I lavoratori in quarantena rischiano un taglio allo stipendio che potrebbe arrivare a mille euro per due settimane di assenza. L’indennità da quarantena (stanziamento di 663,1 milioni voluto dal Governo Conte) è stata valida per tutto il 2020 ma per quest’anno non c’è stato il rifinanziamento. Dunque, l’Inps non riconoscerà più il periodo di quarantena (la cosiddetta “sorveglianza attiva o fiduciaria”, perché in contatto con un positivo a Sars-Cov-2) dei lavoratori come malattia.
I dati biometrici dell’intero Afghanistan sarebbero caduti in mano ai talebani
Non è insolito leggere su giornali e sui social che i talebani siano retrogradi o che, al pari di belligeranti Amish mediorientali, ripudino la tecnologia per abbracciare integralmente delle narrative di stampo religioso. Che non abbiano in simpatia la modernizzazione occidentale è chiaro, ma chiunque presti attenzione alle foto pubblicate sui giornali si renderà conto che i guerrieri talebani sono tutt’altro che fermi all’epoca di scimitarre e cavalli.
Prima hanno accolto le jeep e i kalashnikov, quindi i social media e le chat di gruppo e ora il loro arsenale digitale potrebbe essere in procinto di compiere un gigantesco balzo avanti, estendendosi alla raccolta dei dati biometrici degli abitanti afghani. Un trionfo tecnico che, a ben vedere, gli è stato concesso dall’avversario di sempre: gli Stati Uniti.
Alcuni informatori del The Intercept hanno infatti rivelato che l’Handheld Interagency Identity Detection Equipment (HIIDE) dell’esercito americano sia finito ormai nelle mani del redivivo Emirato Islamico. In altre parole, i talebani hanno ottenuto degli strumenti capaci di identificare dati biometrici quali le impronte digitali e le scansioni delle iridi, nonché un gigantesco archivio di informazioni biografiche che esplora a fondo la vita di tutti coloro che in Afghanistan hanno interagito con gli Stati Uniti.
L’idea originariamente dietro a HIIDE era quella di mappare in totale l’80% dei locali, un tentativo estremo di controllo che era mirato a limitare grandemente l’imprevedibilità propria agli attentati terroristici. Non sappiamo quanto i soldati americani fossero lontani dal raggiungere un simile traguardo, tuttavia hanno passato anni a scansionare tutti i collaboratori di passaggio per i vari check-point, costruendo profili molto approfonditi su coloro che l’attuale establishment potrebbe oggi perseguire.
Gli USA non sono certamente celebri per l’attenzione nel difendere la privacy ed è facile che l’esercito abbia attinto a piene mani i dati degli afghani senza mai chiedersi quanto un simile atteggiamento fosse corretto e, cosa più rilevante, se fosse il caso di programmare un sistema di autodistruzione qualora gli archivi fossero dovuti finire nelle mani sbagliate.
Si tratta ovviamente di illazioni, l’Ufficio della Segreteria della Difesa si è rifiutato categoricamente di commentare la situazione, ma i diretti interessati non possono che essere ulteriormente stretti da una rinnovata tenaglia d’ansia, se non per sé stessi, per tutti i familiari e gli amici che simili database informatici potrebbero rendere vulnerabili.
Non resta che augurarsi che i talebani e i loro alleati non siano in grado di accedere e gestire un archivio tanto complesso e, nel frattempo, continuare a domandarsi se sia il caso o meno di imporre nuovi limitazioni internazionali sul come sia lecito adoperare le nuove tecnologie sui campi di battaglia.
[di Walter Ferri]
Incidente minerario in Colombia, 12 morti
Incidente minerario in Colombia: come informa l’Agenzia nazionale mineraria, una miscela di gas metano e polvere di carbone ha causato la morte di almeno 12 persone e un ferito. La miniera dov’è avvenuto l’incidente, non lontana da Bogotà, è una miniera di carbone illegale. In Colombia – che è il quinto produttore di carbone al mondo – gli incidenti minerari accadono frequentemente: lo scorso anno sono stati 171 i morti per incidenti minerari, aumentati rispetto agli 82 dell’anno precedente.
La Colombia ha deciso di combattere sul serio la deforestazione
Il presidente della Colombia Iván Duque Márquez ha firmato una nuova legge sui crimini ambientali, la quale rende la deforestazione illegale a tutti gli effetti. L’ordinamento ufficializza un’iniziativa risalente al 2019 che dichiara – oltre agli atti di disboscamento e al suo finanziamento – il traffico di fauna selvatica, l’appropriazione illegale di terre selvagge e l’invasione di aree di elevata importanza ecologica, gravi crimini. Lo stato latinoamericano possedeva già leggi atte a punire azioni dannose alle risorse naturali – ecocidio, caccia e pesca illegali, sfruttamento illecito di risorse naturali rinnovabili e inquinamento ambientale – ma escludeva la deforestazione. Un grosso neo per gli esperti, considerando che la perdita di ettari di foreste è il principale problema ambientale della Colombia.
La nuova legge è quindi un importante passo avanti, risultato della modificazione del codice penale in materia di reati ambientali (legge 599 del 2000). L’introduzione del reato di deforestazione – per cui lapena prevede fino a 15 anni di reclusione -e di altri crimini, intensifica la lotta al cosiddetto “land grabbing” (accaparramento di terre) che, in Colombia, si pone alla base della distruzione delle foreste per l’agricoltura intensiva.
La legge prevede quindi pene esemplari a coloro che finanzieranno e attueranno l’appropriazione indebita dei terreni, come molte bande criminali del paese che pagano tra i 3 e i 5 milioni di pesos (tra 600 e i 1200 euro) per ettaro disboscato; una pratica che va di pari passo con il traffico di specie selvatiche, la quale vede le autorità colombiane sequestrare una media di 35mila animali ogni anno. Pertanto, l’introduzione dei nuovi crimini – e l’inasprimento delle sanzioni per quelli già esistenti – fornisce gli strumenti necessari al perseguimento dei responsabili del degrado degli ecosistemi colombiani. Il governo, però, non ha intenzione di allentare la presa, essendo rimasti esclusi dalla legge altri provvedimenti non di poco conto, come il possesso e il trasporto di mercurio che, in un comunicato del Senato risalente al 7 luglio, veniva incluso nell’elenco dei reati e avrebbe previsto, non solo multe salatissime, ma anche dai 4 ai 6 anni di reclusione.
[di Eugenia Greco]
Usa, approvato definitivamente il vaccino Pfizer: esercito e aziende lo rendono obbligatorio
Negli Stati Uniti è stato approvato in via definitiva uno dei vaccini anti Covid-19: il vaccino BNT162b2 di Pfizer e BioNTech. È stata la Food and Drug Administration (Fda) a dare l’approvazione e diffondere la notizia nella giornata di ieri, lunedì 23 agosto. Prima di questa data, il Pfizer veniva utilizzato grazie all’autorizzazione all’uso di emergenza (Eua) – concessa sempre dalla Fda – che risale all’11 dicembre 2020, per le persone dai 16 anni in su e poi ampliata il 10 maggio 2021, per includere anche coloro dai 12 ai 15 anni di età. Per il Pfizer finisce quindi l’uso di emergenza ed è ufficialmente il primo vaccino a ricevere la completa approvazione; il Pfizer sarà poi diffuso negli Stati Uniti sotto il marchio Comirnaty e verrà somministrato alle persone di età pari o superiore ai 16 anni. Il vaccino continuerà comunque a essere disponibile anche per la fascia d’età tra 12 e 15 anni, ma sempre grazie all’autorizzazione all’uso di emergenza (Eua).
Con l’approvazione del vaccino a più livelli e anche dal punto di vista giuridico, è stato riscontrato un repentino movimento da parte di molteplici aziende – guidato proprio e soprattutto dalle stesse grandi corporation – per rendere obbligatorio il vaccino ai propri dipendenti. Già dalle prime settimane di agosto, diverse compagnie avevano fatto sapere ai propri dipendenti che la vaccinazione non sarebbe più stata opzionale. Non solo, ma ci sono aziende come l’Ascension Health che pretendono la vaccinazione anche per chi continuerà a lavorare in remoto. Oppure, altre aziende danno la possibilità di continuare a lavorare in remoto – con le dovute scadenze – piuttosto che rischiare di essere licenziati perché non ancora vaccinati. La vaccinazione obbligatoria viene poi appoggiata dal 52 per cento di lavoratori; sono invece il 29 per cento i lavoratori che non appoggiano un tale provvedimento, stando alle ultime stime.
A prescindere da chi è o no favorevole, sono moltissime le aziende che, prima di tornare a lavoro, pretendono la vaccinazione da parte di tutti i dipendenti. Dalla CNN – che ha recentemente licenziato tre dipendenti per aver violato le nuove politiche introdotte con la pandemia – a Facebook, che spera di riaprire completamente nel mese di ottobre, ma anche Google, che ha esteso la possibilità di lavorare da casa fino al 18 ottobre e non oltre. Altre aziende della Silicon Valley seguono tale scia, come la Microsoft e Netflix. Ci sono poi le compagnie aeree quali United Airlines, Hawaii Airlines, ma anche la Ford Motor, McDondald’s, UPS, Walt Disney, Walmart… . L’obbligatorietà del vaccino è stata introdotta anche per i membri dell’esercito, come era stato preannunciato dall’amministrazione Biden il 9 agosto. Infatti, i funzionari della Casa Bianca avevano scelto di attendere la totale approvazione da parte della Fda, per poi potere imporre senza alcun rischio il vaccino a 1,3 milioni di truppe in servizio attivo nel Paese.
[di Francesca Naima]
Liberata Ikram Nazih, la studentessa accusata di blasfemia
Confermata la liberazione della studentessa Ikram Nazih, ventitreenne italiana di origine marocchine. Lo ha fatto sapere ieri il sottosegretario degli Affari europei Enzo Amendola, che si trovava in Marocco proprio per l’udienza. La studentessa era in carcere da ben due mesi; arrestata non appena arrivata nell’aeroporto di Casablanca, Ikram Nazih, nata a Vimercate, potrà finalmente tornare in Italia. La Corte d’Appello di Marrakech ha infatti disposto l’ annullamento del processo, cancellando la condanna a 3 anni e mezzo e il pagamento della multa.
Basilicata, Eni sponsorizza lo studio che ‘dimostra’ che trivellare è sicuro
La multinazionale petrolifera Eni ha sponsorizzato uno studio scientifico sulla micro-sismicità indotta dall’industria fossile in Basilicata. La ricerca ‘ha dimostrato’, non certo a sorpresa, che trivellare e poi reiniettare l’acqua estratta è perfettamente sicuro. Uno studio che in pratica auto-assolve quanto Eni fa da tempo in Basilicata e che è al centro non solo delle proteste dei cittadini, ma anche di studi realmente indipendenti che hanno rilevato presenza di microinquinanti nell’aria ben al di sopra dei limiti di guardia.
Ma come avrebbe influito Eni sulla ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature? Non vi è chiarezza sul fatto che la multinazionale l’abbia direttamente finanziata o meno. Ma la cosa non farebbe poi molta differenza. Di certo nel paragrafo della ricerca dedicato alle “Dichiarazioni etiche” si legge che la multinazionale italiana non solo «ha avviato il progetto di ricerca» ed ha «fornito risorse informatiche e assistenza tecnica», ma addirittura ha incaricato la società Ramboll Italy Srl di «assumere il team di consulenza» nel quale erano presenti ben 10 referenti del progetto per Eni. Osservando i curricula dei membri del team di ricerca, inoltre, emerge chiaramente che la metà esatta dei ricercatori (7 su 14) sono dipendenti di Eni, o almeno lo erano al momento della redazione della ricerca, pubblicata il 28 luglio scorso. Chiaro che, di fronte a questo quadro, parlare di ricerca “indipendente” ha poco senso.
La ricerca in questione si concentra sulla sismicità indotta. Infatti, le attività umane possono innescare perfino fenomeni sismici. Al riguardo, ci sono sempre più evidenze. L’estrazione mineraria, il sequestro di acqua, la stimolazione di campi geotermici e la ricerca di idrocarburi, difatti, possono aumentare lo stress sotterraneo determinando il cedimento di faglie tettoniche. Con il risultato che determinati terremoti potrebbero scatenarsi o amplificarsi proprio a seguito di tali attività. In particolare, nel mirino c’è proprio l’industria fossile. Questa contribuirebbe al fenomeno essenzialmente attraverso due attività. La fratturazione idraulica e la reiniezione. Il principio della prima è semplice. In parole povere, un liquido ad alta pressione viene iniettato nel sottosuolo per favorire la fuoriuscita e la risalita del combustibile. Nella reiniezione, invece, le acque sotterranee, precedentemente estratte insieme agli idrocarburi, vengono reimmesse nella roccia serbatoio di origine con un principio simile al precedente. Già nel 1966, nei pressi di Denver, in Colorado, si ebbe il sospetto che tali pratiche potessero essere responsabili delle attività sismiche della zona. Ipotesi poi presto confermata.
Nel 1970, però, si è scoperto che gestendo la pressione del liquido da iniettare e mantenendo questa al di sopra o al di sotto di una certa soglia, l’innesco del sisma si potrebbe scongiurare. Sulla base di questo principio e attraverso l’implementazione di una metodologia multidisciplinare, la già citata ricerca avrebbe confermato questa soluzione alla sismicità indotta. Una grande conquista, se non fosse che lo studio in questione è stato supportato da chi ha fin troppi interessi nel settore. Quel che è emerso, infatti, è che – alla luce della metodologia adottata – trivellare e reiniettare l’acqua estratta sarebbe un metodo perfettamente sicuro. Ipotesi di fatto già avallata anche dalla normativa italiana in materia che, con il D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. art. 104, definisce esplicitamente suddetta pratica come “modalità di gestione sostenibile delle acque risultanti dalle attività di estrazione di idrocarburi”.
Reiniettare acqua nel sottosuolo, in un determinato modo, sarà anche potenzialmente sicuro, ma di certo in Basilicata, comunque, non se la passano bene. «In prossimità del Centro Olio (Cova) della Val d’Agri, impianto di trattamento del petrolio gestito da Eni, i composti organici volatili totali presenti nell’aria raggiungono livelli critici: superano i 250 microgrammi per metro cubo come media giornaliera. I valori, registrati nella stazione posta a 500 metri sottovento rispetto all’impianto, sono paragonabili a quelli di Pechino e Nuova Delhi, tra le città più inquinate del Pianeta». A rivelarlo è stata un’analisi condotta dalle organizzazioni ReCommon e Source International. Ed è proprio in Val d’Agri che Eni avrebbe dimostrato la sicurezza di una delle sue attività. In parallelo però, il gradiente di concentrazione dei composti organici volatili aumenta in prossimità dell’impianto di proprietà del cane a sei zampe. Queste sostanze, legate alle operazioni che avvengono nelle raffinerie, sono classificate come cancerogene o potenzialmente tali per l’uomo dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc). Disagio sensoriale, gravi alterazioni dello stato di salute, cancro, malattie croniche dell’apparato circolatorio e respiratorio, patologie a carico del fegato e del sistema nervoso, sono solo alcuni dei possibili effetti collaterali derivanti dall’esposizione ad un inquinamento di questo genere. A differenza della reiniezione però, per questo non esistono regolamentazioni, né a livello nazionale né internazionale. Reiniezione che, ricordiamolo, è ora pratica ‘sostenibile’ e sicura. Mentre tutto il resto, in fin dei conti, rappresenta ‘solo’ un pericolo per la salute pubblicala e alimenta la crisi climatica.
La ricerca appare dunque un tentativo estremo di prolungare, ancora e ancora, la vita di un settore che non dovrebbe aver più spazio in un futuro proiettato alla sostenibilità. Ciononostante le scelte politiche sembrano abbracciarlo ancora. Come il caso delle ‘trivelle sostenibili‘ fieramente sostenute dal nostro ministro Cingolani. Mentre passano in secondo piano le sempre più frequenti anomalie meteorologiche e gli impatti sulle comunità interessate dalle attività fossili.
[di Simone Valeri]
Bolivia: 600mila ettari di terreno bruciati
In Bolivia gli incendi stanno causando un vero e proprio disastro: nel dipartimento di Santa Cruz (Est della Bolivia) sono 600mila gli ettari di terra distrutti dalle fiamme. Anche le aree protette della zona sono state vittime del fuoco, tanto che il 64% delle suddette aree è stato raso al suolo dagli incendi. Ieri sera erano venti gli incendi ancora attivi e la maggior parte di essi sta interessando la foresta di Chiquitania, dove si trova – tra le altre – la riserva naturale San Matias, una delle più danneggiate. Gli incendi sono per la maggior parte di origine dolosa, come hanno fatto sapere le autorità della zona.
La correlazione tra vaccini anti-Covid e infiammazioni cardiache
Negli ultimi giorni si moltiplicano i casi di cronaca di persone colpite da infiammazioni cardiache a pochi giorni di distanza dalle vaccinazioni contro il Covid-19, notizie che balzano all’onore delle cronache grazie alla popolarità dei personaggi colpiti, spesso giovani e sportivi. Gli ultimi quelli di tre giovani ciclisti belgi ricoverati per gravi problemi cardiaci (uno di loro è finito in terapia intensiva) a seguito della prima dose Pfizer e quello della pallavolista italiana Francesca Marcon, colpita da pericardite, e che dopo aver ricevuto dai medici la comunicazione di non poter prendere parte alla preparazione con la sua squadra (Volley Bergamo) in vista del prossimo campionato di serie A1 si è sfogata chiedendo di essere risarcita.
Casi singoli, rari, che si sono risolti positivamente, la cui correlazione con il vaccino è tutta da provare. Questa la narrazione rassicurante proposta dai media. Ma la correlazione tra la somministrazione dei sieri anti-Covid e le infiammazioni cardiache è ormai provata oltre ogni dubbio. Uno studio condotto dai ricercatori del Providence Regional Medical Center Everett di Washington, basato sull’analisi dei dati provenienti da 40 ospedali statunitensi, e pubblicato sulla rivista scientifica Jama dopo revisione paritaria certifica una frequenza di 2,8 casi di miocardite o pericardite ogni 100.000 vaccinati. Nello studio si specifica che «Il numero medio mensile di casi di miocardite o miopericardite durante il periodo prevaccinale era 16,9, mentre durante la campagna vaccinale è salito a 49,1». Le persone colpite sono state in gran parte giovani (età media 36 anni) ed hanno accusato l’infiammazione cardiaca più spesso dopo la seconda dose di vaccino, mediamente a tre giorni di distanza dall’inoculazione. I casi hanno interessato principalmente i vaccinati con sieri a tecnologia mRNA (Pfizer e Moderna) ma vi sono stati due casi anche tra chi ha ricevuto il vaccino prodotto da Johnson & Johnson.
Evidentemente la situazione non è considerata trascurabile nemmeno dal CDC (Centers for Disease Control and Prevention, ovvero l’organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Usa) ha pubblicato un documento nel quale rivela che «dall’aprile 2021, ci sono state più di mille segnalazioni al Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) di casi di infiammazione del cuore – chiamati miocardite e pericardite – che si sono verificati dopo la vaccinazione con mRNA COVID-19». In Europa, il comitato per la sicurezza dell’EMA (Agenzia europea per i medicinali) si è spinto a richiedere l’inserimento di «miocardite e pericardite come nuovi effetti indesiderati nelle informazioni sul prodotto» dei vaccini Pfizer e Moderna.
Sia l’ente americano CDC che quello europea EMA precisano che si tratta di casi sporadici, che nella totalità dei casi si sono risolti positivamente dopo pochi giorni di ospedalizzazione e che, in conclusione e come sempre, «i benefici superano i rischi». Quindi avanti tutta, nonostante il fatto che anche questi effetti collaterali colpiscano in buona parte soggetti giovani e privi di patologie, gli stessi che hanno i margini di rischio più bassi dall’infezione SARS-CoV-2. Ma si può essere sicuri che i soggetti che hanno sofferto di infiammazioni cardiache dopo il vaccino potranno essere al riparo da conseguenze a medio e lungo termine? Il dubbio viene anche questa volta da una fonte ufficiale, l’agenzia governativa statunitense National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI) che nella propria scheda sulle infezioni cardiache precisa che «le persone con miocardite sono a rischio di un evento ripetuto per anni dopo la prima occorrenza» e che i soggetti colpiti, seppur guariti, dietro indicazione medica dovranno continuare ad assumere farmaci «per complicazioni come insufficienza cardiaca o aritmie o per condizioni mediche che potrebbero aver contribuito a endocardite, miocardite o pericardite spesso per diverse settimane e in alcuni casi per tutta la vita».
Sul “folle” rave di Mezzano i media hanno raccontato molte bugie
Molteplici morti, cani arsi al sole, montagne di immondizia, stupri efferati, ragazze partorienti e ogni altro genere di perversione che la mente umana possa mai immaginare: questa è l’immagine con cui i media generalisti hanno dipinto il Teknival Space Travel, la festa musicale tenutasi dalle parti del lago di Mezzano. Per il dispiacere di chi è alla ricerca di storie “pulp”, il panorama degenerato descritto dalla cronaca non corrisponde alla realtà del contesto.
Di vero c’è che ha perso la vita Gianluca Santiago, ragazzo di 24 anni annegato mentre si immergeva nello specchio d’acqua della zona. Non è accertato che Gianluca fosse realmente stato alla festa, l’annegamento è avvenuto infatti fuori dall’area del rave. Quale che sarà la verità accertata si è trattato di una tragedia non dissimile da quella patita da Adama Kone, 22 anni, vittima il 19 agosto del fiume Ceno, o da Alberto Andreani, 71 anni, ex procuratore onorario travolto il 18 agosto dalle onde del Mar Adriatico dalle parti di Pesaro, episodi che però sono perlopiù passati in sordina.
Detto questo, le autorità non hanno registrato traccia del secondo presunto morto di cui alcune testate hanno fatto menzione, né risultano confermati casi di violenza sessuale o di crudeltà su animali. Questi dettagli truculenti sono stati rimbalzati da notiziari che, forse impigriti dal vuoto di notizie tipico del ferragosto, hanno fomentato l’attenzione del pubblico gettandosi a capofitto su di una gestione malsana del “virgolettato”, ovvero citando con fare fazioso delle testimonianze non verificate.
Certamente simili fraintendimenti strategici sono nati anche dal fatto che le comunicazioni tra partecipanti erano ostacolate da una generale instabilità della Rete internet. Il Free Party – anglicismo che definisce uno spazio di libertà assoluta – è stato d’altronde imbastito in un’area pressoché vuota, un’area che il sindaco di Valentano, Stefano Bigiotti, non manca di definire un «fondo agricolo», ma che i media non hanno mancato di trasformare occasionalmente in un’oasi naturale affidandosi della descrizione avanzata da Mauro Rotelli, deputato di Fratelli d’Italia, il quale ha grandemente lamentato le sofferenze patite dagli agriturismi locali.
C’è da chiedersi se una simile attenzione iperbolica ai danni subiti dagli imprenditori locali possa in qualche modo essere legata anche al fatto che l’intera area sia in mano a Piero Camilli, imprenditore e politico che nel 2013 si era candidato al Senato proprio con Fratelli d’Italia, senza poi essere stato eletto.
L’idea del rave party distruttivo e nichilista è profondamente inesatta. Il Teknival è stato un vero e proprio festival musicale internazionale che ha messo a disposizione delle migliaia di partecipanti impianti d’altissimo profilo e scenografie che farebbero invidia alle organizzazioni culturali sponsorizzate dai comuni. C’erano giganteschi squali poligonali su cui venivano proiettati video, intere pareti fatte di amplificatori, bar, aree ristoro e zone interamente dedicate al relax.
L’evento, per quanto autogestito, era presidiato da persone che nella loro quotidianità lavorano professionalmente o volontariamente nei servizi di riduzione del danno, da laboratori pronti ad analizzare qualsiasi sostanza stupefacente di dubbia provenienza e da persone che, bottiglietta d’acqua alla mano, erano pronte ad assistere tutte le eventuali vittime di mancamento.
Tra i volontari presenti quelli dal Lab57, associazione di promozione sociale senza scopo di lucro che da anni lavora nelle feste e nei “Free parties” facendo riduzione del danno, informazione, analisi delle sostanze, primo soccorso. «Attorno all’evento si è creata quella disinformazione che spesso avvolge le feste che non godono del bollino istituzionale – ci racconta Max, esponente di Lab57 – tuttavia l’organizzazione c’era e non è affatto vero che dentro il festival regnasse il caos assoluto come asserito dai media. C’erano acqua a sufficienza per tutti, punti “chill out” (luoghi di decompressione, senza musica assordante, gestiti da volontari esperti in primo soccorso ed effetti delle sostanze, nrd) e personale di soccorso anche di Itardd, la Rete italiana riduzione del danno». Chiaro che alcuni problemi ci sono stati, come è ovvio in situazioni tanto grandi e che si muovono senza permessi istituzionali. «L’area era molto grande, forse troppo – continua Max – e questo rendeva difficile tenere sott’occhio i punti di accesso e tutti gli eventuali problemi, inoltre non prendevano i telefoni, un fatto che crea ovvi problemi negli interventi. Tuttavia nell’area della festa non vi sono stati problemi gravi, anche se la posizione troppo decentrata e nascosta dell’area chillout dei servizi pubblici “Itardd” ha ostacolato molto il lavoro di messa in sicurezza, in quanto se qualcuno stava male ai partecipanti non restava che chiamare il 118 anche per problemi poco seri e risolvibili sul posto. In ogni caso ringraziamo tutti gli operatori, più di 80, che hanno deciso di lavorare in un contesto così complesso e sconosciuto per la gran parte di loro».
Alla fine della festa si sono contati 7 ricoveri in ospedale, principalmente per abuso di alcol, tutti casi di ragazzi già dimessi in buone condizioni. Tanti? Pochi? Di certo il numero ideale sarebbe zero, ma se consideriamo che erano presenti migliaia di giovani i casi problematici non sono stati certo superiori a quelli che avvengono ordinariamente nelle grandi discoteche o nei festival che godono di permessi e patrocini delle istituzioni.
L’intento della festa era quello di dare voce a una sotto-cultura musicale estremamente vivace e potente, a un moto sociale ed espressivo che per sua stessa natura non può in alcun modo trovare spazio tra le braccia della cultura dominante. Questo desiderio di evasione e resistenza, di puntare su di un qualcosa che offra un’alternativa ai claudicanti meccanismi istituzionali, non si traduce però in violenza e depravazione. Non per niente dopo il tragico decesso di Gianluca Santiago e il seguente frastuono mediatico la decisione degli organizzatori è stata quella di accompagnare il festival verso una fine anticipata e un deflusso concordato con la questura.
23/08/21: corrette alcune inesattezze riguardanti le tipologie di impianti audio presenti all’evento.
[di Walter Ferri]