanza di Secondigliano”. Maria Licciardi è accusata di diversi reati – aggravati da finalità mafiose – quali estorsione, associazione di tipo mafioso, ricettazione di denaro di provenienza illecita, turbativa d’asta.
In Sudamerica una setta cristiana sta devastando le foreste indigene
Da quando si sono insediati, hanno dato alle fiamme almeno 135 ettari di terreno, costruito strade e inquinato le acque. Sono queste le accuse mosse da autorità ambientali e gruppi indigeni colombiani nei confronti di una delle tante comunità mennonite che sempre più spesso acquistano terreni in tutto il Sud America. I mennoniti, membri di una setta conservatrice anabattista, rifiutano ogni innovazione tecnologica, eccetto quelle in campo agricolo. Infatti, è proprio sull’agricoltura che basano la loro sussistenza. Tuttavia, non stiamo parlando di pratiche agricole tradizionali su piccola scala, quello che, d’altronde, ci si aspetterebbe da una comunità. L’agricoltura mennonita, invece, è alla stregua di quella intensiva: perlopiù disboscano dando origine a monocolture di soia, riso e mais.
Le comunità indigene locali, d’altro canto, vivono di caccia e pesca, pratiche entrambe minacciate dalla noncuranza ambientale dei mennoniti. Bruciare la terra per piantare un solo tipo di coltura, significa semplificare l’ecosistema al punto da compromettere la sua capacità di sostenere la biodiversità e di fornire servizi utili all’uomo. Come nel caso delle foreste a galleria, che crescono vicino a fiumi e torrenti e proteggono l’ecosistema nei periodi di siccità, della regione dell’Orinoquía, nella Colombia orientale. «Queste foreste – ha spiegato a Mongabay la biologa colombiana Tania González – forniscono acqua dolce e generano sostanze nutritive per la fauna e la flora che abitano la regione». Queste foreste, ora compromesse dall’agricoltura mennonita, quindi, supportano le risorse di cui gli indigeni del luogo vivono da sempre.
Ma, quello colombiano, è un caso isolato? Affatto. Scontri culturali ed ecologici simili sono stati registrati anche in Perù, Bolivia e Messico. E le due fazioni sono sempre le stesse: mennoniti da un lato e indigeni dall’altro. Anzi, in Messico, l’impatto ambientale dell’agricoltura mennonita è ancor di più evidente. È proprio qui che i discendenti di immigrati tedeschi e olandesi diedero origine alle prime comunità. Ad oggi, nelle colonie di tutto il Messico, vivono almeno 100 mila mennoniti. «E la storia è sempre la stessa. In vaste aree dello Yucatán, un tempo forestali, tutte le piante native sono scomparse, gli animali non ci sono più e si è diffusa una nuova specie: la soia transgenica». Ha denunciato a National Geographic Everardo Chablék, un apicoltore maya la cui stirpe è in conflitto con i mennoniti dagli anni ’80. E in particolare dal 2007. Anno in cui il governo messicano, col tentativo di ridurre il proprio deficit commerciale, ha iniziato ad incoraggiare la produzione di soia. Poco dopo, riguardo a quella geneticamente modificata, ne è stata consentita la vendita da parte della multinazionale Monsanto. E i mennoniti, potendo permettersi terreni e macchinari necessari per la coltivazione della soia GM, non mancarono l’occasione.
Come se non bastasse, oltre al disboscamento di foreste da sempre reclamate dagli indigeni, in Messico la situazione appare ancor più grave. Come è noto, la soia transgenica è stata concepita proprio per resistere al glifosato, il principio attivo di un’erbicida brevettato dalla stessa Monsanto, oggi acquisita dalla tedesca Bayer. Il prodotto che, per l’appunto, elimina ogni organismo vegetale che non sia la soia GM, è ampiamente dibattuto alla luce dei suoi effetti nocivi su salute umana e ambiente. Ma a questo i mennoniti non ci credono e ne abusano. Il risultato? Le colonie di api gestite dai maya, che da secoli producono un miele pregiato, sono in pericolo. Non a caso, la tossicità dei pesticidi sugli impollinatori è nota e le evidenze si accumulano ogni giorno che passa. Per questo, o forse perché esasperati, nel 2012 gli apicoltori indigeni hanno deciso di fare causa al governo. E quattro anni fa la buona notizia: la corte suprema messicana ha vietato la soia transgenica. Tuttavia, non è cambiato molto. I conservatori e tradizionalisti mennoniti, come se nulla fosse, ammettono di coltivare ancora soia GM e di trattarla col glifosato.
[di Simone Valeri]
Olimpiadi Tokyo: storico oro dell’Italia in staffetta 4×100
L’Italia ha vinto la medaglia d’oro nella staffetta 4×100 alle Olimpiadi di Tokyo. Il quartetto italiano, composto da Lorenzo Patta, Marcell Jacobs, Eseosa Desalu e Filippo Tortu, ha terminato la gara davanti alla Gran Bretagna ed ha ottenuto un risultato storico. La staffetta azzurra ha corso in 37”50: si tratta del nuovo record italiano, essendo stato superato quello di 37”95 stabilito durante la semifinale svoltasi nella giornata di ieri.
Nuovo decreto Green Pass: il governo prova a introdurre un obbligo vaccinale mascherato
Nella giornata di ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo decreto-legge che prevede l’estensione del Green Pass, a partire dal primo settembre, per i trasporti a lunga percorrenza (come treni, aerei e navi), nonché per gli studenti universitari ed il personale scolastico e universitario. Il mancato rispetto di tale requisito da parte dei componenti dello stesso sarà considerato assenza ingiustificata ed a decorrere dal quinto giorno di assenza il rapporto di lavoro verrà sospeso così come la relativa retribuzione. Tali misure andranno ad aggiungersi a quelle, stabilite dal decreto legge n. 105/2021, che oggi sono entrate in vigore in Italia e che prevedono l’obbligo di munirsi del Green Pass per svolgere diverse attività: nello specifico, esso servirà per sedersi ai tavoli di ristoranti e bar al chiuso, nonché per accedere a cinema, teatri, musei, palestre, piscine, stadi, congressi, sagre, fiere e grandi eventi. Potranno ottenerlo tutti i cittadini di età superiore ai 12 anni che abbiano ricevuto almeno una dose del vaccino anti Covid o che siano risultati negativi al tampone nelle 48 ore precedenti o che, ancora, siano guariti dal virus nei 6 mesi precedenti.
Detto ciò, va tuttavia sottolineato come dietro tali misure si celino diversi problemi di natura sia giuridica che scientifica. In tal senso, innanzitutto bisogna ricordare che i soggetti che per ottenere il Green Pass sceglieranno di sottoporsi al test anti Covid dovranno pagare per rifarsi a tale opzione. E seppur, come annunciato dal Ministro della Salute Roberto Speranza, il prezzo dei tamponi rapidi sarà ridotto ad 8 euro per i ragazzi dai 12 ai 18 anni e 15 euro per quelli dai 18 anni in su, ciò non impedisce comunque di dare luogo ad una evidente discriminazione tra le persone vaccinate e quelle che decidono, legittimamente, di non vaccinarsi. I primi infatti non dovranno personalmente sostenere alcuna spesa per ottenere il Green Pass, mentre i secondi saranno obbligati a sborsare tale cifra ogni 48 ore. Ciò potrebbe essere anche in contrasto con il regolamento n. 935/2021 dell’Ue che definisce il quadro giuridico alla base del lasciapassare sanitario a livello europeo. A tal proposito, al suo interno si legge che gli Stati devono evitare la discriminazione diretta o indiretta nei confronti delle persone non vaccinate (anche per scelta) e che il regolamento «non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati». Obbligo che però in Italia, in base a quanto appena detto, sembra essere stato introdotto in maniera non ufficiale essendo i soggetti vaccinati “privilegiati”.
Inoltre, anche dal punto di vista della legittimità costituzionale sembrano esservi dei punti critici: basi pensare che nelle scorse settimane la Vice Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Ginevra Feroni, aveva dichiarato che il il green pass in salsa francese fosse «costituzionalmente irricevibile» e che, se si fosse proceduto in tal modo, sarebbero stati «gravissimi gli effetti sui diritti e sulle libertà dei cittadini». Eppure ora, ad alcune settimane da tale affermazione, l’Italia ha deciso di introdurre delle misure in gran parte simili a quelle imposte in Francia. Dunque, c’è da chiedersi se l’utilizzo stabilito dal governo di tale strumento sia realmente compatibile con la Costituzione, ad esempio con l’articolo 2 che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, alcuni dei quali, però, adesso sembrano essere subordinati al possesso del lasciapassare sanitario.
Infine, le decisioni dell’esecutivo non sembrano neanche fondarsi su solide evidenze scientifiche. Basterà innanzitutto notare l’ambiguità della scelta di imporre il pass in vari luoghi al chiuso ma non in tutti: nelle chiese e negli oratori infatti non vi è l’obbligo di munirsi del lasciapassare, dunque ci si chiede quale sia la differenza (per ciò che concerne la possibilità di contagiarsi) tra tali strutture e quelle sopracitate. Inoltre, non si può non notare come la mancanza di scientificità di queste misure sia stata recentemente sottolineata anche da Andrea Crisanti, noto volto televisivo nonché direttore del Dipartimento di Microbiologia dell’Università di Padova, il quale ha sottolineato come il Green Pass sia, più che altro, un semplice «strumento per convincere le persone a vaccinarsi: una decisione politica».
[di Raffaele De Luca]
Afghanistan: talebani uccidono capo dipartimento media del governo
In Afghanistan, precisamente a Kabul, i talebani hanno ucciso nella giornata di oggi Dawa Khan Menapal, il direttore del Government Information Media Center. L’assassinio di quest’ultimo, che si occupava appunto di gestire le operazioni di stampa del governo per i media locali e stranieri, è stato confermato dal portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid all’agenzia di stampa Associated Press. Inoltre, il portavoce del ministero degli Interni Mirwais Stanikzai, tramite un messaggio WhatsApp rivolto ai media, ha affermato: «Purtroppo i terroristi brutali e selvaggi hanno commesso l’ennesimo atto vigliacco ed hanno ucciso un patriota afghano che ha resistito alla propaganda nemica».
Tutti i posti di lavoro persi dopo lo sblocco dei licenziamenti voluto da Draghi
Sono già molti i lavoratori che hanno perso il loro posto di lavoro nelle ultime settimane e, secondo le ultime stime dei sindacati CGIL, CISL, UIL sono circa 1500 i lavoratori attualmente sotto procedura di licenziamento, numeri che conosceranno una crescita nelle prossime settimane. Queste le conseguenze dirette da quando, il 30 giugno, il blocco dei licenziamenti è stato ufficialmente tolto dal governo capitanato da Mario Draghi. Una delle ultime, eclatanti notizie, rappresenta una grave strada adottata per licenziare ben novanta lavoratori. Protagonista del “licenziamento via WhatsApp” è stata Logista, leader nella distribuzione del tabacco. Prima di Logista, la fabbrica della Gkn Driveline con sede a Firenze aveva deciso di mettere in atto un licenziamento che ha compreso ben 442 dipendenti. Il licenziamento da parte del Gkn è avvenuto il 9 luglio. Pochi giorni dopo, è stata la volta della multinazionale Whirlpool, che ha avviato un licenziamento collettivo per 327 dipendenti dello stabilimento di Napoli. Non appena scattata la ritrovata possibilità di licenziare, è stata la Gianetti Ruote che solo due giorni dopo il 30 giugno, e non avvisando minimamente i propri dipendenti in anticipo, ha fatto sapere ai lavoratori che lo stabilimento avrebbe chiuso inviando una mail. Ne è conseguito un immediato via alla procedura di licenziamento per 152 lavoratori di quella che è un’enorme azienda nata nel 1880. Per la multinazionale tedesca Henkel, invece, c’era talmente tanta urgenza di chiudere lo stabilimento di Lamazzo, che lo ha chiuso definitivamente il 30 giugno stesso. L’annuncio della chiusura dello stabilimento nato nel 1933 era stato dato a febbraio. Il primo luglio, 81 dipendenti hanno quindi perso il lavoro.
Il blocco dei licenziamenti aveva portato i lavoratori, fino al 1 luglio, a non rischiare di perdere il posto di lavoro. Con l’emergenza sanitaria e la crisi economica generatasi, il blocco dei licenziamenti ha fatto sì che i datori non potessero chiudere i rapporti lavorativi con i propri dipendenti. Il blocco dei licenziamenti, varato dal Governo Conte, aveva come obiettivo principale quello di proteggere e tutelare i lavoratori. Vista la pandemia e la crisi economica, una delle conseguenze negative avrebbe compreso migliaia di lavoratori, i quali si sarebbero potuti trovare faccia a faccia con il rischio di essere licenziati. Il blocco dei licenziamenti è però scaduto il 30 giugno e il nuovo governo guidato da Mario Draghi ha scelto di non rinnovarlo per la maggior parte dei settori, esclusi quelli più in crisi. Fino alla fine del mese di ottobre continuerà infatti il divieto di licenziare per i settori della moda in generale, del tessile, del calzaturiero. Alle aziende parte dei suddetti settori è stata data la possibilità, per ulteriori diciassette settimane a partire dal primo luglio, di avere la “cassa integrazione Covid” gratuita. Per aziende di altri settori al di fuori di quelli citati, che si trovino in crisi e senza ammortizzatori sociali disponibili, è stata invece introdotta una cassa integrazione straordinaria, a condizione che si evitino licenziamenti.
Ciò che sta accadendo negli ultimi mesi è conseguenza del manifesto programmatico esposto da Draghi nel momento dell’insediamento, quando affermò che fosse importante tutelare i lavoratori, ma senza tutelare i posti di lavoro. Un tipo di modo di agire in cui intrinseco è un paradosso, ma è ciò che si cela dietro lo spaventoso incremento di licenziamenti verificatosi nell’ultimo periodo. Al momento del suo insediamento, Mario Draghi aveva infatti rilasciato delle dichiarazioni in cui specificava che avrebbe avuto attenzione nel proteggere i lavoratori, ma non attraverso la tutela dei posti di lavoro. Una strategia che, tra l’altro, sembra essere utilizzata in tutto il resto d’Europa. Per Draghi la pandemia ha infatti delle conseguenze impossibili da modificare, come ha specificato nel punto fondamentale del discorso che fece appena insediato, chiamato – non a caso – “oltre la pandemia”. Ciò che il Presidente del Consiglio ha lasciato intendere è un’ovvia, incontrastabile “morte” di alcuni settori economici a seguito di un momento storico come quello vissuto. Dunque, si potranno mantenere in vita solo le aziende che praticamente riusciranno a farlo: « Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi».
[di Francesca Naima]
Dieci razzi partiti stamane dal Libano e diretti in Israele
Questa mattina è partita dal Libano una salva di almeno dieci razzi, verso il monte Hermon, in Israele. A rivendicare l’azione sono stati gli Hezbollah libanesi filo-iraniani, che con un comunicato hanno dato specifiche sui razzi: Katyuscia da 122 millimetri di calibro. Sarebbe, questa, un’azione in «Risposta ai raid aerei israeliani di giovedì notte», si specifica nella rivendicazione. Secondo la radio militare, che ha informato la partenza dei razzi dalla zona delle Fattorie Shebaa – contese tra Siria, Libano e Israele – le batterie di difesa Iron Dome sono riuscite a intercettare la maggior parte dei razzi. Altri sono invece caduti in arie aperte.
Sulle coste italiane non erano mai nate così tante tartarughe marine
Record di nidificazioni di tartaruga marina in Italia: questa estate il Belpaese è il luogo preferito della Caretta caretta per la deposizione delle uova. Dall’inizio della calda stagione ad oggi sono state censite 179 nidificazioni, un numero molto alto, mai visto nel Mediterraneo, quantomeno negli ultimi decenni. Basti pensare che nel 2020, a fine stagione, ne sono state contate complessivamente 250. Quest’anno, invece, i rettili stanno conquistando sempre più coste da nord a sud. Un segno di come i nidi siano sempre più protetti dai volontari attivi sulle spiagge, primi tra tutti i Tartawatchers istituiti da Legambiente. Ma un chiaro segnale anche di come l’aumento delle temperature legato al cambiamento climatico, stia comportando l’ampliamento delle aree tradizionalmente adatte alla nidificazione della tartaruga Caretta caretta. Per adesso il primo posto spetta alla Calabria, con 61 nidi. Al secondo posto Campania e Sicilia, con 43 nidi; al terzo la Puglia, con 11 nidi. A seguire Lazio (8), Sardegna e Toscana (5), Basilicata (2) e Veneto (1).
Come accennato un ruolo fondamentale nella salvaguardia delle tartarughe in Italia lo gioca l’associazione Legambiente, che si è attivata con l’iniziativa “Lidi amici delle tartarughe marine” , la quale ha l’obiettivo di promuovere – mediante la distribuzione di materiale informativo e la collaborazione dei centri di salvataggio e recupero delle tartarughe marine-, l’adozione di regole comportamentali atte a preservare i rettili, le quali prevedono azioni come la pulizia manuale delle spiagge e la riduzione dell’inquinamento acustico e luminoso nelle ore notturne. Sono oltre 500 gli stabilimenti balneari – tra Toscana, Lazio, Marche, Campania, Puglia, Sardegna, Basilicata e Veneto-, su cui sventola la bandiera di Legambiente, simbolo di un contributo significativo per la salvaguardia della Caretta caretta che, quotidianamente, è esposta a pericoli di varia natura, tra cui quelli derivanti dall’attività dell’uomo. Come accaduto nel Comune di Leni, sull’Isola di Salina (Sicilia), dove – a causa di un nuovo intervento di consolidamento e ripascimento dell’arenile di Rinella – la spiaggia dalla caratteristica sabbia nera fine, è stata ricoperta con il ghiaietto acuminato dell’Etna, vanificando il tentativo di nidificazione di una tartaruga marina. Questa, nei giorni scorsi, è approdata due volte di seguito sulla spiaggia, senza però essere riuscita a scavare una buca in cui deporre le uova.
[di Eugenia Greco]
Il Comune di Foggia è stato sciolto per mafia
Sono state accertate delle infiltrazioni mafiose nel Comune di Foggia, il quale è quindi stato affidato al Cdm. È la seconda volta che un capoluogo di provincia finisce sotto la lente d’ingrandimento per preoccupanti collegamenti con la criminalità organizzata. Era infatti accaduto al Comune di Reggio Calabria nel 2012. Ieri sera il Consiglio dei ministri ha dunque sciolto il Comune di Foggia, affidandone la gestione provvisoria a una commissione formata dal prefetto a riposo Marilisa Magno, il viceprefetto Rachele Grandolfo e il dirigente Sebastiano Ciangrande. Questa sarà la commissione straordinaria, secondo la proposta avanzata dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.








