sabato 15 Novembre 2025
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Cop26: cosa si sta decidendo concretamente al vertice sul clima

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Limite di riscaldamento globale fissato ad 1,5°C, riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 45% entro il 2030 e zero netto intorno la metà del secolo. Importanza del ruolo dei giovani, delle comunità indigene e della natura nella lotta alla crisi climatica. E ancora, addio al carbone e richiesta di “profonde riduzioni nelle emissioni di gas serra che non siano anidride carbonica”. Queste, a grandi linee, le conclusioni emerse dalla seconda bozza del testo finale del vertice sul clima pubblicata questa mattina. Un complesso di buoni propositi che, tuttavia, non sfugge ancora alle critiche degli ambientalisti. Questi, infatti, hanno chiesto misure più concrete e messo l’accento su dei cambiamenti apportati al testo rispetto alla prima versione.

In relazione alla decarbonizzazione, nella prima bozza pubblicata due giorni fa, effettivamente, si chiedeva ai paesi di “accelerare l’eliminazione graduale del carbone e dei sussidi per i combustibili fossili”. Richiesta che, nell’ultima versione, è poi diventata “accelerare l’abbandono graduale dell’energia a carbone unabated – cioè quello non accompagnato da sistemi di riduzione delle emissioni – e dei sussidi inefficienti per i combustibili fossili”. Differenze che non sono passate inosservate e tutt’altro che viste di buon occhio da Greenpeace secondo cui «la parte chiave del testo è stata gravemente indebolita». In riferimento agli obiettivi climatici, hanno poi aggiunto «siamo passati dall’”esortare” i governi a rafforzare i loro target climatici per il 2030, al semplice “richiedere” che lo facciano entro il 2022». Considerando che le differenze tra i due testi dipendono dalle richieste avanzate dai Paesi partecipanti dopo la lettura della prima bozza, secondo la nota organizzazione ambientalista ci sarebbe ancora lo zampino delle lobby dei combustili fossili.

Tuttavia, sebbene indebolita, è la prima volta che l’eliminazione graduale delle fonti inquinanti è stata inclusa come intenzione dichiarata in una Conferenza delle Parti, tant’è che non ci si aspettava sopravvivesse alla riformulazione considerando, soprattutto, la tempestiva opposizione dei principali Paesi produttori di petrolio. Altri punti a favore, l’introduzione esplicita della parola “metano” e una maggiore enfasi al ruolo cruciale delle popolazioni indigene. Nel complesso, il vertice sul clima potrebbe anche non aver soddisfatto le aspettative, ma rappresenta comunque un decisivo passo avanti. Basti pensare, ad esempio, all’alleanza tra Cina e Stati Uniti per favorire una rispettiva riduzione delle emissioni climalteranti. Se alle parole seguiranno i fatti è tutto da vedere, ma che due superpotenze notoriamente in contrapposizione politica abbiano annunciato congiuntamente l’intenzione di agire contro la crisi climatica resta, indubbiamente, un forte messaggio. Va detto inoltre che, se troppo drastica, come effettivamente sarebbe necessario, la Cop semplicemente fallirebbe del tutto. Che lo si voglia o meno, infatti, gli interessi in ballo sono tanti, meglio quindi addolcire gradualmente la pillola.

Eppure nemmeno la giovane Greta Thunberg, icona dell’attivismo climatico contemporaneo, si è trattenuta dal muovere pesanti critiche agli esiti del vertice. Già venerdì scorso, senza mezzi termini, ha definito la Cop26 «un fallimento», in particolare, in relazione alla mancanza di immediate e drastiche misure che portino a consistenti riduzioni annuali delle emissioni. Secondo un rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia, nel caso in cui tutti gli impegni assunti dalla comunità internazionale nell’ambito del vertice venissero rispettati, si riuscirà a mantenere l’aumento della temperatura terrestre circa a +1,8° rispetto ai livelli preindustriali. Quindi, il target degli 1,5°C verrebbe sì disatteso, ma c’è da dire che gli scienziati climatici comunque raccomandano un contenimento non superiore ai 2°C. Tuttavia, secondo un’altra ricerca firmata in questo caso dal Climate Action Tracker, tenendo conto delle dichiarazioni, anche non vincolanti, dei paesi partecipanti alla Cop26, la temperatura aumenterà di oltre 2,4°C entro la fine del secolo.

In definitiva, riepiloghiamo. Sono stati stanziati 12,2 miliardi di dollari allo scopo di fermare la deforestazione entro il 2030 dove, sebbene sorprenda l’adesione del Brasile di Bolsonaro, pesa l’assenza dell’Indonesia dell’olio di palma. Novanta paesi hanno poi firmato l’accordo per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030, pur gravando la mancata partecipazione di Cina, Russia ed India. È emerso, inoltre, un impegno finalizzato alla chiusura delle centrali a carbone, dove rincuora la partecipazione della Polonia ma scoraggia l’assenza delle principali potenze inquinanti. E ancora, stop ai sussidi pubblici a Paesi terzi per infrastrutture basate sui combustibili fossili. Una misura notevole, quest’ultima, sebbene firmata da appena 20 tra nazioni ed istituzioni finanziarie.

Tra le principali criticità vanno invece citati gli aiuti economici che i paesi in via di sviluppano aspettano dal 2009: 100 miliardi di euro all’anno per far sì che possano affrontare la transizione energetica. Senza mai ottenere nulla, i paesi meno sviluppati, infatti, da tempo chiedono che le economie avanzate, responsabili delle emissioni accumulate dal 1750 a oggi, compensino anche i danni provocati dai disastri climatici e si facciano carico delle spese richieste dalla conversione alla sostenibilità. Se i paesi del Nord del mondo ancora una volta deluderanno le loro aspettative, c’è il rischio che 120 delegazioni legate ai Paesi vulnerabili si oppongano facendo fallire la Cop26. Una strada questa tentata da diversi negoziatori sauditi venerdì scorso, i quali hanno cercato di bloccare le trattazioni in corso sulla stesura della cosiddetta “decisione di copertura” per il testo finale, facendo pressioni affinché le misure di sostegno ai paesi poveri e vulnerabili da parte di quelli più ricchi venissero annullate. Il fatto che una nazione storicamente legata all’industria fossile possa aver influenza la dice lunga sull’autenticità delle decisioni prese al vertice. Così come insospettisce l’elevato numero di delegati accreditati al summit e legati al settore del petrolio e del gas. Tuttavia, in ultima analisi, se la Cop26 sia stata un successo o il solito “bla bla bla” aspettiamo a dirlo.

[di Simone Valeri]

Napoli, con il pretesto dei “No green pass” vietato il corteo dei disoccupati

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Il corteo dei disoccupati e precari in programma per domani, sabato 13 novembre a Napoli, è stato impedito dalla Questura. Al massimo si potrà fare un presidio, in zona periferica, senza infastidire i ritmi della città e quindi senza fare notare le ragioni della protesta. È la prima conseguenza della direttiva emessa dalla ministra dell’Interno Lamorgese, che vieta cortei nei centri cittadini durante i fine settimana. La direttiva è stata emessa ufficialmente per contrastare le proteste contro il green pass avvenute nelle scorse settimane. Un provvedimento che restringe in realtà la possibilità dei cittadini di esercitare il diritto fondamentale all’espressione del dissenso riguardo qualsiasi tipo di disagio sociale.

Tramite la propria pagina Facebook gli organizzatori del corteo dei disoccupati, previsto per il 13 novembre a Napoli, esprimono il risentimento per la decisione della Questura di trasformare la manifestazione in un semplice presidio statico. Tale disposizione è arrivata dopo che la ministra Lamorgese ha diffuso una circolare sul divieto delle manifestazioni nei centri cittadini durante i fine settimana. Secondo quanto emerge dalla lettura del testo della circolare, la preoccupazione primaria è quella di limitare gli impedimenti riguardanti l’ordine pubblico. La tutela sanitaria viene menzionata come ragione aggiuntiva di una misura che è tutta concentrata sulla “tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica”, per la quale le manifestazioni “potranno tenersi esclusivamente nel rispetto di specifiche modalità di carattere restrittivo” come “la forma statica in luogo di quella dinamica”, che non disturbi le “aree urbane nevralgiche”.

I Prefetti sono invitati a individuare tali aree ed interdirne l’accesso a manifestazioni pubbliche “per la durata dello stato di emergenza”. Ragione sanitaria e controllo dell’ordine pubblico si intrecciano e vanno a porre un freno alla possibilità dei cittadini di manifestare il proprio disagio nei confronti del Governo, evidentemente per ragioni anche molto diverse dal green pass. La legittimità e fattibilità delle manifestazioni è tutta legata alla volontà dei Prefetti delle singole città, che possono ora apporre la ragione della tutela della salute per precludere lo svolgersi di proteste scomode.

Sono stati inoltre diversi gli episodi nei quali la Polizia è intervenuta in modo violento per disperdere manifestazioni svolte in maniera pacifica: basti ricordare il presidio dei portuali di Trieste, tenutosi senza pregiudicare lo svolgimento delle attività cittadine, o l’intervento violento contro gli studenti del liceo romano Ripetta. La disposizione di Lamorgese, unita all’uso sempre più spesso indiscriminato della violenza contro i manifestanti, porta a chiedersi se le libertà democratiche debbano essere sempre più concepite come qualcosa di concesso “dall’alto” e non dato per scontato in quanto costitutivo della nostra società civile.

[di Valeria Casolaro]

Il primo cittadino della città più povera di Francia è il migliore sindaco del mondo

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Il suo nome è Philippe Rio ed è entrato a fare parte della lista dei migliori sindaci del mondo stilata da World Mayor, comprendente anche tre italiani: Giuseppe Sala (Milano, Lombardia), Aldo D’Achille (San Bellino, Veneto) e Antonella Argenti (Villa del Conte, Veneto). La sua storia però è diversa perché un conto è fare il sindaco di un paesello in una regione ricca o in una metropoli all’avanguardia, un altro è essere il primo cittadino della città più povera di tutta la Francia e riuscire a migliorare concretamente la vita dei cittadini con i pochi mezzi finanziari e di potere che un sindaco ha a disposizione. Philippe Rio lo ha fatto con una serie di misure che possono apparire utopiche, eppure molto concrete.

Philippe Rio è il sindaco comunista (Partito Comunista Francese, PCF) di Grigny un centro di 27 mila abitanti situato nella Île-de-France. Classificata come il comune più povero francese dall’Osservatorio delle disuguaglianze, ed è caratterizzata da una massiccia disoccupazione. Nonostante questo, da quando Rio ne è diventato sindaco – nel 2014 – molti sono stati i miglioramenti reali, proseguiti anche durante il periodo della pandemia. Provvedimenti resi possibili anche dall’essere stato fautore de “l’Appel de Grigny”, appello lanciato nell’ottobre del 2017 e sostenuto da associazioni e altri sindaci, al fine di richiedere investimenti per intervenire nei quartieri popolari.

Proveniente da una famiglia umile di operai, Philippe Rio ha inteso quella di primo cittadino come una carica attraverso la quale agire dal basso, insieme alla comunità, innanzitutto allo scopo di migliorare le condizioni di vita delle classi deboli. Per questo motivo, allo scoppio della pandemia, ha immediatamente creato una squadra di attivisti per affrontare l’ondata di crisi sanitaria, economica e sociale che avrebbe travolto la città. Diverse le azioni attuate per non fare sprofondare Grigny, come la distribuzione di beni di prima necessità – quali mascherine, alimenti e computer agli studenti che ne avevano bisogno.

Inoltre Grigny è sulla strada per diventare una città energeticamente quasi autosufficiente, grazie alla creazione di un progetto geotermico alternativo, di proprietà al 100% municipale, che permette di riceve energia a km0 senza esporre la popolazione agli effetti sulle bollette della crisi del gas. «Ora riceviamo calore da due chilometri sotto i nostri piedi – ha spiegato il sindaco in una intervista a Jacobin – abbiamo tagliato le bollette del 25% e risparmiato al pianeta quindicimila tonnellate di CO2 in un anno. Beh, io sono comunista e allo stesso tempo, faccio quello che posso dal mio livello per salvare il pianeta. Ci piace scherzare sul fatto che Grigny abbia ratificato l’accordo COP di Parigi prima della Francia».

Un altro tema molto importante per Philippe Rio è quello dell’istruzione. A Grigny, infatti, il 50% degli alunni lascia il sistema scolastico pubblico ancora prima di prendere il diploma. Per questo motivo, il primo cittadino ha rivoluzionato l’approccio educativo – diventato modello per altre città francesi – e ha puntato su un fattore apparentemente fuorimoda nel mondo odierno: il contatto umano. Con l’inserimento di corsi basati sulla cultura e sullo sport, ha fatto in modo di invogliare i giovani a dedicarsi alla scuola e, con la costruzione di un centro educativo specializzato, sta offrendo la possibilità agli adulti privi di diploma, di riprendere gli studi sia per migliorarsi che per rientrare nel mondo lavorativo.

Ricette coraggiose eppure non così difficili, a volerle applicare. La vicenda di Grigny dimostra che, anche in mezzo ai vincoli dei trattati europei e delle leggi di bilancio, fare qualcosa di buono a livello municipale è possibile con la giusta determinazione. Una ricetta che evidentemente ha convinto i cittadini: nel marzo 2020 ha Grigny si sono tenute le elezioni comunali e Philippe Rio è stato riconfermato sindaco con il 50,33% dei voti al primo turno, la maggioranza assoluta.

[di Eugenia Greco]

È morto Giampiero Galeazzi

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È deceduto questa mattina all’età di 75 anni il giornalista e cronista sportivo della Rai Giampiero Galeazzi. Da tempo era malato di diabete. Nato a Roma il 18 maggio 1946, Galeazzi in gioventù era stato un canottiere di alto livello, vincendo il campionato italiano del singolo nel 1967. Successivamente la passione per lo sport si sposò con la sua carriera lavorativa, celebri rimangono infatti le sue cronache delle imprese dei canottieri italiani alle Olimpiadi. Galeazzi non appariva in Tv da tre anni.

Canone Rai, UE: rimozione dalla bolletta entro il 2022

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La Commissione Europea ha posto la separazione del canone Rai dalla bolletta dell’energia elettrica come presupposto affinché l’Italia possa riceve i fondi della Next Generation Eu destinati al Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Lo riporta all’agenzia AGI un portavoce della Commissione. La separazione dovrà avvenire entro la fine del 2022: si tratta di una misura volta a «garantire la diffusione della concorrenza nei mercati al dettaglio dell’energia elettrica» e fa parte delle misure relative all’energia, diverse da quelle che coprono la legge annuale sulla concorrenza 2021, ancora in discussione. L’inserimento del canone tv nella bolletta elettrica è stato voluto nel 2017 dal governo Renzi come misura anti-evasione.

L’Italia sostiene l’alleanza per l’addio alle fonti fossili, ma solo a metà

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Il ministro per la Transizione Ecologica Cingolani ha annunciato l’adesione dell’Italia al Beyond Oil and Gas Alliance (BOGA). Si tratta di un’alleanza globale, promossa da Danimarca e Costa Rica, i cui Paesi firmatari si impegnano in iniziative concrete per un graduale abbandono dei combustibili fossili. Ciò che il ministro non ha però specificato è che l’Italia aderirà come semplice Friend of BOGA, ovvero senza impegnarsi in nessuna delle iniziative innovative dell’alleanza come lo stop alle nuove concessioni per gas e petrolio, ma limitandosi ad allineare la produzione di idrocarburi con gli obiettivi di Parigi.

Il BOGA è stato promosso da Danimarca e Costa Rica nell’ambito della Cop26 e si pone obiettivi e iniziative concreti per l’abbandono graduale dei combustibili fossiliCingolani ha annunciato entusiasticamente l’adesione dell’Italia a tale progetto, sostenendo che “L’Italia su questo programma è perfino più avanti e abbiamo le idee chiare: il grande piano per le rinnovabili con 70 miliardi di watt per i prossimi 9 anni per arrivare al 2030 con il 70 per cento di energia elettrica pulita”. Ovvero esattamente quanto previsto per rimanere in linea con gli Accordi di Parigi.

Dei tre livelli di adesione, l’Italia è stata infatti l’unica ad entrare come Friend, ovvero il grado più esterno e meno impegnativo, che non obbliga a bloccare tutte le concessioni per gas e petrolio né nello stop alle trivellazioni, il cuore dell’innovazione voluta dall’alleanza.

I Paesi che hanno avuto il coraggio di aderire pienamente non sono molti: tra i core members vediamo infatti Danimarca, Costarica, Francia, Groenlandia, Irlanda, Quebec, Svezia, Galles, mentre California, Nuova Zelanda e Portogallo partecipano come associate members e l’Italia, fanalino di coda, come friend. 

Si tratta di una presa di posizione che riflette un atteggiamento non sempre chiaro del governo sulle questioni ambientali: ne costituiscono un esempio il dubbio contenuto del Patto per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiETSAI) o le affermazioni di Cingolani riguardo la necessità di investire nelle risorse fossili per evitare il deficit energetico. Tali elementi fanno sorgere un quesito su quanto la transizione ecologica costituisca una priorità per il Governo.

[di Valeria Casolaro]

Milano: perquisizioni contro i No green pass, il questore: “ora cambia il film”

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All’alba di oggi sono iniziate perquisizioni nei confronti di manifestanti contro il green pass a Milano, condotte dai carabinieri del Nucleo Informativo del Comando Provinciale. Secondo quanto trapela sulla stampa locale le persone sottoposte alla misura sarebbero quattro, indagate per “violenza privata aggravata” per aver messo in atto “atteggiamenti prevaricatori” nei confronti di alcuni giornalisti, nel corso delle manifestazioni del 30 ottobre e del 6 novembre, tanto da “impedire l’esercizio del diritto/dovere di cronaca”. I decreti di perquisizioni sono stati emessi nientemeno che dalla Sezione Distrettuale Antiterrorismo della Procura di Milano.

Ricapitoliamo affinché siano chiari i dati di base della notizia, di modo da comprendere l’enormità del quadro: degli atteggiamenti “prevaricatori” (quindi non fisicamente violenti, ma semplicemente minacciosi), vengono interpretati come “violenza”, neppure di stampo ordinario ma addirittura di sospetta matrice “terroristica” vista la sezione incaricatasi dell’indagine. Se i dati salienti che emergono dai media si riveleranno esatti (e non vi è ragione di dubitarne visto che usualmente i cronisti della stampa locale scrivono questi articoli basandosi direttamente su fonti e dispacci dati loro dalla Procura), la disparità e l’enormità dell’accusa appaiono evidenti.

D’altronde che il clima verso le manifestazioni contro il green pass anche nel capoluogo lombardo non sia dei migliori si è capito anche dalle parole rilasciate pochi giorni fa dal questore di Milano Giuseppe Petronzi, che in una intervista rilasciata a La Repubblica ha affermato che da sabato prossimo alle manifestazioni si assisterà a «un film diverso da quello visto fino ad ora», sottolineando che il clima in città sta cambiando e che il suo compito è quello di tutelare anche le esigenze di quella parte di città che mostra «insofferenza diffusa» verso i disagi creati dalle manifestazioni.

Birmania, condannato a 11 anni reporter USA Danny Fenster

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Danny Fenster, giornalista statunitense, è stato condannato a 11 anni di carcere dal governo birmano. Le accuse contro di lui sono di violazione delle leggi sull’immigrazione, associazione illegale e incoraggiamento al dissenso contro i militari. Fenster, detenuto da due mesi, è il direttore della rivista online Frontier Myanmar ed è stato arrestato mentre cercava di lasciare il Paese a maggio. Insieme a lui, moltissimi reporter sono stati arrestati in seguito alle proteste contro il colpo di stato militare di febbraio, durante le quali sono morti più di 1200 civili. Il golpe ha posto fine al governo di Aung San Suu Kyi e a un decennio di tentativi di transizione verso la democrazia.

Circolare ministero Salute: dal primo dicembre terza dose per 40-59enni

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Dal primo dicembre 2021 in Italia la terza dose del vaccino anti Covid verrà somministrata anche alle persone tra i 40 ed i 59 anni. È quanto si apprende da una circolare del ministero della Salute pubblicata oggi, nella quale si legge che ad essere inoculato sarà un «vaccino ad mRna» e che per potersi sottoporre ad esso dovranno essere «trascorsi almeno sei mesi dal completamento del ciclo primario di vaccinazione, indipendentemente dal vaccino precedentemente utilizzato». L’estensione è stata effettuata «ferma restando la priorità della vaccinazione dei soggetti in attesa di iniziare/completare il ciclo vaccinale primario, nonché della somministrazione della dose di richiamo alle categorie per cui è già raccomandata».

Italia: l’esercito chiede l’acquisto immediato di droni kamikaze israeliani

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È degli ultimi giorni la notizia della richiesta che lo Stato maggiore (in ambito militare l’insieme degli ufficiali collocati al vertice degli organismi più complessi) ha fatto al Parlamento italiano: poter acquistare gli Hero-30 israeliani, cioè piccoli velivoli a pilotaggio remoto, armati con una testata esplosiva, kamikaze. Il 2 novembre la Commissione Difesa del Senato ha promulgato la sua approvazione. La Camera pochi giorni più tardi, il 9 novembre.

Pare che il Governo avesse già in testa di dotare il paese di una difesa molto più forte, investendoci anche più denaro. Il premier Draghi ha infatti ribadito di voler incrementare la forza militare italiana soprattutto in aree dove gli Stati Uniti sono sempre meno interessati, come quella mediterranea e mediorientale. Secondo il Milex (l’Osservatorio sulle spese militari), le risorse dedicate alla Difesa nel 2021 ammontano a 24,97 miliardi di euro, con un aumento dell’8,1 percento rispetto al 2020 e del 15,7 percento rispetto al 2019.

Ma utilizzare droni kamikaze in operazioni all’estero e in particolare in territorio iracheno, rientrava davvero tra i piani del Governo? E soprattutto, che i droni in questione fossero gli Hero-30 prodotti dall’israeliana UVision?

Questi piccoli aggeggi sono in grado di essere telecomandati anche a decine di chilometri di distanza, abbattendosi poi contro l’obiettivo dopo averlo seguito e monitorato dall’alto. Sono molto precisi e per questo letali, offrendo un’ampia garanzia di riuscita. La loro peculiarità è che riescono il più delle volte a centrare bersagli che siano fissi in un punto o che stiano correndo, ad esempio: non fa differenza. Nessun laser, nessun esercito, nessun GPS, nessun elicottero. Il drone kamikaze uccide in solitaria, senza che anima viva si accorga di niente. Nello specifico, hanno un peso di 3 chili, una autonomia dai 5 ai 40 chilometri e possono volare fino ad un massimo di 30 minuti. Ma prima di poter essere impiegati è necessario capirne il funzionamento con un corso di formazione a Tzur Igal, la città israeliana della UVision.

In ogni caso, una grossa svolta in ambito militare, soprattutto in operazioni portate avanti da forze speciali, spesso in segretezza.

Milex sostiene che il costo complessivo del programma è stimato in 3,878 milioni di euro in cinque anni. Con un piccolo appunto fatto dal ministero della Difesa: “Sarà ritenuta ammissibile una deviazione negli oneri del 10%”. La decisione di acquistare droni Kamikaze pare sia giunta in seguito al “mutato scenario operativo in Iraq”. Nei prossimi anni le maggiori operazioni anti-Isis dovrebbero passare nelle mani italiane, prendendo il testimone dagli USA, ma “L’utilizzo di velivoli a comando remoto creati appositamente per distruggere il loro obiettivo rischia tra l’altro di modificare la postura italiana nello scenario iracheno, oltre a rendere più facile il ricorso all’uso della forza”.

Secondo Milex non basta l’approvazione delle commissioni. La questione è così delicata che dovrebbe essere discussa in maniera più approfondita in Parlamento.

[di Gloria Ferrari]