venerdì 26 Aprile 2024

L’Italia ha un problema con l’educazione sessuale

Nei giorni scorsi, al liceo artistico Marco Polo di Venezia, alcune studentesse si sono ribellate, dopo essere state redarguite a causa del loro abbigliamento dall’insegnante di educazione fisica. Alcune di loro si erano presentate in palestra indossando un top sportivo e per questo riprese dall’insegnante che lo aveva ritenuto indumento poco consono a un contesto scolastico, perché “distrae i compagni maschi”. La professoressa aveva chiesto alle alunne di coprirsi con una maglia, le studentesse non solo hanno rifiutato ma hanno inscenato una protesta, reclamando un cambio di mentalità all’interno del mondo scolastico. Le studentesse, riunite nel collettivo Polo-Las, chiedono innanzitutto una cosa: l’introduzione dell’educazione sessuale tra le materie di studio. Una richiesta paradigmatica, come vedremo, di come in Italia siano ancora (non) affrontate le questioni relative alla sessualità e al genere. Il nostro Paese è infatti fanalino di coda a livello europeo, vittima dell’inazione legislativa e di un certo conservatorismo di matrice cattolica non ancora superato.

L’Italia è infatti uno degli ultimi Stati membri dell’Unione Europea in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria, accanto a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. Il tema è percepito nel nostro paese ancora come un tabù, visto e considerato il disinteresse del ministero dell’Istruzione che continua a non introdurlo nei programmi scolastici. L’opposizione alla introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole verte su due ragioni principali: 1. Parlarne determinerebbe un inizio più precoce delle relazioni sessuali dei ragazzi; 2. Si tratta di un argomento legato alla sfera intima, del quale devono farsi carico i genitori.

Educazione sessuale: una definizione

Ma cosa si intende per educazione sessuale e perché sarebbe così importante insegnarla nelle scuole? Nella International Technical Guidance on Sexuality Education realizzata dall’UNESCO nel 2009, l’educazione sessuale è stata descritta come “un approccio, adeguato all’età e alla cultura, nell’insegnamento riguardante il sesso e le relazioni attraverso la trasmissione di informazioni scientificamente corrette, realistiche e non giudicanti. L’educazione Sessuale offre, per molti aspetti della sessualità, l’opportunità sia di esplorare i propri valori e atteggiamenti, sia di sviluppare le competenze decisionali, le competenze comunicative e le competenze necessarie per la riduzione dei rischi”. Si tratta dunque di un intervento che deve adottare un approccio multidimensionale, intenzionale, consapevole, mirato al target dei destinatari, volto a tutelare, informare, autorizzare la soggettiva ricerca del benessere sessuale.

Perché serve una legge nazionale

Nonostante più di 40 anni di tentativi, in Italia non vi ancora è una legge che sancisca l’obbligo di inserire l’educazione sessuale nel novero delle materie scolastiche e gli istituti italiani scelgono autonomamente come agire a livello territoriale. L’assenza di un quadro normativo nazionale che individui cosa si intenda per educazione sessuale fissandone gli obiettivi e le linee guida per la sua realizzazione lascia anzitutto spazio all’affiorare di pregiudizi e tabù che alimentano dibattiti di tipo ideologico e porta ad avere disuguaglianze e disparità tra ragazzi di regioni diverse. In Italia l’insegnamento dell’educazione sessuale viene fatto in qualche modo, ma in modo frammentario. Le Regioni, in piena autonomia e spesso a seconda del colore politico dell’amministrazione, decidono se destinare risorse per percorsi di educazione sessuale nelle scuole. A quel punto vi è il filtro composto dai dirigenti scolastici che, spesso anche loro in base ad opinioni politiche e ideologiche, decidono se attivarsi per effettuare i suddetti corsi nei loro istituti. Ovvio ne consegua una realtà a macchia di leopardo, con alcune regioni (innanzitutto quelle del centro Italia, storicamente a maggioranza di sinistra) dove l’educazione sessuale è spesso presente nelle scuole, ed altre dove è quasi o anche del tutto assente.

Nel nostro paese il primo disegno di legge fu presentato da Giorgio Bini, Partito Comunista, il 13 marzo 1975 e, senza andare troppo indietro negli anni, dal 1995 diverse proposte di legge si sono succedute per introdurre l’educazione sessuale come materia curriculare. Osservando la tabella riportata al termine del paragrafo balza subito all’occhio l’imbarazzo con cui i diversi partiti dal 1995 non siano stati in grado di chiamare le cose col proprio nome: un susseguirsi di proposte di legge in cui la materia “educazione sessuale” viene talvolta definitiva “educazione socio- affettiva”, o “sentimentale” o “educazione alla parità di genere”.

Fonte: Istituto Internazionale di Sessuologia Firenze (IRF)

Tra disegni di legge mai attuati e organizzazioni della società civile – spesso vicine al mondo cattolico ma non solo – che ostacolano il dibattito pubblico, chi ovviamente patisce di questa disinformazione e di mancanza di linee guida nazionali sono bambini, pre- adolescenti e adolescenti che si affacciano alla conoscenza della propria sessualità in solitudine o attraverso l’uso di canali informali: in primis i genitori – che ricoprono un ruolo fondamentale, ma che non possono certo sostituirsi totalmente a professionisti del settore – e la pornografia, oggi accessibile a chiunque attraverso il web, i cui prodotti sono pensati per intrattenere e non di certo per educare.

L’educazione sessuale in Europa

In Europa, la storia dell’ insegnamento dell’educazione sessuale ha oltre mezzo secolo, la più antica nel mondo. Nella progressista Svezia, seppur con qualche iniziale difficoltà di integrazione nelle materie curricolari, l’educazione sessuale diventa materia obbligatoria già nel 1955. A seguire la Germania nel 1968; Danimarca, Finlandia e Austria 1970; la Francia nel 1998. Oggi, la maggior parte degli Stati membri dell’Unione Europea ha adottato una normativa nazionale che disciplina la sua obbligatorietà nelle scuole, ad eccezione – come dicevamo sopra – di Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia, Romania e Italia.

Tuttavia, nonostante esista un documento quadro di riferimento a livello Europeo, rivolto a governi, autorità scolastiche e sanitarie, per definire gli Standard dell’Educazione Sessuale in Europa, l’integrazione dei programmi curriculari è ancora scarsa. Ad esempio, l’età di riferimento per l’insegnamento della materia varia da paese a paese: i portoghesi iniziano già a 5 anni mentre i loro cugini spagnoli aspettano i 14. Anche gli approcci e le modalità di intervento si diversificano a seconda del paese: in Olanda si lavora su un’ampia gamma di temi, dalla conoscenza del corpo umano per i più piccoli, alla percezione di sé e dell’altro, al significato di amore, di sesso e di abuso sessuale; in Francia i programmi si attengono alla prevenzione della salute sessuale, in Danimarca sono previste anche lezioni tenute direttamente da sex worker.

Ma in definitiva, a cosa servirebbe?

L’educazione alla sessualità come suggerito dagli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa deve adottare un orientamento olistico che non includa esclusivamente programmi di prevenzione alla salute sessuale ma che integri percorsi di apprendimento per l’autodeterminazione, la realizzazione di sé e della propria sessualità, per fare scelte consapevoli, salutari e rispettose su relazioni, sesso e riproduzione.

Attraverso adeguati programmi, nei paesi europei dove sono stati attivati percorsi di educazione alla sessualità, è stato possibile raggiungere obiettivi chiari e misurabili: ridurre la frequenza di comportamenti sessuali non protetti, incrementare la prevenzione per evitare gravidanze non desiderate e malattie sessualmente trasmissibili, ritardare (e non anticipare come sospettano i contrari) l’età del primo rapporto.

L’Unesco, nella sua guida, ha fatto una valutazione dell’impatto di questi programmi in vari paesi del mondo. I risultati sono tangibili: più di un terzo dei programmi riesce a ritardare l’età del primo rapporto sessuale, a far diminuire la frequenza e il numero di rapporti con partner diversi. In 4 casi su 10, inoltre, è stato incentivato l’uso di anti-concezionali. Infine, più della metà dei 30 programmi dedicati alla prevenzione è riuscita a raggiungere l’obiettivo prefissato.

Costruire relazioni paritarie, superare gli stereotipi

Ma l’insegnamento della materia diventa un presupposto imprescindibile anche per costruire relazioni basate sul rispetto reciproco e maturare un pensiero critico, riconoscere e smontare gli stereotipi alla base delle discriminazioni di genere e dell’orientamento sessuale, per un cambio di mentalità e un pieno rispetto dei diritti umani. Il nostro paese vive un momento storico particolare, nel quale si parla tanto di sessualità ed allo stesso tempo sembrano esserci molti passi indietro su importanti diritti ottenuti negli anni e dove la discriminazione è sempre più tangibile, come rilevato da una ricerca dell’Istat sugli stereotipi di genere.

Educare i ragazzi – oltre che per garantire un loro diritto – diventa imprescindibile per non lasciarli soli in una delle fasi più delicate della vita e per aiutarli a sostenere qualsiasi discorso sulla sessualità che sia libero da tabù.

Tornando alla vicenda di apertura, che cosa stanno reclamando in fondo le liceali di Venezia? Che venga affrontato, nella sede dove è giusto che ciò avvenga, ovvero tra i banchi, un ragionamento sensato sulla questione di genere che inneschi per davvero un processo di cambiamento nella percezione e costruzione dei ruoli sociali, un cambio di paradigma nell’approccio alla sessualità, attraverso la trasmissione di informazioni scientificamente corrette. L’educazione sessuale è uno strumento essenziale per costruire una sessualità egualitaria e libera di esprimersi, esente da condizioni di oppressione e non legata alla divisione tra i sessi e alle relazioni di potere.

[di Elisa Arianna Passatore]

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