Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha firmato un ordine esecutivo con cui viene vietato alle aziende americane di investire in 59 società cinesi. L’ordine rafforza ed estende il divieto imposto dall’ex presidente Donald Trump avente ad oggetto le compagnie legate all’esercito del partito comunista cinese. Adesso, infatti, esso comprende tutto il settore della difesa e della sicurezza, anche in relazione alla violazione dei diritti civili e dei valori democratici. Tale provvedimento entrerà in vigore il 2 agosto.
Danimarca: approvata legge per aprire centri richiedenti asilo fuori da Ue
Il parlamento di Copenaghen ha approvato nella giornata di oggi una legge che consentirà di aprire centri di accoglienza per i richiedenti asilo fuori dal territorio nazionale ed europeo. Nonostante vi sia stata l’opposizione di alcuni gruppi di sinistra, il testo è passato con un’ampia maggioranza grazie al sostegno ricevuto dalle formazioni di destra ed estrema destra. Esso rientra all’interno della stretta sull’immigrazione voluta dal governo socialdemocratico guidato dalla premier Matte Frederiksen in quanto ha un chiaro scopo deterrente: dissuadere l’arrivo dei migranti in Danimarca.
Naufragio al largo della Tunisia: almeno 23 migranti morti
Sono almeno 23 i migranti che hanno perso la vita in seguito ad un naufragio avvenuto al largo delle coste tunisine. È quanto ha riferito ad “InfoMigrants” una fonte dell’organizzazione umanitaria della Mezzaluna rossa tunisina. Altre 70 persone sono invece state trovate e salvate: nello specifico 37 eritrei, 32 sudanesi ed un egiziano, tutti di età compresa tra i 15 ed i 40 anni. Infatti secondo quanto dichiarato da Mongi Slim, un funzionario della Mezzaluna Rossa, la barca trasportava più di 90 migranti. Essa era partita dal porto libico di Zuara ed era diretta in Europa.
A Pisa, un “super computer” combatte il Parkinson
Un altro importantissimo progresso è stato compiuto nella medicina grazie all’intelligenza artificiale (AI). L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Pisa ha infatti inaugurato un computer in grado di formulare diagnosi precoci di malattie celebrali come il Parkinson. Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa che colpisce molte persone nel mondo. Purtroppo però, molto spesso la diagnosi arriva tardivamente, quando sono già comparsi i tipici sintomi, quali il tremore, la rigidità muscolare, i problemi nell’equilibrio e nei movimenti. Questi segnalano che il cervello del paziente ha già subito lesioni irreversibili. Per questo motivo, si ritene che scoprire il Parkinson in fase pre-clinica, possa consentire di prevenire o comunque rallentare la sua progressione, tramite la somministrazione di farmaci specifici per il contrasto della neurodegenerazione.
Lo studio “The role of deep convolutional neural network as an aid to interpret brain 18F-DOPA PET/CT in the diagnosis of Parkinson’s Disease” recentemente pubblicato sulla rivista scientifica European Radiology, spiega come sia stato sviluppato un software di intelligenza artificiale in grado di riconoscere un paziente con Parkinson anche in fase iniziale di malattia, riscontrando piccoli deficit di metabolismo a livello delle strutture cerebrali interessate. Come spiegato dagli esperti, in questo caso l’applicazione dell’intelligenza artificiale consiste nella creazione di algoritmi di apprendimento automatico, i quali vengono addestrati ad imparare e a decifrare i dati forniti tramite, ad esempio, le immagini diagnostiche mediche. È giusto però specificare che l’AI non può sostituire l’uomo. Queste tecnologie forniscono infatti agli operatori sanitari solo un supporto nella lettura dei dati e nel cogliere elementi significativi che, altrimenti, non sarebbero di facile rilevazione quando le alterazioni patologiche sono di lieve entità e quindi ad uno stadio precoce della malattia.
Ultimamente, l’intelligenza artificiale è sempre più applicata nella medicina. Un importante accordo è stato firmato tra l’Istituto Auxologico di Milano e il Centro Alma Human Al dell’Università di Bologna, riguardante la necessità di applicare l’AI alla diagnosi e alla cura delle patologie cardiovascolari. Così come per il diabete, malattia che condiziona quotidianamente la vita delle persone e che per questo necessita un monitoraggio costante e continue attenzioni terapeutiche. La sua difficile gestione e, in particolare, della terapia insulinica, fa sì che oltre 7 persone su 10 con diabete di tipo 1 non raggiungano un buon controllo glicemico. Per questo è stato sviluppato il DBLG System, un sistema ibrido ad ansa chiusa per la somministrazione automatica di insulina, che permette di agevolare la gestione del diabete. Questo tipo di sistemi – hanno dichiarato gli esperti – segnano un importante passo avanti nell’evoluzione verso i pancreas artificiali, poiché permettono l’erogazione automatica di insulina giorno e notte in risposta ai valori glicemici riscontrati dal sensore, con la richiesta dell’intervento del paziente solo al momento del pasto, quando è necessario inserire la quantità di carboidrati assunti.
La telemedicina ha dato inizio ad una nuova era. Si teme però che con la sempre più imponente applicazione dell’intelligenza artificiale in questo campo, ci sia il rischio di discriminazione di genere o razza. Il commento di Peter Embi dell’Indiana University pubblicato su Jama Network Open, parte da uno studio che ha analizzato un algoritmo usato per determinare il rischio di depressione post partum. Dall’analisi è emerso che l’algoritmo, se non viene corretto, porta discriminazioni nei confronti delle donne di colore, in quanto agisce in base a dati raccolti su una popolazione in maggioranza di razza bianca. Il corpo bianco e maschile è sempre stato usato per la ricerca delle terapie, pertanto è importante che i dispositivi AI non seguano lo stesso schema. Sicuramente gli algoritmi sono molto utili nelle diagnosi, nella scelta delle terapie e nella ricerca, fungendo da “occhi aggiuntivi” per i medici. Possono però emergere pregiudizi durante il loro utilizzo, soprattutto se i dati usati per formare i modelli che li completano, non sono rappresentativi e non tengono conto di fattori come la razza o il genere.
[di Eugenia Greco]
Stellantis: cassa integrazione in Italia, centinaia di assunzioni all’estero
Stellantis, gruppo automobilistico nato dalla fusione di FCA con PSA, sta man mano sempre più staccandosi dal nostro paese. Per chi lo avesse dimenticato, FCA era a sua volta frutto della fusione dell’italiana FIAT con Chrysler. Dunque stiamo parlando della nuova casa automobilistica che ha origine dall’azienda della famiglia Agnelli-Elkann che tanto ha dato al nostro paese ma che certamente ha avuto anche molto in cambio, riuscendo a sopravvivere nei momenti più difficili grazie a generosi interventi a fondo perduto dello Stato italiano. Potremmo dire che la riconoscenza del Paese non è stata molto contraccambiata. Già con la nascita di FCA c’erano già stati tagli di produzione in Italia e le sedi legale e fiscale erano emigrate verso lidi più convenienti all’azienda. Adesso, con la nascita di Stellantis il trend emigratorio sembra incrementare ancora.
Nel grande stabilimento di Melfi, in Basilicata, è stato annunciato 1.000 lavoratori saranno messi ancora in cassa integrazione anche per il mese di giugno. Gli operai sono mobilitati in presidi e iniziative sindacali nonché con manifestazioni. Con il nuovo corso di Stellantis, i lavoratori degli stabilimenti ex FCA temono una smobilitazione della produzione dal nostro Paese. Infatti, nel mentre, l’azienda annuncia assunzioni negli Stati Uniti (circa 500) e in Francia (circa 1300). Va ricordato che quest’ultima ha una quota diretta dello Stato all’interno di Stellantis poiché già presente nell’azionariato di PSA. Lo Stato francese ha quindi interesse diretto nell’azienda e certamente riesce ad esercitare una forza attrattiva maggiore con una pianificazione industriale ben studiata.
Nel primo trimestre dell’anno, Stellantis si è già piazzata alla testa d’Europa superando il Gruppo Volkswagen, beneficiando delle buone vendite dell’ex gruppo PSA mentre in Italia non si riesce a mantenere il passo con ritardi nel lancio dei nuovi modelli e con un tessuto industriale che cade a pezzi e con strategie e pianificazioni che mai vengono rispettate e che non raggiungono gli obiettivi prefissati. Carlos Tavares, Ceo di Stellantis, ha fatto notare come il costo di produzione in Italia sia maggiore come lo è la difficoltà dell’approvvigionamento delle materie.
Altra cosa che ha fatto notare Tavares è la scarsa attenzione del Recovery Plan del governo italiano per il settore automobilistico. Per quanto concerne la mobilità elettrica, l’inizio della produzione delle batterie è già stato affidato alla Francia che inizierà nel 2023 con un nuovo polo di produzione mentre il secondo verrà avviato in Germania nel 2025. Il terzo polo, non ancora assegnato, potrebbe finire alla Spagna, anziché all’Italia. Se il piano di Draghi ha previsto 1 miliardo di euro per energie rinnovabili e batterie, quello spagnolo prevede 10 miliardi e l’Italia rischia seriamente di perdere anche la produzione delle batterie delle nuove auto elettriche che saranno prodotte.
Mentre avviene tutto ciò, dopo decenni di prestiti e finanziamenti a fondo perduto dello Stato italiano all’azienda che un tempo prendeva il nome di FIAT, John Elkann viene addirittura nominato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, Cavaliere del Lavoro. Una delle massime onorificenze della Repubblica è quindi stata conferita a colui che ha portato la sede della finanziaria di famiglia, la Exor, in Olanda evitando così di pagare le tasse in Italia. Così patriota da portarvi successivamente anche la sede di Ferrari e quella di FCA.
[di Michele Manfrin]
Sri Lanka chiede aiuto all’India per probabile marea nera
Lo Sri Lanka ha chiesto aiuto all’India per proteggere le sue coste dalla potenziale marea nera creata dal naufragio di una nave cargo nell’Oceano Indiano, la MV X-Press Pearl, dovuto ad un incendio durato 13 giorni. La guardia costiera indiana aveva già partecipato alle operazioni per domare le fiamme divampate a bordo della nave lo scorso 20 maggio.
Gli Usa hanno intascato milioni rivendendo il petrolio sequestrato all’Iran
Secondo quanto riportato dall’Associated Press, il governo degli Stati Uniti avrebbe recentemente guadagnato circa 110 milioni di dollari rivendendo 2 milioni di barili di petrolio greggio che aveva sequestrato insieme a una nave cisterna al largo delle coste degli Emirati Arabi Uniti, dopo aver affermato che il prodotto era iraniano e stava violando l’embargo. Teheran ha bollato il sequestro come un atto di pirateria internazionale.
Il petrolio in questione proveniva dalla MT Achilleas, una nave che gli Stati Uniti avevano sequestrato a febbraio del 2021 nelle vicinanze della città portuale di Fujairah, negli Emirati Arabi Uniti. Secondo gli USA, il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (dall’amministrazione Trump in poi considerato un’organizzazione terroristica) stava usando la MT Achilleas per vendere petrolio greggio alla Cina. Secondo quanto riportato da Washington, la MT Achilleas era quindi in aperta violazione delle sanzioni imposte sull’Iran nonché della legge anti-terrorismo. L’imbarcazione, dichiarata pericolosa per la sicurezza nazionale, era stata quindi portata in Texas. Qualche mese dopo, il petrolio protagonista della vicenda è stato venduto a buon prezzo.
È dalla fine degli anni ‘80, sotto la presidenza di George Bush, che gli Stati Uniti hanno sospeso ogni importazione di petrolio dall’Iran, allo stesso tempo imponendo al paese severe sanzioni. La situazione si era parzialmente distesa nel 2015, con gli accordi sul nucleare, ma si era poi nuovamente guastata durante il mandato di Trump. Mentre le negoziazioni sul nucleare continuano, gli Stati Uniti non hanno fatto che imporre nuove sanzioni, sia contro il petrolio (in particolare, contro il Ministero del Petrolio, la National Iranian Oil Company e la National Iranian Tanker Company) che contro le banche. In teoria, il senso di queste sanzioni è mettere il regime iraniano alle strette (anche se poi a pagarne le conseguenze sono per lo più i civili). Il settore petrolifero iraniano, secondo Washington, avrebbe sostenuto le guardie della rivoluzione islamica, finanziando attività che gli USA considerano “destabilizzanti.” Tra queste gli americano annoverano anche rapporti commerciali con il Venezuela.
C’è da dire che ottenere petrolio con la scusa delle sanzioni e della lotta al terrorismo per poi rivenderlo è qualcosa che gli Stati Uniti sembrano aver già fatto in precedenza. Nell’estate del 2020, la Siria, in particolar modo, aveva accusato il paese di aver rubato il suo petrolio. Gli USA, apparentemente, avevano messo le mani su delle riserve di petrolio siriane per “difenderle” da presunte minacce terroristiche. Il petrolio in questione non era stato consegnato al governo siriano. Oltretutto, era emerso che gli Stati Uniti avevano stretto accordi in proposito con dei ribelli curdi. In passato, il presidente Trump aveva descritto l’intera presenza militare americana in Siria come motivata dal petrolio.
[di Anita Ishaq]
Iran: violento incendio in una raffineria a sud di Teheran
Un violento incendio è divampato in una raffineria a sud di Teheran a causa di un esplosione dovuta a una fuoriuscita di gas liquido. L’impianto è in funzione dal 1968 ed appartiene alla Teheran Oil Refining Company e ha una capacità di 250.000 barili al giorno. Le autorità escludono un sabotaggio.
Croazia, le amministrative segnano un nuovo passo politico
In Croazia sembra soffiare un nuovo vento politico. Dopo le elezioni svoltesi domenica, sembra avviarsi a conclusione l’era dei partiti tradizionali, l’Unione democratica croata (HDZ) e il Partito socialdemocratico (SDP), in favore di nuovi volti e movimenti civico-politici. Le elezioni amministrative croate hanno dato un’importante scrostata alla sedimentazione politica registrata negli ultimi vent’anni.
Nella capitale Zagabria è risultato vittorioso Tomislav Tomašević, 40 anni, politologo e militante ecologista, che al ballottaggio ha ottenuto il 65% dei consensi rispetto al 35% racimolato dal suo avversario, Miroslav Škoro, il candidato dell’estrema destra che aveva cercato di formare un blocco contro la sinistra unendo a sé i conservatori. Tomašević andrà quindi a sostituire l’ex Sindaco Milan Bandić, al potere dal 2000 e morto nel febbraio di quest’anno, dominatore indiscusso della scena politica della capitale e con una storia torbida fatta di scandali e corruzione.
Tomašević rappresenta la rottura degli vecchi schemi. Non si è formato in alcun partito o gruppo politico ma viene dalle lotte sociali della strada (spesso contro lo stesso Bandić), megafono alla mano. Undici anni fa, durante una delle tante manifestazioni a cui ha preso parte da quando ha iniziato il suo attivismo all’età di 16 anni, Tomašević è stato persino arrestato.
Il progetto più importante annunciato da Tomašević è sicuramente la costruzione di appartamenti sociali urbani al fine di fornire alloggi a prezzi accessibili a Zagabria, dove i prezzi degli appartamenti in affitto so molto alti. Tomasevic cita Vienna come modello, dove circa il 60% degli appartamenti in affitto sono di proprietà della città o di fondazioni senza scopo di lucro. Tomašević crede nell’idea del bene pubblico e del governo nell’interesse generale. Allo stesso tempo vuole riformare o smantellare i carrozzoni pubblici utilizzati solamente come parcheggio per amici, paranti ed ex politici, come la Zagrebački Holding fondata nel 2006 da Bandić.
E quello di Tomašević non è l’unico risultato rilevante. In Istria, nei paesi di Pola e Pisino, vincono rispettivamente Filip Zoričić, indipendente, e Suzana Jašić, appartenete al movimento Možemo! – lo stesso di Tomašević. A Spalato, seconda città del paese, ha vinto un altro nuovo volto della politica croata, Ivica Puljak: fisico, ricercatore e politico liberale, leader di una lista civica centrista. L’ HDZ è riuscito ad ottenere una vittoria regionale, di qualche contea e della piccola città di Osijek. L’SDP è riuscito invece a conservare Fiume e la regione litoraneo-montana, vincendo anche in piccoli centri come Sisak e Varaždin.
Insomma, il bipolarismo croato che dura da vent’anni ha ricevuto un brutto colpo e potrebbe bastar poco per farlo crollare definitivamente. E il risultato croato potrebbe adesso influenzare anche i paesi vicini, in un crescendo di movimenti civici e politici popolari slegati dalle vecchie strutture partitiche che, nel corso degli ultimi decenni, hanno gestito e si sono spartite il potere.
[di Michele Manfrin]