venerdì 7 Novembre 2025
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La ricerca sui nuovi antibiotici e il “modello Netflix”: la nuova idea del WEF

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Investire per produrre nuovi antibiotici costa tanto e il ritorno economico è incerto? Le big pharma hanno la soluzione: gli stati acquistino i nuovi medicinali a scatola chiusa, senza nemmeno la certezza che saranno efficaci, in modo da suddividere tra i cittadini i costi della ricerca senza intaccare i profitti aziendali. A metterlo nero su bianco, con una prosopopea decisamente più rassicurante, sono stati il colosso delle consulenze finanziarie Boston Consulting Group (BCG) e la “confindustria” che rappresenta gli interessi delle più grandi multinazionali e dei fondi d’investimento globali, ovvero il World Economic Forum (WEF). I due soggetti hanno redatto un report con la proposta di elaborare un “modello di abbonamento” basato su un pagamento fisso annuale per un periodo prestabilito. Si legge, infatti, nella sintesi del documento, che “i governi devono trovare un modo per fornire una cifra stabilita che sia sufficiente a compensare tutti i costi di investimento in ricerca e sviluppo prima che il prodotto sia pronto ad entrare sul mercato”. Questo schema di pagamento periodico – ribattezzato il “modello Netflix degli antibiotici” – è già stato sperimentato in Gran Bretagna e in Svezia e dovrebbe servire a promuovere la produzione di nuovi farmaci antibatterici: da molti anni, infatti, sono state interrotte le ricerche in questo settore, in quanto sono molto onerose e ritenute non redditizie, mentre gli antibiotici in commercio si sono rivelati obsoleti e spesso dannosi, a causa di un loro eccessivo utilizzo che ha portato all’emergere di nuovi “superbatteri” resistenti. Nel report in questione viene sottolineata l’esigenza di una nuova forma di collaborazione tra pubblico e privato in base alla quale il settore pubblico si dovrebbe assumere interamente i rischi e i costi delle attività di ricerca e sviluppo di aziende private, senza specificare nulla sulla suddivisione degli eventuali profitti.

Poiché le aziende farmaceutiche non accettano più il rischio di produrre antibiotici, il modello che vede lo stato finanziatore risulta quello prescelto, in quanto offre alle case produttrici una sicurezza sia in termini di ricavi, sia in termini di domanda, fornendo una prevedibilità finanziaria e rimettendo i rischi unicamente in capo al settore pubblico. Per questo, la conclusione del report è che – dopo avere analizzato cinque potenziali modelli per promuovere nuovi investimenti – quello chiamato “modello di pagamento in abbonamento” appare l’opzione migliore e più praticabile per rinvigorire il settore dello sviluppo di nuovi farmaci antibatterici.

Il problema dell’antibiotico-resistenza si prospetta, secondo il BCG, come una nuova potenziale pandemia all’orizzonte che – si legge – “potrebbe causare più morti e malattie gravi rispetto al Covid-19”. Da qui nasce l’esigenza di coinvolgere i governi, instaurando una nuova collaborazione tra pubblico e privato, per prevenire una crisi sanitaria globale: a causa di questo fenomeno si sono registrate complicanze anche gravi rispetto ad infezioni in precedenza facilmente curabili e la rivista scientifica The Lancet ha affermato in uno studio che si stimano 3500 decessi giornalieri direttamente correlabili alla resistenza antimicrobica. Si tratta di un problema reale, decenni di abuso di farmaci antibiotici uniti alla mancanza di ricerca su farmaci aggiornati, hanno portato al fenomeno dell’insorgenza di nuovi batteri resistenti agli antibiotici attualmente disponibili. Un fenomeno particolarmente diffuso anche in Europa.

La pandemia di Covid19 e il problema della resistenza antimicrobica vengono accostati, sottolineando l’importanza di una collaborazione transnazionale “per affrontare una minaccia che riguarda la salute globale”. Il sottotesto è chiaro: nelle intenzioni delle multinazionali anche la necessità di sviluppare nuovi antibiotici deve seguire lo stesso canovaccio dei vaccini anti-Covid: la ricerca deve godere di ampie sovvenzioni pubbliche, poiché le aziende non sono disposte a sobbarcarsi i rischi d’impresa.

Si legge quindi che “tutti gli stakeholders devono unire le loro forze con un senso di urgenza e solidarietà globale”, in quanto se il nuovo modello dovesse fallire, le conseguenze della resistenza antimicrobica sarebbero catastrofiche: “Se fallissimo, avremmo appena cominciato a vedere la sofferenza umana e i problemi sociali che la resistenza antimicrobica comporta”. Gli stakeholders nel linguaggio finanziario sono i “portatori di interessi”, termine con il quale si raggruppano tutti i soggetti che hanno incarichi e interessi su un certo tema, in buona sostanza – in questo caso – politici con voce in capitolo, aziende farmaceutiche e altri soggetti economici (finanziarie, società di consulenza, ecc) con specifici interessi in gioco. La proposta del WEF è netta e ricalca la teorizzata governance 4.0, quella in cui governi e portatori d’interessi privati governano a braccetto, che è il vero obiettivo già esplicitato del consesso di Davos.

[di Giorgia Audiello]

Incendio traghetto in Grecia, confermati 12 dispersi

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Sono 12 i dispersi in seguito all’incendio che si è sviluppato venerdì 18 febbraio a bordo del traghetto Euroferry Olympia della Grimaldi Lines che stava percorrendo la tratta dalla Grecia al porto di Brindisi. Tra questi non vi sarebbero italiani, secondo quanto confermato da Grimaldi Il Fatto Quotidiano. 277 persone sono state tratte in salvo e fatte sbarcare sull’isola di Corfù. Le fiamme si sarebbero sviluppate all’interno di un garage, probabilmente da un camion.

Caro energia, via libera a dl bollette e Superbonus

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Il Consiglio dei Ministri ha approvato nel pomeriggio di venerdì 18 gennaio un dl che introduce misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia e uno sulla cessione dei crediti legati ai bonus edilizi. Le misure ammontano a 8 miliardi di euro, dei quali 5,5 destinati a far fronte al caro energia. Gli interventi sono mirati a «evitare che il rincaro dell’energia si traduca in minor potere d’acquisto per le famiglie e una minore competitività per le imprese» ha dichiarato Draghi durante la conferenza stampa.

La società della voce

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“La vita sociale degli esseri umani è caratterizzata dall’intenso interesse che ognuno manifesta per ciò che fanno i suoi simili”: queste parole dello scienziato Robin Dunbar suonano molto familiari nei nostri tempi attraversati quotidianamente dai social e sono ancora più interessanti se rapportate alla storia evolutiva dell’uomo che per grandissima parte è stata una storia dove il linguaggio ha presieduto relazioni di piccola scala. Le nostre menti infatti sono predisposte più per gestire rapporti di prossimità, in gruppi ristretti, piuttosto che anonimi proclami universali. Questa una delle ragioni per cui i social si sono affermati. Ma c’è un motivo più sottile, anzi più concreto.

Nelle dinamiche correnti della comunicazione c’è un continente sottaciuto, frainteso o sottostimato a cui si fa riferimento molte volte ogni giorno: si tratta della voce e più precisamente del suono, dei suoni della voce. I messaggi social sono spesso ‘urlati’ ma questo ha un significato antropologico, fisiologico prima che riguardare la buona educazione. È come se si volessero raggiungere i destinatari con la forza della voce e non con la sintassi delle parole. Il linguaggio orale, vero, finto o simulato che sia, si è preso la rivincita sulla lingua grammaticale che viene esplicitata e argomentata mediante la scrittura. E la scuola sta vivendo, e patendo, questo destino acustico-visivo dei media e anche della conoscenza.

Tutti noi siamo rimasti colpiti dalle misure inusuali del tavolo al quale si è seduto Putin per dialogare con i suoi interlocutori, i quali gli stavano parlando in veste ufficiale, non in qualità di ospiti. Una dimensione paradossale che allontana qualsiasi idea di confidenza ma anche di autenticità. Qui però non è in questione il problema della distanza sociale, quella che occorre per un sussurro, quella che fa coprire la bocca agli interlocutori per evitare che venga interpretato il cosiddetto labiale, generando equivoci o insinuazioni, quella oltre la quale è necessario, anche se poco gentile, l’urlo.

Dovremmo piuttosto parlare del suono della voce in senso scientifico, mediante le considerazioni che uno studioso italiano, Paolo Colombo, compositore e musicologo, ha dedicato fondando una nuova scienza, la ‘fonopedia’ – fisiologia e patologia della voce, in analogia con la ‘logopedia’, in rapporto alla parola – e che ha esposto in un libro coinvolgente, appena uscito (Introduzione alla fonopedia, Cartman edizioni) . Il suono della voce è musicale, ha altezza, dinamica, timbro e ritmo, può comunicare gli stati d’animo, le emozioni, l’età e il sesso dell’individuo, può essere imitativo, manipolativo ecc. 

L’intonazione è forse il dato più rivelatore. Se è vero che è il tono a fare la musica, questo è possibile perché esiste una intelligenza musicale, una traduzione mentale dei suoni della voce, quando ad esempio vi attribuiamo una determinata intenzione.

Ma il bello della voce è che possiamo imparare ad usarla convenientemente, perché rappresenta una forma di liberazione, di esternazione, di ginnastica quasi, di un canto sconosciuto che tutti dovremmo conoscere meglio. C’è un benessere della voce che gli attori conoscono bene, una capacità di far apprezzare l’atmosfera, il contesto ambientale e sociale , prima che il senso del discorso, il fascino o il fastidio delle parole.

Maestri ne sono i doppiatori che mediante  i registri della voce sanno far valutare l’intimità, la gamma delle emozioni e delle intenzioni. La voce, in effetti, contiene una forma di apertura e di chiusura, necessita di una consapevolezza e di un controllo anche nella vita quotidiana.

Ma il problema della voce va a investire i compiti educativi perché fa parte di quell’interesse e di quella competenza, di quel materializzarsi dell’intelligenza che è nel suono, nel canto e nella musica.

Il grande pianista Arthur Rubinstein amava fin da ragazzino ogni sorta di suoni, fra cui le sirene delle fabbriche, il canto di vecchie ambulanti, le cantilene dei venditori di gelati. E così fa bene Paolo Colombo a ricordare che la pratica della musica esalta la musicalità, anche perché la voce richiama un ‘fare assieme’ fondamentale per la nostra vita, reale e simbolica.

[Gian Paolo Caprettini]

Per la prima volta una donna è guarita dall’HIV

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Per la prima volta una donna è guarita dall’HIV grazie a una cura effettuata tramite il trapianto di cellule staminali prelevate da un cordone ombelicale. Una svolta importantissima nella medicina, che alimenta la speranza di trovare terapie e soluzioni mediche al virus dell’AIDS. La donna, di mezza età e residente a New York, ha contratto l’HIV nel 2013. Col passare del tempo, l’infezione si è evoluta in un tumore del sangue – la leucemia mieloide acuta –, il quale ha portato la paziente a sottoporsi al trapianto a base di sangue cordonale, quattro anni dopo. I medici hanno presentato il caso martedì 15 febbraio 2022 alla Conferenza sui Retrovirus e le infezioni Opportunistiche a Denver, ma i risultati non sono stati ancora diffusi.

La terapia medica ha avuto inizio con un potente ciclo di chemioterapia, al fine di distruggere le cellule malate del sangue e rimpiazzarle con quelle staminali prelevate da un familiare compatibile alla donazione. Successivamente, la donna ha ricevuto altre cellule staminali provenienti dal sangue del cordone ombelicale di un neonato non consanguineo, ma portatore della mutazione necessaria a rendere le cellule resistenti all’HIV. Dopo la cura, la paziente ha smesso di prendere le medicine per il trattamento anti-retrovirale contro il virus, il quale non viene individuato nel suo organismo da 14 mesi.  Secondo gli esperti, però, non è ancora detta l’ultima parola. Il virus, infatti, potrebbe essere entrato in uno stato temporaneo di “latenza” e, se così fosse, potrebbe ripresentarsi. Inoltre, se effettivamente il soggetto dovesse essere completamente guarito, la terapia non sarebbe applicabile a chiunque. Difatti, la condizione fondamentale per sottoporsi al trapianto è paradossalmente una diagnosi di cancro al sangue.

La paziente di New York non è l’unica a essere guarita dall’infezione. Ci sono stati altri due casi, precisamente a Berlino e Londra, in cui la guarigione dei soggetti – anche loro malati di leucemia – è stata ottenuta grazie al trapianto di cellule staminali prelevate dal midollo osseo di donatori. Il primo, ha ricevuto il trapianto nel 2008 e ha vissuto sano fino al 2020, quando è venuto a mancare per via di una recidiva del cancro. Il secondo paziente si è sottoposto al trapianto ed è guarito dall’AIDS nel 2019, dimostrando che, sia lui che il paziente di Berlino, sono guariti grazie alle cellule staminali provenienti dal midollo di persone portatrici di una mutazione rara che protegge dal virus dell’HIV.

I due guariti, tuttavia, hanno manifestato serie forme di rigetto, come la perdita dell’udito o la malattia del trapianto contro l’ospite (le cellule del donatore attaccano l’organismo del ricevente). Cosa non accaduta, invece, alla “paziente di New York”, la quale non ha accusato particolari effetti collaterali. Non è ancora chiaro quale sia effettivamente il motivo per cui le cellule staminali del sangue del cordone ombelicale funzionino così bene. Secondo gli esperti è quasi ormai comprovato che queste siano in grado di adattarsi facilmente a nuovi organismi.

[di Eugenia Greco]

Uk, allarme per tempesta Eunice: venti a 200 km/h

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In queste ore nel Regno Unito si sta abbattendo una delle peggiori bufere mai registrate negli ultimi decenni, che ha già causato una vittima in Irlanda. La tempesta, cui è stato dato il nome Eunice, ha scatenato venti che hanno sfiorato i 200 km/h che hanno causato diversi feriti per contusioni da detriti volanti. Nelle città le persone sono state invitate a non uscire di casa, mentre circa 400 voli sono stati cancellati solo negli aeroporti inglesi.

Le proteste studentesche riempiono le piazze di tutta Italia: il reportage da Torino

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Studenti e studentesse delle scuole superiori sono tornati a riempire le piazze nella giornata di oggi in oltre 40 città italiane. Nel terzo venerdì di proteste gli allievi dei licei chiedono a gran voce la revisione del modello di alternanza scuola lavoro, che a breve distanza dalla morte di Lorenzo Parelli ha visto cadere vittima anche il sedicenne Giuseppe Lenoci, sulla cui morte la Procura sta cercando di fare chiarezza. “Il modello della nostra scuola non va più bene: sono anni che il Ministero prende decisioni non nell’interesse degli studenti” denunciano a gran voce i giovani a Torino.

Alternanza, Repressione, Maturità”: sono questi i temi caldi che animano le proteste di oggi in decine di città italiane, dove gli studenti dei licei stanno protestando per il terzo venerdì di fila. Le tre parole sono scritte a grandi lettere sullo striscione in testa al corteo che questa mattina ha sfilato per le strade del centro di Torino, blindato da camionette delle Forze dell’Ordine e agenti in tenuta antisommossa. Non si sono registrati momenti di tensione, se non alcuni tafferugli di fronte al palazzo dell’Unione Industriale, in via Vela, un punto assai distante dall’area nella quale il corteo di studenti stava sfilando. Qui, un gruppo di giovani con il volto coperto, identificati dai media presenti come studenti, ha imbrattato le pareti dell’edificio con uova di vernice e aggredito i poliziotti con bastoni: il bilancio è di sette agenti e una manifestante feriti.

Il corteo di studenti in centro a Torino – foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente

Il corteo in centro ha invece sfilato pacificamente, prendendo le distanze dalle frange “di destra” e “fasciste”. “Noi vogliamo dire agli studenti di destra che si sono infiltrati oggi tra di noi che noi scendiamo in piazza per Lorenzo, per Giuseppe e perché non ci siano più morti sul lavoro” gridano a gran voce i giovani. Il tema dell’alternanza scuola lavoro e della morte durante gli stage degli studenti Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci è infatti centrale nelle proteste di oggi e delle settimane passate.

“Vogliono riproporre il ritorno alla normalità con il ritorno alle vecchie modalità di svolgimento dell’esame di maturità, ma tornare alla normalità significa far morire degli studenti in stage?” affermano i giovani, alludendo alla comunicazione di fine gennaio del Miur (quindi a meno di sei mesi dall’esame di Stato) di voler reintrodurre le prove scritte per l’esame di maturità, dopo due anni di sospensione. Le critiche degli studenti non risparmiano nemmeno la ministra Lamorgese, la quale nei giorni scorsi ha liquidato le cariche violente da parte della polizia nei confronti degli studenti nel primo venerdì di proteste come “un cortocircuito”.

Un cordone di poliziotti impedisce al corteo di studenti di raggiungere il Rettorato – foto di Valeria Casolaro per L’Indipendente

Camionette delle Forze dell’Ordine e cordoni di agenti in tenuta antisommossa hanno blindato il centro della città, impedendo ai manifestanti l’accesso ad alcune delle vie principali. Il corteo degli studenti, che voleva terminare la propria marcia di fronte alla sede del Rettorato di via Po, ha così dovuto deviare verso la sede dell’Università di Palazzo Nuovo, destinazione finale della manifestazione.

“Pensavano che ci saremmo arresi, che avremmo accettato ciò che ci veniva imposto senza battere ciglio: siamo qui per dimostrare che non è così” affermano alcuni degli studenti presenti al corteo. La perseveranza delle proteste e la lucidità delle rivendicazioni degli studenti sono chiare: resta da augurarsi che il Governo non continui a fare orecchie da mercante.

[di Valeria Casolaro]

La Francia si ritira dal Mali: doveva sconfiggere il terrorismo, si è fatta odiare

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Nella giornata di ieri, 17 febbraio, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato il ritiro delle truppe francesi dal Mali. Oltre alle truppe francesi, verranno ritirate dal Mali anche quelle degli altri paesi europei impegnati nella task force Takuba. L’annuncio del presidente francese non sorprende, alla luce delle recenti tensioni tra Parigi e la giunta militare che, a seguito del colpo di stato del 2020, governa il paese. Il 31 gennaio infatti, i militari maliani avevano “invitato”, con 72 ore di preavviso, l’ambasciatore francese a lasciare il paese. La decisione era giunta a furor di popolo, al culmine di settimane di mobilitazioni oceaniche contro l’ex colonizzatore con il quale evidentemente i cittadini maliani non vogliono aver più nulla a che fare.

Anche la decisione della giunta, di rimandare al 2025, le elezioni in Mali inizialmente previste per il febbraio 2022 non era stata ben accolta a Parigi. Probabilmente il “colpo di grazia” nei rapporti tra Francia e Mali è stata la decisione della giunta di dispiegare nel paese i mercenari russi del gruppo Wagner. La presenza russa in Mali, è stata infatti sin da subito fortemente condannata da Parigi e da gli altri paesi europei, definendola come incompatibile con la presenza delle loro truppe.

Le truppe francesi erano in Mali dal 2013. Inizialmente su richiesta del governo locale, che si rivolse a Parigi, per contrastare i ribelli Tuareg e i gruppi armati legati ad al-Qaeda che, dopo aver conquistato le regioni del nord, stavano marciando sulla capitale Bamako. La prima risposta francese fu tramite l’Operazione Serval, un contingente di 1700 soldati che, con l’aiuto di militari provenienti dal vicino Ciad, riuscì a fermare i ribelli. La Francia poi con il supporto di altri paesi decise quindi di ampliare l’intervento militare dando il via all’operazione Barkhane. Composta da oltre 5.000 soldati, Barkhane aveva il compito di riportare stabilità non solo in Mali ma in tutta la regione del Sahel. Agli sforzi francesi in Mali si unirono anche le Nazioni Unite con l’operazione MINUSMA e l’invio di oltre 12.000 caschi blu. Nel 2015, il governo del Mali siglò un accordo di pace con i ribelli tuareg che però non fu mai pienamente implementato. Negli anni nel paese si è assistito alla progressiva crescita dei gruppi fondamentalisti, sono stati diversi in questi anni gli attacchi in Mali da parte di organizzazioni terroristiche legate allo Stato Islamico e ad Al Qaeda. Nel 2015 due diversi attacchi terroristici nella capitale Bamako causarono la morte di 25 persone. Nel 2017, una bomba a Gao ne uccise 77 ferendone 120. Per contrastare i gruppi fondamentalisti venne quindi creata, sempre nel 2017, la task force G5 Sahel formata da 5.000 soldati, provenienti dai paesi della regione, Mali, Mauritania, Niger, Chad e Burkina Faso.

Nonostante la presenza massiccia di truppe, tuttavia, le potenze europee e internazionali hanno avuto scarso successo nella regione. Non dimostrandosi in grado di limitare insicurezza e terrorismo. Alimentando il risentimento popolare questa architettura militare è stata, anzi, di fatto una concausa della proliferazione delle attività ribelli, che hanno poi causato nella regione migliaia di vittime e oltre due milioni di sfollati. Ci sono state diverse mancanze anche dal punto di vista della tutela dei diritti umani. Come nel caso della task force G5 Sahel, i cui soldati sono stati accusati in diverse occasioni di massacri di civili in Burkina Faso, Niger e Mali. Questi dieci anni di operazioni militari, con scarsi risultati, hanno portato ad un progressivo aumento del malcontento popolare e della sfiducia nella presenza europea, in particolare quella francese anche alla luce del suo passato coloniale. Non dovrebbe quindi sorprendere che nelle ultime settimane sia in Mali che in Burkina Faso ci siano state diverse manifestazioni antifrancesi. Considerando i numeri di certe manifestazioni, sembrerebbe evidente come in questi due paesi la volontà dei cittadini sia quella di sostituire il tricolore francese con quello russo. Il ritiro delle truppe dal Mali non significa però che Francia e Europa abbiano deciso di abbandonare al suo destino il Sahel. Il presidente transalpino Macron ha infatti confermato che il sostegno alla missione delle Nazioni Unite continuerà, mentre i soldati francesi probabilmente andranno a finire in qualche altro paese della regione, forse il Niger. Riportare stabilita nel Sahel resta comunque uno dei principali obiettivi di politica estera per l’Europa, sia per quanto riguarda il contenimento del fondamentalismo, sia per quando concerne immigrazione e tratta di esseri umani.

Rimane però un problema oggettivo, negli ultimi anni, le varie operazioni militari in cui l’occidente è stato coinvolto in giro per il mondo si sono concluse con sostanziali sconfitte, andando spesso a causare più danni di quelli che avrebbero dovuto risolvere. Inoltre gli interventi militari occidentali hanno spesso finito nel sovrapporre i propri interessi di sicurezza esterni rispetto a quelli regionali. Afghanistan e Libia sono i due casi emblematici, nel primo dopo 20 anni di guerra ci si trova con di nuovo i talebani al potere, mentre il secondo resta nella medesima condizione di simil-anarchia in cui era stato fatto precipitare con la rimozione di Gheddafi. A situazioni complesse che hanno radici lontane, spesso riconducibili ai confini ridisegnati a tavolino con un righello oltre un secolo prima, l’occidente ha spesso risposto preferendo la via militare a quella diplomatica. Senza dubbio in Mali è mancata la volontà politica di anteporre i bisogni locali ai propri interessi politici, per Parigi infatti la presenza russa non era una tanto un problema logistico-militare ma piuttosto una questione legata alla sfera d’influenza. Allo stesso modo si possono valutare le relazioni sempre tese tra la Francia e la giunta militare, che salendo al potere in Mali aveva rovesciato “l’uomo” di Parigi, ossia l’ex presidente Ibrahim Boubacar Keita.

[di Enrico Phelipon]

Incendio su traghetto tra Grecia e Brindisi: incerto il numero dei dispersi

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Nella notte tra giovedì 17 e venerdì 18 febbraio si è sviluppato un incendio a bordo di un traghetto della Grimaldi Lines che viaggiava tra il porto greco di Igoumenitsa e quello di Brindisi. Non è ancora chiaro il numero delle persone che si trovavano a bordo del traghetto o se vi siano dei dispersi, ma sembra che il totale delle persone a bordo fosse di poco inferiore a 300. Secondo quanto riportato dall’Ansa, il Gruppo Grimaldi starebbe ancora controllando le liste passeggeri. L’incendio, divampato mentre il traghetto si trovava al largo dell’isola greca di Corfù, potrebbe essersi sviluppato a partire da uno dei camion trasportati nella stiva.

“Adotta una bolletta”: i fiorentini aiutano gli anziani contro il caro energia

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In attesa di una risposta concreta da parte del Governo Draghi contro il caro energia, diverse associazioni fiorentine hanno lanciato l’operazione “Adotta una bolletta”, chiedendo ai cittadini che possono farlo di aiutare gli anziani del capoluogo toscano in difficoltà economica, soprattutto a causa dell’impennata dei costi delle bollette avvenuta nelle ultime settimane. La reazione della città non si è fatta attendere e in soli due giorni sono stati raccolti a Firenze cinquemila euro, ispirando così diverse città italiane che replicheranno presto l’iniziativa.

Di fronte all’emergenza i cittadini hanno mostrato dunque solidarietà, proponendo una soluzione temporanea al problema, in attesa dell’intervento del Governo che proprio oggi si riunirà in Consiglio dei ministri per cercare di trovare la misura adatta a contrastare il caro bollette. Nel frattempo i dati parlano chiaro e mostrano come ulteriori rinvii non siano più sostenibili per il bilancio di milioni di famiglie e imprese: secondo l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA) nel primo trimestre 2022 si è registrato, per il cliente domestico tipo, un aumento dei costi di energia elettrica del 131% rispetto al periodo precedente (2021), passando da 20,06 a 46,03 centesimi di euro/kWh, tasse incluse. L’incremento del gas naturale si attesta invece al 94%, con il costo per metro cubo lievitato da 70,66 a 137,32 centesimi di euro. A rendere noti i dati è stato il presidente dell’Agenzia, Stefano Besseghini, nel corso di un’audizione al Senato.

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha annunciato «un intervento di ampia portata», che dovrebbe tradursi in una manovra da 5-6 miliardi di euro, che andrebbero ad aggiungersi ai 5,5 miliardi stanziati a gennaio scorso per il primo trimestre dell’anno. Sembrerebbero confermare l’indiscrezione le parole del Ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, rivolte al Senato: «Credo che il Governo interverrà nuovamente cercando di prevedere o di replicare anche per il secondo trimestre le misure che abbiamo già adottato a gennaio», nonostante queste, dati alla mano, abbiano contrastato solo in minima parte il rincaro dei prezzi dell’energia. È quanto denuncia anche l’Associazione artigiani e piccole imprese (CGIA) di Mestre, secondo cui a fronte di un rincaro di luce e gas che per l’anno in corso ammonta complessivamente a 89,7 miliardi (30,8 alle famiglie e 58,9 alle imprese), il tasso di copertura «supera di poco il 6%».

In casi ordinari e non, come durante una pandemia, le iniziative simili ad “Adotta una bolletta” restano fondamentali per la costruzione e la fortificazione di una comunità solidale, ma questi non possono di certo sostituirsi al dovere giurato dalle istituzioni.

[di Salvatore Toscano]