sabato 15 Novembre 2025
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Covid: anche Israele autorizza vaccinazione per fascia d’età 5-11 anni

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In seguito agli Stati Uniti anche Israele ha autorizzato la vaccinazione, con dosi Pfizer/BioNtech, per la fascia d’età 5-11 anni. A rendere nota la decisione è stato il ministero della Salute, che tramite una nota ha spiegato: «La maggior parte degli esperti ha ritenuto che i benefici di questa vaccinazione per i bambini sarebbero stati maggiori dei rischi, il che ha portato alla decisione di autorizzare il vaccino per questa fascia d’età».

Marocco e Algeria, la nuova scintilla che rischia di travolgere l’Europa

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Marocco e Algeria

In Nord Africa in questi giorni c’è una pericolosa situazione pronta ad esplodere: la tensione è di nuovo molto alta tra Marocco e Algeria, sulla questione del controllo dei territori nel Sahara Occidentale. Si tratta di zone ricche di fonti energetiche, motivo per cui da anni gli analisti consigliano di non abbassare mai la guardia. Soprattutto adesso.

L’ultima scintilla che ha nuovamente alimentato il fuoco vivo sotto le ceneri è stata l’uccisione di tre autotrasportatori algerini. Gli uomini viaggiavano dalla capitale della Mauritania, Nouakchott, diretti alla città algerina di Ouargla, lungo un tratto del Sahara occidentale da sempre oggetto di forti tensioni tra le nazioni.

Per le autorità algerine non ci sono dubbi: i camion sono stati bombardati da forze marocchine. “È un attacco barbaro che non rimarrà impunito”, dice l’ufficio presidenziale di Algeri. Non solo. Il paese ha deciso di rompere le relazioni diplomatiche con il Marocco e vietare ai suoi mezzi aerei di attraversare lo spazio algerino. Ma la decisione più importante è stata quella che riguarda proprio il mese di novembre: periodo a partire dal quale i rubinetti del Gasdotto Maghreb-Europa (Gme), che passa in territorio marocchino, sono stati totalmente chiusi.

Le ripercussioni di un’azione così forte come questa toccano anche la Spagna. Secondo i dati di Enagas, l’Algeria quest’anno ha fornito il 47% del gas importato dalla Spagna: 15 miliardi di metri cubi, più della metà dei quali provenienti proprio da quel gasdotto che attraversa il Marocco. Oltre alla rivalità con il Marocco, quindi, pare che l’Algeria voglia dare un chiaro segnale all’Europa, e non solo attraverso le sue risorse energetiche. Una nuova guerra e l’inasprirsi della crisi economica già in corso porterebbe (e sta già portando) centinaia di migranti a mettersi in viaggio, clandestinamente, verso l’Europa. Negli ultimi mesi, infatti, la Spagna ha assistito a tantissimi arrivi provenienti principalmente dall’Algeria. Ed è solo l’inizio.

Anche se pare che al momento il Marocco abbia scelto la via della diplomazia, la corsa agli armamenti, da parte di entrambi i paesi, sembrerebbe raccontare il contrario. L’Algeria si è dotata fin da subito di droni e altri strumenti per la sorveglianza aerea, prima ancora che lo facessero molte altre nazioni. Anche il Marocco tenta di rimanere “al passo con i tempi”. Solo nel 2020 ha ordinato quattro droni MQ-9B Reaper. Ma già nel 2019 si era rivolto alla Turchia per acquisire 12 droni d’attacco Bayraktar TB2 in grado di trasportare missili. Per non parlare di tutta la merce acquistata da Israele nel corso degli anni.

Per tutti questi motivi il Sahara occidentale è una zona molto delicata. Geograficamente controllata per l’80% dal Marocco, è una regione che fa gola a molti perché ricca di fosfati e vicina alle ricche acque dell’Atlantico. Ma ospita da anni molti conflitti. Tra questi, quello del Fronte Polisario, l’organizzazione fondata nel maggio 1973 che lotta per la liberazione nazionale del Sahara occidentale, rappresentando anche il volere del popolo saharawi. L’Algeria non ha mai negato aiuto e ospitalità a ribelli e rifugiati.

Conflitti che, seppur esistenti da anni, riemergono sempre nell’attualità perché figli di quel colonialismo che ha lasciato dubbi, incertezze e zone di confine poco chiare. E che continua indirettamente ad oscurare la dignità e l’indipendenza di tantissime popolazioni locali in virtù degli interessi derivanti dalle zone che occupano. Come il caso del Marocco, per il quale concedere l’indipendenza al popolo saharawi significherebbe perdere grossi traffici economici.

Al momento, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto a Marocco e Algeria di confrontarsi dialogando, per stemperare la tensione. Tuttavia non è possibile prevedere la portata della crisi: rimarrà una questione più o meno interna o interverranno gli alleati?

[di Gloria Ferrari]

Libia, il figlio di Gheddafi si candida alle presidenziali

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Saif al-Islam, figlio dell’ex dittatore Gheddafi, si è candidato alle elezioni presidenziali che dovrebbero tenersi in Libia il 24 dicembre prossimo. La sua candidatura è permessa nonostante sia accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, in quanto la condanna non è stata confermata in via definitiva. Secondo alcuni esperti, il figlio di Gheddafi godrebbe ancora di un certo supporto tra gli ex sostenitori del regime del padre e alcune tribù e, seppure si ritenga non abbia speranze di vincere le elezioni, la sua candidatura costituisce un importante messaggio politico. Intanto il capo dell’Alto Consiglio di Stato al-Mishri ha annunciato un probabile slittamento di tre mesi delle elezioni, in quanto ad oggi non esiste un comune consenso sulle leggi elettorali.

Il Portogallo approva la legge che norma i diritti di chi lavora da remoto

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Il Portogallo ha approvato una legge che tutela chi lavora da remoto. Un passo importante e necessario, considerando quanto lo smart working stia continuando a prendere piede, dopo il boom causato dallo scoppio della pandemia. I lunghi lockdown, infatti, hanno spinto molte aziende a rivoluzionare la propria organizzazione, introducendo il cosiddetto lavoro agile. Una modalità di lavoro che, ormai è chiaro, non scomparirà con la fine dell’emergenza e pare destinata a segnare il futuro. Tra favorevoli e contrari molti lavoratori (e sindacati) preferiscono un approccio pragmatico: bene lavorare in parte da casa, ma servono regole nuove che disciplinino la materia, normando alcune questioni poco chiare come l’orario di lavoro, gli straordinari, la gestione delle spese e il diritto alla disconnessione. Perché, se tra le mura dell’ufficio sono chiare (o almeno dovrebbero esserlo), lo smart working ha portato molti lavoratori a non avere un limite di orario stabile e a dover utilizzare i propri mezzi per svolgere l’attività.

Tutto questo ha convinto il parlamento portoghese a prendere dei provvedimenti per tutelare chi lavora da casa, approvando una legge che prevede, innanzitutto, il diritto alla disconnessione: all’azienda sarà vietato contattare i dipendenti oltre l’orario d’ufficio se non vorrà incorrere in sanzioni. Questa sarà anche responsabile di fornire alle proprie risorse gli strumenti adeguati per lo svolgimento del lavoro da casa, contribuendo alle spese di luce e internet. Non solo, il provvedimento indica anche la possibilità di rinunciare allo smart working o di richiederlo se compatibile con le proprie mansioni. Inoltre, le condizioni previste, prevedono un miglioramento del lavoro dei genitori, ai quali sarà concesso di lavorare da remoto – fino a quando i figli non avranno compiuto otto anni-, senza dover ottenere preventivamente il permesso dai propri superiori. Infine, la legge stabilisce il divieto di monitorare il lavoro a distanza e l’obbligo per le aziende di organizzare degli incontri in presenza, così da limitare il disagio dell’isolamento per chi non collabora in sede.

La regolamentazione del lavoro da remoto in Portogallo – che verrà applicata a tutte quelle realtà lavorative con almeno dieci dipendenti – si è resa necessaria anche per il crescente ruolo del paese nel mercato dei cosiddetti “nomadi digitali”, ovvero coloro che, lavorando completamente da remoto, hanno la possibilità di trasferirsi e vivere in paesi sempre diversi. Come, infatti, dichiarato dalla ministra per il Lavoro e la Sicurezza sociale Ana Mendes Godinho, durante l’ultimo Web Summit a Lisbona, costruire un contesto favorevole per lo smart working, contribuisce a portare benefici allo Stato, perché aumenta l’attrattività per i lavoratori stranieri.

[di Eugenia Greco]

Crotone, sequestrato intero villaggio turistico per abusi edilizi

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La Procura della Repubblica di Crotone ha disposto il sequestro preventivo dell’intero villaggio turistico Marinella di Isola Capo Rizzuto a causa di presunti abusi edilizi. Il provvedimento è stato eseguito dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico per la Tutela Ambientale e la Transizione Ecologica (Noe). Al posto di strutture mobili ne sarebbero state infatti realizzate di permanenti: il valore totale delle opere edilizie abusive (che comprende 25 villette, strade, aree docce e piscine) è di 2,5 milioni di euro. Ai 30 indagati vengono contestati reati di lottizzazione abusiva in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, realizzazione di opere in senza i permessi necessari, falsità ideologica nei certificati, falso e scarico abusivo di reflui industriali.

No Green Pass, ancora perquisizioni in tutta Italia

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In queste ore la Polizia di Stato di Torino ha messo in atto 17 decreti di perquisizione nei confronti di attivisti no-vax e no-greenpass in 16 città italiane. Si tratta di soggetti affiliati al canale Telegram Basta Dittatura, chiuso a settembre su decisione della stessa piattaforma Telegram per violazione dei Termini di Servizio. Le ipotesi di reato profilate sono di istigazione a delinquere aggravata dal ricorso a strumenti telematici e istigazione a disobbedire alle leggi. Il gruppo, nato come piattaforma di protesta, si era trasformato in una chat di incitamento all’odio e altri crimini. I provvedimenti seguono quelli messi in atto venerdì 12 novembre scorso nei confronti dei manifestanti no-greenpass di Milano.

Al momento della chiusura il canale Basta Dittatura contava oltre 43 mila iscritti. Nato come punto di riferimento per gli spazi web di protesta, si era presto trasformato in un canale di incitamento all’odio e all’azione violenta contro coloro ritenuti responsabili di “asservimento” e “collaborazionismo” con la “dittatura in atto”. Le Forze dell’Ordine hanno monitorato per diverse settimane il canale, sul quale erano divenuti frequenti i riferimenti a “fucilazioni”, “gambizzazioni” e “impiccagioni”, oltre all’allusione a una nuova “marcia su Roma”. Molti di questi soggetti erano già noti alle Forze dell’Ordine per precedenti reati di aggressione, rapina, estorsione, furto e droga.

Le indagini sono state coordinate dai magistrati del gruppo Terrorismo ed Eversione della Procura di Torino ed hanno visto la collaborazione di Polizia postale e Digos, coordinate dal Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni e dalla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione.

Stando a quanto riportato dalle maggiori testate giornalistiche mainstream, le accuse riguardano in alcuni casi soggetti che si erano già resi protagonisti di aggressioni violente contro le Forze dell’Ordine o di blocchi autostradali e ferroviari. Si tratta evidentemente di fatti di gravità alquanto diversa, i quali, nel caso venissero considerati come precedenti, non possono costituire aggravanti di egual peso nel corso delle indagini.

[di Valeria Casolaro]

Emergenza climatica: la transizione necessaria e il gioco delle élite globali

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La prima conferenza globale sul clima si tenne nel lontano 1979. La convenzione quadro dell’Onu per contrastare il surriscaldamento globale e contenere le emissioni fu firmata il 4 giugno 1992. Molti studi scientifici che provano l’ineluttabilità della questione ecologica e climatica erano già disponibili e conosciuti. Per decenni si è scelto di non fare nulla: i governi hanno disatteso gli accordi da loro stessi firmati, le multinazionali del petrolio hanno speso miliardi per organizzare conferenze, pagare i media e fare lobby sui governi affinché nulla cambiasse. Poi, di colpo, l’inversione di marcia, repentina e totale. I leader mondiali invitano Greta Thunberg apposta per farsi insultare, come fosse un rito di espiazione. Il sito internet del World Economic Forum – la “confindustria delle multinazionali” – somiglia a un blog ecologista. Le Big Oil non negano più l’emergenza ed anzi si convertono alla comunicazione sostenibile (leggasi greenwashing) per accreditarsi come partner perfetti per risolvere il problema che esse stesse hanno generato. L’emergenza climatica domina le prime pagine dei giornali dopo essere stata relegata ad una colonna in trentesima pagina per decenni.

Ovvio che di fronte a questo panorama i dubbi nella mente di tanti si affollino. Non è che ci stanno prendendo in giro? Forse questa transizione ecologica è tutto un gioco delle élite globali? Ma poi il clima non è sempre cambiato?

A queste ed altre domande abbiamo cercato di rispondere in questo nuovo numero del Monthly Report. Un piccolo riassunto. Sì: la crisi climatica è un problema reale e occorre fare qualcosa al più presto. Sì: ci stanno anche prendendo in giro. Tutti quanti, governi, World Economic Forum e Big Oil.

La tattica è ormai collaudatissima: i media fanno il lavoro sporco, preparando l’opinione pubblica ad accettare la questione climatica come un’emergenza non più rinviabile, senza perdere tempo in discussioni e ragionamenti. Bisogna agire con logica commissariale, a colpi di decreti, con piena e indiscutibile fiducia nei governi e nelle multinazionali del settore. Abituiamoci all’idea di avere un generale Figliuolo alla Transizione. Il fine è quello di risolvere l’emergenza nel modo desiderato dalle élite. Il disegno è stato ampiamente tratteggiato alla recente Cop26 dal cui palco si sono alternati leader politici e multimiliardari giunti a bordo di ultra impattanti jet privati: investimenti di miliardi pubblici serviranno a trasformare progetti climatici estremamente necessari in investimenti redditizi, facendo sì che il pubblico si assuma il rischio finanziario che le aziende private non sono disposte a correre per salvare il mondo. Il vero obiettivo della transizione ecologica pianificata è quello di generare elevati rendimenti dalle attività a minori emissioni. È questa l’anima green di quella che le élite chiamano Quarta rivoluzione industriale. Cucinare una nuova torta miliardaria, pagata dagli Stati e quindi dai cittadini, le cui fette saranno spartite dai soliti colossi del capitalismo finanziario ed estrattivo.

Di fronte a questo disegno le élite e i grandi media che si occupano della loro propaganda si stanno già occupando di dividere la plebe per poterla meglio governare: da una parte quelli che ci credono e sono pronti ad accettare quanto sarà stabilito senza fiatare, dall’altra quelli da bollare come “negazionisti” pronti a credere per reazione ad ogni contro-narrazione, fossero anche bugie comprovate tipo l’inesistenza del problema climatico. Prima che sia troppo tardi proviamo a costruire una soluzione dal basso. Quella che desideriamo tutti è probabilmente la stessa: città con un’aria respirabile, mari dove poter continuare a bagnarsi, un pianeta abitabile e sano da consegnare alla prossime generazioni. Una transizione ecologica è necessaria. Ma deve essere al servizio del 99% della popolazione mondiale e non del solito 1%. Per questo occorre mobilitarsi.

Il mensile, in formato PDF, può essere scaricato dagli abbonati a questo link: lindipendente.online/monthly-report/

[di Andrea Legni]

Austria, al via oggi lockdown per non vaccinati

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In Austria le persone non vaccinate saranno soggette da oggi a un lockdown della durata iniziale di 10 giorni. La polizia effettuerà dei controlli a campione per accertarsi che a circolare siano solamente coloro che sono in possesso della certificazione vaccinale. La decisione riguarda 2 milioni di persone su una popolazione totale di 8,9 milioni di abitanti e ne saranno esenti i bambini di età inferiore ai 12 anni, in quanto per loro non è ancora prevista la vaccinazione. Secondo il cancelliere Schallenberg la decisione è giustificata dal fatto che l’Austia abbia ad oggi uno dei tassi più bassi di vaccinazione in Europa (il 65%).

Il filo nero che lega stragi di mafia, servizi segreti e strategia della tensione

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Palermo, aprile 2015. Nella cornice del processo che vedeva imputati gli ufficiali del Ros Mario Mori e Mario Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano dell’ottobre 1995, a deporre in Aula è il colonnello Michele Riccio. Quest’ultimo è il carabiniere che ha raccolto le confidenze di Luigi Ilardo, l’ex mafioso di spicco di Cosa Nostra che aveva coraggiosamente scelto di infiltrarsi nell’organizzazione criminale di cui faceva parte al fine di contribuire alla cattura di una serie di latitanti e fornire la “fotografia” di Cosa Nostra nei suoi rapporti interni ed esterni. «Nell’estate del ’93 – ha riferito Riccio – De Gennaro (direttore della Dia, alle cui dipendenze Riccio lavorava, ndr) mi affida la gestione di Ilardo, perché poteva aiutarci ad individuare i mandanti esterni sulle stragi del ’92-’93. Ilardo mi disse che si trattava di personaggi appartenenti a quegli stessi ambienti che negli anni Settanta posero in essere una strategia della tensione». Ilardo gli aveva infatti riferito di «aver fatto parte di un certo contesto mafioso, vicino all’eversione di destra, che era in contatto con apparati deviati dello Stato» e che «molti attentati erano stati addebitati a Cosa Nostra, ma i mandanti venivano dall’esterno. Mi parlò – ha affermato il colonnello – di Mattarella, Pio La Torre, Insalaco, dell’attentato dell’Addaura: disse che ne avrebbe parlato davanti all’autorità giudiziaria, una volta diventato collaboratore di giustizia». Cosa che, però, non accadde: Il 10 maggio 1996, pochi giorni prima di entrare ufficialmente nel programma di protezione, Ilardo venne crivellato di colpi a Catania, sotto casa sua. La Corte d’Assise di Catania ha asserito che l’omicidio Ilardo venne “organizzato e portato a termine da Cosa Nostra catanese” e, in merito all’accelerazione del progetto omicidiario, ha stabilito che “la sequenza cronologica dei fatti è senza dubbio idonea a far ipotizzare una fuga di notizie da vertici istituzionali”. Questa sentenza, nella quale entra direttamente, ancora una volta, l’eco di pesantissime responsabilità istituzionali, sarà confermata anche in Appello.

Nel novembre del 2015, Riccio ha dichiarato al processo “Trattativa Stato-mafia” che «Ilardo commentò che (le stragi del 1993, ndr) erano attentati che rientravano in quella strategia mafiosa di Riina, Bagarella e Brusca per ristabilire quel contatto con le istituzioni, per tornare a condizionarle come nel passato. Tutta questa strategia non era solo di Cosa nostra e per capirla si doveva guardare al passato. Lui mi disse che questi attentati sono applicati con lo stesso fine e lo stesso metodo dallo stesso ambiente, che cambiano gli attori ma che queste stragi sono state fatte su input di questi settori deviati e non voluti direttamente dai vertici mafiosi». Perché le parole di Ilardo avevano fatto tremare una grossa fetta dell’apparato istituzionale italiano? Ripartiamo dall’inizio.

La strategia della tensione

Con il termine “Strategia della tensione”, coniato dal settimanale britannico “The Observer”, indichiamo quell’opera eversiva, circoscrivibile agli anni settanta del secolo scorso, condotta da un variegato universo composto da attori istituzionali italiani e internazionali (tra i quali la CIA e i vertici dei servizi segreti civili e militari del nostro Paese), logge massoniche, organizzazioni paramilitari clandestine e lobbies affaristiche, che si concretizzò negli attentati eseguiti dai gruppi neofascisti organizzati per la lotta armata contro lo Stato (come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale). Essa fu posta in essere con una finalità specifica: “destabilizzare per stabilizzare”, creare un crescendo di tensioni sociali per mezzo di stragi e violenze talmente inaudite da instillare insicurezza, paura e terrore nella popolazione, così da rendere auspicabile agli occhi dell’opinione pubblica un intervento statale di stampo autoritario. La finalità sottesa a tale disegno, a cui a livello mediatico concorsero innumerevoli agenzie e testate giornalistiche che sposarono la strategia della “guerra psicologica”, era ovviamente quella di scaricare la responsabilità politica del terrore sugli ambienti della sinistra, al fine di disinnescare le ambizioni governative del Partito Comunista Italiano e la svolta della Democrazia Cristiana verso un dialogo coi comunisti. In questo quadro rientrano, per citare solo le più famose, le stragi di Piazza Fontana (’69), di Peteano (’72), di via Fatebenefratelli a Milano (’73), di Piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus (’74), fino ad arrivare alla strage di Bologna (’80). Tutti questi episodi hanno un denominatore comune: i depistaggi ad opera di settori deviati dello Stato.

Le stragi mafiose

Sono proprio i depistaggi ad accomunare le stragi terroristiche di matrice neofascista degli anni di piombo a quelle di mafia del 1992-1993. Giovanni Falcone venne ucciso il 23 Maggio 1992 e, sebbene nei mesi precedenti la mafia avesse potuto colpire il giudice con un commando armato che seguiva i suoi spostamenti nella città di Roma (dove ricopriva il ruolo di Direttore generale degli affari penali al Ministero della Giustizia), l’attentato di Capaci fu studiato scientemente affinché la sua resa fosse tragicamente scenografica e dunque ancor più destabilizzante. Infatti, nel Febbraio 1992, Riina fece arrivare ai suoi uomini “in trasferta” il contrordine: bisognava organizzare un “attentatuni” di proporzioni macroscopiche e farlo in Sicilia. Dopo la morte del giudice, qualcuno ebbe accesso alla sua agenda elettronica Casio e manomise alcuni file, tra cui quelli che contenevano le schede di Gladio, struttura paramilitare clandestina operante in Italia su cui il giudice stava concentrando le sue indagini. Elaborata dai membri permanenti dell’alleanza atlantica con finalità resistenziale rispetto al pericolo comunista, l’organizzazione era coordinata dal Gladio Committee, organismo bilaterale composto dalla CIA e dal servizio segreto militare italiano (SIFAR). Interessante è inoltre notare come Pietro Rampulla, il mafioso noto come “l’artificiere”, identificato per avere avuto un ruolo fondamentale nella strage che uccise il giudice Falcone e gli uomini della sua scorta (confezionò l’ordigno che venne posto sotto l’autostrada) e che fu per questo condannato all’ergastolo con sentenza definitiva, fosse militante di Ordine Nuovo e molto vicino a Rosario Pio Cattafi, mediatore tra gli ambienti di Cosa Nostra, dei servizi e della massoneria deviata.

L’omicidio Borsellino

Anche la strage di Via d’Amelio è caratterizzata dalle stesse ombre. Il primo aspetto saliente è l’improvvisa accelerazione del delitto decretata da Totò Riina. Paradossalmente, ciò avvenne nel momento meno favorevole per Cosa Nostra, dal momento che il Parlamento stava lasciando decadere il Decreto che, dopo la morte di Falcone, aveva introdotto il regime di carcere duro 41-bis: ovviamente, sull’onda dell’indignazione popolare, esso fu convertito in legge subito dopo la morte di Borsellino. Dalle testimonianze dei pentiti ascoltati da Borsellino e dei familiari del giudice sappiamo che, proprio nel corso delle settimane precedenti alla sua morte, egli aveva scoperto i legami con Cosa Nostra del numero tre del SISDE Bruno Contrada e che un uomo gli aveva riferito che il Generale Subranni (il capo del raggruppamento che stava portando avanti la cosiddetta “Trattativa Stato-mafia”, ovvero il ROS dei Carabinieri) fosse “punciuto”, ovvero affiliato alla mafia. Sarà un caso ma, come riferito dallo stesso colonnello Michele Riccio, l’infiltrato Luigi Ilardo gli parlò anche delle collusioni con la mafia di Antonio Subranni e di Bruno Contrada, definendo quest’ultimo «l’anello di congiunzione tra mafia e istituzioni, l’uomo dei misteri».

Sappiamo poi che Gaspare Spatuzza, il mafioso che materialmente eseguì la strage (organizzata dai fratelli Graviano, i boss di Brancaccio), incontrò all’interno del garage in cui venne imbottita di tritolo l’autobomba che provocò la morte del giudice un membro esterno a Cosa Nostra, da lui inizialmente indicato come somigliante a un appartenente dei servizi segreti. Inoltre, pochi minuti dopo lo scoppio della bomba, districandosi tra cadaveri bruciati e macchine fumanti, una mano istituzionale tolse dal perimetro della strage l’agenda rossa in cui il giudice stava annotando tutti gli spunti investigativi emersi dopo la morte di Giovanni Falcone.

Una logica “politica”

Qual è, insomma, il legame che unisce la logica sanguinaria della strategia della tensione degli anni ’70 e quella del terrorismo mafioso del ’92 e del ’93 (anno in cui, alzando l’asticella del ricatto, Cosa Nostra colpì le città del nord e del centro Italia, provocando la morte di 10 persone, tra cui due piccole bambine)? Innanzitutto, il clima di fortissima instabilità politica. Nel primo caso, essa fu manifestata dal grande successo del PCI alle elezioni nazionali del 1968 e dalle lotte sindacali operaie e studentesche che avevano animato l’ “autunno caldo” del 1969; nel secondo caso, occorre ricordare come le inchieste di Mani Pulite avessero raso al suolo i partiti “storici” della prima repubblica (compresi la DC, tradizionale referente di Cosa Nostra, e il PSI, che la mafia appoggiò in ottica garantista alle elezioni del 1987 per punire i democristiani che non avevano ottenuto lo stop del Maxiprocesso), aprendo le porte al potenziale trionfo della “Gioiosa macchina da guerra”, coalizione di sinistra guidata da Achille Occhetto alle elezioni del ’94: pericolo scongiurato dalla discesa in campo di Berlusconi, resa pubblica il 26 Gennaio 1994 (data che, coincidenza delle coincidenze, segnerà la fine della campagna stragista mafiosa dopo il fallito attentato allo Stadio Olimpico di Roma datato 23 gennaio, che non verrà più replicato). Storicamente provati sono i collegamenti tra Forza Italia e gli ambienti mafiosi (Berlusconi finanziò Cosa Nostra per vent’anni, firmando un patto di protezione con il boss Stefano Bontate nel ’74; Marcello Dell’Utri, braccio destro del Cavaliere e intermediario di questo patto, è stato condannato definitivamente a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa; numerosi pentiti di prim’ordine hanno confermato l’appoggio mafioso al progetto berlusconiano) e con la massoneria (il Cavaliere aderì alla P2 di Licio Gelli con la tessera 1816 e altri deputati di Forza Italia sono presenti nelle liste degli appartenenti alla Loggia). Il Generale Mori, che in qualità di Ufficiale del ROS fu protagonista della mancata perquisizione del covo di Riina e del mancato arresto di Bernardo Provenzano, giocando peraltro un ruolo fondamentale nella trattativa Stato-mafia, sarà nominato capo dei servizi segreti dal Governo di Silvio Berlusconi, che guiderà da Premier il Paese per quattro volte.
“Destabilizzare per stabilizzare”. Ancora una volta.

[di Stefano Baudino]

Milano: grande manifestazione contro il Green Pass

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Migliaia di persone si sono recate questo pomeriggio all’Arco della Pace, a Milano, per partecipare alla manifestazione contro il Green Pass promossa da Robert Kennedy Jr, nipote di John Fitzgerald Kennedy. Quest’ultimo ha tenuto un discorso in cui ha principalmente criticato il certificato verde, mentre i manifestanti hanno scandito alcuni slogan tra cui «la gente come noi non molla mai».