Dal primo dicembre 2021 in Italia la terza dose del vaccino anti Covid verrà somministrata anche alle persone tra i 40 ed i 59 anni. È quanto si apprende da una circolare del ministero della Salute pubblicata oggi, nella quale si legge che ad essere inoculato sarà un «vaccino ad mRna» e che per potersi sottoporre ad esso dovranno essere «trascorsi almeno sei mesi dal completamento del ciclo primario di vaccinazione, indipendentemente dal vaccino precedentemente utilizzato». L’estensione è stata effettuata «ferma restando la priorità della vaccinazione dei soggetti in attesa di iniziare/completare il ciclo vaccinale primario, nonché della somministrazione della dose di richiamo alle categorie per cui è già raccomandata».
Italia: l’esercito chiede l’acquisto immediato di droni kamikaze israeliani
È degli ultimi giorni la notizia della richiesta che lo Stato maggiore (in ambito militare l’insieme degli ufficiali collocati al vertice degli organismi più complessi) ha fatto al Parlamento italiano: poter acquistare gli Hero-30 israeliani, cioè piccoli velivoli a pilotaggio remoto, armati con una testata esplosiva, kamikaze. Il 2 novembre la Commissione Difesa del Senato ha promulgato la sua approvazione. La Camera pochi giorni più tardi, il 9 novembre.
Pare che il Governo avesse già in testa di dotare il paese di una difesa molto più forte, investendoci anche più denaro. Il premier Draghi ha infatti ribadito di voler incrementare la forza militare italiana soprattutto in aree dove gli Stati Uniti sono sempre meno interessati, come quella mediterranea e mediorientale. Secondo il Milex (l’Osservatorio sulle spese militari), le risorse dedicate alla Difesa nel 2021 ammontano a 24,97 miliardi di euro, con un aumento dell’8,1 percento rispetto al 2020 e del 15,7 percento rispetto al 2019.
Ma utilizzare droni kamikaze in operazioni all’estero e in particolare in territorio iracheno, rientrava davvero tra i piani del Governo? E soprattutto, che i droni in questione fossero gli Hero-30 prodotti dall’israeliana UVision?
Questi piccoli aggeggi sono in grado di essere telecomandati anche a decine di chilometri di distanza, abbattendosi poi contro l’obiettivo dopo averlo seguito e monitorato dall’alto. Sono molto precisi e per questo letali, offrendo un’ampia garanzia di riuscita. La loro peculiarità è che riescono il più delle volte a centrare bersagli che siano fissi in un punto o che stiano correndo, ad esempio: non fa differenza. Nessun laser, nessun esercito, nessun GPS, nessun elicottero. Il drone kamikaze uccide in solitaria, senza che anima viva si accorga di niente. Nello specifico, hanno un peso di 3 chili, una autonomia dai 5 ai 40 chilometri e possono volare fino ad un massimo di 30 minuti. Ma prima di poter essere impiegati è necessario capirne il funzionamento con un corso di formazione a Tzur Igal, la città israeliana della UVision.
In ogni caso, una grossa svolta in ambito militare, soprattutto in operazioni portate avanti da forze speciali, spesso in segretezza.
Milex sostiene che il costo complessivo del programma è stimato in 3,878 milioni di euro in cinque anni. Con un piccolo appunto fatto dal ministero della Difesa: “Sarà ritenuta ammissibile una deviazione negli oneri del 10%”. La decisione di acquistare droni Kamikaze pare sia giunta in seguito al “mutato scenario operativo in Iraq”. Nei prossimi anni le maggiori operazioni anti-Isis dovrebbero passare nelle mani italiane, prendendo il testimone dagli USA, ma “L’utilizzo di velivoli a comando remoto creati appositamente per distruggere il loro obiettivo rischia tra l’altro di modificare la postura italiana nello scenario iracheno, oltre a rendere più facile il ricorso all’uso della forza”.
Secondo Milex non basta l’approvazione delle commissioni. La questione è così delicata che dovrebbe essere discussa in maniera più approfondita in Parlamento.
[di Gloria Ferrari]
Etiopia: arrestati 72 autisti dell’Onu
72 autisti che lavorano per il World Food Programme (WFP) – l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare – sono stati arrestati dalle autorità etiopi nel nord del Paese. A riferirlo è stata proprio l’Onu, con un suo portavoce che ha aggiunto: «Stiamo collaborando con il governo dell’Etiopia per comprendere le ragioni della loro detenzione».
Italiani emigrati all’estero: + 82% negli ultimi 16 anni
Il numero degli italiani residenti oltre confine è aumentato dell’82% negli ultimi sedici anni: è quanto emerge dal recente rapporto “Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes, un organismo della Conferenza Episcopale Italiana. Il rapporto sottolinea che mentre nell’ultimo anno l’aumento dei cittadini italiani iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) è stato del 3%, esso lo è stato del 6,9% dal 2019, del 13,6% negli ultimi cinque anni e, appunto, dell’82% dal 2006. Nello specifico, al primo gennaio 2021 gli italiani residenti all’estero risultano essere più di 5 milioni e mezzo: tale numero rappresenta il 9,5% degli oltre 59,2 milioni di cittadini che risiedono nel nostro Paese.
Un aggiornamento di Microsoft permetterà di sorvegliare i dipendenti
Un aggiornamento di Microsoft 365, a partire dal 2022, permetterà ai datori di lavoro di sapere qualsiasi cosa i dipendenti facciano con i dispositivi aziendali. Ogni azione sarà controllata, archiviata e analizzata e i trasgressori potranno essere facilmente individuabili. Dimenticatevi che in futuro ci possano essere dei whistleblower (degli informatori) come Edward Snowden o Chelsea Manning poiché ogni fuga di informazioni sensibili e di interesse pubblico sarà impedita.
Solo negli USA, ogni giorno, 730.000 tra aziende ed enti pubblici utilizzano il pacchetto di Microsoft 365 che vedrà inseriti, a seguito dell’aggiornamento, strumenti di “gestione del rischio interno”. Le organizzazioni che utilizzeranno questi nuovi strumenti potranno avere una “maggiore visibilità sui browser” di ciò che lo staff sta facendo sui browser Web Microsoft Edge e Google Chrome, migliorando la loro capacità “di rilevare e agire sui segnali di esfiltrazione del browser”, inclusi “file copiati nell’archiviazione cloud personale, file stampati su dispositivi locali o di rete, file trasferiti o copiati in una condivisione di rete e file copiati su dispositivi USB”.
Non solo. Sempre dal prossimo anno, Microsoft metterà a disposizione dei propri clienti anche dei bot di apprendimento automatico da inserire nei dispositivi aziendali col fine monitorare ogni azione dei dipendenti e segnalare ciò che viene ritenuto “rischioso”; l’archiviazione, la gestione e l’analisi dell’insieme dei comportamenti del dipendente sui dispositivi elettronici verrà poi utilizzato per redigere un rapporto per ogni singolo dipendente.
Tutto ciò che verrà fatto all’interno di un’organizzazione che utilizzi Microsoft 365 potrà quindi essere in mano al capo d’azienda, al capo d’ufficio oppure ai servizi segreti. Perché, oltre al profitto, Microsoft è interessata a tali dispositivi di sicurezza? I motivi sono due e interconnessi: tenere nascoste le proprie malefatte e compiacere il suo partner più importante, il Governo USA. Come riportato dal The Guardian nel 2013, Microsoft ha collaborato con l’intelligence statunitense per eludere la crittografia dei propri software al fine di permettere l’accesso alle chat dei dipendenti. Infatti, il colosso dell’informatica di Bill Gates ha collaborato con la National Security Agency (NSA) e con l’FBI, come a suo tempo rivelato da Edward Snowden. Ma in quei file ci sono anche le prove della più ampia portata della collaborazione tra aziende della Silicon Valley e le agenzie governative di sicurezza e spionaggio.
D’altronde, negli ultimi vent’anni, questi colossi della tecnologia e dell’informatica hanno accumulato contratti miliardari con le agenzie e i dipartimenti governativi statunitensi incaricati di sicurezza, spionaggio e guerra. Un rapporto prodotto negli Stati Uniti rivela che, fino ad oggi, l’86% dei contratti governativi assegnati ad Amazon e il 77% di quelli assegnati a Google fino sono legati alla così detta “guerra al terrore”. Delle cinque agenzie federali che hanno speso maggiormente acquistando dalle aziende tecnologiche negli ultimi due decenni, quattro sono: Dipartimenti della Difesa, Dipartimento della Sicurezza Nazionale, Dipartimento di Giustizia e Dipartimento di Stato; dal 2004, almeno 44,5 miliardi di dollari sono passati da questo quartetto di dipartimenti alle Big Tech della Silicon Valley.
E il sistema delle porte girevoli agevola in maniera abnorme questi giganti che cooptano tra le proprie fila chi fino a poco tempo prima muoveva pezzi importanti del potere profondo e nascosto dello Stato. Ad esempio, è il caso di Joseph D. Rozek, con un passato di grande importanza presso il Dipartimento di Sicurezza, che adesso lavora per Microsoft come direttore esecutivo per la sicurezza interna e l’antiterrorismo dove è responsabile dello sviluppo e dell’implementazione di un piano aziendale strategico nell’area della sicurezza nazionale, dell’antiterrorismo e della condivisione delle informazioni. Jared Cohen ha invece lavorato al Dipartimento di Stato prima di passare a Google dove ha fondato Jigsaw, uno strumento antiterrorismo per piattaforme di social media che fino a poco tempo fa si concentravano esclusivamente su attori musulmani. Steve Pandelides, nell’FBI per oltre 20 anni – anche presso il National Counterterrorism Center e nella Operational Technology Division – è ora direttore della sicurezza di Amazon Web Services. Nicholas Rasmussen, già direttore del National Counterterrorism Center, adesso è direttore esecutivo del Global Internet Forum to Counter Terrorism fondato da Facebook, Microsoft, Twitter e YouTube.
La commistione tra le multinazionali tecnologiche e dell’informatica con il governo USA, e con altri governi in tutto il mondo, è ogni giorno che passa più invasiva e ciò che resta della democrazia diventa man mano sempre più intangibile, disgregata dai circuiti della gabbia digitale e dell’ossessiva volontà di potere e controllo di coloro che si riuniscono in consessi come il World Economic Forum.
[di Michele Manfrin]
Bielorussia, bombardieri russi pattugliano lo spazio aereo
Il Ministero della Difesa bielorusso ha annunciato che due bombardieri russi che trasportavano missili strategici hanno iniziato le operazioni di addestramento al campo militare di Ruzhansky, in Bielorussia. I bombardieri sono scortati da aerei di combattimento bielorussi e starebbero effettuando “operazioni di monitoraggio” per dimostrare “la prontezza e la determinazione delle due parti per difendere la sicurezza sia via aria che via terra”, secondo un comunicato di Minsk. Secondo le autorità polacche, infatti, sarebbe Putin la “mente” dietro la crisi migratoria provocata dalla Bielorussia nei giorni scorsi.
L’ecocidio è sulla buona strada per essere riconosciuto come crimine internazionale
Lo scorso giugno è stata elaborata una definizione giuridica del crimine di ecocidio, ed è stato richiesto che questo venga riconosciuto come crimine punibile dalla Corte Penale Internazionale (ICC) dell’Aja. In un momento cruciale come quello attuale, nel quale si fa sempre più pressante la necessità di trovare una soluzione alla crisi climatica, questo si configura come uno strumento di portata potenzialmente rivoluzionaria. Esso permetterebbe infatti di perseguire penalmente le aziende e i governi che si rendano consapevolmente responsabili di “gravi danni alla natura”. Sempre più Stati hanno iniziato in questi mesi una conversazione all’interno dei propri governi per l’introduzione di tale reato, ma la strada per un suo pieno riconoscimento rischia di essere ancora lunga e tortuosa.
Il reato di ecocidio riguarda quegli “atti illeciti o sconsiderati commessi con la consapevolezza che ci sia una sostanziale probabilità che tali atti causino un danno grave e diffuso o a lungo termine all’ambiente”. La dicitura fissa con precisione la natura di comportamenti e decisioni che, prese ad alti livelli dai vertici delle industrie, della finanza e del governo, hanno conseguenze dannose per la salute del pianeta. Non è un crimine del quale si possano macchiare i comuni cittadini.
La dicitura definitiva è stata elaborata da un pool di avvocati ed esperti internazionali ed è stata resa pubblica lo scorso giugno, dopo sei mesi di lavori. Si tratta di un passo sostanziale verso il riconoscimento dell’ecocidio come crimine internazionale. È questo lo scopo primario dell’ONG olandese Stop Ecocide Foundation, la quale ha commissionato i lavori. Se questo dovesse accadere, le aziende e i governi più inquinanti del pianeta potrebbero ricevere una condanna penale e venire processati secondo le regole del diritto internazionale. Si tratta, se non altro, di uno strumento che può fungere da potente deterrente.
“Nonostante i progressi significativi, le leggi e i trattati esistenti si stanno dimostrando inadeguati a fornire la forte barriera necessaria per prevenire le cause profonde della crisi climatica ed ecologica globale” afferma Jojo Mehta, cofounder della Stop Ecocide Foundation, spiegando la necessità di rendere concreto tale reato. La definizione è stata elaborata affinché potesse fungere da riferimento per gli Stati: perché il reato diventi contestabile, infatti, ciascuno Stato membro dell’ICC dovrebbe includerlo anche nella propria legislazione domestica, così da renderlo “un nuovo reato grave con coerenza e applicabilità transfrontaliera“.
Nel novembre 2019 le isole Vanuatu e Maldive, vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, hanno chiesto agli Stati membri dell’ICC di aggiungere l’ecocidio ai quattro già esistenti reati internazionali (genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e aggressione). Da allora 14 Stati membri hanno cominciato a discutere della formulazione di questo crimine all’interno del proprio governo o Parlamento. La Francia, quest’estate, ha introdotto la Loi climat et résilience, la quale si impegna a perseguire “coloro che provocano un danno grave e duraturo alla salute, alla flora, alla fauna o alla qualità dell’aria, del suolo o dell’acqua”, dove con “duraturo” si intende “suscettibile di durare almeno dieci anni”. Le sanzioni previste arrivano sino a dieci anni di carcere. Altri Paesi come il Messico e il Cile hanno elaborato disegni di legge che configurano l’ecocidio come reato penale.
Si tratta di un mezzo potenzialmente determinante nella lotta ai grandi inquinanti del pianeta. Tuttavia, le tempistiche giudiziarie sono molto lunghe e in molti Paesi (tra i quali l’Italia) tale discussione non è ancora iniziata. L’auspicio è che questo strumento possa entrare in azione nel più breve tempo possibile, e che i governi si dimostrino collaborativi al suo funzionamento.
[di Valeria Casolaro]
Terrorismo, misure cautelari per 6 anarchico-insurrezionalisti
Nelle prime ore di questa mattina i carabinieri del Ros (Raggruppamento Operativo Speciale) hanno condotto, con il supporto esecutivo dei comandi provinciali di Cagliari, Cosenza, Cremona, Perugia, Viterbo, Genova, Massa, Lecce, Roma e Taranto, un’operazione per l’esecuzione di misure cautelari contro sei soggetti che farebbero parte di un gruppo anarchico-insurrezionalista, la cui attività avrebbe base in Umbria. Le operazioni sono state coordinate dalle procure di Perugia e Milano. Il gruppo farebbe riferimento al Fai, la Federazione anarchica informale, composta da eversivi. Gli indagati sarebbero «gravemente indiziati dei reati di istigazione a delinquere e istigazione a delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico», rivela la procura.
ll Green Pass sarà convertito in legge definitiva senza nessun dibattito parlamentare
Il Parlamento sta votando in queste ore la conversione del decreto legge green pass. Ieri sera è stato il Senato a votare: una solida maggioranza (199 voti favorevoli e 38 contrari) sporcata solo da qualche assenza “giustificata” tra i banchi della Lega ha approvato la conversione in legge della certificazione verde. Ora si attende il voto della Camera dei Deputati per il via libera definitivo, che dovrà avvenire necessariamente entro il 20 novembre, pena il decadimento del decreto. A legare i due voti la procedura: in entrambi i casi è stato posto il voto di fiducia. I parlamentari devono approvare il provvedimento o respingerlo in toto, pena la caduta del governo. È la medesima procedura che venne utilizzata anche per l’approvazione dei decreti. Insomma, la legislazione sul green pass più restrittiva d’Europa vedrà la luce senza che il Parlamento abbia potuto dibattere ed emendarne i contenuti nemmeno una volta.
In vista del voto alla Camera Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento, ha presentato un maxi-emendamento che sostituisce gli 11 articoli del decreto e ne recepisce le modifiche fatte dalla commissione Affari Costituzionali. Tra questi, la possibilità per i lavoratori privati di consegnare copia del green pass al datore di lavoro ed essere così esonerati dai controlli quotidiani.
Il decreto, varato il 21 settembre scorso, disciplina la normativa più restrittiva d’Europa in materia di obbligo di green pass. A partire dal 15 ottobre infatti, e fino all’ipotetica data di fine emergenza stabilita per il 31 dicembre, la certificazione verde deve essere obbligatoriamente presentata per recarsi sul luogo di lavoro, sia privato che pubblico. Sono previste anche misure urgenti sui test antigienici e la proroga fino al 30 novembre della somministrazione dei test rapidi a prezzi contenuti. Di nuovo, tutto sarà approvato mediante voto di fiducia. Il governo Draghi è d’altronde uso a tali mezzi, che sollevano diverse questioni sulla democraticità dei processi in corso.
[di Valeria Casolaro]








