mercoledì 17 Settembre 2025
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Yemen, le minacce dell’Arabia Saudita bloccano i rapporti ONU sulle violenze

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In Yemen l’Onu non avrà più il suo programma volto a testimoniare le violazioni dei diritti umani commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto. Lo ha deciso un voto del 7 ottobre che, secondo molte fonti (tra cui numerose associazioni), sarebbe stato pilotato dall’Arabia Saudita. La votazione, infatti, avvenuta durante il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (HRC) con lo scopo di prolungare l’indagine indipendente sui crimini di guerra per ulteriori due anni, ha avuto esito fallimentare, con 21 no contro 18 sì e l’astensione di sette Paesi. Nel 2020 i no erano stati solo 12. Un grosso balzo, che sembra molto poco casuale.

È la prima sconfitta di una risoluzione dell’Onu, nei 15 anni di storia, sopraggiunta nonostante l’Arabia Saudita non faccia parte dell’HRC. Il paese sarebbe riuscito nel suo intento grazie all’uso di incentivi economici, minacce e pressioni su alcuni Stati. John Fisher, portavoce dell’Ong Human Rights Watch, ha detto che la bocciatura ottenuta è “una macchia sul Consiglio per i diritti umani. Votando contro questo mandato estremamente necessario, molti Stati hanno voltato le spalle alle vittime, si sono piegati alle pressioni della coalizione guidata dai sauditi e hanno messo la politica al di sopra dei principi”.

Alcuni funzionari, politici, attivisti e fonti diplomatiche, venuti in contatto in qualche modo con le trattative segrete attuate dall’Arabia Saudita hanno confermato, come riporta il Guardian, le pressioni fatte per ottenere la bocciatura definitiva della risoluzione. In particolare il Paese del Golfo avrebbe minacciato l’Indonesia, uno dei paesi musulmani più popolosi al mondo, di non permettere ai fedeli di recarsi alla Mecca se la sua votazione fosse stata a favore del rinnovo. Se l’Indonesia non avesse ceduto al ricatto, probabilmente milioni di musulmani si sarebbero riversati in protesta nelle piazze, generando un grosso caos: quello a La Mecca è considerato il pellegrinaggio più importante della religione islamica.

Per questo 64 organizzazioni (numero destinato a crescere nei prossimi giorni) tra cui figura anche Amnesty International, chiedono all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di agire in fretta per creare un nuovo meccanismo, un organismo indipendente e imparziale che “indaghi e riferisca pubblicamente sulle più gravi violazioni e abusi del diritto internazionale commessi nello Yemen, raccogliendo e preservando le prove e preparando i file per eventuali futuri procedimenti penali”.

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), il numero di vittime provocate dal conflitto potrebbe arrivare a quota 377.000 prima che il 2021 finisca. Il 40% delle persone muore per via diretta: attacchi, missili, sparatorie, mentre il restante 60% subisce effetti collaterali, tra cui fame e malattie prevenibili.

Il conflitto in Yemen è cominciato con la primavera araba del 2011, quando Ali Abdullah Saleh, lo storico presidente, ha dovuto cedere il potere al suo vice, Abdrabbuh Mansour Hadi, in seguito a delle forti pressioni. In molti pensavano che il passaggio di testimone avrebbe dovuto portare stabilità nel paese, ma così non è stato.  Da allora lo Yemen è diventato sempre più povero e il presidente Hadi ha dovuto affrontare vari attacchi da parte delle forze militari fedeli a Saleh con l’exploit del 2014. In quell’anno il movimento ribelle musulmano sciita Houthi ha occupato la provincia settentrionale di Saada e le aree limitrofe. La loro avanzata è stata così rapida da costringere Hadi all’esilio all’estero, dopo aver occupato la capitale del paese. Con l’arrivo nel 2015 dell’Arabia Saudita e di altri otto stati sostenuti dalla comunità internazionale, scesi in campo contro gli Houthi, il conflitto ha assunto una portata molto più grande e disastrosa.

[di Gloria Ferrari]

I “no vax” hanno rivelato l’indirizzo di Draghi? È una bufala totale

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In questi giorni tutti i media mainstream hanno pubblicato la medesima notizia: quella secondo cui i cosiddetti “no vax” avrebbero rivelato, tramite il servizio di messaggistica Telegram, l’indirizzo di casa del premier Mario Draghi. Il Corriere della Sera, la Repubblica e Fanpage sono sono alcuni dei giornali che hanno condannato tale diffusione, parlando di un Mario Draghi «finito nel mirino dei no vax» e riportando anche la volontà di questi ultimi di recarsi «ogni sera alle 21 sotto il suo appartamento». Tuttavia, il modo in cui i giornali hanno dato la notizia – sottintendendo che l’indirizzo del premier fosse stato pubblicato per la prima volta – fa sì che essa sia una vera e propria fake news. Ciò in quanto l’indirizzo di casa di Draghi era già in precedenza facilmente reperibile: facendo una rapida ricerca su Google chiunque avrebbe potuto venirne a conoscenza.

Nel periodo in cui Draghi divenne Presidente del Consiglio, infatti, su internet circolarono diversi articoli riguardanti la sua casa. Il 3 febbraio 2021, ad esempio, il quotidiano RomaToday rese noto che Draghi viveva a Roma, pubblicando altresì l’indirizzo di casa nonché specificando le caratteristiche dell’appartamento. Ma non si tratta di certo dell’unico testo del genere: anche Casa Magazine scrisse un articolo intitolato «La casa di Mario Draghi a Roma, quartiere Parioli», in cui non solo venne diffuso l’indirizzo di casa del premier, ma anche allegata una foto della stessa. Infine, il 25 febbraio 2021, proprio il Corriere della Sera condivise un video dell’Agenzia Vista avente ad oggetto un’intervista ai «commercianti dei Parioli dove abita Draghi a Roma» ed in cui, tra l’altro, venne ripresa la casa del Presidente del Consiglio. Alla luce di tutto ciò gli articoli pubblicati in questi giorni dai noti giornali, in cui tale diffusione viene indicata come opera dei “no vax”, sono totalmente inesatti.

[di Raffaele De Luca]

Clima: ONU conferma temperatura record di 38 gradi Celsius nell’Artide

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Nella giornata di oggi l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), un’agenzia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), ha certificato una nuova temperatura massima raggiunta nell’Artide: si tratta di 38 gradi Celsius, record registrato l’anno scorso in Siberia. A tal proposito il capo dell’agenzia delle Nazioni Unite, Petteri Taalas, ha dichiarato tramite un comunicato che tale record «fa parte di una serie di osservazioni comunicate all’Archivio WMO delle Condizioni Meteorologiche e Climatiche Estreme che costituiscono un campanello d’allarme per il nostro clima che cambia».

L’Indonesia è riuscita a riportare in vita le barriere coralline estinte

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In Indonesia, alcune barriere coralline sono tornate a vivere. Lo conferma uno studio effettuato da un gruppo di ricercatori britannici e indonesiani, il quale ha registrato suoni, versi e rumori diversificati ma inconfondibili a prova della loro ripresa. Nel paese vengono coltivati migliaia di metri quadri di coralli su siti corallini privi di vita, con l’intento di farli rinascere, e oggi, con la ripresa di alcuni di questi, si ha la conferma che il ripristino e il salvataggio di interi ecosistemi marini è possibile. Gli esperti, infatti, durante il monitoraggio subacqueo, hanno documentato la presenza straordinaria di una vasta gamma di animali.

La ricerca si basa sulle registrazioni acustiche – effettuate tra il 2018 e il 2019 – delle barriere coralline di Badi, Bontosua e Salisih, le quali sono state recuperate negli anni precedenti, grazie al programma di monitoraggio e ripristino Mars Coral Reef Restoration Project. Nello specifico, i ricercatori si sono concentrati su parti di barriere coralline distrutte dalla pesca esplosiva, pratica che prevede l’uso di dinamite o altri esplosivi, al fine di stordire o uccidere enormi quantità di animali marini.

Il recupero ha visto l’impianto delle “Reef Stars” – strutture metalliche esagonali – che, dopo essere state seminate con coralli, hanno dato il risultato sperato: dare il via a una rapida crescita di coralli con la conseguente rinascita di ricchi ecosistemi. Gli studiosi hanno quindi monitorato ed esaminato tali aree ripristinate per alcuni anni, attestando come piano piano si stiano riprendendo, grazie al popolamento di moltissime specie marine. Come spiegato dal team, una volta che la barriera corallina riprende vita, ha sempre più possibilità di diventare autosufficiente grazie agli animali che vi si stabiliscono i quali, a loro volta, attirano altri simili, andando a creare un ambiente sempre più diversificato.

La possibilità di recuperare intere barriere coralline è indubbiamente un dato molto importante, se si considera che, in Indonesia, più di un terzo di queste sono in pessime condizioni. Tuttavia le minacce che incombono su questi ecosistemi sono grandi e non devono essere dimenticate. Difatti, gli studiosi specificano che, se il cambiamento climatico e l’inquinamento delle acque persisteranno e peggioreranno, le condizioni ambientali diverranno sempre più ostili per il loro salvataggio.

[di Eugenia Greco]

Proteste studentesche a Roma, poliziotti trascinano via con la forza due studenti

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Nella mattinata di lunedì 13 dicembre alcuni studenti del liceo Plauto di Roma sono stati portati via con la forza da poliziotti in borghese mentre si trovavano di fronte alla propria scuola per richiedere un’assemblea straordinaria. Come loro, da due mesi decine di migliaia di studenti protestano chiedendo alle istituzioni un tavolo di discussione dove portare le proprie rivendicazioni. Mentre il Miur e gli altri organi governativi tacciono, la polizia mette in atto una violenta repressione che tenta di silenziare le loro voci.

Lunedì 13 dicembre, intorno alle 9 del mattino, un gruppo di studenti si è radunato di fronte al liceo Plauto di Roma per chiedere un’assemblea straordinaria. Nel corso del sit in di fronte al liceo alcuni poliziotti in borghese si sono insinuati tra la folla, trascinando via con la forza due studenti. Dal video pubblicato sui social dall’OSA, Opposizione Studentesca d’Alternativa, si vede chiaramente una ragazza trascinata via, mentre un ragazzo aggrappato alla cancellata continua a dire al poliziotto «Mi spezzi il braccio, fermati». Ad un certo punto si vede chiaramente il poliziotto cercare anche di afferrarlo per il collo.

 

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Un post condiviso da OSA Roma (@osa.roma)

Non si tratta delle prime immagini che riportano la violenza messa in atto dalla polizia nei confronti dei giovani: basti ricordare quanto successo al liceo Ripetta di Roma poche settimane fa. Un clima che sembra suggerire come nelle istituzioni manchi la volontà di instaurare un dialogo con chi esprime dissenso, preferendo optare per una tattica repressiva.

Il collettivo OSA, del quale abbiamo pubblicato un comunicato, comprende studenti provenienti da diversi licei del contesto italiano che chiedono una sostanziale riforma della scuola. “Pensiamo che non ci sia più nulla da recuperare o difendere in un modello scolastico che ha perso la sua funzione emancipatrice” scrivono.

Tommaso, rappresentante dell’OSA intervistato dall’Indipendente, racconta dei diversi tentativi di mettersi in contatto con il Miur e con la Città Metropolitana di Roma, caduti tutti nel vuoto. «Abbiamo mandato l’altra settimana le PEC alle istituzioni, in particolare la Città Metropolitana, per la questione dei riscaldamenti», ma non è mai giunta alcuna risposta. «Nemmeno il Miur ci ha mai ricevuti, nonostante le continue richieste. In questi due mesi sono state occupate cinquanta scuole, si sono mossi studenti in tutta Italia e nonostante ciò il Ministro non solo non si è degnato di riceverci, ma non ha detto neanche una parola, non c’è neanche una dichiarazione su quanto è avvenuto». Marcon prosegue: «Stanno arrivando 19,5 miliardi di euro per la scuola nel Pnrr? Vogliamo metterci bocca anche noi. Sul problema degli scaglionamenti per esempio [gli ingressi a orari scaglionati nelle classi, nda] nessuno ci ha mai sentiti, ma per molti studenti costituiscono un problema».

L’istituzione scolastica è stata duramente provata da quasi due anni di pandemia, e gli studenti più giovani ne hanno pagato caro il prezzo, non solo in termine di preparazione ma anche di disagio psicologico. Sono coloro che hanno vissuto sulla propria pelle la continua sperimentazione di tattiche più o meno efficaci da parte del Governo per controllare i contagi all’interno delle scuole, eppure apparentemente non vi è modo di instaurare un dialogo diretto tra questi due poli.

«Finchè come studenti non vedremo soddisfatte le nostre esigenze noi continueremo a lottare, dalle scuole occupate alle manifestazioni noi continueremo a farci sentire» afferma Simone, lo studente fermato nel corso delle proteste di lunedì e poi rilasciato.

Resta da auspicarsi che la loro voce venga prima o poi ascoltata.

[di Valeria Casolaro]

Cloud seeding, la manipolazione del meteo continua con dubbi su efficacia e impatti

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Recente è la notizia secondo cui, all'inizio di quest'anno, le autorità cinesi sono riuscite con successo a modificare le condizioni meteorologiche in occasione del centenario del Partito Comunista. Grazie ad una manipolazione artificiale della densità nuvolosa, hanno garantito cielo sereno e basso inquinamento atmosferico. Inducendo delle precipitazioni nelle ore precedenti l’evento, i meteorologi cinesi hanno fatto sì che la concentrazione di polveri sottili si abbassasse ed hanno aumentato la probabilità che il cielo successivamente si schiarisse. La Cina, non a caso, è il paese che più di ...

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UE, sanzionati mercenari russi del gruppo Wagner

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L’UE ha sanzionato il gruppo di mercenari Wagner, otto dei suoi comandanti e tre società legate al loro finanziamento. Il gruppo, entità privata non registrata fondata nel 2014 in Russia, è “responsabile di gravi violazioni dei diritti umani in Ucraina, Siria, Libia, Repubblica Centrafricana, Sudan e Mozambico, che includono tortura ed esecuzioni ed uccisioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie”, ha comunicato l’UE. Il gruppo sarebbe a comando di migliaia di combattenti in Europa e Africa, che lavorerebbero a stretto contatto con il governo Russo. Le sanzioni imposte dovrebbero fungere da deterrente per le future attività del gruppo, del quale i diplomatici russi negano di essere a conoscenza.

Nella finanziaria spunta un emendamento che riduce le tasse a Philip Morris

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Quattro parlamentari leghisti hanno presentato un emendamento alla finanziaria per eliminare l’incremento progressivo dell’incidenza fiscale per il 2022 e il 2023 applicata al tabacco riscaldato. Si tratta di un settore nel quale la Philip Morris International (PMI) gioca il ruolo di leader mondiale. Il tutto a poco più di un anno dall’inchiesta, ancora aperta, che ha rivelato il legame tra Philip Morris e la Casaleggio Associati e i numerosi benefici fiscali dei quali ha goduto di conseguenza la multinazionale del tabacco, elargiti dal primo governo giallo-verde di Conte.

A presentare l’emendamento alla finanziaria sono quattro parlamentari della Lega: Faggi, Ferrero, Testor e Tosato. Ne dà notizia il Riformista, autore poco più di un anno fa dell’inchiesta che aveva portato alla luce il legame tra il colosso dell’industria del tabacco Philip Morris e la Casaleggio Associati, la società operante per il M5S che ha sviluppato la piattaforma Rousseau. Dall’inchiesta era emerso come PMI avesse versato oltre due milioni di euro nelle casse della Casaleggio Associati per alcune consulenze. A queste operazioni erano corrisposti importanti benefici fiscali per PMI, concessi dall’allora governo di coalizione Lega-M5S guidato da Giuseppe Conte.

La storia sembra tornare a ripetersi, questa volta grazie al partito di Salvini. A giudicare se l’emendamento sia attuabile sarà infatti il sottosegretario del Ministero dell’Economia e della Finanza, Federico Freni, il quale di recente ha sostituito il leghista Durigon nell’incarico e che ha stretti legami con Salvini e il suo partito.

Il leader della Lega Matteo Salvini avrebbe stimato, in caso di approvazione dell’emendamento, una perdita dello Stato di “appena 55 milioni”: secondo il Riformista la cifra ammonterebbe almeno a 75 milioni di euro per il 2022 e 150 per il 2023, considerato che il tasso di crescita del tabacco riscaldato si aggira intorno al 60% su base annua. Anche considerando un tasso di crescita più basso, le cifre sarebbero comunque molto più alte di quelle suggerite dal leader della Lega. Una perdita che va a intaccare direttamente le tasche dello Stato e, di conseguenza, dei cittadini.

Nemmeno la crisi innescata dalla pandemia è riuscita a intaccare il potere della lobby. Nel 2020 viene infatti bocciato dal Governo l’emendamento presentato da Cittadinanza attiva e firmato da numerosi parlamentari che proponeva il rialzo delle tasse sul tabacco riscaldato e la creazione di un fondo cospicuo a sostegno della sanità, messa fortemente in crisi dalla pandemia da covid-19.

Secondo quanto riporta il Riformista nello stesso periodo l’Università di Bologna ha diffuso uno studio che rivelava che nel tabacco usato per le sigarette elettroniche Philip Morris erano contenute sostanze cancerogene. L’informazione è stata prontamente accantonata dal Governo, che ha evidentemente preferito schierarsi per gli interessi della lobby del tabacco. La quale, con un esborso di poco più di due milioni di euro (una cifra esigua per una multinazionale della portata di PMI) ha avuto la meglio sul diritto alla salute dei cittadini.

[di Valeria Casolaro]

Prezzi gas alle stelle, pesa la disputa su gasdotto russo

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Lunedì 13 dicembre i prezzi del gas in Europa sono aumentati quasi del 10%, raggiungendo quasi i massimi storici di 115,7 dollari per MWh. A causare il rialzo vi sono diversi fattori, tra i quali l’incertezza per la messa in funzione del gasdotto Nord Stream 2, per il quale la Germania ha sospeso l’iter di certificazione. Il gasdotto infatti “non soddisfa i requisiti del diritto europeo”, ha dichiarato la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, che ha aggiunto come vi siano anche “questioni legate alla sua costruzione”. Dopo le perdite dello scorso anno, la società russa Gazprom ha registrato 6,8 miliardi di profitti nei mesi tra luglio e settembre prevede cifre ancora superiori per l’ultimo trimestre del 2021.

 

Serbia, la lotta dei cittadini per impedire un disastro ambientale

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Proteste serbia

In Serbia, nella capitale Belgrado e in altre città, continuano per la terza settimana di fila le manifestazioni antigovernative contro la grande miniera di litio che dovrebbe sorgere nell’ovest del paese. Secondo i gruppi ambientalisti, lo sfruttamento delle risorse nella cosiddetta “Jadar Valley” causerebbe ripetuti disastri ambientali.

I motivi per cui i manifestanti occupano le strade sono diversi, ma hanno tutti a che fare con la salvaguardia del paese. Il Governo aveva infatti deciso di promulgare due nuove leggi: la legge sull’Esproprio e la legge sul Referendum. Entrambe avrebbero permesso ad aziende straniere di sfruttare molto facilmente le terre serbe e le loro risorse minerarie. Con ingenti danni che avrebbero peggiorato una situazione già molto critica: la Serbia è tra i Paesi più inquinati d’Europa.

 Anche se, in seguito alle proteste, il Presidente Vučić ha deciso di sospendere la norma sull’espropriazione di terreni, ora la popolazione continua a protestare perché vuole molto di più: che il progetto di sfruttamento della miniera da parte della multinazionale anglo-australiana Rio Tinto venga del tutto bloccato.

 La multinazionale in questione ha dichiarato di voler investire 2,4 miliardi di dollari nel progetto della miniera. La Rio Tinto tenta di concludere le trattative con la Serbia dal 2006, anno in cui nella regione di Loznica sono stati individuati i primi ricchi giacimenti. Non dovrebbe essere complicato capire da che parte stare, dal momento che, nel corso del suo operato, l’impresa ha già ricevuto numerose accuse per “deterioramento ambientale e sfruttamento del lavoro nelle miniere”.

Negli ultimi anni il litio è tra i materiali più ambiti e ricercati nel settore delle risorse rinnovabili. Basti pensare che viene usato anche per la costruzione delle batterie delle macchine elettriche.

E la “Jadar Valley”, per la precisione il villaggio di Gornje Nedeljice, ne dispone di grandi quantità. Se il Governo avesse reso legge a tutti gli effetti la proposta sulle espropriazioni, probabilmente per gli abitanti del posto ci sarebbe stato bene poco da fare. La società civile criticava la nuova normativa proprio perché avrebbe considerato le istanze della popolazione locale pari a zero. Nello specifico Gornje Nedeljice è un piccolo villaggio serbo, che custodisce uno dei più grandi giacimenti di litio d’Europa. Con 136 milioni di tonnellate di minerale, da solo potrebbe coprire il 10% della domanda globale.

Per questo motivo cresce la paura di un grosso disastro ambientale. “Se il progetto Jadar andrà in porto, tutto ciò che ci circonda sarà distrutto, piante, animali. L’aria verrà inquinata. Dovremo comprare l’acqua in bottiglia. Ovunque passa Rio Tinto è la fine. Zone abbandonate. Quando poi capiscono che il minerale è esaurito i leader del colosso abbandonano il territorio ormai devastato. Ma terreni, aria e acqua si riprenderanno solo tra 500 o forse 1000 anni”, dice un manifestante a Euronews.

Gli slogan recitati dagli attivisti in queste settimane riportano frasi come “Non daremo via la natura in Serbia”, “Fermate gli investitori, salvate la natura” e “Per la terra, l’acqua e l’aria”. Fino ad ora pare che il Presidente abbia dato retta ai manifestanti. Effettivamente non esiste ancora una vera e propria miniera, ma gli investitori non mollano e i Governi sono soliti cedere davanti a ingenti quantità di denaro.

“Sono sicuro e convinto che il governo, dopo la mia decisione, accetterà di non inviare questa legge al Parlamento”, ha detto Vučić. Ma la Serbia rimane comunque una zona “calda”, sia sul fronte proteste che per gli interessi delle multinazionali. Proseguono infatti le manifestazioni anche contro la miniera di rame e oro di Čukaru Peki, di proprietà del colosso Zijin Mining, già aperta e accusata di devastare con agenti inquinanti la terra e l’acqua dei dintorni.

[di Gloria Ferrari]