mercoledì 16 Luglio 2025
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Green Pass bis: Senato approva fiducia sul dl

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Il Senato ha dato il via libera al cosiddetto decreto “Green Pass bis”, il quale regola l’utilizzo del lasciapassare sanitario nelle scuole, nelle università e nei mezzi di trasporto. La fiducia posta dal governo sullo stesso è stata infatti approvata dal Senato con 189 voti a favore, 31 contrari e nessun astenuto, il tutto dopo l’approvazione di ieri da parte della Camera. In questo modo, dunque, è stato dato il via libera definitivo alla conversione in legge del decreto.

Confermato il carcere per la No Tav Nicoletta Dosio: una vicenda vergognosa

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Nicoletta Dosio si rifiutò di rispettare i domiciliari che le erano stati imposti dal Tribunale di Torino, condanna che aveva vissuto come una ingiustizia e una persecuzione per essere uno dei membri più attivi del movimento No Tav. Per questo è stata arrestata per una lunga scia di “evasioni”. Ieri sera la Corte d’Appello ne ha confermato la condanna a 8 mesi di carcere, a darne notizia un comunicato della rete NoTav.info.

I fatti: nel 2012 Nicoletta Dosio venne arrestata. Per cosa? Perché ai primi di marzo di quell’anno insieme ad alcune centinaia di manifestanti in Valle Susa presidiò per trenta minuti il casello dell’autostrada ad Avigliana. Non ci fu alcun blocco del traffico, i manifestanti sollevarono le sbarre dei caselli e fecero passare gratis gli automobilisti, mentre veniva detto da un megafono: oggi paga Monti (allora presidente del Consiglio). Nel 2016 per questi fatti arrivò la condanna: 8 mesi da scontare ai domiciliari. La militante, che nella vita faceva l’insegnante di greco e latino e già all’epoca aveva 70 anni, rifiutò di accettare la condanna. Sul suo blog scrisse: «voglio evadere dal loro arbitrio, dalle loro norme che tutelano i potenti e criminalizzano i deboli negando diritti umani e naturali e devastando il futuro di tutti e di ognuno, significa lottare per un mondo diverso, più giusto e vivibile : esserci, contro».

E così fece: iniziò ad evadere dai domiciliari. Per partecipare alle attività del movimento, per vedere le amiche, per passeggiare nella “sua” Val di Susa. La polizia iniziò gli appostamenti e nel 2020 venne arrestata e tradotta in carcere, con l’accusa di essere evasa almeno 130 volte dagli arresti. La Dosio, all’età di 75 anni, si ritrovò così tra le mura della prigione Le Vallette di Torino come una criminale. Ieri il processo di Appello ha confermato la condanna a 8 mesi per aver violato ripetutamente i domiciliari. E non è finita. «Lunedì 27/09 è prevista la seconda puntata – comunica il movimento No Tav – continuerà il processo di primo grado per le 130 “evasioni” che le vengono addebitate. Sfileranno ancora i testimoni della accusa per confermare i giorni, le ore, i minuti in cui i controlli a casa sua restavano senza risposta».

Quella di Nicoletta Dosio non è una vicenda isolata, ma è la rappresentazione di quanto accadde quotidianamente in Val di Susa, dove gli apparati dello stato hanno scelto da tempo la repressione, poliziesca e giudiziaria, come unica via per cercare di imporre un’opera che i cittadini non vogliono e contrastano con ogni mezzo da ormai 30 anni. E la situazione sta peggiorando. È in atto una evidente strategia di logoramento del movimento popolare contro l’opera che nelle ultime settimane si è rafforzata lungo più direttrici: dalla mobilitazione di 10.000 agenti contro le proteste, allo stanziamento di 8 milioni di euro di fondi pubblici per l’attuazione di campagne di comunicazione in favore dell’opera. Fino all’ultimo tassello: l‘utilizzo delle restrizioni pandemiche come arma contro i manifestanti, colpiti da centinaia di multe per aver violato le norme sul distanziamento.

[di Francesca Naima]

Tunisia: il presidente rafforza i propri poteri

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Tunisia: il presidente Kais Saied ha dichiarato ieri di avere accresciuto i proprio poteri presidenziali. Ci sono delle nuove “disposizioni eccezionali” volte a rafforzare il potere del presidente ma che vanno a indebolire l’influenza del Governo e del Parlamento. Nel decreto presidenziale di Kais Saied viene specificato che i poteri del Parlamento rimarranno ancora in stasi. Inoltre, le misure straordinarie introdotte da circa due mesi – e che hanno causato una grande confusione politica in Tunisia – rimarranno in vigore.

Domani il sesto sciopero mondiale per il clima: “ultima chiamata per il pianeta”

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Il 24 Settembre si terrà il sesto Global strike, sciopero globale per il clima, evento su scala mondiale che coinvolge 180 città solo in Italia. Gli scioperi, iniziati dal movimento Fridays For Future nel novembre del 2018, hanno posto l’attenzione sulla necessità di azioni concrete per salvaguardare l’ambiente, coinvolgendo sempre più paesi del mondo ed un numero sempre maggiore di persone, toccando il picco di 7milioni e 600mila nell’ultima manifestazione globale. Non è casuale la scelta di questa data, in vicinanza alla PreCOP 26 a Milano, che si terrà dal 30 Settembre al 2 Ottobre, ed alla COP26 a Glasgow in Novembre.

La Climate Change Conference (COP) delle Nazioni Unite, unisce tutti gli stati membri dell’Ue ed i firmatari del Protocollo di Kyoto, decidendo la linea da adottare nel futuro prossimo per contrastare i cambiamenti climatici. Linea che, a differenza delle 25 precedenti edizioni, non dovrà lasciare spazio a dubbi: i combustibili fossili vanno eliminati. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico), il foro scientifico delle Nazioni Unite, firmato da 234 scienziati di 66 paesi. I dati del rapporto, uscito il 9 Agosto, sono allarmanti; la terra si è già riscaldata di 1,1 gradi, provocando effetti irreversibili, come la desertificazione, lo scioglimento dei ghiacciai, del permafrost, a cui occorreranno millenni per riformarsi, e l’innalzamento dei mari. Su questi dati la Nasa ha creato il “Sea Level Projection Tools”, una proiezione che mostra cosa accadrebbe con l’aumento della temperatura media terreste. Con un aumento pari a 1,5°C ed uno scenario socioeconomico sostenibile, città costiere come Venezia e Cagliari andranno sott’acqua, con un margine che va dai 60 centimetri agli 1,30 metri. Prendendo invece come riferimento lo scenario superiore ai 2 gradi ed una situazione socioeconomica di diseguaglianze e consumo eccessivo delle risorse, la proiezione Nasa-Ipcc è inquietante: le città costiere del Mediterraneo andranno sott’acqua di almeno un metro, e spariranno anche paradisi d’oltreoceano come Acapulco, in Messico, sotto di quasi due metri, le Hawaii di 1,5, le Maldive di oltre 1,30 metri.

La causa di tutto? Antropica. E’ necessario fermare le emissioni di CO2 in atmosfera, per assicurarsi che la terra non superi la soglia di 1,5 gradi, provocando l’innalzamento delle acque insieme a fenomeni atmosferici sempre più intensi ed imprevedibili, con conseguente impossibilità di coltivazione.

Gli incendi, le inondazioni, che hanno interessato il globo nel 2020 sono stati nettamente superiori a tutti gli anni in precedenza. Continuando con le politiche attuali, permissive verso l’industria del fossile, la soglia sarà superata in meno di 20 anni. In tale situazione risulta dissonante la partecipazione alla COP26 di aziende come Eni, Shell, Snam, responsabili delle maggior parte delle emissioni industriali del mondo, come rappresentanti dei rispettivi stati. Il rischio evidente è che queste aziende difendano la propria economia a discapito del futuro del pianeta.

L’importanza della manifestazione del 24 settembre è storica: una chiamata ai governi ad affrontare realmente l’emergenza climatica. La pressione politica dei precedenti scioperi ha portato a sentenze storiche, condannando compagnie petrolifere e governi per inazione climatica, ad esempio la legge sul clima tedesca, dichiarata anticostituzionale poiché lascia i problemi climatici alle generazioni future, e portando la Francia ad introdurre l’ecocidio come reato. Tuttavia l’obbiettivo non è soltanto critico, bensì propositivo. La campagna “Ritorno al Futuro” lanciata da Fridays For Future Italia, firmata da 25 scienziati, mostra come una transizione ecologica immediata sia possibile, dalla produzione d’energia, ai trasporti, alla gestione dei rifiuti, fino alla filiera alimentare, responsabile del 30% delle emissioni di CO2. E soprattutto come non farla ricadere sulle tasche dei cittadini.

Informazioni su luoghi e orari delle manifestazioni previste nelle varie città italiane disponibili sul sito di Friday for Future Italia.

[a cura di Friday for Future Italia]

Il Senato ha approvato la riforma penale: 177 sì e 24 no

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Con 177 voti favorevoli, 24 voti contrari e nessun astenuto, il Senato ha approvato in via definitiva la riforma del processo penale. La suddetta riforma diventa dunque una legge e rappresenta, tra le altre condizioni (come la riforma del processo civile), uno dei requisiti previsti dall’Unione Europea per potere ricevere i fondi del Recovery Plan.

Australia, non si fermano le proteste contro le restrizioni: oltre 200 arresti

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Da protesta contro obbligo vaccinale e lockdown a “freedom rally” contro ogni restrizione. Negli ultimi giorni, nelle principali città australiane si susseguono proteste piuttosto tese alle quali la polizia sta reagendo con una intensa repressione, con tanto di utilizzo di proiettili di gomma e granate stordenti per disperdere i cortei.

Tutto era iniziato con la resistenza, da parte di alcuni membri del potente sindacato CFMEU (Construction, Forestry, Maritime, Mining and Energy Union), contro un mandato governativo che imponeva l’obbligo vaccinale per i lavoratori del settore delle costruzioni. Una protesta che è sfuggita di mano al sindacato stesso che ha accusato gruppi di estrema destra e “no-vax”, di essersi organizzati sui social media per prendere il controllo della situazione e di essersi «travestiti da muratori» per fomentare gli scontri.  Ancora non è chiaro quanti membri del CFMEU fossero effettivamente coinvolti nelle proteste.

Era il 233esimo giorno di lockdown per Melbourne, la seconda città australiana, e molti cittadini erano ormai insofferenti verso le restrizioni. I manifestanti, travestiti da muratori, si sono ritrovati davanti alla sede del CFMEU. Una parte del corteo ha attaccato la polizia, assaltandone le auto e lanciando qualche sasso e bottiglie di vetro. Parliamo di un numero imprecisato tra i 1000 e i 2000 manifestanti, secondo il quotidiano britannico The Guardian.

La repressione non si è fatta attendere e ha raggiunto il suo massimo sabato scorso, quando più di 200 persone sono state arrestate, e poi multate per violazione delle norme sulla salute pubblica. Sarebbero una decina i poliziotti rimasti feriti, alcuni in modo abbastanza serio, e ci sono anche i casi di alcuni giornalisti picchiati. Lo stesso commissario capo della polizia di Victoria, Shane Patton, ha affermato che «gli agenti hanno usato peperoncino, proiettili di gomma, lacrimogeni e granate stordenti» per controllare la piazza.

Negli ultimi tempi, il lockdown in Australia è stato molto duro. I casi di Covid sono in risalita e moltissime città hanno reagito reintroducendo lockdown particolarmente severi, con multe altissime per chi violasse le restrizioni e un controllo capillare. Il paese, in particolare, ha utilizzato strumenti come l’analisi dei dati biometrici e la geolocalizzazione per monitorare la popolazione sottoposta a quarantena.

[Anita Ishaq]

Stati Uniti: approvata la terza dose del Pfizer

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Ieri negli Stati Uniti, la U.S. Food and Drug Administration (FDA) ha modificato l’autorizzazione all’uso di emergenza (EUA) per il vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19, introducendo una terza dose del vaccino Pfizer-BioNtech per le persone dai 65 anni in su e per i soggetti “a rischio”. La somministrazione dovrà avvenire almeno sei mesi dopo aver ricevuto la seconda dose del Pfizer-BioNTech, come specificato dalla FDA. Non ci sarà – per ora – l’introduzione di un terzo richiamo per tutti, come invece aveva annunciato Biden a metà agosto.

Cingolani e Terna mentono, l’Italia può chiudere subito ogni centrale fossile

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La retorica seconda cui è necessario investire nel gas naturale per evitare il deficit energetico dovuto alla transizione alle rinnovabili è una menzogna. È questa l’accusa mossa da ReCommon verso il ministro Cingolani e l’azienda che gestisce l’elettricità nazionale, Terna. L’Italia, infatti – in accordo con i dati del Center for Research on Energy and Clean Air (Crea) – potrebbe da subito chiudere le centrali a combustibili fossili senza mettere a rischio le forniture di elettricità. Il ministro della Transizione Ecologica, non molto tempo fa, aveva invece ribadito il concetto secondo cui il gas sarà l’ultimo degli idrocarburi ad abbandonare la scena. Questo perché – ha spiegato – rivestirebbe un ruolo da ‘ponte’ tra le fonti più inquinanti e quelle pulite, evitando black out nazionali legati alle fluttuazioni energetiche proprie delle rinnovabili. Ma le cose – secondo quanto evidenziato dal Crea – non stanno proprio così.

Secondo le analisi contenute nel documento, infatti, la nostra penisola potrebbe abbandonare la maggior parte degli impianti legati alle fonti fossili senza rischiare di lasciare al buio i cittadini. Ma non solo. Se lo facesse, in termini economici, ci guadagnerebbe anche. Il Centro di ricerca indipendente, allo scopo, ha pubblicato il rapporto “Ripe for Closure: accelerare la transizione energetica e risparmiare denaro riducendo la capacità in eccesso di combustibili fossili”. In termini assoluti – è emerso – l’Italia occupa il secondo posto, dopo la Spagna, per eccesso di capacità di generazione installata. Un eccesso derivante, per l’appunto, dalle fonti energetiche fossili. Del quale, buona parte, è occupato dal carbone. «Anche considerando un legittimo margine di riserva del 15% per garantire la sicurezza delle forniture – spiegano gli esperti – vi sarebbe comunque un eccesso di 8,7 GW di centrali fossili per soddisfare il picco della domanda». Considerando che quelle a carbone dovrebbero chiudere i battenti entro il 2025, il report sottolinea come questo possa avvenire senza installare nuova capacità di generazione a gas. E inoltre, senza correre rischi, i lucchetti potrebbero andare anche a molte centrali petrolifere. Il tutto, per un risparmio nei costi fissi operativi e di manutenzione di 465 milioni di euro l’anno.

Ampliando lo sguardo a livello europeo, l’Italia potrebbe fare questo importante salto ecologico insieme ad altri otto paesi: Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Spagna e Turchia. Nel complesso questi Stati – compresa l’Italia – hanno un eccesso di potenza installata di 48,8 GW e, per questo motivo, ad accumunarli è la possibilità che chiudano le centrali fossili senza pericoli. Specie, come dicevamo, per quanto riguarda quella più inquinante: il carbone. Non a caso, il 77% di questo surplus energetico deriva proprio da tale fonte. Bloccando immediatamente le attività implicate nella generazione di questo eccesso, queste nazioni potrebbero poi risparmiare, annualmente, quasi 2 miliardi di euro. Questo perché si tratta di impianti a tutti gli effetti inutili o, comunque, sottoutilizzati. Ciononostante – denuncia ReCommon – «in barba all’emergenza climatica, da noi il 57% dell’energia elettrica è ancora prodotta da fonti fossili, con il gas passato dal 40% del 2015 al 46% attuale. La tendenza è stata accelerata dalla sostituzione di 14 GW di centrali a carbone con impianti a gas, invece che con impianti ad energia rinnovabile e distribuiti sul territorio». Una tendenza confermata dalle decisioni prese ultimamente dallo stesso ministro Cingolani. E sebbene giusto ieri lo stesso abbia dichiarato «puntiamo sul sole e sul vento, siamo gli Emirati del futuro», si spera che alle parole seguano i fatti.

[di Simone Valeri]

 

 

Contro i migranti haitiani il democratico Biden non è diverso da Trump

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Vicino a Del Rio, in Texas, lungo in confine Stati Uniti-Messico, sta accadendo una delle più grandi crisi migratorie degli ultimi anni, proprio mentre Biden è al timone degli Usa. Il paese a stelle e strisce, infatti, ha iniziato a rimpatriare centinaia di migranti, per lo più haitiani, con l’intento di “smaltire” giorno dopo giorno una folla di circa 12.000 persone, accampate nella città di confine in Texas da diversi giorni.

Come siamo arrivati fino a qui? Nelle ultime settimane circa 10mila migranti, in fuga da Haiti, sono approdati in massa nella cittadina di Del Rio, situata a Sud del Texas. Numeri che si vanno a sommare alle centinaia di migliaia di persone che ogni mese, con costanza, si stima transitino lungo il territorio, con la speranza di raggiungere gli Usa. E ancora: a queste si aggiungono i migranti che rimangono accampati per molto tempo in attesa di un’udienza, dopo aver presentato la domanda di asilo.

Invece al momento l’unica strategia dell’amministrazione democratica, guidata dal presidente Joe Biden e dalla vice Kamala Harris, prevede una serie di rimpatri forzati (come di fatto sta accadendo) per alleggerire la pressione sul Del Rio e scoraggiare eventuali nuovi arrivi da Haiti.

Ma non sta filando tutto liscio come il Presidente avrebbe voluto. Da giorni circolano sul web foto e filmati che ritraggono gli agenti della guardia di confine a cavallo mentre usano corde e redini come fossero fruste, sui corpi dei migranti. Si vedono haitiani che tentano di attraversare il fiume fermati in modo violento e brutale, altri che corrono per sfuggire alle frustate. È grande lo sconcerto negli occhi di tutti quelli che si chiedono come sia possibile, come sia possibile che negli Stati Uniti di oggi, come ci erano stati presentati da Biden, si sia arrivati a tanto, a meno di un anno dalle sue promesse di “maggiore umanità” proprio nei confronti della comunità haitiana.

Soprattutto perché ormai Haiti è considerato uno stato senza futuro, attraversato da un’emergenza umanitaria che secondo i critici rende impossibile una vita sicura al suo interno.

Motivo per il quale qualche mese fa, prima dell’estate, Biden aveva concesso lo status di protezione temporanea a decine di migliaia di haitiani privi di documenti negli Stati Uniti. All’epoca, quando si parlava di Haiti, si raccontava di “gravi problemi di sicurezza, disordini sociali, aumento delle violazioni dei diritti umani, povertà paralizzante e mancanza di risorse di base”. Da allora le cose sono peggiorate ancora, rendendo i rimpatri ancora più insensati.

«È scioccante. Capisco che gli Stati Uniti debbano proteggere i propri confini, ma per come è attualmente Haiti, questo è l’ultimo posto dove mandare qualcuno», ha affermato al Washington Post Ralph P. Chevry, membro del consiglio di amministrazione dell’Haiti Center for Socio Economic Policy di Port-au-Prince.

Rispedire “al mittente” migliaia di persone significa condannarle a vivere in un posto che sta ancora facendo i conti con l’assassinio (irrisolto) del suo presidente, avvenuto a luglio, e seguito da un devastante terremoto che ha ucciso 2.200 persone, lasciando gli haitiani senza case, scuole e posti dove rifugiarsi. Terreno fertile per bande di strada violente che, approfittando della situazione, tengono il controllo su quartieri e vie principali, incendiando strutture pubbliche, stuprandone gli abitanti e mettendo a segno continue rapine e uccisioni.

Alcuni testimoni, intervistati dal Washington Post, raccontano di vivere con sgomento, rabbia e paura: «Se Biden continua con queste deportazioni, non è migliore di Trump. Ho paura per la mia sicurezza qui. Non conosco nemmeno più questo paese».

[di Gloria Ferrari]

5 voti di fiducia in 48 ore: il governo Draghi sospende la democrazia parlamentare

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Il governo Draghi ha pianificato 5 voti “blindati” in 48 ore. Senza poter discutere ed emendare i testi, i parlamentari sono chiamati a votare su decreto green pass, riforma del processo civile e riforma del processo penale. Nonostante la terza maggioranza più larga nella storia repubblicana il “governo dei migliori” non sta esitando ad utilizzare un metodo legislativo che comprime l’attività parlamentare ed impedisce ogni modifica ai testi portati in aula dall’esecutivo.

Il primo voto di fiducia si è tenuto ieri al Senato sulla conversione a legge del decreto “green pass bis”. Nonostante a palazzo Montecitorio il governo goda di una maggioranza schiacciante (almeno 535 seggi di scarto) è stata posta la fiducia. Il provvedimento ha ottenuto 413 voti a favore, 48 contrari e un astenuto. Nelle prossime ore il decreto passerà al Senato, dove sarà posta ancora una volta la fiducia. Il testo sulla certificazione Covid più severo d’Europa, che introduce per la prima volta nella storia repubblicana la necessità di possedere una certificazione sanitaria per accedere al luogo di lavoro, negli edifici scolastici e sui mezzi di trasporto, sarà dunque approvato senza che alcun ramo del parlamento abbia potuto dibatterne ed emendare i contenuti.

Al Senato si attendono poi altri tre voti di fiducia, sempre nelle prossime ore, e su temi nient’altro che secondari visto che si parla di modifiche importanti al sistema della giustizia, con un voto di fiducia previsto sulla riforma del processo civile e due sulla modifica di quello penale.

Le sparute minoranze ancora presenti in Parlamento protestano e i toni sono simili. Sia Fratelli d’Italia che – dal fronte opposto – Sinistra Italiana parlano di “indecenza” e di “sospensione della democrazia”, parole analoghe anche da Alternativa c’è, il gruppo parlamentare creato dagli ex 5 Stelle delusi che si oppongono al governo Draghi.

Chiaro che quello del ricorso eccessivo ai voti di fiducia per velocizzare l’iter delle leggi e vincolarne l’approvazione (la mancata approvazione del “pacchetto completo” comporterebbe la caduta del governo) non è metodo introdotto dal governo Draghi. Tutti gli ultimi governi lo hanno utilizzato. A farvi maggior ricorso fu sempre un governo tecnico, quello guidato da Mario Monti (in media 1 volta ogni 10 giorni), seguito dal Conte II (ogni 14 giorni) e dal governo Renzi (ogni 16 giorni). Per ora l’esecutivo Draghi risulta in media con i predecessori, ma la decisione di portarne in aula 5 in due giorni lo porterà a scalare la classifica, giungendo a 19 voti di fiducia da quando è in carica (13 febbraio 2021). Inoltre, a non avere pari, è anche l’importanza delle modifiche introdotte attraverso questo metodo, caratterizzate da provvedimenti come quelli per la gestione della pandemia che si muovono stirando e, secondo molti, contravvenendo a norme europee e costituzionali, attraverso la proroga costante dello stato di emergenza.