venerdì 14 Novembre 2025
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I green pass di migliaia di italiani sono finiti su internet: indaga il Garante

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Migliaia di certificati sanitari appartenenti a cittadini italiani sono disponibili su internet e a disposizione di tutti. Liberamente scaricabili su alcuni tra i principali siti di condivisione dei dati (file sharing) come eMule. Cartelle ordinate per sesso e fascia di età, con i green pass completi e integralmente visualizzabili, con annesse le informazioni sensibili comprese quelle relative alla vaccinazione (con marca, numero di dosi eventualmente ricevute e data di inoculazione). La notizia sulla fuga di dati sui green pass italiani era già nota da settimane, ma ora arriva anche la presa in carico del problema da parte del Garante della Privacy.

L’ente pubblico incaricato di proteggere la riservatezza e i dati degli italiani scrive in un comunicato che “considerata la gravità e la pericolosità di questa illecita diffusione di dati personali particolarmente delicati, è stata avvitata d’urgenza un’indagine per accertare le modalità con le quali questi dati siano finiti in rete e ha dato mandato al Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi tecnologiche della Guardia di Finanza di acquisire gli archivi on line e accertarne la provenienza”.

I green pass disponibili in rete sarebbero circa 1500, non tantissimi in termini assoluti, ma sufficienti per trovare almeno un profilo anagraficamente e geograficamente compatibile per la maggioranza dei cittadini italiani, non a caso su diversi canali Telegram i suddetti green pass sono posti in vendita (anche se appunto sono potenzialmente scaricabili da chiunque gratis e con grande facilità). Sulla vicenda sono stati aperti fascicoli di indagine anche da parte delle Procure di Roma e Milano.

 

Una torre italiana sta dissetando interi villaggi africani

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Si chiama Warka Water ed è una torre in grado di dissetare interi villaggi. Le sue peculiarità? È italiana, è costruita con materiali naturali a basso impatto ambientale – come il bambù, fibre naturali e bioplastica -, ed è in grado di raccogliere 80 litri di acqua al giorno. Oggi la torre è arrivata al suo quarto modello ed è installata in altre parti dell’Africa. Il creatore è l’architetto viterbese Arturo Vittori il quale, dopo un lungo viaggio in Etiopia nel 2013, ha deciso che la sua missione sarebbe stata portare acqua potabile dove, fino a quel momento, non era stato possibile farlo.

Durante la sua permanenza africana, l’inventore italiano si ritrovò davanti alla drammatica situazione in cui vivevano le comunità; lì, vide come donne e bambini facessero tantissimi chilometri per rifornire il villaggio di acqua la quale, però, non era bevibile. Così, due anni dopo, ha progettato la prima Warka Tower a Dorze, comunità rurale nel sud dell’Etiopia. Alta circa 10 metri e pesante 60 kg, la torre è costruita in modo che possa raccogliere sia l’acqua piovana che quella presente nell’atmosfera grazie all’umidità e alla condensa causate dagli sbalzi di temperatura e, per questo, può funzionare anche nel deserto (l’escursione termica). È composta da una rete, una tettoia e una cisterna per la raccolta dell’acqua. Una struttura richiedente una semplice manutenzione  che permette, quindi, agli abitanti del villaggio di gestirla autonomamente.

La torre prende il nome dall’albero di fico “Warka”, molto importante per il popolo etiope perché, sotto alla sua ombra, si raduna in assemblea. E proprio come l’albero, anche la torre svolge una funzione sociale. Grazie, infatti, all’acqua che raccoglie, gli abitanti dei villaggi hanno più tempo da dedicare ad altre attività di gruppo, come la coltivazione di piccoli orti. Dal 2015 il progetto non si è mai fermato e il modello della torre si è evoluta arrivando a contenere anche pannelli solari in grado di produrre energia elettrica.

[di Eugenia Greco]

Sudan, siglato accordo: primo ministro reintegrato

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Nella giornata di ieri l’alto generale sudanese al-Burhan ha firmato un accordo con il primo ministro Hamdok che ne permette la reintegrazione e il ripristino della transizione al governo civile, sotto la supervisione dei militari. L’accordo prevede anche la liberazione di tutti i prigionieri politici e stabilisce che una dichiarazione costituzionale del 2019 sia la base della transizione politica. Diversi gruppi pro-democrazia non hanno riconosciuto la legittimità dell’accordo e chiedono che gli autori del colpo di Stato siano processati, definendo Hamdok ancora un “ostaggio” dei militari. La comunità internazionale ha fortemente criticato il colpo di stato, che ha portato a proteste di massa in tutto il Paese, durante le quali almeno 15 persone sono morte.

È nato Tabloid, il settimanale de L’Indipendente

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Rapido, facile da maneggiare e da diffondere, essenziale nella grafica e nell’impaginazione, dritto al punto nei contenuti. La forma che si fa strumento adatto all’urgenza di quanto c’è da comunicare: la verità sui fatti di pubblico interesse, lontano dalle censure, dagli interessi e dai bizantinismi della stampa istituzionalizzata. Con questo spirito nacquero i giornali in formato Tabloid un paio di secoli fa e fedele a questo spirito originale nasce oggi il settimanale de L’Indipendente. Una differenza però c’è: i Tabloid dell’epoca costavano pochi cent e si trovavano in edicola o dagli strilloni che li vendevano in strada. Questo Tabloid invece non costa nulla ed è distribuito direttamente dai cittadini. È fatto per essere stampato alla meno peggio e diffuso ovunque qualcuno possa fermarsi a leggerlo: sui tavolini del bar, sulle pensiline dei bus, nella sala d’aspetto del dentista e in ogni altro luogo adatto a servire il suo unico scopo, quello di raggiungere più persone possibili, informarle, farle riflettere. Come i giornali clandestini al tempo della carboneria o della Resistenza, quando fare circolare le informazioni non filtrate dal potere era vietato.

Oggi non è vietato, tuttavia la disinformazione regna sovrana sui media. Tv e carta stampata appartengono a un manipolo di milionari, tengono in piedi bilanci in perenne deficit svendendo la propria integrità agli sponsor. Sono megafono e cinghia di trasmissione dell’ideologia dominante. Dalle loro colonne la pluralità dei punti di vista è scomparsa come l’opposizione dal Parlamento. La fiducia dei cittadini nel giornalismo è ai minimi termini e il motivo è semplice: è il giornalismo stesso ad essere sparito dai radar, sacrificato sull’altare della comunicazione istituzionale. L’Indipendente è nato pochi mesi fa come una scommessa, quasi un’utopia: rifondare un nuovo modo di fare giornalismo, coraggioso e insieme ancorato ai principi cardine di una professione ormai svilita eppure essenziale. Una piccola redazione che lavora in remoto sparsa in tutta Italia, messa insieme dalla convinzione che se i problemi del giornalismo sono nelle relazioni troppo strette con il potere economico-politico e nella ricerca affannosa di sponsor, allora bisogna tentare di fare un giornale senza padroni e senza pubblicità. Quindi senza compromessi. Un giornale con il coraggio e la libertà di parlare delle cose realmente importanti – incluse quelle che i media tendono a tacere – e di andare contro le verità di comodo, ma rimanendo rigorosamente ancorato ai fatti, rispolverando alcuni principi persi nell’informazione mordi e fuggi ai tempi di internet: la verifica dei fatti, l’adesione alle fonti, il dovere di rettifica.

Il Tabloid uscirà ogni domenica, scaricabile gratuitamente all’indirizzo internet www.lindipendente.online/tabloid. Ogni numero contiene una selezione degli articoli più interessanti pubblicati durante la settimana sul nostro sito internet. È impaginato in formato PDF ed è ideato appositamente per essere stampato e diffuso su qualsiasi tipo di carta di formato A4, anche in bianco e nero. In questo modo potremo raggiungere, speriamo, molte più persone.

USA, SUV contro folla ai mercatini di Natale: almeno 5 vittime

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Un SUV che guidava ad alta velocità ha travolto un corteo natalizio nel centro di Waukesha, comunità di 72 mila persone nel Wisconsin (Stati Uniti), uccidendo 5 persone e ferendone almeno 40 e dandosi poi alla fuga. Il bilancio delle vittime, tra cui vi sono diversi bambini, potrebbe aggravarsi nelle prossime ore. Il capo della Polizia della città ha fatto sapere di aver recuperato il veicolo e di avere in custodia una persona che verrà interrogata, ma non si è ancora certi del movente alla base della strage, né se si tratti di un attacco terroristico.

L’Italia ha finalmente soldi per riformare il carcere, ma rischia di sprecarli

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carcere

Con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) si prevede una somma cospicua per il carcere; 132,9 milioni di euro da utilizzare tra il 2022 e il 2026. I fondi saranno utilizzati con il fine di costruire e migliorare “padiglioni e spazi per le strutture”. Se è vero che la costruzione di una società senza criminalità inizia dietro le sbarre, è essenziale che gli investimenti previsti vadano verso la giusta direzione. Tuttavia i dubbi in merito sono molti, specie da parte dei tanti studiosi convinti che la rieducazione sociale passi una serie di risposte decisamente più complesse dell'ave...

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Roma: grande manifestazione contro il Green Pass

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Una manifestazione molto partecipata contro il Green Pass si sta tenendo presso il Circo Massimo, a Roma. Secondo le stime delle autorità – notoriamente al ribasso – al momento le persone presenti al sit-in sarebbero circa 3000. Queste ultime, hanno cantato cori come «libertà, libertà» e «la gente come noi non molla mai».

 

Basta bugie e diffamazioni: il movimento No Tav querela il direttore di Repubblica

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Oltre 150 No Tav hanno depositato le «prime querele contro Maurizio Molinari, direttore de la Repubblica»: lo si apprende dal sito Notav.info, all’interno del quale si legge che venerdì 19 novembre gli attivisti si sono ritrovati per tale motivo «davanti al Tribunale di Torino e alla Caserma dei Carabinieri di Susa». La scelta di querelare Molinari si basa sulle dichiarazioni rilasciate da quest’ultimo lo scorso 10 ottobre durante la trasmissione Rai “Mezz’ora in più”, che sono state ritenute dai No Tav «diffamatorie» nei loro confronti.

«I No Tav sono un’organizzazione violenta, quanto resta del terrorismo italiano degli anni ’70. Aggrediscono sistematicamente le istituzioni, la polizia, anche i giornali. Minacciano i giornalisti a Torino e la cosa forse più grave è che sono in gran parte italiani che si nutrono anche di volontari che arrivano da Grecia, Germania ed a volte dalla Francia». Sono queste le affermazioni che i No Tav contestano a Molinari, il quale ha aggiunto che «per un torinese No Tav significa sicuramente terrorista metropolitano» e che «la cosa più grave nei confronti dei No Tav è che siccome si avvolgono di una motivazione ambientalista, quando questa motivazione viene legittimata loro reclutano, con una dinamica che ci riporta davvero agli anni ’70».

Secondo i No Tav, però, «applicare l’etichetta di terrorismo ad un movimento sociale da tanti anni insediato sul territorio della Val di Susa e radicato in una vasta comunità di cittadini, non solo valsusini, vuol dire proporre una equiparazione non solo falsa e incongrua, ma altamente diffamatoria sia nei confronti dell’intero movimento No Tav che nei confronti dei singoli che ne sono parte». Gli attivisti quindi ritengono che Molinari abbia utilizzato «espressioni pretestuosamente denigratorie e gratuitamente offensive intese a screditare l’avversario politico».

In tal senso, i No Tav ricordano di essere «persone comuni» e «sicuramente non terroristi», come dimostrato anche dal fatto che «nell’unico caso in cui in un “processo No Tav”, per uno specifico fatto accaduto al cantiere di Chiomonte, è stata contestata a 4 imputati la finalità di terrorismo, tale ipotesi abbia ricevuto ripetute e sonore smentite da parte dell’autorità giudiziaria». Per tutti questi motivi, dunque, gli attivisti hanno querelato il direttore del quotidiano la Repubblica, ribadendo di non avere intenzione di lasciarsi intimidire «dalle dichiarazioni di uno dei tanti giornalisti che da sempre sono dichiaratamente Si Tav e che puntualmente si ritrovano a parlare (a sproposito) della lotta dei No Tav».

[di Raffaele De Luca]

Sudan, proteste anti golpe: sale a 40 bilancio dei morti

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Da quando, il mese scorso, i militari hanno preso il controllo del Sudan, è salito ad almeno 40 il bilancio dei manifestanti che hanno perso la vita durante le proteste anti colpo di Stato all’interno del Paese. A riferirlo è stato il Comitato centrale indipendente dei medici del Sudan, il quale nella giornata di oggi ha comunicato che le vittime sono arrivate ad essere 40 in seguito al decesso di un 16enne che mercoledì scorso era rimasto gravemente ferito durante le proteste. Quel giorno, infatti, è stato il più sanguinoso da quando sono iniziate le manifestazioni e 16 persone hanno perso la vita.

L’emergenza climatica nel disegno delle élite globali

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In un mondo in cui la pubblicità la fa da padrone, l’immagine è tutto. Oggigiorno il marketing è immanente e comprende ogni aspetto della vita. Come comprensibile che sia, il settore economico è re e alfiere della pubblicità ma anche la politica è oggi qualcosa di molto simile ad una permanente campagna pubblicitaria che si combatte a colpi di slogan e cinguettii. Alcuni movimenti ambientalisti sono stati inglobati in questo tipo di comunicazione ad effetto, facendo calare sulla società le ombre della manipolazione, con il risultato che la questione ecologica venga da molti vista non come un vero problema ma accostata a qualcosa di sospetto. Come se fosse l’ultima emergenza fittizia inventata dalle élite e propinata al “popolo bue” per imporre i propri disegni egemonici. Di fondamentale importanza è coltivare il dubbio, che deve però essere sviscerato con discernimento rispetto alla complessità di domande che si rivolgono al tema, direttamente e indirettamente, avendo chiara la varia collocazione dei punti che compongono la costellazione del problema indagato.

Ecologia, potere e marketing

Risulta quindi chiaro che l’aspetto ecologico, interdipendente a quello sociale, è una questione problematica da affrontare nel discernimento della complessità. Sotto gli occhi di tutti è il degrado ecologico degli ambienti naturali con inquinamento pesante di acqua, terra e aria. Al di là della “questione climatica”, la distruzione degli ecosistemi è innegabile. Allo stesso tempo, proprio perché non dobbiamo dividere il mondo in bianco e nero o ridurre tutto ad un codice binario di zero e di uno, non si può che comprendere gli enormi dubbi che le persone si pongono su mirabolanti progetti, promesse utopiche, approcci paternalistici e forzature di linguaggio. A maggior ragione quando il “cambiamento” dovrebbe essere portato da chi la situazione da cambiare l’ha creata: in altre parole, quando la soluzione al problema viene proposta proprio da chi questo problema lo ha generato. Risulta quindi lecito coltivare dubbi e resistenze rispetto alla narrazione di coloro che adesso sostengono lo “sviluppo sostenibile” ma che hanno guidato il mondo insostenibile fatto di sfruttamento della natura e dell’uomo, da cui hanno tratto immensi profitti. Quindi, perché il potere capitalistico, dopo anni di negazionismo e ostracismo, ora “picchia” così costantemente sullo “sviluppo sostenibile” affinché si risolvano i problemi ecologici?

Dagli anni Ottanta le pratiche di greenwashing sono diventate man mano sempre più diffuse e si sono avvalse delle tecniche di marketing più all’avanguardia, sostenute da montagne di soldi. Oggi, il greenwashing – ovvero l’attuare strategie di comunicazione e marketing per presentare come falsamente ecosostenibili ed attente all’ambiente le proprie attività – sembra essere diventato endemico nel mercato capitalistico che cerca di rivoluzionarsi nel tentativo di cambiare tutto affinché niente cambi. Tradotto: stravolgere la società umana al fine di mantenere chi detiene le leve del potere ai posti di comando. Il “lavaggio verde” non è più rivolto a singole cause e questioni bensì è legato indissolubilmente all’ideologia dominante capitalista, dall’economia reale alla finanza, di cui è massima espressione il World Economic Forum, ovvero il consesso mondiale delle grandi multinazionali. La pratica delle “menzogne verdi” oggi non coinvolge più solo le grandi aziende, ma è divenuta pratica usuale dei governi stessi, a partire da quello italiano guidato dall’ex banchiere Mario Draghi, che anche su questo tema si sta dimostrando un laboratorio d’avanguardia.

Nuova energia stesso sistema

Le multinazionali impegnate nel settore delle risorse fossili sono quelle che applicano il greenwashing in maniera più sfacciata e palese rispetto ad ogni altro settore; d’altronde fu proprio tale settore produttivo dell’economia capitalista che per primo sentì la necessità di dare all’opinione pubblica una diversa immagine del proprio operato. Il settore energetico è quello che in maniera più evidente è sottoposto alla narrazione dello “sviluppo sostenibile” e, così, la “transizione energetica” sembra essere al centro dell’attenzione dell’intera azione riguardo ciò che viene definito “cambiamento climatico” ma che in maniera più verosimile è degrado ecologico e sociale. Perché questo? L’energia è alla base di tutto e fa muovere il tutto, compresa la nostra società. Controllare il settore energetico appare dunque strategico per controllare ampie parti della società nel suo complesso. Appreso questo è facile comprendere come il potenziale di cambiamento che la transizione energetica porta con sé non è solo ecologico, bensì politico. A differenza degli impianti che utilizzano risorse fossili per la produzione di energia, i quali necessitano di ingenti capitali che concentrano il potere nelle mani di pochi, le energie rinnovabili permetterebbero, con la loro diffusione, il decentramento energetico e la democratizzazione energetica. Ma la logica che si vuol applicare all’energia rinnovabile è la medesima: il concentramento energetico, quindi economico, politico e sociale. Sembrerebbe quindi che la “crisi climatica” sia tutta da ascrivere al tipo di energia utilizzata – e di CO2 prodotta – per spingere avanti l’enorme macchina del mercato capitalista globale. In sostanza, si vorrebbe mettere il catalizzatore all’economia della competizione e dello sfruttamento. Tutto deve cambiare affinché niente cambi davvero, ignorando il reale degrado ecologico mondiale prodotto dal sistema produttivo e distributivo di tipo capitalistico il quale produce  – specialmente con la massiccia componente tecno-digitale – anche la degradazione dell’uomo e del sociale.

Ecologia, finanza e nuova umanità

Come spiegato nel Monthly Report di agosto, nell’approfondimento “Big Three”: i fondi d’investimento che comandano il mondo, in cui vi avevamo parlato del posto di primo rilievo che la finanza ha, e in particolare i fondi d’investimento (alcuni in particolare), nella gestione del potere globale, il settore finanziario pone il proprio peso anche nella questione ecologica tanto nelle sue cause e problematiche quanto nelle soluzioni offerte alle stesse. Da dieci anni a questa parte, abbiamo potuto vedere l’esplosione dei titoli azionari ESG (Environmental, social, governance) che indicano titoli d’investimento che operano in maniera virtuosa nei confronti dell’ambiente, nel sociale e nella governance. L’analista finanziario Roman Gaus, scagliandosi contro il greenwashing, ha recentemente affermato: «L’investimento sostenibile non è mai stato completamente definito. Gli approcci ESG e di investimento sostenibile come le tematiche sostenibili, le basse emissioni di carbonio o gli investimenti a impatto variano in modo significativo in termini di qualità e sostanza, creando la falsa interpretazione che siano ugualmente sostenibili. Prendiamo l’allineamento climatico, ad esempio uno studio EDHEC ha rivelato che quando si confronta un fondo etichettato come “verde” con un fondo di investimento convenzionale, i pesi delle azioni sono diversi solo del 12%, mentre il restante 88% è lo stesso».

E poi dovremmo chiederci: chi, e sulla base di cosa, decide quando un titolo (quindi, un’azienda) sia virtuoso? Persino Steven Maijoor, Presidente dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), già lo scorso anno si è interrogato su questo aspetto, chiedendo che l’UE intervenga sulla questione. Recentemente, 57 organizzazioni – che gestiscono 8,5 mila miliardi di euro di attività – hanno pubblicato una lettera aperta in cui si chiede che vengano adottati dei criteri standard globali per i titoli ESG. Queste organizzazioni sostengono, in materia finanziaria, l’operato della Fondazione IFRS sul lancio dell’International Sustainability Standards Board (ISSB). In aperta adesione al Green Deal europeo, tali soggetti spronano la Commissione europea ad unirsi alla loro “missione”. Tra i firmatari della lettera troviamo soggetti come Eni, Enel, Leonardo, Snam, Deutsche Bank, Allianz, Total Energies, ABN AMRO, HEINEKEN e altri. La lettera è inoltre sostenuta dal World Economic Forum (WEF), dall’European Round Table for Industry, dal Value Balancing Alliance e dal World Business Council for Sustainable Development (trovate la lettera completa sul sito del WEF).

Greenpeace ha recentemente definito “lavaggio verde” il sistema delle compensazioni di carbonio e la questione climatica sembra essere tornata in cima alla classifica delle preoccupazioni umane, scalzando la pandemia. E c’è chi sembra voler accostare e intersecare la crisi climatica con quella pandemica, volendo affrontare le due problematiche con narrazioni e strumenti simili tra loro, quando non addirittura interdipendenti: questo qualcuno si chiama ancora World Economic Forum.

Le grandi manovre in corso alla COP26

Al G20 tenutosi a Roma, si è parlato di clima ma anche di Covid-19 e vaccini. In tale occasione, il nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha affermato: «Abbiamo intensificato i legami tra finanza e salute anche perché è necessario per prevenire le epidemie, le nuove pandemie e soprattutto, in generale, per assicurarci una preparazione ai prossimi, purtroppo inevitabili, drammi sanitari».

Pochi giorni dopo l’evento internazionale svoltosi nel Bel Paese, si è aperto un altro consesso mondiale, a Glasgow, Scozia, specificamente rivolto alle tematiche ambientali: la CoP26, conferenza delle Nazioni Unite sul clima. In questa occasione Mario Draghi è intervenuto dicendo che «i soldi non sono un problema» e che il settore privato dovrà essere sostenuto dal quello pubblico; tradotto: una marea di soldi dei cittadini in favore di banche e multinazionali, allo scopo dichiarato di «condividere con il settore privato i rischi che quest’ultimo non può sopportare». Insomma le possibili perdite vanno socializzate mentre i profitti rimarranno in poche mani: un mantra del neoliberismo.

Accettare la sfida, pretendere la verità

Draghi, in una specie di monito finale, ha altresì avvertito che il cambiamento climatico «ha anche ripercussioni serie sulla pace e la sicurezza globali». Tant’è che nel discorso di apertura dell’evento, il Principe Carlo – erede al trono britannico – ha detto: «Il mondo deve mettersi in una disposizione di spirito bellica, da ultima spiaggia, di fronte alla sfida dei cambiamenti climatici che incombono sul pianeta. Dobbiamo metterci sul piede di guerra». E come la pandemia è stata più volte accostata ad una guerra – con congrui atti legislativi e amministrativi – anche la questione climatica inizia ad assumere una disposizione bellica. E lo stato di guerra, dichiarato formalmente o meno, come abbiamo già visto, implica leggi e società di guerra. Insomma, se è vero (e lo è) che l’emergenza ecologica è grave e reale, altrettanto vero è che i soliti hanno già apparecchiato la tavola per trasformare l’emergenza in un’abbuffata senza precedenti. In apertura del pezzo si parlava dell’importanza di discernere e comprendere la complessità dei fatti. In questo caso la soluzione non è negare l’emergenza in sé, ma contrastare il modo in cui l’élite politico-finanziaria globalista intende risolverla.

[di Michele Manfrin]