martedì 23 Settembre 2025
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L’era della benzina con il piombo è ufficialmente finita in tutto il mondo

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L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha annunciato che la benzina con piombo è ufficialmente fuori produzione. Con la cessazione, nel mese di luglio, delle vendite in Algeria – l’unico paese che ancora lo utilizzava – questo tipo carburante è fuori dai giochi, dopo cento anni di storia. Il suoi primi utilizzi sono infatti del 1922 ed in pochi decenni diventò a tutte le latitudini il carburante per eccellenza. Negli anni Settanta, quasi tutta la benzina prodotta nel mondo conteneva il piombo, poi il lento declino, che porta oggi il mondo a potersi dire libero da questo elemento estremamente inquinante e velenoso.

La benzina con piombo – o “benzina rossa” – è stata sviluppata nei primi anni Venti del Novecento in un laboratorio di ricerca della General Motors, negli Stati Uniti, con l’unione della benzina al piombo tetraetile, un mix che riduceva il rischio di denotazioni non previste all’interno dei motori, ma estremamente tossico. Questo, infatti, nel corso del tempo ha contaminato aria, suolo, acqua, colture alimentari, causando malattie cardiache, ictus e tumori. Fattore che, tuttavia, non ha arrestato la sua promozione nell’industria automobilistica e la sua diffusione a livello mondiale. Il punto di svolta si ebbe nel 1979, quando una ricerca americana evidenziò un’insolita concentrazione di piombo nei denti dei bambini in età scolare i quali, al tempo stesso, mostrarono di avere una riduzione del quoziente intellettivo e problemi comportamentali e di apprendimento. Tale studio portò, negli anni a venire, alla revisione delle normative per l’uso della “benzina rossa”, specialmente in Europa, dove vennero stabiliti limiti sempre più bassi per la concentrazione del piombo al suo interno. Molti produttori automobilistici, a metà degli anni Novanta, iniziarono a produrre veicoli che funzionassero solo con benzina senza piombo, la cosiddetta “benzina verde”, dando il via alla fine dell’utilizzo del piombo nel carburante. In Europa, questo avvenne definitivamente nel 2002.

La benzina rossa, però, continuava ad essere ampiamente distribuita nei paesi più poveri e in via di sviluppo, dove le automobili erano datate ed era complicato attuare una conversione ai carburanti privi di piombo. Per questo motivo entrò in scena l’Onu che, con la Collaborazione per veicoli e carburanti puliti che coinvolse aziende petrolifere e organizzazioni ambientaliste, fissò l’obiettivo di mettere fine all’utilizzo della benzina rossa che, all’epoca, era ancora utilizzata in 120 paesi del mondo. Gli sforzi si concentrarono soprattutto in Africa, dove si attuarono campagne informative sulla pericolosità del piombo tetraetile con studi dimostranti elevati livelli dell’elemento chimico nel sangue die bambini, e si lavorò sodo per sfatare luoghi comuni sulla scarsa efficacia della benzina senza l’elemento chimico. Col passare del tempo, l’Algeria rimase l’unico paese dove fosse ancora possibile acquistare “benzina rossa”, fino a luglio, quando il governo ha confermato di avere interrotto la sua vendita. 

Purtroppo, questo traguardo  non è sinonimo di un miglioramento globale repentino. Si stima, infatti, che gli effetti dureranno ancora per decenni. Come confermato da una ricerca dell’Imperial College di Londra – effettuata sulla qualità dell’aria londinese – i carburanti al piombo, messi al bando nel Regno Unito nel 1999, stanno ancora incidendo sull’ambiente e sulle persone. Gli esperti hanno analizzato dei campioni di polvere stradale e suolo urbano, giungendo alla conclusione che il principale responsabile della presenza del piombo nell’aria sarebbe il risollevamento della polvere contaminata. Una volta che il piombo si è depositato al suolo, viene costantemente risollevato dal passaggio dei veicoli, fenomeno ancora attivo dopo ben venti anni dal bando della cosiddetta “benzina rossa”.

Comunque, nonostante sia necessario molto tempo per il completo smaltimento del piombo in circolazione, diversi studi stanno già dimostrando i benefici sulla salute umana della sua messa al bando. Inoltre, questo renderà possibile un sempre più ampio utilizzo delle marmitte catalitiche, le quali consentono di abbattere le emissioni di gas di scarico dei motori. Tuttavia, la strada è ancora lunga. In molti paesi in via di sviluppo, privi di risorse economiche sufficienti e infrastrutture per l’utilizzo dei veicoli elettrici, è ancora diffusa la produzione del motore a scoppio. Inoltre, anche se i governi dei paesi più ricchi si stanno impegnando nel graduale passaggio ai motori elettrici, c’è il rischio che questi vendano i “vecchi” veicoli ai paesi più poveri, rallentando l’ascesa di forme di mobilità più green.

[di Eugenia Greco]

Covid: Gb, comitato medico-scientifico dice no a vaccinazione per 12-15enni

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Gli esperti del Joint Committee on Vaccination and Immunisation (JCVI), il comitato medico-scientifico britannico indipendente che assiste il governo di Boris Johnson sulla campagna vaccinale anti Covid, si sono espressi in maniera negativa nei confronti della somministrazione dei sieri ai giovani fra i 12 ed i 15 anni. Secondo gli esperti, infatti, «il margine di beneficio è ritenuto troppo esiguo per sostenere la vaccinazione di massa per i 12-15enni sani in questo momento».

Australia, la polizia potrà prendere il controllo degli account social dei cittadini

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Di colpo, tutele e diritti di chi naviga online in Australia sono stati annichiliti, almeno per quanto concerne coloro che sono indagati dalla polizia. Il 25 agosto è infatti passata anche al parlamento federale la riforma Surveillance Legislation Amendment, nota anche come “identificare e distruggere”.

Un soprannome che è certamente pittoresco, ma tutt’altro che distante dalla realtà. Nell’estremo tentativo di combattere i crimini digitali e di affrontare le insidie del dark web, le autorità del luogo si sono ritagliate diritti di controllo e manipolazione assolutamente degni di nota. Nello specifico, i poteri delle forze dell’ordine sono stati estesi attraverso tre nuove tipologie di mandato, i quali concedono rispettivamente di modificare/cancellare i dati digitali dei sospetti, di infiltrarsi nei network adoperati dai presunti criminali e, dulcis in fundo, di prendere il controllo degli account online di coloro che sono sotto indagine.

Le novità andranno ad agevolare il lavoro della Australian Federal Police (AFP) e della Australian Criminal Intelligence Commissioner (ACIC), con la Ministra degli Affari Interni Karen Andrews che non manca di sottolineare come questa evoluzione giuridica sia un grande passo avanti nel contrastare il mercato della droga e quello della pedopornografia. Innegabile che un simile potere possa aiutare, ma a quale costo?

Diverse organizzazioni per i diritti fanno notare che il Governo di Canberra non abbia debitamente tenuto conto delle raccomandazioni fornite dalla Parliamentary Joint Committee on Intelligence and Security (PJCIS), ovvero che si sia ritagliata significative possibilità di manovra senza assicurarsi di tutelare la privacy dei cittadini. A ben vedere, infatti, questa soluzione non permette solamente di infiltrarsi nelle vite digitali di persone che non sono ancora state giudicate colpevoli di alcun crimine, ma va anche a intaccare quella di tutti coloro che quelle persone le incrociano sulla Rete. Una situazione preoccupante a cui si aggiunge il fatto che chi si rifiuterà di cedere il controllo dei propri account alla polizia rischierà fino a dieci anni di carcere.

Ci sono preoccupazioni anche sull’eventuale gestione delle intercettazioni a giornalisti e informatori, elementi umani che dovrebbero essere in qualche modo tutelati dagli effetti della nuova legge, ma il cui effettivo destino è adombrato da una serie di ambigui cavilli. Prima di diventare effettivo, l’emendamento deve ora ricevere l’assenso reale, quindi entrerà in azione per cinque anni, ovvero il lasso di tempo che il Governo australiano si ritaglia per giudicare le qualità e i difetti di simili modifiche di legge.

[di Walter Ferri]

Italia: la polizia indaga i gruppi “No Green Pass” su Telegram per terrorismo

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Sono finite sotto la lente d’ingrandimento della Polizia Postale alcune chat Telegram  generalmente ritenute (erroneamente) dai media mainstream come la base operativa della totalità delle persone che nutrono dubbi sui vaccini anti Covid o semplicemente sono contrarie al Green Pass. Lo si apprende dalle parole recentemente rilasciate dalla direttrice della Polizia Postale, Nunzia Ciardi, la quale ha dichiarato che sono in corso i lavori volti ad «identificare, attraverso le indagini sui canali Telegram, i responsabili da deferire all’autorità giudiziaria per vari reati». Tra questi, c’è anche quello di «istigazione a delinquere, con l’aggravante dell’utilizzo di mezzi informatici, con finalità terroristiche». «La stessa Procura di Torino – ha aggiunto la direttrice –  ha incardinato un fascicolo dove si ipotizza questo reato».

L’obiettivo del monitoraggio, dunque, è non solo quello di individuare i responsabili di minacce o episodi simili, ma anche quello di contrastare la diffusione illegale di contatti privati di soggetti (generalmente giornalisti e virologi televisivi) finiti nel mirino di alcuni gruppi. In tal senso, anche il Garante della Privacy ha recentemente pubblicato un comunicato in cui ha sottolineato come «diffondere senza consenso dati personali, oltre a costituire una violazione della vita privata degli individui, con rischi anche per la loro incolumità, si configura, ai sensi della normativa sulla privacy, come un atto illecito che può determinare anche l’applicazione di pesanti sanzioni».

Detto questo, va ricordato come tale attività della Polizia Postale costituisca solo l’ultima azione in ordine di tempo volta al contrasto dei “No Green Pass”. Negli ultimi giorni, infatti, vi è stato un progressivo innalzamento della tensione verso le persone contrarie a tale strumento: basterà ricordare la stretta che recentemente è stata annunciata da parte del Viminale, con il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che ha sottolineato come l’obiettivo sia «quello di individuare specifiche misure finalizzate a rafforzare la tutela dagli attacchi mossi sulla rete non solo nei confronti dei giornalisti ma di tutte le categorie più esposte a episodi di odio in questa delicata fase storica caratterizzata dalla pandemia».

La repressione nei confronti dei gruppi “No Green Pass” che ultimamente si sta attuando è stata giustificata, inoltre, anche tramite i singoli episodi di violenza verificatisi in alcune delle tante manifestazioni svoltesi nel weekend, in tutta Italia, contro il lasciapassare sanitario. A tal proposito va sottolineato come, seppur ovviamente la violenza vada condannata e contrastata, a pagarne le conseguenze dovrebbero essere unicamente gli individui colpevoli, e non un intero movimento. Tuttavia, a causa anche del modo in cui i media mainstream stanno trattando la questione dei “No Green Pass”, è ormai diffusa l’opinione secondo cui chiunque sia contrario al lasciapassare condivida le idee di alcuni dei membri presenti nelle chat telegram e, di conseguenza, sia un soggetto pericoloso per l’ordine pubblico.

[di Raffaele De Luca]

Vaccini, i sindacati a Draghi: sì a obbligo per tutti

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«Confermiamo il nostro impegno affinché attraverso lo strumento della vaccinazione e la piena applicazione dei protocolli sulla sicurezza, il nostro Paese possa uscire definitivamente dalla crisi pandemica che stiamo vivendo». È quanto si legge all’intero di una lettera che i segretari generali dei sindacati Cgil, Cisl e Uil (Maurizio Landini, Luigi Sbarra e PierPaolo Bombardieri) hanno recentemente inviato al premier Mario Draghi. «In particolare le ribadiamo il nostro assenso ad un provvedimento che, in applicazione della nostra Carta, il Governo decida di assumere finalizzato a rendere la vaccinazione obbligatoria quale trattamento sanitario per tutti i cittadini del nostro Paese», concludono i segretari.

Venezia, un nuovo studio rimette in dubbio l’utilità del Mose

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Il Mose, ossia l’enorme sistema di dighe mobili a scomparsa ideato per difendere la città di Venezia e la sua laguna dal fenomeno dell’acqua alta, potrebbe in futuro non essere in grado di svolgere efficacemente tale compito: è quanto si evince da uno studio, recentemente pubblicato sulla rivista Natural Hazards and Earth System Sciences, e condotto da un gruppo di lavoro coordinato da ricercatori dell’Università del Salento, dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Esso nello specifico ha ad oggetto una serie di proiezioni sull’innalzamento del livello del mare a Venezia, che sono state sviluppate nel tentativo di comprendere cosa accadrà nella Laguna entro il 2100. In tal senso, dallo studio si apprende che entro la fine del secolo la città potrebbe dover fronteggiare un innalzamento del livello del mare tra i 17 cm e i 120 cm in uno scenario realistico. Mentre, in uno scenario più pessimistico, i centimetri potrebbero divenire 180. Ciò in pratica, secondo gli scienziati, comporterebbe il fatto che nemmeno mantenendo il Mose costantemente attivo si potrebbe porre un argine realmente efficace atto a scongiurare catastrofiche alluvioni a Venezia.

Ad ogni modo però, dallo studio si apprende che l’ultimo scenario citato sia «improbabile», anche se comunque «plausibile con il forte scioglimento della Groenlandia e dell’Antartide». Ed tal proposito va ricordato quanto sottolineato da Davide Zanchettin, docente dell’Università Ca’ Foscari che ha partecipato allo studio, il quale ha precisato come a farla da padrone sia l’incertezza, poiché manca la comprensione di cosa accadrà con alcuni processi fondamentali.

Detto ciò, tralasciando la sua possibile inefficacia in futuro, va ricordato anche come il Mose sia da tempo al centro di polemiche. In tal senso, dopo decenni di progetti e lavori che hanno richiesto oltre 6 miliardi di soldi pubblici, l’opera non è ancora pronta, nonostante la data di consegna fosse stata fissata per il 2016. Da ricordare anche che ad occuparsi della costruzione del Mose è il Consorzio Venezia Nuova, unione di imprese e cooperative locali e nazionali che nel 2014 fu commissariato dallo Stato a causa di uno scandalo avente ad oggetto fondi illeciti e corruzione. Le indagini generarono l’arresto di diverse persone, tra cui l’ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture, Altero Matteoli.

Ciò ha ovviamente prodotto un ulteriore ritardo nell’ultimazione dell’opera, che adesso con ogni probabilità sarà conclusa e diverrà realmente operativa solo nel 2023. Lo si può facilmente dedurre dalle parole pronunciate dalla commissaria straordinaria per il completamento della stessa, Elisabetta Spitz, nel corso del convegno “Acque alte a Venezia: la soluzione MoSE” svoltosi nel 2020. «Sarà pronto il 31 dicembre del 2021, ma poi servirà un anno di avviamento». A tutto questo si aggiunga anche la attuale grave situazione debitoria del Consorzio, con la cassa integrazione dietro l’angolo e gli stipendi non pagati, il che ovviamente genera agitazione nei dipendenti delle imprese consorziate e di quelle esterne.

[di Raffaele De Luca]

Roma: la Asl annuncia rilevamento temperature via drone, poi annulla per “maltempo”

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Nelle giornate del 4 e 5 settembre un drone della Asl Roma 3 avrebbe dovuto sorvolare il litorale di Ostia per misurare in maniera automatizzata la temperatura corporea dei bagnanti e identificare eventuali sospetti casi di Covid. Una misura annunciata dalla stessa azienda sanitaria romana sui canali social e subito presa d’assalto dai cittadini tra proteste, richieste sui costi dell’operazione e inviti a riprendere gli screening territoriali per i tumori piuttosto che ideare “trovate di marketing”.

Poi la sorpresa, dopo qualche ora il post scompare. E una dichiarazione della Asl a Repubblica Roma svela l’arcano: operazione annullata a data da destinarsi causa allarme maltempo. Sarà, ma i principali portali di previsioni del tempo segnano sereno o poco nuvoloso negli orari in cui la rilevazione avrebbe dovuto svolgersi (dalle 11 alla 16).

Prima dell’annullamento dall’Asl avevano anche spiegato come avrebbe funzionato l’operazione. «Il controllo delle temperature avverrà in modo automatico da parte del dispositivo sulla spiaggia», si leggeva nel comunicato dove si specificava che il drone avrebbe viaggiato a un’altezza non inferiore a 25 metri dal livello dell’acqua e a una distanza non inferiore a 30 metri dalle persone. Ma come avrebbe dovuto funzionare il telecontrollo via drone delle temperature? A spiegarlo la stessa azienda sanitaria, sempre a Repubblica Roma: «Quando il drone rileva una persona con la febbre, la identifica e viene allertato il servizio medico di sorveglianza, a quel punto i medici si recano sul posto per fare accertamenti, che possono portare a un tampone». Assicurando che chi non mostra alterazioni della temperatura «non sarà identificato».

Non si tratta in ogni caso di una prima volta. I droni per rilevare la temperatura e individuare sospetti casi Covid avevano già sorvolato Bergamo nel periodo più caldo della prima ondata, nel quale la bergamasca era l’epicentro. Anche in quel caso molti articoli e scarsi sorvoli effettivi, nonché dati sull’efficacia degli stessi mai diffusi.

Usa: sale a 46 il bilancio dei morti per l’uragano Ida

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Sono attualmente 46 le persone che hanno perso la vita a causa delle piogge torrenziali e delle devastazioni, verificatesi nella costa orientale degli Stati Uniti, e dovute alla “coda” dell’uragano Ida. Come riportato dalla Cnn, la nota emittente televisiva statunitense, nel solo New Jersey vi sono stati almeno 23 decessi. In tal senso, il governatore Phil Murphy ha spiegato che in gran parte si tratta di persone che sono state sorprese dalle inondazioni mentre si trovavano all’interno delle proprie autovetture. Per quanto riguarda le restanti morti, invece, esse si sono verificate in Connecticut, Maryland, New York, Pennsylvania e Virginia.

Il Texas ha reso di fatto impossibile l’aborto, anche nei casi di stupro

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Un passo indietro nei diritti delle donne è stato appena compiuto negli Stati Uniti, con l’entrata in vigore in Texas di Senate Bill 8, la legge più restrittiva in suolo americano. Questa prevede il divieto dell’interruzione di gravidanza non appena possibile rilevare il battito del cuore del feto. Una decisione estrema, considerando che l’attività cardiaca può essere percepita già alla sesta settimana di gestazione, quando ancora è probabile non sapere di essere incinta. Inoltre, la legge consente ai privati di intraprendere un’azione civile contro chiunque assista o aiuti una donna ad abortire, con la possibilità di richiedere sino a 10mila dollari di danni. Questo vuol dire che si potrà intentare una causa contro medici, infermieri, operatori sanitari, persino contro i genitori che pagano per l’aborto della figlia o, per assurdo, contro il tassista che li accompagna. In tutto ciò, non è prevista l’esclusione dal divieto, dei casi di incesto e violenza sessuale.

Senate Bill 8 – non sospesa dalla Corte Suprema – ha causato non poco malcontento, tanto che è stata presentata una petizione d’emergenza da strutture sanitarie e sostenitori dei diritti dell’aborto, con l’esplicita richiesta di bloccarla. La legge è stata definita incostituzionale, poiché viola la Roe contro Wade, sentenza della Corte Suprema risalente al 1973, che stabilì l’interruzione di gravidanza fino alla 22esima-24esima settimana di gestazione. Anche Joe Biden ha espresso con fermezza la sua contrarietà, promettendo che farà di tutto per proteggere uno dei diritti femminili più importanti che, se ostacolato, compromette significativamente l’accesso all’assistenza sanitaria, in modo particolare alle donne delle classi sociali a basso reddito.

La legge, conosciuta anche come Heartbeat Act, è stata firmata lo scorso maggio dal governatore repubblicano Greg Abbott e contribuirà a diminuire ulteriormente e drasticamente le cliniche dove è possibile abortire. Alcune di queste, hanno raccontato di essersi viste costrette a cancellare molti appuntamenti di pazienti che avevano richiesto l’interruzione di gravidanza prima dell’entrata in vigore della legge, e che contavano sul blocco – non avvenuto – da parte della Corte Suprema; altre hanno invece affermato di aver avuto più richieste del solito nei giorni precedenti alla sentenza. Persino alcuni medici hanno preso la decisione di non praticare più l’interruzione di gravidanza, al fine di salvaguardarsi da denunce e cause legali lunghe e costose.

[di Eugenia Greco]

Draghi: “Si a obbligo vaccinale e terza dose”

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Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affrontato il tema dell’obbligo vaccinale e della terza dose rispondendo alle domande dei giornalisti in conferenza stampa. Secondo quanto riportato dall’Agenzia Ansa, al premier è stato chiesto: «Si arriverà all’obbligo vaccinale, in caso di approvazione definitiva dei vaccini, e alla terza dose?». Questioni alle quali Draghi ha risposto senza esitazioni: «Si a entrambe le domande».