sabato 20 Settembre 2025
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A Milano nascerà la prima pista ciclabile fotovoltaica che produce energia pulita

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Nasce in Italia la prima pista ciclabile fotovoltaica che produrrà energia pulita. Si tratta di un progetto ancora in fase sperimentale che verrà attuato a Milano, vicino all’Università Bicocca, con l’obiettivo di unire la mobilità green alla produzione di energia sostenibile grazie a una tecnologia di ultima generazione. È stata proprio l’università milanese a commissionare questa installazione rivoluzionaria alla start-up Bys Italia (Bicy Solar Street) di InfinityHub, azienda veneta coinvolta nello sviluppo di progetti condivisi di efficientamento energetico. Il 20% dei fondi destinati al progetto però, verrà raccolto tramite “equity crowdfunding”, ovvero una raccolta fondi aperta a tutti, anche ai piccoli risparmiatori. L’accordo è già stato firmato tanto che, con molta probabilità, il primo tratto di pista ciclabile – il quale collegherà i diversi edifici universitari di Piazza della Scienza – sarà aperto entro dicembre 2021.

L’innovativa installazione sarà composta da uno strato di cristallo con trattamento ceramico – spesso 4 millimetri e largo circa 2 metri – il quale sarà dotato di certificazione antiscivolo perdonale e verrà sottoposto a numerosi test al fine di misurarne la tenuta (urto pressione)  e l’antiscivolo. Al di sotto si troveranno i pannelli fotovoltaici veri e propri, che saranno installati a terra tramite una spessa struttura per garantirne un supporto solido. Ma dove andrà a finire l’energia prodotta? Prima di tutto, questa verrà utilizzata per alimentare le vicine stazioni di ricarica delle biciclette elettriche ma l’obiettivo primario, sarà quello di riuscire a collegare i pannelli fotovoltaici anche ai contatori dell’Università Bicocca, così da correre in aiuto ai sostanziosi consumi energetici della struttura. Questo, tuttavia, non è l’unico progetto italiano del genere. La costruzione di un’altra pista ciclabile fotovoltaica, infatti, è prevista a Villasimius, in Sardegna, e si snoderà per 4 chilometri dal porto turistico fino al centro della cittadina. L’impianto, pensato nel 2018 ma non ancora realizzato, fa parte del programma europeo Stratus (Programma strategie ambientali per un turismo sostenibile) e prevede anche l’installazione, lungo il percorso, di una serie di lampioni intelligenti – alimentati dall’energia solare – che si accederanno solo al passaggio dei ciclisti e pedoni, e di una galleria tappezzata di pannelli fotovoltaici.

Due piste ciclabili “del futuro” ispirate alla primissima SolaRoad olandese del 2014 -progettata dal designer Peter Kuczia ad Amsterdam -, caratterizzata da una copertura luminosa in grado di generare elettricità; una tettoia super tecnologica con una duplice funzione: proteggere i ciclisti dalle intemperie e produrre energia elettrica dal sole per alimentare sia le stazioni di ricarica delle biciclette poste lungo il percorso, sia l’illuminazione della tettoia stessa. Il vantaggio di questo tipo di struttura risiede nella possibilità di adattarla a qualsiasi larghezza di strada, tipo di paesaggio e curva del percorso.

 

[di Eugenia Greco]

Siria: esplosione a Damasco, almeno 13 morti

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Un autobus con a bordo soldati siriani è stato fatto esplodere in quello che l’agenzia filogovernativa SANA ha classificato come un “attentato terroristico”. Il convoglio sarebbe saltato in aria nel centro di Damasco. Nonostante la guerra civile in Siria duri da dieci anni, gli attacchi di questo tipo sembravano essersi ridotti in frequenza nell’ultimo periodo, dopo che forze armate fedeli ad al-Assad hanno avuto la meglio sui gruppi ribelli intorno alla capitale. Grazie all’aiuto della Russia e alle milizie sciite iraniane, al-Assad controlla ora la maggior parte del territorio siriano.

Yemen, Unicef: “10mila bambini uccisi o mutilati da inizio combattimenti”

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In Yemen, 10mila bambini sono stati uccisi o mutilati da quando hanno avuto inizio i combattimenti nel marzo 2015: si tratta dell’equivalente di quattro bambini al giorno. A denunciare tutto ciò è l’Unicef, la quale ha commentato tali dati dichiarando: «Il conflitto nello Yemen ha appena raggiunto un altro vergognoso risultato». In più, ha aggiunto l’Unicef, «questi sono naturalmente solo i casi che l’ONU ha potuto verificare, molti altri bambini morti e feriti non vengono registrati».

672 istituzioni finanziarie europee finanziano l’occupazione israeliana

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Sono più di 670 le istituzioni finanziarie europee che sostengono economicamente circa altre 50 imprese che contribuiscono alla costruzione e allo sviluppo degli insediamenti israeliani collocati nei Territori palestinesi occupati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e ritenuti per legge illegali. Una parte dei fondi proviene anche dall’italiana Unicredit (al decimo posto per quantitativo di utili forniti). Secondo DBIO, (Don’t buy into occupation), la coalizione costituita da 25 ong palestinesi, regionali ed europee con sede in Irlanda, Francia, Olanda, Norvegia, Spagna, Belgio e Regno unito e che ha stilato il report in questione, Unicredit ha messo a disposizione 3,58 miliardi di dollari: ha, a tutti gli effetti, finanziato un’attività internazionalmente considerata illegale.

Banche, gestori patrimoniali, assicurazioni e fondi pensione: sono queste, più in generale, le categorie a cui le 672 imprese appartengono e che tra il 2018 e il maggio 2021 hanno fornito direttamente o indirettamente attraverso prestiti o acquisti di azioni e obbligazioni circa 255 miliardi di dollari (218 miliardi di euro). Coinvolte anche BNP Paribas e Deutsche Bank, Crédit Agricole e Santander, Airbnb e Trip Advisor, complici di aver fornito fondi per diverse finalità. Comprare dispositivi di sicurezza volti a controllare la popolazione civile palestinese e a limitarne i movimenti, ad esempio, acquistare attrezzature per demolire case palestinesi e i materiali per l’espansione delle colonie. E più in generale, continuare a costruire insediamenti abusivi nei Territori palestinesi di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, occupati militarmente nel 1967, durante la Guerra dei sei giorni. Per il diritto internazionale, però, costruirne ancora significa continuare a violare la Convenzione di Ginevra e lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale.

Willem Staes, uno dei firmatari del rapporto, ha detto che “Nonostante la natura illegale degli insediamenti israeliani secondo il diritto internazionale, le istituzioni finanziarie europee continuano a fornire un’ancora di salvezza finanziaria alle società che operano nelle colonie mentre dovrebbero seguire l’esempio di alcune istituzioni norvegesi che hanno interrotto il loro coinvolgimento”.

Eppure le prove ci sono. E ce ne sono tante, tutte raccolte negli anni soprattutto dalle Ong israeliane e internazionali che operano in questi territori: i palestinesi subiscono continue violazioni dei diritti umani, abusi e soprusi. Ma gli investimenti, prestiti bancari, contratti di fornitura di attrezzature e prodotti continuano ad arrivare, fornendo l’ossigeno vitale “di cui gli insediamenti hanno bisogno per crescere e prosperare”, dice Michael Lynk, delegato delle Nazioni Unite.

Ma non si tratta solo di soldi, di sostegno economico, di aiuti finanziari. Ogni singolo dollaro offusca la voce di tutti quei palestinesi arrestati senza un motivo, di solito di notte, mentre sono nelle loro case, per mano delle autorità israeliane. Offusca la voce di tutte quelle torture e maltrattamenti, rivolti anche ai minori, e che includono percosse, schiaffi, incatenamenti dolorosi, privazione del sonno, posizioni di stress e minacce. A volte anche l’isolamento prolungato. Per mesi. E l’Europa è indirettamente lì con loro, ma dalla parte sbagliata: quella dei carnefici.

La coalizione Don’t Buy Into Occupation, autrice del rapporto, ha dichiarato che ora queste società europee “hanno la responsabilità di garantire che non siano coinvolte in violazioni del diritto internazionale e non siano complici di crimini internazionali”. Sarà difficile confutare prove schiaccianti.

[di Gloria Ferrari]

La plastica può essere rimossa dagli oceani: riuscito il primo esperimento

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Un nuovo sistema ideato con il fine di rimuovere la plastica dagli oceani è stato recentemente testato nel Great Pacific Garbage Patch, un enorme accumulo di rifiuti galleggiante situato nell’Oceano Pacifico, ed ha dato ottimi risultati a detta dell’Ocean Cleanup, l’organizzazione che lo ha messo a punto. Quest’ultima infatti ha dichiarato che “Jenny”, il soprannome con cui viene chiamato il sistema, ha raccolto 9.000 chilogrammi di plastica presenti nell’Oceano Pacifico ed ha aggiunto che per tale motivo ora è chiaro che «è possibile pulire il Great Pacific Garbage Patch». Anche Boyan Slat, il fondatore di Ocean Cleanup, ha accolto con grande entusiasmo la notizia ed ha affermato: «Ha funzionato tutto».

Jenny è essenzialmente una costa galleggiante artificiale: si tratta di una lunga barriera a forma di U che riesce a portare la plastica in una zona di ritenzione posizionata alla sua estremità. Due navi la trainano, e così la corrente oceanica spinge i rifiuti galleggianti verso la rete gigante. Una volta che la rete si riempie di plastica, un equipaggio la tira fuori dall’acqua e svuota la spazzatura su una delle due navi. La plastica raccolta, poi, viene riciclata: al momento, infatti, essa viene utilizzata per produrre occhiali da sole, ed i soldi guadagnati dalla loro vendita vengono usati per migliorare le operazioni di pulizia degli oceani.

Bisogna dire, però, che vi sono ancora alcuni dubbi legati a tale sistema. Innanzitutto esso cattura solo la plastica che galleggia vicino alla superficie degli oceani e non anche quella situata sul fondo. Inoltre Jenny ovviamente non impedisce alla plastica di entrare negli oceani, e dunque non è proprio un sistema perfetto. In tal senso Miriam Goldstein, direttrice della politica oceanica presso il think tank Center for American Progress, il mese scorso ha rilasciato un’intervista alla Reuters in cui ha affermato che «una volta che la plastica è entrata in mare aperto, diventa molto costosa e richiede molti combustibili fossili per estrarla di nuovo». E, infatti, le barche che trainano Jenny richiedono carburante, il che significa che c’è un costo ambientale legato a questo sistema.

Tuttavia, Ocean Cleanup ha affermato che sta «cercando modi per limitare e compensare le emissioni di carburante» che al momento è impossibile non utilizzare, ed anche lo stesso Slat ha ammesso che «ci sono ancora molte cose da migliorare». L’organizzazione, insomma, è consapevole delle criticità legate a tale sistema ma sembra intenzionata a porre rimedio ad esse e, dunque, continuare a perseguire il suo obiettivo, che è quello di arrivare a ripulire «il 90% della plastica galleggiante dagli oceani entro il 2040».

[di Raffaele De Luca]

I 18enni voteranno per eleggere il Senato: Mattarella promulga la legge

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La legge di riforma costituzionale che prevede che l’età minima per eleggere il Senato sia di 18 anni, è stata promulgata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nello specifico, tramite quest’ultima si va a modificare l’articolo 58 della Costituzione, il quale stabilisce che l’età minima per poter eleggere il Senato sia di 25 anni. La riforma, approvata lo scorso luglio da Palazzo Madama, interessa dunque i giovani tra i 18 ed i 24 anni, che sono quasi 4 milioni. Essa entrerà in vigore a partire dalle prossime elezioni politiche.

Roma: corteo lavoratori Elica e Whirlpool in occasione dei tavoli al Mise

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A Roma, circa 500 lavoratori della Whirlpool di Napoli e dell’Elica di Ancona hanno sfilato in corteo dalla Stazione Termini verso il ministero dello Sviluppo economico, in occasione dei due tavoli. Sono 340 i lavoratori della Whirlpool che rischiano di perdere il lavoro dopo la conferma da parte dell’azienda della chiusura della procedura di licenziamento collettivo. In tal senso Barbara Tibaldi, segretario nazionale Fiom-Cgil, ha affermato: «Ci hanno detto che oggi avrebbero illustrato un provvedimento straordinario per traghettarli dalla Whirlpool al Consorzio. Ci aspettiamo la serietà del governo, che deve spiegarci come possiamo proseguire». Sono invece 400 i lavoratori Elica a rischio: come denunciato dai sindacati, «la proprietà ha annunciato 400 esuberi perché vogliono portare il lavoro in Polonia».

Piatto unico bilanciato: il modello di alimentazione corretta per tutti

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Il Piatto del Mangiar Sano, chiamato anche piatto unico bilanciato da noi in Italia (Healthy Eating Plate il nome in lingua originale), creato dagli esperti di nutrizione della Harvard School of Public Health, è una guida per insegnare alle persone a creare pasti salutari e bilanciati, sia che siano serviti su un piatto a casa, sia che siano confezionati in un cestino da portare in ufficio o al lavoro come pranzo al sacco. Una soluzione semplice, adatta per tutte le tasche a prescindere dal tempo a disposizione e dall'abilità culinaria. Una soluzione valida per mangiare sano e vario, senza imp...

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Grecia, terremoto magnitudo 6 avvertito in tutto il Mediterraneo orientale

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Un terremoto di magnitudo 6 con epicentro a 128 km dall’isola greca di Karpathos e profondità di circa 38 km ha avuto luogo questa mattina ed ha coinvolto tutti i Paesi affacciati sul Mediterraneo orientale. La scossa è stata percepita in diverse isole greche, in varie parti di Israele e dei territori palestinesi, in Turchia e in Siria. In Egitto, la terra ha tremato sino alla città del Cairo. Non vi è allarme tsunami, ne’ feriti o edifici danneggiati, secondo quanto rilevato al momento, né sembrerebbe esserci il rischio di scosse di assestamento, vista la profondità cui è avvenuta.

Washington Post: l’Italia è un laboratorio mondiale per la gestione della pandemia

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In un articolo pubblicato sabato 16 ottobre il quotidiano statunitense Washington Post analizza la situazione italiana con occhio critico. Offrendo una visione esterna di quanto sta avvenendo dopo l’introduzione dell’obbligo del green pass, sottolinea come l’Italia si sia “spinta in un nuovo territorio per le democrazie occidentali“.

La misura introdotta dal Governo Draghi, che vede l’imposizione della certificazione verde sul posto di lavoro, è “uno degli obblighi vaccinali sul posto di lavoro più severo al mondo“. Altri Paesi europei hanno infatti preso misure meno severe, alcuni rifiutando del tutto l’adozione del green pass. Negli Stati Uniti l’amministrazione Biden ha reso il vaccino obbligatorio per i dipendenti del governo, mentre sta cercando di spingere le compagnie private alla stessa soluzione con i propri dipendenti. La percentuale di vaccinati in Italia è del 70%, di molto superiore a quella degli Stati Uniti, che si aggira intorno al 57%. Come fa notare il Washington Post, questo dato unito all’obbligo di utilizzo delle mascherine in luoghi chiusi, “ha aiutato ad evitare una violenta ondata della variante Delta”.

Tuttavia per raggiungere tali obiettivi l’Italia non ha esitato a prendere misure drastiche, spingendosi spesso in territori inesplorati dalle democrazie occidentali. È stata il primo Paese europeo a introdurre il lockdown duro, l’obbligo di vaccinazione per i lavoratori della sanità e ora ad imporre l’obbligo di green pass per tutta la popolazione sul luogo di lavoro. L’unica ad aver adottato restrizioni simili è la Grecia. Il Governo Draghi “ha persino suggerito la possibilità di essere il primo Paese al mondo a introdurre l’obbligo universale del vaccino, una mossa che andrebbe oltre le misure adottate sino ad ora”, scrive il Washington Post.

In tal senso l’Italia si è figurata, in questi mesi, come un enorme laboratorio politico, dove le conseguenze di azioni intentate da altri Paesi sono per la prima volta sperimentate sulla popolazione. “L’Italia si trova in una nuova fase, provare a capire che cosa significhi vivere con il virus, e che livello di controllo la società sia disposta ad accettare“. Le nuove regole introdotte a partire dal 15 ottobre hanno “diviso la società in diversi livelli di libertà”. Quelle che un anno fa sembravano soluzioni “altamente improbabili” da prendere in considerazione oggi sono accettate come realtà all’ordine del giorno, spingendo a riflettere su quanto sia adattabile e ridimensionabile la capacità critica di ciascuno. “Il gruppo di ricerca Teneo ha stimato che in Italia tra i 2.2 e i 2.5 milioni di lavoratori, sui 23 milioni totali, sono senza vaccino” riporta il giornale americano. I vaccinati “possono riprendere le loro vite”, mentre “i non vaccinati devono affrontare una scelta: venire immunizzati, o rischiare di perdere lo stipendio”.

[di Valeria Casolaro]