Con 177 voti favorevoli, 24 voti contrari e nessun astenuto, il Senato ha approvato in via definitiva la riforma del processo penale. La suddetta riforma diventa dunque una legge e rappresenta, tra le altre condizioni (come la riforma del processo civile), uno dei requisiti previsti dall’Unione Europea per potere ricevere i fondi del Recovery Plan.
Australia, non si fermano le proteste contro le restrizioni: oltre 200 arresti
Da protesta contro obbligo vaccinale e lockdown a “freedom rally” contro ogni restrizione. Negli ultimi giorni, nelle principali città australiane si susseguono proteste piuttosto tese alle quali la polizia sta reagendo con una intensa repressione, con tanto di utilizzo di proiettili di gomma e granate stordenti per disperdere i cortei.
Tutto era iniziato con la resistenza, da parte di alcuni membri del potente sindacato CFMEU (Construction, Forestry, Maritime, Mining and Energy Union), contro un mandato governativo che imponeva l’obbligo vaccinale per i lavoratori del settore delle costruzioni. Una protesta che è sfuggita di mano al sindacato stesso che ha accusato gruppi di estrema destra e “no-vax”, di essersi organizzati sui social media per prendere il controllo della situazione e di essersi «travestiti da muratori» per fomentare gli scontri. Ancora non è chiaro quanti membri del CFMEU fossero effettivamente coinvolti nelle proteste.
Era il 233esimo giorno di lockdown per Melbourne, la seconda città australiana, e molti cittadini erano ormai insofferenti verso le restrizioni. I manifestanti, travestiti da muratori, si sono ritrovati davanti alla sede del CFMEU. Una parte del corteo ha attaccato la polizia, assaltandone le auto e lanciando qualche sasso e bottiglie di vetro. Parliamo di un numero imprecisato tra i 1000 e i 2000 manifestanti, secondo il quotidiano britannico The Guardian.
This is seriously out of control and someone is going to get hurt. #GoHome now #Melbourne #protests pic.twitter.com/jgbpIKWMQx
— Níal Ó Fionnagáin (@NialFinegan) September 21, 2021
La repressione non si è fatta attendere e ha raggiunto il suo massimo sabato scorso, quando più di 200 persone sono state arrestate, e poi multate per violazione delle norme sulla salute pubblica. Sarebbero una decina i poliziotti rimasti feriti, alcuni in modo abbastanza serio, e ci sono anche i casi di alcuni giornalisti picchiati. Lo stesso commissario capo della polizia di Victoria, Shane Patton, ha affermato che «gli agenti hanno usato peperoncino, proiettili di gomma, lacrimogeni e granate stordenti» per controllare la piazza.
Negli ultimi tempi, il lockdown in Australia è stato molto duro. I casi di Covid sono in risalita e moltissime città hanno reagito reintroducendo lockdown particolarmente severi, con multe altissime per chi violasse le restrizioni e un controllo capillare. Il paese, in particolare, ha utilizzato strumenti come l’analisi dei dati biometrici e la geolocalizzazione per monitorare la popolazione sottoposta a quarantena.
[Anita Ishaq]
Stati Uniti: approvata la terza dose del Pfizer
Ieri negli Stati Uniti, la U.S. Food and Drug Administration (FDA) ha modificato l’autorizzazione all’uso di emergenza (EUA) per il vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19, introducendo una terza dose del vaccino Pfizer-BioNtech per le persone dai 65 anni in su e per i soggetti “a rischio”. La somministrazione dovrà avvenire almeno sei mesi dopo aver ricevuto la seconda dose del Pfizer-BioNTech, come specificato dalla FDA. Non ci sarà – per ora – l’introduzione di un terzo richiamo per tutti, come invece aveva annunciato Biden a metà agosto.
Cingolani e Terna mentono, l’Italia può chiudere subito ogni centrale fossile
La retorica seconda cui è necessario investire nel gas naturale per evitare il deficit energetico dovuto alla transizione alle rinnovabili è una menzogna. È questa l’accusa mossa da ReCommon verso il ministro Cingolani e l’azienda che gestisce l’elettricità nazionale, Terna. L’Italia, infatti – in accordo con i dati del Center for Research on Energy and Clean Air (Crea) – potrebbe da subito chiudere le centrali a combustibili fossili senza mettere a rischio le forniture di elettricità. Il ministro della Transizione Ecologica, non molto tempo fa, aveva invece ribadito il concetto secondo cui il gas sarà l’ultimo degli idrocarburi ad abbandonare la scena. Questo perché – ha spiegato – rivestirebbe un ruolo da ‘ponte’ tra le fonti più inquinanti e quelle pulite, evitando black out nazionali legati alle fluttuazioni energetiche proprie delle rinnovabili. Ma le cose – secondo quanto evidenziato dal Crea – non stanno proprio così.
Secondo le analisi contenute nel documento, infatti, la nostra penisola potrebbe abbandonare la maggior parte degli impianti legati alle fonti fossili senza rischiare di lasciare al buio i cittadini. Ma non solo. Se lo facesse, in termini economici, ci guadagnerebbe anche. Il Centro di ricerca indipendente, allo scopo, ha pubblicato il rapporto “Ripe for Closure: accelerare la transizione energetica e risparmiare denaro riducendo la capacità in eccesso di combustibili fossili”. In termini assoluti – è emerso – l’Italia occupa il secondo posto, dopo la Spagna, per eccesso di capacità di generazione installata. Un eccesso derivante, per l’appunto, dalle fonti energetiche fossili. Del quale, buona parte, è occupato dal carbone. «Anche considerando un legittimo margine di riserva del 15% per garantire la sicurezza delle forniture – spiegano gli esperti – vi sarebbe comunque un eccesso di 8,7 GW di centrali fossili per soddisfare il picco della domanda». Considerando che quelle a carbone dovrebbero chiudere i battenti entro il 2025, il report sottolinea come questo possa avvenire senza installare nuova capacità di generazione a gas. E inoltre, senza correre rischi, i lucchetti potrebbero andare anche a molte centrali petrolifere. Il tutto, per un risparmio nei costi fissi operativi e di manutenzione di 465 milioni di euro l’anno.
Ampliando lo sguardo a livello europeo, l’Italia potrebbe fare questo importante salto ecologico insieme ad altri otto paesi: Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Spagna e Turchia. Nel complesso questi Stati – compresa l’Italia – hanno un eccesso di potenza installata di 48,8 GW e, per questo motivo, ad accumunarli è la possibilità che chiudano le centrali fossili senza pericoli. Specie, come dicevamo, per quanto riguarda quella più inquinante: il carbone. Non a caso, il 77% di questo surplus energetico deriva proprio da tale fonte. Bloccando immediatamente le attività implicate nella generazione di questo eccesso, queste nazioni potrebbero poi risparmiare, annualmente, quasi 2 miliardi di euro. Questo perché si tratta di impianti a tutti gli effetti inutili o, comunque, sottoutilizzati. Ciononostante – denuncia ReCommon – «in barba all’emergenza climatica, da noi il 57% dell’energia elettrica è ancora prodotta da fonti fossili, con il gas passato dal 40% del 2015 al 46% attuale. La tendenza è stata accelerata dalla sostituzione di 14 GW di centrali a carbone con impianti a gas, invece che con impianti ad energia rinnovabile e distribuiti sul territorio». Una tendenza confermata dalle decisioni prese ultimamente dallo stesso ministro Cingolani. E sebbene giusto ieri lo stesso abbia dichiarato «puntiamo sul sole e sul vento, siamo gli Emirati del futuro», si spera che alle parole seguano i fatti.
[di Simone Valeri]
5 voti di fiducia in 48 ore: il governo Draghi sospende la democrazia parlamentare
Il governo Draghi ha pianificato 5 voti “blindati” in 48 ore. Senza poter discutere ed emendare i testi, i parlamentari sono chiamati a votare su decreto green pass, riforma del processo civile e riforma del processo penale. Nonostante la terza maggioranza più larga nella storia repubblicana il “governo dei migliori” non sta esitando ad utilizzare un metodo legislativo che comprime l’attività parlamentare ed impedisce ogni modifica ai testi portati in aula dall’esecutivo.
Il primo voto di fiducia si è tenuto ieri al Senato sulla conversione a legge del decreto “green pass bis”. Nonostante a palazzo Montecitorio il governo goda di una maggioranza schiacciante (almeno 535 seggi di scarto) è stata posta la fiducia. Il provvedimento ha ottenuto 413 voti a favore, 48 contrari e un astenuto. Nelle prossime ore il decreto passerà al Senato, dove sarà posta ancora una volta la fiducia. Il testo sulla certificazione Covid più severo d’Europa, che introduce per la prima volta nella storia repubblicana la necessità di possedere una certificazione sanitaria per accedere al luogo di lavoro, negli edifici scolastici e sui mezzi di trasporto, sarà dunque approvato senza che alcun ramo del parlamento abbia potuto dibatterne ed emendare i contenuti.
Al Senato si attendono poi altri tre voti di fiducia, sempre nelle prossime ore, e su temi nient’altro che secondari visto che si parla di modifiche importanti al sistema della giustizia, con un voto di fiducia previsto sulla riforma del processo civile e due sulla modifica di quello penale.
Le sparute minoranze ancora presenti in Parlamento protestano e i toni sono simili. Sia Fratelli d’Italia che – dal fronte opposto – Sinistra Italiana parlano di “indecenza” e di “sospensione della democrazia”, parole analoghe anche da Alternativa c’è, il gruppo parlamentare creato dagli ex 5 Stelle delusi che si oppongono al governo Draghi.
Chiaro che quello del ricorso eccessivo ai voti di fiducia per velocizzare l’iter delle leggi e vincolarne l’approvazione (la mancata approvazione del “pacchetto completo” comporterebbe la caduta del governo) non è metodo introdotto dal governo Draghi. Tutti gli ultimi governi lo hanno utilizzato. A farvi maggior ricorso fu sempre un governo tecnico, quello guidato da Mario Monti (in media 1 volta ogni 10 giorni), seguito dal Conte II (ogni 14 giorni) e dal governo Renzi (ogni 16 giorni). Per ora l’esecutivo Draghi risulta in media con i predecessori, ma la decisione di portarne in aula 5 in due giorni lo porterà a scalare la classifica, giungendo a 19 voti di fiducia da quando è in carica (13 febbraio 2021). Inoltre, a non avere pari, è anche l’importanza delle modifiche introdotte attraverso questo metodo, caratterizzate da provvedimenti come quelli per la gestione della pandemia che si muovono stirando e, secondo molti, contravvenendo a norme europee e costituzionali, attraverso la proroga costante dello stato di emergenza.
Terza dose vaccino, Walter Ricciardi: “Sarà fatta da tutti e diventerà periodica”
Con ogni probabilità l’anno prossimo tutti i cittadini italiani, e dunque non solo i più fragili ed i sanitari, dovranno sottoporsi ad un richiamo del vaccino anti Covid. È quanto sostenuto da Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza, il quale in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Messaggero ha affermato che «a nove-dieci mesi dalla vaccinazione, una persona sana e in età non avanzata è ancora protetta». Tuttavia, ha aggiunto: «È presumibile però che a partire dal prossimo anno una dose di richiamo debba essere fatta da tutti, con una certa periodicità».
Afghanistan: attacco a posto di blocco a Jalalabad, 3 vittime
Nella città di Jalalabad, situata nella provincia orientale di Nangarhar, che è stata per anni la principale base operativa del ramo afghano dell’Isis, tre persone hanno perso la vita questa mattina in seguito ad un attacco a un posto di blocco. Esso precisamente è stato effettuato da parte di alcuni uomini armati nel distretto di Ghawchak, e nello specifico a morire sarebbero stati due combattenti talebani ed un civile, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Ansa che cita alcune fonti della sicurezza. Tuttavia, la stessa agenzia sottolinea come ci sia un funzionario talebano che sostiene invece che i morti siano tutti civili.
La Commissione UE tiene segreti gli sms tra von der Leyen e Pfizer
Uno scambio informale di messaggi tra la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, rischia di trasformarsi in uno scandalo. Gli sms, mandati e ricevuti dai due durante i negoziati sulla fornitura all’Ue di 1,8 miliardi di dosi del vaccino anti-Covid, stanno infatti divenendo un vero e proprio caso: non per il loro contenuto, bensì per l’impossibilità, al momento, di venirne a conoscenza a causa della non diffusione dello stesso da parte della Commissione europea.
In tal senso dopo la pubblicazione, lo scorso aprile, di un articolo del New York Times in cui veniva appunto riferita la notizia dello scambio di messaggi tra la Von der Leyen e Bourla, la Commissione europea ha ricevuto una richiesta di accedere pubblicamente ad essi. Tuttavia, l’istituzione europea ha fatto sapere di non poter fornire l’accesso a nessuno dei messaggi non essendo questi ultimi stati conservati e, dunque, non avendone traccia. Per questo, è stata effettuata una denuncia presso il Mediatore europeo, figura dell’Unione che ha il compito di indagare sulle denunce relative a casi di cattiva amministrazione da parte delle istituzioni o di altri organi della stessa. Il denunciante ha basato la sua richiesta sul fatto che, dato il presunto oggetto dei testi, gli sms rientrerebbero nel concetto di “documento” previsto dal regolamento 1049/2001, il quale stabilisce che in caso di mancata diffusione pubblica i richiedenti possono rifarsi al mediatore.
Così Emily O’Reilly, l’attuale mediatrice europea, dopo aver analizzato la questione ha deciso di aprire un’indagine. A tal proposito, nella lettera avente ad oggetto tale decisione si legge che mentre da un lato la Commissione ha «parzialmente divulgato tre documenti al denunciante», dall’altro ha anche «dichiarato di non avere registrazioni dei messaggi in questione» affermando di non avere il dovere di «conservare ogni singolo documento» e specificando che si ha comunque a che fare con messaggi generalmente «di breve durata» e quindi, in linea di principio, esclusi dalla sua politica di conservazione dei registri.
Tuttavia, la mediatrice ha appunto stabilito che ritiene necessario che la sua squadra d’inchiesta si incontri, prima dell’8 ottobre 2021, «con i rappresentanti competenti della Commissione per ottenere ulteriori informazioni» In particolare, alla Commissione si chiede di illustrare «la sua politica sulla conservazione delle registrazioni dei messaggi di testo e su come tale politica sia attuata nella pratica» e «se, e in caso affermativo, come e dove, abbia cercato eventuali messaggi di testo rientranti nella richiesta del denunciante». Infine, la mediatrice “tranquillizza” la Commissione sottolineando che «le informazioni o i documenti che essa considera riservati non saranno divulgati al denunciante o a qualsiasi altra persona senza previo accordo».
Detto ciò, non si tratta comunque della prima volta in cui personaggi di spicco dell’UE restano coinvolti in casi sospetti connessi alla fornitura dei vaccini anti Covid. Basterà ricordare che solo qualche mese fa il marito della commissaria europea alla Salute, Stella Kyriakidou, ha ricevuto senza alcuna motivazione ufficiale un prestito da 4 milioni di euro dalla Cyprus Cooperative Bank, nonostante egli non fosse dotato delle garanzie necessarie. E seppur non vi sia alcuna prova che la moglie sia effettivamente coinvolta in tale vicenda, si tratta comunque di un caso di sospetta corruzione affiancato al nome di colei che ha svolto un ruolo cruciale nella sottoscrizione dei contratti sui vaccini con le aziende farmaceutiche.
[di Raffaele De Luca]
Germania: Facebook rimuove account e pagine che contestano la gestione pandemica
Facebook Inc. ha segnalato l’aggiornamento delle proprie policy di servizio, una rivoluzione che comporta su carta un’intensificazione del modus operandi adottato da Facebook e Instagram per contrastare la disinformazione. Il cambiamento è stato annunciato attraverso un post di Nathaniel Gleicher, capo della cybersicurezza della Big Tech, il quale non ha mancato di sottolineare come i due portali abbiano già provveduto ad applicarne i vincoli contrattuali per rimuovere 150 account e pagine collegate ai movimenti che contestano le misure restrittive adottate dal Governo tedesco per combattere il coronavirus.
I profili colpiti sarebbero tutti vicini a Querdenken, un movimento vario ed eterogeneo che include no-vax, persone contrarie all’uso di mascherine, complottisti, estremisti di destra, ma anche semplici cittadini preoccupati dalle imposizioni volute dall’establishment locale. I messaggi condivisi dal gruppo sono a loro volta multiformi e non è raro che alcuni finiscano con il promuovere informazioni non verificate o con l’augurare incredibili sventure ai poliziotti che contrastano le loro manifestazioni.
Non è altresì insolito che questa branca vocale di utenti finisca con il crearsi profili internettiani pensati con l’intento di ingannare gli algoritmi social per diffondere le proprie convinzioni, cosa che la nuova policy di Facebook non manca di etichettare al pari di un «danno sociale coordinato» che è stato meritevole di censura.
Una scelta estrema, quella della ditta, che non manca di sollevare una serie di dubbi etici, rendendo ambiguo il confine tra opinionismo e informazione, nonché destando perplessità sull’imposizione impari della gestione delle policy dei social. La Big Tech si è infatti dimostrata sempre incline a chiudere un occhio sulla gestione di profili falsi che andassero a fomentare gli algoritmi digitali, a prescindere che questi potessero traviare le masse; basti pensare che Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Nicola Zingaretti e molti altri politici italiani siano dotati di social presumibilmente pregni di follower fasulli.
Chi decide che i seguaci di Querdenken siano in grado di creare un danno sociale coordinato mentre i capi di partito non rappresentino alcun rischio? A quanto pare è Facebook Inc. stessa, tuttavia ci sono motivi per credere che questo episodio rappresenti più un’eccezione che la regola. L’azienda guidata da Mark Zuckerberg ha sempre evitato di adottare un ruolo “editoriale” e l’attuale episodio sembrerebbe voler più che altro proteggere la ditta dalle accuse di immobilità che altrimenti l’avrebbero presto colpita.
L’annuncio del rinnovamento della policy è infatti stato pubblicato appena poche ore prima che il The Wall Street Journal pubblicasse un articolo in cui venivano esposti alcuni report interni a Facebook, report in cui gli analisti sottolineano l’inadeguatezza del portale nel combattere efficacemente la disinformazione sulle vaccinazioni e sul coronavirus. Un difetto che non è chiaro se sia figlio di incompetenza o di malizia, ma che stride con la promessa di Zuckerberg di fare tutto il possibile per spingere gli utenti a vaccinarsi e, di conseguenza, mette a repentaglio i tentativi del dirigente di dipingere la piattaforma come una macchina in grado di «imporre una svolta positiva» (dal suo punto di vista) alla società.
[di Walter Ferri]