martedì 18 Novembre 2025
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La Svezia sospende il vaccino Moderna per i più giovani

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La Svezia ha deciso di sospendere la somministrazione del vaccino anti Covid Moderna per le persone nate dal 1991 in poi. L’Agenzia svedese per la sanità pubblica ha infatti comunicato, tramite una nota, tale decisione, che è stata presa tenendo conto del fatto che sono in aumento le segnalazioni di effetti collaterali come la miocardite o la pericardite. Tuttavia, precisa l’agenzia, «il rischio di essere colpiti è molto basso» e la sospensione è stata stabilita «per motivi precauzionali». Inoltre, i soggetti che hanno ricevuto una dose del vaccino Moderna «non riceveranno attualmente una seconda dose», ed in tal senso «sono in corso discussioni sulla soluzione migliore». In totale, conclude l’agenzia, si tratta di circa 81.000 persone.

I colossi schiacciano le librerie: come si ferma la moria dell’editoria indipendente?

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Libreria

“Un libro dev’essere un’ascia per rompere il mare ghiacciato che è dentro di noi”, diceva lo scrittore Franz Kafka, per evidenziare la capacità terapeutica e la forza motrice della lettura. Invece in Italia, oscurata da una spessa lastra di ghiaccio, tra il 2012 e il 2017 hanno chiuso 2300 librerie. Fra queste, 231 erano librerie indipendenti. Solo a Roma hanno chiuso definitivamente i battenti 223 librerie, secondo i dati forniti da Confcommercio. Motivo per cui la Regione Lazio nell’ultimo bilancio ha stanziato per il nuovo anno (il 2021) un milione di euro da destinare alle librerie indipen...

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Austria: cancelliere Sebastian Kurz indagato per favoreggiamento corruzione

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Il Cancelliere federale dell’Austria, Sebastian Kurz, è attualmente indagato per favoreggiamento della corruzione. A renderlo noto sono stati alcuni media locali, tra cui in particolare i quotidiani Die Presse e Der Standard. Questa mattina sono state effettuate perquisizioni avvenute in Cancelleria e nella sede dell’Oevp, il partito che ha come leader proprio Sebastian Kurz: a far scattare l’inchiesta una serie di sondaggi pubblicati dal quotidiano Oesterreich e dalla tv privata oe24, i quali sarebbero stati finanziati dal ministero delle finanze «esclusivamente per scopi partitici». Oltre a Kurz, però, ad essere indagati sarebbero anche alcuni suoi stretti collaboratori.

I punti oscuri della nuova (costosissima) pillola anti-covid in approvazione

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L’annuncio è arrivato nei giorni scorsi: la multinazionale Merck è pronta a richiedere alla FDA statunitense l’approvazione per l’uso di emergenza della prima pillola anti-covid. Prontamente l’azienda ha diffuso il comunicato stampa che trasmette i promettenti risultati: dimezzamento di ricoveri e decessi assumendo 4 pillole al giorno per 5 giorni, con trattamento da effettuare nei primi giorni dall’infezione. Prontissime le manifestazioni di entusiasmo dei virologi più in vista. Anthony Fauci, il factotum della gestione pandemica americana, ha parlato di «dati impressionanti», mentre dall’Italia, Matteo Bassetti, ha rilanciato definendolo un «risultato straordinario». Oltre a comunicati stampa e dichiarazioni, però, quanto si sa sulla pillola è ancora molto poco. I ricercatori che volessero verificare i dati hanno a disposizione solo il comunicato stampa aziendale e la sperimentazione è stata sospesa prima di essere completata, basandosi sulla metà dei volontari inizialmente previsti. Di certo per ora c’è solo l’altissimo costo della pillola (700 dollari a trattamento) e l’immediato e brusco rialzo del valore delle azioni della multinazionale americana in borsa.

Le zone d’ombra che ancora avvolgono il molnupiravir (questo il nome della pillola anti-Covid) sono diverse. Il comunicato sull’efficacia si basa sui risultati preliminari di uno studio di fase 3, ultima tappa prima dell’eventuale approvazione. Gli studi di fase 3 prevedono di dividere i soggetti partecipanti in due gruppi: uno da trattare con il farmaco, l’altro con il placebo o altri farmaci già in uso. Nel caso specifico si è scelto di confrontare il molnupiravir con il placebo. Dallo studio è appunto emerso che il farmaco sia efficace al 50% in quanto il 7,3% dei pazienti trattati con esso è stato ricoverato, mentre il 14,1% dei pazienti che hanno ricevuto il placebo è stato ricoverato o è morto. Tuttavia, già la scelta di comparare il molnupiravir al placebo (una sostanza farmacologicamente inerte) nonostante vi fosse la possibilità di confrontarlo, ad esempio, con i farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans), che la stessa Aifa (Agenzia italiana del farmaco) consiglia per il trattamento del Covid, potrebbe averne amplificato l’efficacia. È quanto sostiene ad esempio il ricercatore italiano Andrea Capocci in un articolo pubblicato sul quotidiano Il Manifesto.

Un altro punto critico è rappresentato dal fatto che, in seguito a tali risultati, lo studio è stato interrotto anticipatamente, e i risultati diffusi si basano sulla valutazione dei dati provenienti da 775 pazienti, poco più della metà dei 1500 pazienti inizialmente previsti per la sperimentazione. Questo può averne inficiato i risultati? Nessuno può escluderlo. Di certo il motivo per il quale le ricerche scientifiche prevedono sempre bacini numerosi di volontari non è casuale: più il campione è ristretto, più alto è il rischio che i dati siano inficiati dalla variabilità statistica. I motivi addotti dalla Merck per giustificare l’interruzione della sperimentazione sono i seguenti: «Il risultato positivo ha indotto i ricercatori a interrompere il test, per non somministrare ai volontari un placebo in presenza di un’alternativa efficace».

La storia recente mostra oltretutto come una ricerca terminata in anticipo possa dare risultati anche molto diversi da quelli che poi si riscontrano sul campo. A insegnarlo è la vicenda del remdesivir, antivirale sviluppato in origine contro il virus Ebola e successivamente proposto come cura anti-Covid. In quel caso i test furono interrotti in anticipo per la medesima ragione e il remdesivir fu autorizzato all’uso. Peccato che un test più ampio svolto direttamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ne abbia poi mostrato la sostanziale inefficacia e l’Oms attualmente ne sconsiglia l’impiego. Questo non ha impedito alla casa produttrice Gilead di venderne dosi per 2,8 miliardi di dollari nel 2020 e prevedere ricavi analoghi per il 2021.

Evidente dunque come l’efficacia reale della pillola anti-covid rimanga da dimostrare. Particolare che però non sembra preoccupare gli Usa, che già hanno siglato con la Merck un contratto di approvvigionamento che gli garantirà forniture per 1,7 milioni di trattamenti alla cifra di 1,2 miliardi di dollari. Fanno 700 dollari a trattamento, ovviamente versati alla multinazionale con fondi pubblici. Il contratto diverrà operativo non appena l’Fda (l’organo statunitense che regola i prodotti farmaceutici) concederà al farmaco l’autorizzazione per l’uso di emergenza. Gli americani non sono soli: anche l’Australia, secondo quanto riportato dai media locali, ha infatti deciso di acquistare 300mila dosi. Anche in questo caso si aspetterà l’approvazione delle autorità statuali. Autorizzazioni sulle quali la multinazionale americana pare pronta a scommettere dato che ha comunicato di essere già attrezzata per «produrre 10 milioni di cicli di trattamento entro la fine del 2021».

Per ora, tra l’altro, i profitti della Merck paiono essere l’unico fatto realmente verificabile della vicenda. Solo l’annuncio della richiesta di autorizzazione ha infatti prodotto un immediato e robusto rialzo del suo valore, passato dai 75 dollari per azione del 30 settembre (giorno precedente l’annuncio) agli 83,10 dollari del 4 ottobre

[di Raffaele De Luca]

Una centrale nucleare slovena mette a rischio l’Italia?

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Il governo di Lubiana ha deciso per il raddoppio della centrale nucleare di Krško. Una decisione che desta più di una preoccupazione, presa nonostante diversi esperti abbiano sollevato più di una perplessità. Come nel caso dei potenziali rischi per l’Italia. L’impianto, infatti, sorge su un’area a rischio sismico a soli 130 chilometri da Trieste ed è privo di un deposito per smaltirne i rifiuti. In tutto questo – denuncia Altreconomia – Roma però tace. Il provvedimento è stato approvato lo scorso luglio dal parlamento sloveno con 49 voti a favore e 17 contrari. La struttura, unica centrale nucleare dell’ex Jugoslavia, avrebbe dovuto chiudere battenti nel 2023, ma il governo già nel 2016 optò per prorogarne la chiusura di vent’anni, al 2043.

L’impianto di Krško, da solo, soddisfa il 40% dell’intero fabbisogno energetico nazionale sloveno. Motivo per cui la nazione ne è tanto affezionata. Quando fu costruito, ormai quarant’anni fa, però non si disponevano di informazioni adeguate sulla sismicità del sito. Ora, però, ne siamo a conoscenza: la struttura ricade in un’area a rischio sismico medio-alto. L’unica in tutta Europa a essere collocata in una zona con tale grado di pericolosità. E non si tratta solo di ipotesi avanzate da studi geologici: di conferme, infatti, ce ne sono fin troppe. Basti pensare allo scorso dicembre, quando la cittadina croata di Petrinja è stata gravemente colpita da un terremoto di magnitudo 6.4, a circa 80 chilometri di distanza dalla centrale nucleare Krško. Oppure a marzo 2020, quando a tremare è stata Zagabria, a 50 chilometri dall’impianto, o peggio, al 2015, quando un sisma di magnitudo 4.5 si è verificato a soli 12 chilometri dalla struttura.

Le autorità slovene hanno tuttavia sempre rassicurato su quanto la centrale sia tra le più sicure in Europa ed inoltre, nel 2016, la Commissione Ue ha ribadito i risultati incoraggianti di uno ‘stress test‘ realizzato nel 2011. Non è però dello stesso parere il sismologo Livio Sirovich: «gli impianti – ha spiegato – erano stati calcolati per resistere a terremoti troppo piccoli. Si capì che un evento sismico, lì, poteva generare accelerazioni massime del suolo addirittura doppie rispetto a quelle considerate dal progetto. Solo che, ormai, era troppo tardi per modificare le strutture. In ballo c’erano già troppi interessi economici per fare marcia indietro». La Slovenia, tra l’altro, sarebbe fortemente intenzionata a realizzare una nuova centrale, col triplo della potenza, adiacente a questa. Nonostante le opinioni in merito siano discordanti. Nel 2013, ad esempio, il Servizio nazionale francese di Radioprotezione e Sicurezza Nucleare (Irsn) scrisse alla società energetica Gen Energija, proprietaria dell’impianto, che «la scoperta di una nuova faglia attiva non permette di concludere in modo favorevole sull’adeguatezza dei due siti per la costruzione di una nuova centrale nucleare».

[di Simone Valeri]

Aggiornamento (07/10/2021): Il titolo e parti dell’articolo sono stati modificati di modo che non vengano alimentati allarmismi ingiustificati. Le opinioni in merito alla sicurezza della Centrale rimangono contrastanti, tuttavia, questo non indica che l’Italia si trovi in una situazione di pericolo imminente.

Crisi di Taiwan: Biden annuncia l’accordo con la Cina

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Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato di aver avuto un colloquio telefonico con il presidente cinese Xi Jinping, nel quale i due si sono accordati per il rispetto dell’Accordo di Taiwan, che garantisce l’indipendenza del piccolo stato. La telefonata arriva dopo giorni di tensione, con la Cina che aveva ripetutamente violato lo spazio aereo di Taiwan con veivoli militari. La Cina ad ogni modo continua a rivendicare la propria sovranità sull’isola e la controversia appare molto lontana dall’essere risolta.

Boom dell’homeschooling in Italia: la pandemia triplica gli “studenti casalinghi”

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È record di homeschoolers in Italia. Tantissime famiglie, negli ultimi due anni segnati dalla pandemia, hanno deciso di fare studiare i propri figli a casa. Una metodo d’istruzione già più che diffuso all’estero e che, adesso, sta prendendo piede anche nel Belpaese. Dal 2018/19 – ultimo anno scolastico pre-pandemico – al 2020/21, gli “studenti casalinghi” sono pressoché triplicati, passando da 5.126 a 15.361.

Ma che cos’è l’homeschooling? Detta anche istruzione domiciliare, non deve essere confusa con la didattica a distanza (DAD). Difatti, mentre quest’ultima consiste in una tipologia di insegnamento-apprendimento virtuale ma pur sempre legata all’istituto scolastico, l’homeschooling vede la piena responsabilità dei genitori per quanto concerne l’istruzione dei figli. La formazione, in questo caso, si svolge nel contesto domestico-familiare, quindi senza usufruire del servizio scolastico offerto dal sistema nazionale. Per alcuni studiare da casa significa farlo avendo i genitori come insegnanti, ma in sempre più contesti si tratta di più famiglie che si organizzano insieme, mettendo insieme competenze proprie e risorse per avvalersi anche di insegnanti esterni.

Questa modalità educativa prevede che, alla fine dell’anno, il bambino o il ragazzo sostenga un esame di idoneità alla classe successiva in un istituto statale o paritario, per verificare l’effettivo percorso di apprendimento. Attualmente, l’homeschooling sta riguardando soprattutto i bambini. Difatti, circa due terzi degli alunni “casalinghi” dovrebbero sedere ai banchi della scuola primaria e, se tra il 2018 e il 2019 erano circa 2.243, tra il 2019 e il 2021 sono aumentati a 2.926, e triplicati nell’ultimo anno. Discorso analogo per i ragazzi nella fascia d’età delle scuole medie. Se nel 2019 erano 2.256 quelli impegnati in un percorso di studio alternativo, tra il 2020 e il 2021 sono raddoppiati, arrivando a 4.386. Il fenomeno invece risulta molto meno rilevante nei numeri alle scuole superiori, dove anzi i ragazzi che studiano da casa sono diminuiti, passando da 1030 a 947.

Il boom “dell’istruzione domiciliare” trova le sue cause anche, forse soprattutto, nel periodo pandemico. Con i figli a casa in DAD e il doversi fare obbligatoriamente carico della gestione di parte della didattica, molte famiglie hanno deciso di fare un passo in più, rendendosi autonomi dalle esigenze, richieste e valutazioni della scuola. Proprio come avviene in un’altra modalità scolastica simile all’homeschooling che si sta diffondendo: la scuola parentale. I genitori o i tutori si assumono la totale e diretta responsabilità dell’istruzione dei propri figli ma, in questo caso, è previsto un luogo fisico e la frequenza del bambino. Si tratta di una forma d’istruzione che vede, infatti, più genitori riunirsi al fine di creare una dimensione comunitaria basata su un progetto educativo riconosciuto.

[di Eugenia Greco]

Romania: Parlamento approva mozione di sfiducia, cade il governo

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In Romania, nella giornata di oggi è caduto il governo guidato dal primo ministro liberale Florin Citu. Il tutto in seguito ad una mozione di sfiducia approvata a gran voce dal Parlamento. Essa infatti ha ricevuto 281 voti a favore, una cifra di gran lunga superiore alla soglia minima necessaria pari a 234 voti. Nello specifico, la mozione è stata sostenuta dall’ex partito del governo di coalizione Usr-Plus e dal partito di estrema destra Aur. Gli alleati di Citu, invece, hanno boicottato il voto.

L’Europa valuta una missione militare al fianco dell’Ucraina in chiave anti-russa

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L’Unione Europea starebbe valutando l’invio di una missione di addestramento militare in Ucraina in risposta alle continue attività militari russe. È quanto si apprende da un documento interno di Bruxelles. Secondo il materiale, pubblicato in esclusiva dal settimanale tedesco Welt am Sonntag, il programma prevedrebbe l’invio di una missione di addestramento militare dei paesi membri dell’UE a sostegno del governo di Kiev, impegnato in un conflitto continuo e non dichiarato con la Russia.

La richiesta di un intervento europeo nella regione sembrerebbe venire espressamente da rappresentanti dello stesso governo ucraino, in particolare dai ministri degli Esteri e della Difesa, che a luglio avrebbero fatto esplicita richiesta all’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’UE, Josep Borrell, di un impegno militare europeo a sostegno di Kiev.

D’altronde, l’impegno europeo a salvaguardia dei propri confini orientali è di lunga data. L’attenzione di Bruxelles per il teatro ucraino risale al 2009, con il lancio di un partenariato che però, almeno fino ad adesso, non aveva nessuna dimensione militare, e che anzi si identificava come “un’espressione di solidarietà” con l’Ucraina. Solidarietà che si sarebbe andata rafforzando negli anni, man mano che la tensione con la Russia saliva e, nel 2014, esplodeva con l’annessione della Crimea.

Nel dicembre dello stesso anno, l’Unione Europea promuoveva la missione Advisory Mission Ukraine, mirante a “riformare il settore della sicurezza civile e a rinnovare la fiducia popolare nelle istituzioni attraverso un processo di riforme e di progetti internazionali”. Secondo il documento interno pubblicato dall’inserto settimanale del quotidiano Die Welt, una delle tre opzioni sul tavolo dell’Unione Europea sarebbe quella di rafforzare l’impegno della “Advisory Mission” nell’ambito dell’addestramento militare.

La spinta a introdurre un più stretto vincolo militare viene dalle esplicite richieste dei tre paesi baltici europei – Lettonia, Estonia e Lituania – preoccupati dalle continue esercitazioni militare russe vicino ai loro confini (e dunque a quelli europei). Queste nazioni condividono le stesse preoccupazioni ucraine nei confronti di Mosca, e le manovre militari russe dell’area, in particolare l’esercitazione militare Zapad-2021 dello scorso settembre e il massiccio incremento di truppe al confine ucraino di aprile, hanno spinto a richiedere un maggiore coinvolgimento militare europeo nell’area.

Mosca nega un rafforzamento delle proprie truppe sul suo confine occidentale, ma intanto diversi osservatori internazionali ritengono alto il rischio dello scoppio di un nuovo conflitto nella regione. Al momento non risultano dichiarazioni del Cremlino in merito alla formazione di una missione europea in Ucraina.

Tuttavia, l’effettiva creazione di questa missione non è affatto scontata. Un maggiore impegno dell’Unione nel teatro orientale, come d’altronde ogni decisione politica, richiede l’approvazione unanime degli Stati Membri, e le voci discordanti – tra cui quelle di Italia, Grecia e Cipro – che invitano alla prudenza e a evitare “inutili provocazioni” verso Mosca sono diverse. Restano da capire sia le reali possibilità di azione di Bruxelles che le inevitabili risposte del Cremlino, che non tarderanno certo ad arrivare.

Quel che è certo è che l’Ucraina appare destinata a continuare ad essere il principale teatro delle tensioni tra Russia e Nato nel prossimo futuro. Esercitazioni militari congiunte con il governo di Kiev sono già state intraprese dal Regno Unito, che – dopo la Brexit – sta rappresentando sempre più un braccio armato degli Stati Uniti, impegnato in provocazioni di vario tipo non solo contro Mosca ma anche contro la Cina. Mentre gli Stati Uniti insistono nelle dichiarazioni riguardanti l’intenzione di accettare l’Ucraina dentro il patto militare atlantico: decisione che per Mosca somiglierebbe a una dichiarazione di guerra, dato che renderebbe possibile per gli americani istallare missili capaci di tenere sotto tiro le città russe. Fino ad oggi l’Unione Europea (al netto di sanzioni economiche imposte più per dovere nei confronti dell’alleato americano che per reale volontà) è rimasta in posizione di attesa, anzi portando avanti il progetto Nord Steam 2 per trasportare il gas russo nel vecchio continente. Dovesse concretizzarsi una missione come quella prospettata sarebbe un deciso cambio di passo che contribuirebbe ad innalzare la tensione internazionale.

[di Rubén Ernesto Umbrello]

Referendum eutanasia: raccolte oltre 1,2 milioni di firme

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Nella giornata di oggi Marco Cappato, il segretario dell’associazione Luca Coscioni, ed i coordinatori del comitato, hanno annunciato in una conferenza stampa tenutasi a Milano che più di un milione e duecentomila firme sono state raccolte per chiedere un referendum sull’eutanasia legale. Nello specifico, quattrocentomila firme sono state raccolte online, mentre le restanti su carta grazie al lavoro degli oltre tredicimila volontari. Seimila tavoli di raccolta sono stati infatti allestiti da questi ultimi in più di mille comuni.