mercoledì 12 Novembre 2025
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A Roma il convegno del CTS indipendente: da quello governativo nessuna risposta

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A Roma, precisamente presso l’Hotel Nazionale situato a Piazza Monte Citorio, si sta tenendo un convegno denominato “Pandemia, invito al Confronto”: si tratta di due giorni di dibattito scientifico a cui stanno partecipando decine di ricercatori e medici che nutrono dubbi sulla gestione governativa della pandemia e su molte tesi sostenute dal Comitato tecnico scientifico (CTS), il gruppo di esperti del governo che fornisce consulenza in ottica emergenza Covid. Proprio i membri del CTS e quelli del governo sono stati invitati al convegno degli organizzatori – il “Coordinamento 15 ottobre” e l’associazione “ContiamoCi!” – con l’intento di dare vita ad un dibattito franco basato sui dati scientifici e privo delle limitazioni dei talk show, ma a tale proposta non ha fatto seguito alcuna risposta.

Tra i medici presenti al convegno vi sono quelli della CMS (Commissione Medico Scientifica), una sorta di CTS indipendente nato proprio grazie alla volontà delle associazioni organizzatrici e composto da ricercatori e professori universitari. Tali esperti nutrono alcuni dubbi sulla campagna vaccinale ed in generale sulle linee politico-scientifiche adottate durante l’emergenza pandemica, e da tempo chiedono a Governo e CTS una riunione scientifica e istituzionale, pensata per porre domande ed ottenere risposte basate sui dati. Gli organizzatori, convocando il convegno a pochi passi dai palazzi istituzionali, avevano cercato di porre un ulteriore assist per la partecipazione dei tecnici di governo, ma questo non è servito. Da annotare è ad ogni modo il significativo successo di pubblico che il convegno ha fatto registrare, con 258 mila spettatori che hanno assistito solo alla prima parte del dibattito su YouTube.

Già in passato la CMS aveva chiesto un incontro istituzionale agli esperti del governo con il fine di porre domande ed ottenere risposte basate sui dati scientifici, tuttavia anche in quel caso ai membri della CMS non era arrivata alcuna risposta. Un silenzio al quale i membri del comitato “alternativo” chiedono di porre fine, fosse solo per smentire – studi alla mano – i dubbi che una parte della comunità scientifica nutre sulla gestione pandemica e sulla campagna vaccinale.

Le tematiche sulle quali la Commissione alternativa continua a chiedere un dibattito scientifico franco sono principalmente le seguenti: andamenti della mortalità totale 2021 contro quella 2020 e precedenti; mortalità totale negli studi di controllo randomizzato con vaccini a mRNA; dati precisi sulla prevenzione dell’infezione da parte dei vaccini anti-Sars-CoV-2; opportunità della vaccinazione in età pediatrica; rischi relativi di infezione per la comunità causati da bambini e adulti non vaccinati; sorveglianza attiva vs sorveglianza passiva e nesso di causalità nella stima degli eventi e delle reazioni avverse e relative implicazioni.

[di Raffaele De Luca]

Draghi al Quirinale, il semi-presidenzialismo e l’Italia a democrazia limitata

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Dopo l’approvazione della Legge di Bilancio, il Parlamento si prepara ad un grande appuntamento: l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Il Parlamento è già stato convocato per il 24 gennaio, ore 15, quando si aprirà il “conclave” per l’elezione del successore di Sergio Mattarella. In ballo, neanche a dirlo, c’è la sopravvivenza del Governo guidato da Mario Draghi, il grande favorito per salire al Colle.

Tra le righe di una delicata e complessa battaglia politica, si staglia però un evidente pericolo, nutrito giorno dopo giorno da segnali preoccupanti, che riguarda specificamente lo stato di salute della democrazia italiana.

“Mario Draghi potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale – ha dichiarato il Ministro leghista dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti a Bruno Vespa nel suo ultimo libro, uscito lo scorso Novembre – Sarebbe un semipresidenzialismo de facto, in cui il Presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole”. Secondo Giorgetti, sarebbe dunque cosa buona e giusta bypassare il dettato costituzionale, consegnando lo scettro di un Paese in ginocchio ad un uomo che, una volta ‘impacchettato’ ed inviato al Colle da una politica subordinata alle sue ambizioni, andrebbe a rivestire non il ruolo di garante della Costituzione, ma di grande dominus. In qualsiasi altro Paese democratico, dichiarazioni di questo tipo avrebbero probabilmente scatenato una sacrosanta e durissima reazione da parte del mondo dell’informazione che conta. Invece, il “quarto potere” preferisce tacere e ancora più frequentemente acconsentire.

L’uomo della provvidenza, il grande manager che non si cura delle quisquilie della politica per dettare le sue regole e ottenerne la ratifica, sembra potersi permettere proprio tutto. Basti pensare al primato raggiunto dall’attuale Esecutivo guidato da Draghi: aver allineato una mole di 35 voti di fiducia in nemmeno un anno di vita, con una media di 3,2 al mese, battendo addirittura il Governo di un altro ex banchiere divenuto Premier, Mario Monti. L’ultima è arrivata proprio in occasione del via libera alla nuova Legge di Bilancio, approvata dalla Camera il 30 Dicembre con margini di discussione sostanzialmente azzerati. Addirittura, tre giorni prima la Commissione Finanze si era rifiutata di esprimere un parere sul provvedimento: le erano state concesse solo 3 ore per il suo esame. 

Intanto, in occasione della conferenza di fine anno del 22 Dicembre, Draghi ha fatto chiaramente intendere di ambire al Colle. Sommerso dagli scroscianti applausi dei giornalisti in sala, per farlo ha sfruttato i più elementari escamotage della comunicazione archetipica, definendosi “un nonno al servizio delle istituzioni”, cercando di offrire di sé un’immagine di attempato e sapiente servitore dello Stato, di uomo dolce e riflessivo che sceglie di piegare le sue prospettive carrieristiche al bene collettivo. Proprio quando la narrazione costruita ad arte dal potere fa a botte con la realtà, sarebbe compito dei corpi intermedi, in primis dei partiti e degli organi di informazione, quello di risvegliare un’opinione pubblica sopita e pretendere il rispetto del buon senso e della verità. 

Se guardiamo alle opzioni in campo nella corsa al Colle, la sfida appare complicata. Difficile prendere in considerazione la possibilità che, dopo un’eventuale mancata elezione di Draghi a PDR, l’attuale Esecutivo possa proseguire serenamente la sua azione: la figura del Premier risulterebbe ‘azzoppata’ dallo stesso Parlamento che sta reggendo le sorti della compagine governativa; l’ipotesi della rielezione di Mattarella, caldeggiata da parte di un Pd in forte difficoltà sulle strategie da praticare, è stata più volte smentita dal diretto interessato; le elezioni anticipate, anche in caso di mancata elezione di Draghi al Colle, sono il grande obiettivo di Fratelli d’Italia, l’unica forza politica che ha moltiplicato i suoi consensi, mentre tutti gli altri partiti sono contrari: a causa della legge sul taglio dei parlamentari, che diventerà effettiva in occasione della formazione del prossimo Parlamento, essi subirebbero un forte ridimensionamento numerico, non potendo garantire la rielezione a tantissimi dei loro parlamentari. 

Ecco che lo scenario al momento più probabile e, allo stesso tempo, più preoccupante, è proprio l’elezione di Draghi a nuovo PDR e la parallela salita a Palazzo Chigi di una sua pedina. L’obiettivo sotteso? Quello di instaurare proprio quel “semipresidenzialismo de facto” ventilato da Giorgetti, quella “democrazia limitata” che, con la scusa della crisi (economica prima, pandemica poi), il trasversale partito degli affari si è continuamente e subdolamente dato come bussola. In seguito alla sonora bocciatura da parte del popolo italiano della riforma costituzionale renziana del 2016, che delineava uno spaccato istituzionale ‘governo-centrico’, e ai risultati delle elezioni del 2018, che inflissero un durissimo colpo all’establishment finanziario e politico italiano, tutto sembrava essere cambiato. Invece, il vento caldo e rassicurante della restaurazione è tornato a soffiare più forte di prima.

[di Stefano Baudino]

 

 

Antitrust: ridotte sanzioni ad Apple e Amazon

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L’Antitrust ha ridotto le sanzioni comminate lo scorso mese di novembre ad Apple e Amazon rispettivamente di 20 e 10 milioni di euro. Le multe, applicate per un’intesa restrittiva della concorrenza, ammontavano originariamente a 134,5 milioni di euro per Apple ed a 68,7 per Amazon e sono state adesso riconsiderate per «un errore materiale». Inoltre, l’ Antitrust ha anche modificato il termine per il pagamento delle sanzioni amministrative, portando la scadenza da 30 a 90 giorni dalla notificazione del provvedimento.

EX ILVA: Il governo regala all’azienda i fondi per la bonifica di Taranto

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Una norma inserita dal Governo Draghi nel Decreto Milleproroghe 2022 ha destinato le rimanenze dei fondi sequestrati alla famiglia Riva, ex proprietari ed amministratori dell’Ilva, ad Acciaierie d’Italia per la costruzione di impianti “ecocompatibili”. Si tratta di più di mezzo miliardo di euro, originariamente destinati alla bonifica delle aree di Taranto inquinate e gravemente compromesse dai rifiuti prodotti dallo stabilimento, che ora vedrà uno stop obbligato e il passaggio dei fondi alla produzione industriale.

Un punto a favore dell’ex Ilva il Governo Draghi lo aveva già segnato nel giugno 2021, quando aveva appoggiato il ricorso dell’azienda contro la decisione del Tar di Lecce di chiudere sei degli impianti produttivi a causa della “situazione di grave pericolo per la salute dei cittadini”. Ora, con la norma inserita nel Milleproroghe 2022, ciò che rimane dei soldi sequestrati alla famiglia Riva verrà destinato alla costruzione di “nuovi impianti “diversamente inquinanti” e inseguire la fuffa della ecocompatibilità dell’industria”, come dichiara il deputato Giovanni Vianello (Alternativa) in un comunicato.

L’ammontare della cifra sequestrata alla famiglia Riva dalla Guardia di Finanza, nell’ambito dell’inchiesta iniziata nel 2012 per le gravi violazioni ambientali che avevano causato la morte di 11550 persone in 7 anni, si aggirava intorno a 1.3 miliardi di euro. Tale cifra era stata destinata ad operazioni di risanamento del territorio industriale tarantino: in particolare, parte della somma era stata fatta confluire nel Patrimonio Destinato ai Commissari Ilva in Amministrazione Straordinaria, che avrebbero dovuto occuparsi della bonifica delle zone fortemente compromesse dallo scarico dei rifiuti dell’acciaieria. Parte delle zona di proprietà dell’ex Ilva è infatti talmente inquinata che ArcelorMittal, nello stipulare gli accordi con lo Stato per la formazione della Acciaierie d’Italia s.p.a. (compagine che gestirà lo stabilimento, a partecipazione di Mittal e Invitalia, quest’ultima di proprietà del Ministero dell’Economia e della Finanza) non le ha volute includere nell’accordo.

Per fare un esempio, nella sola zona della Gravina di Leucaspide sono stati rinvenuti 5 milioni di metri cubi di rifiuti industriali tossici, suddivisi in otto collinette di più di trenta metri di altezza ciascuna, depositati tra il 1995 e il 2012. La zona, di 530 mila metri quadrati, è stata posta sotto sequestro nel 2018 in seguito alla contestazione di reati quali disastro ambientale, discarica abusiva, omessa bonifica, getto pericoloso di cose, danneggiamento aggravato, deturpamento e distruzione di bellezze ambientali e deviazione delle acque. L’area si trova ancora sotto sequestro, ma a causa del trasferimento dei fondi voluto col Milleproroghe le operazioni in quest’area rischiano di fermarsi in maniera definitiva.

L’eventualità più probabile, spiega Vianello a L’Indipendente, è che ai commissari vengano lasciati circa 100 milioni di euro dei quasi 600 milioni ancora rimanenti, per completare la rimozione di 480 mila tonnellate di fanghi tossici che giacciono al confine dello stabilimento e devono essere smaltiti. Il resto verrà affidato ad Acciaierie d’Italia, «per costruire nuovi impianti di cui oggi non è pubblico il piano industriale e nemmeno sono state fatte Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) o le Autorizzazioni di Impatto Ambientale (AIA)», ma che vengono comunque definiti “ecocompatibili”. «Questo tipo di misura, ovvero togliere soldi dalle bonifiche per darli ad Acciaierie d’Italia, può essere considerato aiuto di Stato, motivo per cui l’operazione si farà previo rilascio del consenso da parte della Commissione Europea per la normativa sugli aiuti di Stato» spiega inoltre Vianello.

«A Taranto da vent’anni noi vediamo soldi pubblici buttati in questa maniera: deroghe, immunità penali, normative ambientali che vengono completamente ignorate» dichiara Vianello. «L’area a caldo dell’Ilva di Taranto è sotto sequestro perchè, a quanto stabilito dalla Procura di Taranto, crea eventi di malattia e morte soprattutto in età pediatrica. La storia dell’ecocompatibilità a Taranto la si sente da tempo, perchè sono vent’anni che vengono fatte norme in questo senso che dicono sempre le stesse cose. Nel caso dell’area a caldo dell’Ilva, la Procura non ne dava la facoltà d’uso, ma con il primo “decreto salva Ilva” è stato invece concesso. Dal 2012 ad oggi non è cambiato nulla».

[di Valeria Casolaro]

 

Cybercrime: oltre 5400 attacchi informatici nel 2021

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Nel 2021 il Cnaipic, ossia il Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche della Polizia postale, ha gestito 5.434 attacchi significativi nei confronti di servizi informatici relativi a sistemi istituzionali, infrastrutture critiche informatizzate di interesse nazionale, grandi imprese ed infrastrutture sensibili di interesse regionale. È quanto si evince dal report relativo all’attività della Polizia postale nei confronti del settore della cybersicurezza, dal quale emergono anche 110.524 alert di sicurezza riferibili a minacce per i sistemi informatici e telematici oggetto di tutela del Centro.

 

Gas e nucleare nella tassonomia verde Ue, la strada è segnata

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Come previsto, l’Unione europea è prossima a riconoscere il gas naturale e l’energia nucleare come fonti ‘pulite’ finanziabili in quanto utili alla transizione. Dopo varie indiscrezioni, la conferma verrebbe da una bozza circolata in Commissione Ue. Come ha segnalato Bloomberg, il testo prevede infatti l’inserimento delle due fonti energetiche nella tassonomia ‘verde’ dell’Ue a certe condizioni. Tuttavia, se confermata, sarà applicabile anche a strutture che potranno iniziare a essere costruite nel 2045. Come nel caso dei progetti nucleari ammissibili agli investimenti privati, purché prevedano piani per la gestione delle scorie radioattive e la disattivazione. Saranno accolti anche i progetti di gas con autorizzazioni rilasciate fino al 2030, a condizione che emettano meno di 270 g CO₂e/kWh. Immediata e dura l’opposizione di chi da subito si è detto contrario alla misura ma, nei fatti, la strada appare già segnata. Tra le principali reazioni di dissenso, a livello politico, degne di nota le severe accuse di greenwashing da parte del Ministro dell’economia tedesco e leader dei Verdi, Robert Habeck. Ciononostante, il governo Scholz non chiederà modifiche sostanziali alla bozza di Bruxelles e si asterrà nell’imminente voto al Consiglio sulla classificazione europea delle fonti sostenibili.

Nel complesso, sulla questione – rende noto il The Guardian – l’europarlamento resta diviso, anche se non esattamente a metà. Il fronte del No, alla luce della ritirata della Germania, può contare solo su Austria, Spagna e Lussemburgo. L’Italia, invece, resta in una sorta di posizione di silenzio assenso, sebbene la recente politica ambientale di Roberto Cingolani lasci intendere una propensione all’accogliere la bozza così com’è. Concretamente, allo stato attuale – come ha annunciato la ministra federale austriaca per il Clima, l’ambiente e l’energia, Leonore Gewessler – solo l’Austria appare determinata a fare ricorso. Vien da sé che, ormai, la decisione, salvo particolari colpi di scena, è quantomeno ad un passo dall’essere presa: il gas fossile sarà riconosciuto dall’Ue come fonte energetica di transizione e l’atomo come energia ‘verde’.

Il tutto poi senza un confronto aperto e senza la partecipazione attiva al processo decisionale di tutti i soggetti interessati. «Dopo la diffusione, in via riservata, del piano che classificherebbe gli investimenti su gas e nucleare come “sostenibili”, «la Commissione Ue – ha denunciato il Wwf European Policy Officenon terrà una consultazione pubblica sul tema, nonostante lo abbia fatto tre volte per il capitolo che riguardava le energie rinnovabili». Senza mezzi termini, poi, il parere della direttrice dell’Eu programme di Greenpeace, Magda Stoczkiewicz, secondo la quale la nuova tassonomia della Commissione diverrebbe una licenza per il greenwashing. «Le aziende inquinanti – ha dichiarato – saranno liete di avere il sigillo di approvazione dell’Ue per attirare denaro e continuare a distruggere il pianeta bruciando gas fossili e producendo rifiuti radioattivi. La promozione di queste forme di energia tossiche e costose per i decenni a venire rappresenta una minaccia reale per la transizione energetica dell’Europa. La Commissione ha dimostrato uno scioccante disprezzo per la crisi climatica, la natura e i cittadini europei».

[di Simone Valeri]

In Italia cresce solo la spesa militare: altri 5 decreti portano al record

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Anche se la pandemia avrebbe dovuto insegnare a chi governa un Paese a distribuire la maggior parte delle risorse economiche in settori come la scuola o la sanità, il settore di spesa che in Italia continua ad aumentare senza sosta è quello militare. Stando alle stime offerte dall’Osservatorio Milex, nel 2022 il ministero della Difesa avrà a disposizione 25,8 miliardi di euro. Un +5,4% rispetto al 2021, equivalente ad un aumento di 1,3 miliardi di euro. Gli ultimi cinque decreti il ministro li ha fatti trovare al Parlamento appena prima di Natale, e come previsto sono stati prontamente approvati da un Parlamento divenuto ormai mero esecutore delle proposte governative. Tra i capitoli di spesa: nuovi proiettili di precisione per i cannoni semoventi dell’Esercito, un avamposto di comando per le missioni all’estero dell’Aeronautica e una piattaforma di addestramento per gli incursori della Marina.

È vero che negli ultimi due anni legati al Coronavirus l’esercito ha avuto il suo da fare per la distribuzione dei vaccini, ad esempio, o per altre misure straordinarie. Ma l’aumento del budget in realtà non è collegato a questo. Sono i piani militari veri e propri a costare: ne sono nati altri 23, per un totale di 12 miliardi di euro. Per non parlare, poi, delle armi. Proiettili di precisione o piattaforme di addestramento altamente specializzate. L’incremento complessivo dei fondi destinati alla Difesa dipende anche da questo.

Secondo l’Osservatorio, dei 1.352 milioni di aumento di spesa, un miliardo sarà utilizzato per l’acquisto di nuovi armamenti. Un +13,8% rispetto al 2021, considerando che in tutto i miliardi impiegati nel settore saranno 8,27. Un aumento verificatosi gradualmente negli anni, ma che continua a crescere. C’è stato infatti un +73,6% negli ultimi tre anni. E nello specifico: +3,512 miliardi rispetto ai 4,767 miliardi del 2019.

Alla fine dei conti, sommando i costi proveniente dai vari settori, la spesa militare supera quella del ministero della Difesa. Come mai? Perché comprende spese che si trovano in altri ministeri. Ad esempio il fondo per le Missioni militari all’estero rientra in quello dell’Economia e Finanze, i fondi per acquisizione e sviluppo di sistemi d’arma in quello dello Sviluppo Economico. Fino ad arrivare a quei 25,8 miliardi riportati all’inizio dell’articolo, e che comprendono anche parte del costo delle basi statunitensi, gli ammortamenti dei mutui sulla spesa per armamenti del Mise e le pensioni militari.

In una conferenza stampa tenutasi a settembre del 2021, Draghi aveva detto che “Ci dobbiamo dotare di una difesa molto più significativa e bisognerà spendere molto di più nella difesa di quanto fatto finora, perché le coperture internazionali di cui eravamo certi si sono dimostrate meno interessate nei confronti dell’Europa”.

All’Italia serve davvero tutta questa “preparazione” militare? Molto probabilmente i veri nemici, ad oggi, non indossano un elmetto e non imbracciano un fucile. Ci troviamo a combattere contro marginalità sociale, crisi climatica, disoccupazione. È loro che dobbiamo temere.

[di Gloria Ferrari]

Cina, a Xi’an si ricorre al baratto in seguito al lockdown

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Nella città di Xi’an, capoluogo della regione cinese dello Shaanxi, diversi tra i residenti sono stati costretti a ricorrere al baratto tra famiglie residenti nel medesimo edificio a causa della carenza di cibo. Questi si troverebbero infatti in isolamento nelle proprie abitazioni a causa del dilagare dei contagi da Covid 19, senza la possibilità di uscire per comprare da mangiare. Secondo quanto riportato dalla Bbc, le autorità cinesi avrebbero distribuito cibo gratuitamente, ma le scorte si starebbero esaurendo. Sono 13 milioni le persone confinate in casa dal 23 dicembre, dopo che Xi’an è diventata l’epicentro della nuova ondata di contagi. In tutta la regione sono state messe in atto misure di contenimento del Covid sempre più restrittive, soprattutto in vista delle Olimpiadi invernali di Pechino che si terranno il mese prossimo.

I ghiacciai in Himalaya si stanno sciogliendo troppo velocemente

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Secondo quanto emerge da una nuova ricerca, lo scioglimento dei ghiacciai della catena montuosa dell’Asia meridionale, l’Himalaya, sta avvenendo in maniera spaventosamente “eccezionale”. Rispetto ai ghiacciai in altre parti del mondo, anch’essi in fasi preoccupanti, i ghiacciai himalayani si stanno riducendo molto più velocemente. Lo studio condotto dall’Università di Leeds e pubblicato su Scientific Reports riporta quanto negli ultimi decenni, il ghiaccio si sia sciolto dieci volte più velocemente rispetto alla media dall’ultima grande espansione dei ghiacciai, nota come Piccola era glaciale (PEG) che ha avuto luogo circa 400-700 anni. Le dimensioni e le superfici di ghiaccio hanno perso circa il 40 per cento della loro area, passando da 28.000 chilometri quadri a circa 19.600 chilometri quadri. I ricercatori, nel periodo preso in considerazione, hanno stimato una perdita di circa 390/586 chilometri cubi di ghiaccio. Per rendersi conto della quantità, basti pensare che ciò equivarrebbe alla completa scomparsa di tutto il ghiaccio contenuto ad oggi nelle Alpi dell’Europa centrale, nel Caucaso e in Scandinavia… messi insieme.

Le zone più preoccupanti sono quelle delle regioni orientali, compresi Nepal e Bhutan, dove i ghiacciai stanno perdendo massa ancora più rapidamente; ciò sarebbe dovuto a un diverso modello meteorologico generato dall’interazione tra i i due lati della catena montuosa (segnati da caratteristiche geografiche differenti) con l’atmosfera. Lo studio dimostra anche quanto i ghiacciai stiano diminuendo più rapidamente nelle zone in cui essi finiscono nei laghi rispetto a dove è invece presente la terraferma. Motivo per cui i laghi già esistenti si stanno ampliando mentre in certi punti se ne formano dei nuovi. Una delle conseguenze più temibili è poi l’innalzamento del livello del mare, che gli studiosi hanno dimostrato essere stato tra 0,92 mm e 1,38 mm.

L’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai della catena montuosa dell’Himalaya – la quale ospita la terza più grande quantità di ghiacciai al mondo (detta per questo “il terzo polo”) rappresenta anche una grande minaccia per l’approvvigionamento idrico di milioni di persone, le quali dipendono dai principali sistemi fluviali dell’Asia per il cibo e per l’energia. Le conseguenze dello scioglimento sono tangibili da tempo per le popolazioni residenti e la ricerca non fa altro che dare dimostrazione scientifica di tali evidenti cambiamenti, attestando quanto essi siano in un momento di preoccupante accelerazione. Gli scienziati hanno predetto quanto distruttivo potrà essere l’impatto su intere nazioni e regioni, se il ritmo continuerà ad essere tanto rapido.

[di Francesca Naima]

Indonesia, deforestazione al minimo dal 2015

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In Indonesia i livelli di deforestazione nell’estesa area dell’ecosistema Leuser, che ospita un gran numero di specie animali a rischio, hanno registrato il livello minimo dal 2015. Il risultato è frutto di una costante azione di monitoraggio e pattugliamento della zona da parte delle associazioni ambientaliste durante il 2021, dopo una sospensione nel 2020 a causa della pandemia che aveva portato a un rialzo delle attività di disboscamento illegale. Anche gli interventi del governo sono risultati determinanti, con la definizione nel 2007 dell’ecosistema come area protetta e le successive moratorie sulla coltivazione di palma da olio e sull’estrazione mineraria. A livello di mercato globale, inoltre, diverse aziende (tra le quali PepsiCo, Unilever e Mars) hanno adottato politiche che permettano di evitare l’acqusito olio di palma da piantagioni che deforestano.