sabato 15 Novembre 2025
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Un’inchiesta ha rivelato chi paga Matteo Renzi

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Ci sono una società di consulenza del Regno Unito e anche un quotidiano coreano. E soprattutto ci sono due società italiane di cui una fondata da Alessandro Benetton e persino il ministero delle Finanze della dittatura dell’Arabia Saudita. In totale il senatore e leader di Italia Viva, Matteo Renzi, ha intascato tra il 2018 e il 2020 la somma di 2,6 milioni di euro per partecipazioni conferenze ed altri servizi. A rivelarlo le carte della procura che indaga sui finanziamenti della fondazione Open e divulgati da Il Fatto Quotidiano.

I versamenti principali ricevuti dal politico fiorentino sono 653mila euro dalla società Arcobaleno Tre srl, per la produzione del documentario “Firenze secondo me” e per aver conferito alla società “mandato esclusivo” a rappresentarlo e per la realizzazione di “opere dell’ingegno”. Altri 507mila euro circa dalla Celebrity Speakers Ltd, società del Regno Unito che promuove relatori famosi per le conferenze, per “più speech svolti dall’ex premier”. 147.300 euro invece arrivano da Algebris, società di gestione del risparmio riconducibile a Davide Serra”, in passato finanziatore della stessa fondazione Open.

Doveroso segnalare come non vi siano profili illeciti in questi versamenti ricevuti, ma di certo alcuni di essi mostrano evidenti criticità dal punto di vista politico, capaci quantomeno di far dubitare un possibile conflitto d’interessi. Ad esempio, sempre per partecipare a una conferenza, Renzi ha ricevuto 19.032 euro dalla società 21 Investimenti Sgr di Alessandro Benetton, proprio mentre il governo dibatteva sulla revoca della concessione Autostrade alla famiglia Benetton in seguito alla tragedia del ponte Morandi. Coincidenza: quando il 10 gennaio 2020 Italia Viva motivò le ragioni della sua uscita dal governo Conte II, tra queste venne elencata proprio la contrarietà al ritiro della concessione delle autostrade ai Benetton.

Altri versamenti paiono molto delicati da difendere dal punto di vista politico. Delle relazioni intrattenute da Renzi con la dittatura dell’Arabia Saudita molto si è scritto. Ma i documenti rivelano bonifici per oltre 43mila euro ricevuti direttamente dal Ministro delle Finanze del Paese saudita e altri quasi 40mila dalla “Saudi commission For Tourism Arabia Saudita” . Quello Saudita è un regime dispotico e assoluto, che Renzi definì nientemeno che la “culla del nuovo Rinascimento” in una conferenza pubblica dinnanzi al principe ereditario Mohammad bin Salman, indicato in un rapporto della Cia come il mandante diretto del rapimento e dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nei locali dell’ambasciata saudita in Turchia.

Matteo Renzi ha denunciato la pubblicazione dei bonifici ricevuti come una «violazione delle leggi e della Costituzione» annunciando una «lunga battaglia in sede civile e penale per ottenere il risarcimento che merito». È lo stesso Matteo Renzi che il 17 gennaio 2018 sventolò il proprio conto corrente alla trasmissione televisiva Matrix, vantandosi di avere un saldo di 15.000 euro e affermando «io credo nella trasparenza e vorrei che tutti i politici mostrassero i loro conti correnti» aggiungendo che «se un politico ha conti correnti diversi da questo c’è qualcosa che non torna».

Alluvioni in Sri Lanka e India meridionale causano 9 morti

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Nello Sri Lanka ed in alcune zone dell’India meridionale almeno 9 persone hanno perso la vita mentre altre due risultano disperse a causa delle alluvioni generate dalle piogge torrenziali, che si verificano da oltre una settimana. Nello specifico, nello Sri Lanka sono stati segnalati cinque morti e due dispersi, ha affermato Pradeep Kodippili, un funzionario dell’Agenzia nazionale per la gestione dei disastri. Nello Stato indiano di Tamil Nadu, invece, il ministro locale per la gestione dei disastri, K.K.S.S.R. Ramachandran, ha fatto sapere che quattro persone sono morte a causa delle piogge.

Sentenza storica: il Consiglio di Stato chiede al Trentino di liberare l’orso M57

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Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di ENPA e OIPA e ha intimato alla Provincia di Trento di valutare la possibilità di liberare l’orso M57, dallo scorso anno rinchiuso in gabbia. Una sentenza definita storica dagli animalisti, che intima al potere politico di tutelare il benessere e la libertà degli orsi, che in Trentino sono sottoposti da tempo a una condizione di stress e brutalità che ha attirato critiche da tutto il mondo. Il Consiglio di Stato ha ritenuto «illegittimo il provvedimento di cattura per la captivazione dell’orso denominato M57, adottato senza la previa acquisizione del parere Ispra, che avrebbe consentito una valutazione in merito al regime più adeguato, e maggiormente conforme ai parametri normativi, in relazione alle esigenze di tutela sia dell’animale che della collettività». Stabilendo che «la provincia di Trento nell’ottica della tutela dell’incolumità pubblica ispirata al principio di proporzionalità e alla tutela delle condizioni dell’animale come garantita dalle fonti primarie (anche di rango comunitario), dovrà valutare se – avuto riguardo alle accertate condizioni, e ove sussistente al reale livello di pericolosità dell’esemplare – sia praticabile la liberazione con radio collare, ovvero la soluzione analoga a quella in precedenza adottata per l’esemplare DJ3».

L’orso M57 venne catturato nell’agosto 2020 mentre rovistava in alcuni cassonetti alla ricerca di cibo e con l’accusa di aver aggredito un giovane carabiniere. Un fatto sul quale non è mai stata fatta piena luce. Come sottolinea la LAV (Lega Anti Vivisezione): «Non è stato infatti mai appurato come mai la persona che accompagnava l’aggredito, fosse riuscita a mettersi in sicurezza senza alcun problema, tanto da far pensare che la vittima avesse voluto scattare alcune foto all’animale, e che per questo avesse indugiato alla sua presenza, provocandone la reazione».

Da allora è rinchiuso in una gabbia di due metri per sei, circondata da tre recinzioni elettriche da 7.000 volt, una barriera alta quattro metri, telecamere a circuito chiuso e addetti che lo guardano a vista. Una sorta di prigione di massima sicurezza che, a seguito di una ispezione condotta su segnalazione del ministero dell’Ambiente da Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e dai carabinieri, è stata definita fonte di stress molto severo che ha portato M57 a rifiutare il cibo, a passare parte della giornata nascosto in un angolo e a ripetere movimenti in maniera ossessiva e ritmata, segno di un malessere profondo.

Sudan, al-Burhan dichiara che resterà fuori da governo civile

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Il generale al-Burhan, a capo del recente colpo di Stato in Sudan, ha affermato di non voler far parte del governo civile che si formerà dopo l’attuale periodo di transizione. Al-Burhan ha dichiarato che non si è trattato di un golpe ma di una “rettifica del corso della transizione” e ha negato la responsabilità del proprio esercito negli scontri che, durante le proteste dei giorni scorsi, hanno portato alla morte di 14 manifestanti. “Ci impegnamo a cedere il potere a un governo civile di competenza nazionale e a preservare la transizione da qualsiasi interferenza che possa ostacolarla” ha dichiarato al-Burhan ad al-Jazeera. Il colpo di Stato ha suscitato una condanna internazionale che ha portato a tagli agli aiuti finanziari per il Sudan.

L’Europa continua a tenere nascosti i contratti sui vaccini anti-Covid

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La Commissione europea si rifiuta di rendere pubblici i contratti siglati con le Big Pharma per l’accesso ai vaccini e i nomi dei negoziatori che conducono le trattative. Una ristrettissima dose di informazioni è garantita ad appena il 3% degli eurodeputati, cui è concesso un tempo di circa tre minuti di consultazione per ciascun contratto. I contratti stessi sono in larga parte oscurati ed è negata l’autorizzazione a divulgare le informazioni contenute. Gli ultimi contratti, oltre a prevedere un’impennata nei prezzi delle dosi, aumenterebbero di molto il potere di Bruxelles, in quanto conterrebbero i termini di acquisto delle “pillole anti-Covid”. Si tratta di procedimenti potenzialmente antidemocratici, durante i quali si dispone in modo poco trasparente dei miliardi di euro versati dai contribuenti.

I contratti sono visionabili all’interno di una dark room, cui gli eurodeputati ammessi accedono solo dopo aver firmato una clausola di segretezza che impedisce la divulgazione di quanto letto. La stessa procedura era utilizzata a gennaio, quando gli eurodeputati potevano visionare il contratto con CureVac, ma avevano 50 minuti di tempo a disposizione, contro i 30 di adesso per visionare la decina di contratti recentemente siglati.

Sono molti i punti oscuri che sollevano delle questioni, come quelli riguardanti l’aumento dei prezzi e le condizioni di accesso globale alle dosi. Secondo quanto riportato dall’inchiesta di Eu Observer infatti il “Team Europe” avrebbe assicurato fino ad oggi 4,6 miliardi di dosi per la popolazione dell’Unione Europea, di 448 milioni di persone. Si tratta di una sovrabbondanza che facilmente può condurre allo spreco, ma i fornitori hanno imposto clausole stringenti sulle donazioni. Un nuovo contratto con BioNTech-Pfizer, inoltre, prevede la consegna di altre 1,8 miliardi di dosi per il 2023 a un prezzo rincarato del 25%, nonostante uno studio dell’Imperial College di Londra mostri che il costo delle dosi dovrebbe aggirarsi intorno a poco più di un dollaro. Inoltre, in caso di difetti non immediatamente riscontrabili, il rischio finanziario e gli indennizzi ricadono sugli Stati acquirenti.

Numerosi deputati e ONG sono scesi in campo per combattere la clausola sulla segretezza, misura considerata altamente antidemocratica e pregiudicante per la trasparenza delle procedure, ma senza successo. Il 22 ottobre cinque deputati Verdi hanno depositato un ricorso presso la Corte di giustizia europea contro la Commissione, che non rivela nemmeno i nomi dei negoziatori. Stella Kyriakides, commissaria europea per la salute, avrebbe infatti dichiarato durante un’interrogazione parlamentare che “Tale pressione potrebbe effettivamente influenzare negativamente o mettere in pericolo il processo di negoziazione in corso e il suo obiettivo di ottenere un accesso a un vaccino Covid-19 sicuro e conveniente”. La trasparenza è invece “un prerequisito per stimolare e mantenere la fiducia del pubblico nei vaccini, per porre fine al nazionalismo dei vaccini e garantire la legittimità degli appalti comuni dell’UE” ha dichiarato Montserrat, europarlamentare spagnola.

Nonostante ciò, ancora non è possibile conoscere l’ammontare della cifra che è andata a ciascuna azienda né i nomi di coloro che hanno condotto i negoziati. Olivier Hoedeman, del comitato di controllo Corporate Europe Observatory, ha affermato: “Il pubblico ha diritto di sapere chi sta negoziando per conto dell’Ue”, in quanto si tratta di una “condizione preliminare per valutare i potenziali conflitti d’interesse“.

Il rischio è che, in futuro, tale pratica finisca per l’essere generalizzata.

[di Valeria Casolaro]

Patrik Zaki sarà trasferito in una nuova prigione ignota

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Patrik Zaki verrà trasferito in un nuovo carcere a causa della chiusura della struttura di Tora. Lo ha comunicato lui stesso alla famiglia nel corso di una recente visita. Lo studente bolognese, di origini egiziane, è stato incarcerato in regime di custodia cautelare a febbraio 2020. Non si conosce il luogo in cui verrà trasferito, in quanto nessuna comunicazione ufficiale è ancora stata fatta dal carcere né è stato notificato il trasferimento alla famiglia di Zaki o al suo avvocato. La notizia arriva a poche settimane dall’udienza fissata per il 7 dicembre di fronte alla Corte di Mansoura.

Non si ferma la strage di giornalisti in Messico

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Fotoreporter

Fredy López Arévalo e Alfredo Cardoso sono morti lo stesso giorno. Uccisi per il lavoro che svolgevano: entrambi erano infatti giornalisti in Messico, ancora oggi uno dei paesi più pericolosi al mondo per chi si occupa di informazione. I due reporter sono stati presi d’assalto nelle loro case, a distanza di meno di 24 ore l’uno dell’altro. Con la morte di Arèvalo e Cardoso il bilancio delle vittime di quest’anno per i reporter sale a nove, superando già gli otto morti registrati nel 2020.

Fredy López Arévalo è stato colpito alla testa mentre si trovava nella propria abitazione, situata nella città di San Cristóbal de las Casas. I suoi reportage provenivano principalmente dalle zone dello stato meridionale del Chiapas, e recentemente aveva scritto molto sulla politica centroamericana e la rivolta zapatista per testate giornalistiche come Reuters, il Los Angeles Times e Notimex. Il suo lavoro sulla politica locale era meticoloso e costante.

Alfredo Cardoso è morto invece ad Acapulco, dopo essere stato allontanato dalla sua residenza da uomini armati e a volto coperto, che non hanno risparmiato minacce neppure nei confronti della famiglia. Il suo corpo è stato ritrovato il giorno successivo, trivellato di colpi. Inutili gli sforzi compiuti dai medici per tentare di salvargli la vita. Cardoso, prima di ricoprire il suo ultimo incarico da direttore del sito di notizie online Revista Dos Costas, era un fotoreporter che negli ultimi tempi aveva raccontato la situazione di Acapulco, una città che ha subito una radicale trasformazione negli ultimi dieci anni: da meta turistica a covo di violenza generata dai cartelli della droga.

Come è già accaduto in passato, anche questa volta nessun sospettato è stato arrestato. Spesso gli omicidi commessi nei confronti dei giornalisti messicani finiscono nel dimenticatoio e rimangono impuniti. Le motivazioni sono diverse: indagini superficiali e inadeguate, indifferenza da parte della politica e frequenti collusioni tra cartelli della droga. Elementi che contribuiscono a confermare ancora una volta il Messico come il paese con più omicidi compiuti ai danni dei giornalisti.

“Questi attacchi sono alimentati dall’impunità, che è quasi totale nei crimini contro la stampa. Il governo non è stato disposto a fare alcun passo significativo per rafforzare lo stato di giustizia o proteggere i giornalisti”, ribadiscono le associazioni.

Facendo una panoramica più ampia, dal 1999 ad oggi nel mondo, almeno 1.400 giornalisti sono stati uccisi proprio per aver portato a termine il proprio lavoro. Nell’86% dei casi, nessun colpevole ha pagato per l’omicidio.

Reporters sans frontières (RSF) include da anni il Messico, insieme alla Siria e all’Afghanistan (in cui però va avanti una guerra devastante da anni) nella classifica dei paesi più pericolosi al mondo per i media.

La violenza nel paese è spesso frutto della collusione tra funzionari e criminalità organizzata, pratica che paralizza il sistema giudiziario in tutti gli ambiti. I giornalisti che si occupano di raccontarne l’evoluzione, di addentrarsi nella politica interna e locale, in crimini irrisolti e malfunzionamenti amministrativi vengono minacciati, intimoriti e nel peggiore dei casi uccisi a sangue freddo. Altri vengono rapiti, e di loro poi non si sa più niente. Non si sa se siano morti o se siano fuggiti all’estero. Se siano stati costretti a cambiare identità, ad esempio, o vivere perennemente nascosti. “Andrés Manuel López Obrador, presidente del Messico dal dicembre 2018, non ha ancora attuato le riforme necessarie per frenare questa violenza e impunità”, riferisce RSF.

[di Gloria Ferrari]

USA, riaprono le frontiere per turisti vaccinati

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Gli Stati Uniti riaprono oggi le frontiere ai turisti vaccinati provenienti da tutto il mondo, comprese le zone che ancora sono soggette a restrizioni. Termina così la lunga chiusura decretata dall’amministrazione Trump nel 2020 e mantenuta da Biden fino ad ora. La decisione arriva dopo che il 70% della popolazione adulta americana è stata immunizzata. Negli Stati Uniti è già iniziata la somministrazione della dose booster a soggetti fragili e anziani ed è stato dato il via libera alla vaccinazione dei bambini tra i 5 e gli 11 anni. I vaccini accettati per l’ingresso in territorio americano sono tutti quelli autorizzati dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Stop alle delocalizzazioni: depositata alla Camera la legge scritta dagli operai GKN

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Lo avevano annunciato, lo hanno fatto. Con una concretezza che non appartiene alla politica in poche settimane gli operai in lotta contro il licenziamento della fabbrica GKN di Campi Bisenzio (Firenze) hanno scritto e depositato alla Camera una proposta di legge per impedire alle aziende le delocalizzazioni selvagge. Una proposta di riforma dal basso, scritta dai lavoratori per i lavoratori, che nei suoi presupposti risponde a un principio apparentemente elementare eppure non riconosciuto: “Delocalizzare un’azienda in buona salute, trasferirne la produzione all’estero al solo scopo di aumentare il profitto degli azionisti, non costituisce libero esercizio dell’iniziativa economica privata, ma un atto in contrasto con il diritto al lavoro, tutelato dall’art. 4 della Costituzione”.

La proposta di legge è stata cofirmata da 26 parlamentari, con primi firmatari Matteo Mantero (Potere al Popolo!), Yana Ehm (Gruppo misto, ex M5S), Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana). Essa prevede: limiti severi alle delocalizzazioni (ovvero spostamento degli stabilimenti all’estero) per le aziende con oltre 100 dipendenti; obbligo per le aziende di presentare al ministero un piano per la salvaguardia dei lavoratori che dovrà essere approvato dalla maggioranza dei lavoratori attraverso i sindacati; la possibilità per gli operai di associarsi in cooperativa e rilevare la fabbrica con diritto di prelazione e con il sostegno dello stato. La proposta di legge è stata sottoscritta anche da 50.000 cittadini su change.org (dove è consultabile il testo della proposta).

Si tratta di una proposta di legge che ha l’obiettivo di incidere in maniera decisa contro gli abusi delle aziende e di prevedere strumenti reali e concreti per proteggere i posti di lavoro in un mercato sempre più selvaggio e dominato da multinazionali che negli ultimi mesi hanno abituato a licenziamenti di massa e chiusure di interi stabilimenti produttivi da un giorno all’altro. Un implicito segnale del fatto che gli operai non hanno particolari aspettative verso il cosiddetto “decreto contro le delocalizzazioni” proposto al governo da 5 Stelle e Partito Democratico: una norma dalla cui bozza è scomparso ogni richiamo alle sanzioni verso le aziende che non rispettino gli accordi, e che quindi – anche in caso di approvazione – rischia di non servire quasi a nulla.

I 422 lavoratori della GKN sono in lotta dal luglio scorso, quando l’azienda per la quale lavorano (multinazionale inglese di componentistica per auto) gli annunciò il licenziamento senza preavviso e via mail, causa chiusura dello stabilimento e spostamento all’estero della produzione. Da allora la lotta dei lavoratori GKN è stata senza sosta e il loro slogan (“Insorgiamo”) è diventato simbolo anche mediatico delle situazioni analoghe vissute di tanti lavoratori. La curiosità politica, ora, sarà vedere come si comporteranno i vari partiti politici di fronte alla proposta di legge operaia, a cominciare da PD e M5S, che a parole hanno sempre appoggiato le iniziative degli operai della GKN.

Negli Usa multinazionali e intelligence pianificano il green pass del futuro

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Mentre in Italia, per tramite del “green pass”, si è instaurata una cittadinanza di seconda classe, anche negli Stati Uniti sono in corso grandi manovre per lo sviluppo e l’introduzione di un passaporto vaccinale digitale su larga scala. Varie sono le organizzazioni coinvolte e impegnate a viario titolo nella progettazione e implementazione di questo dispositivo digitale che sembra poter essere applicato anche oltre la pandemia da Covid-19 assumendo i caratteri di uno strumento del capitalismo della sorveglianza e dai tratti transumanisti tanto cari a organizzazioni come il World Economic Foru...

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