martedì 15 Luglio 2025
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Fridays for Future: proteste per il clima in tutta Italia

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Nella giornata di oggi si sono tenute a livello globale le manifestazioni per il “Friday for Future”, la ormai celebre giornata di sciopero fatta con lo scopo di chiedere ai governi di prendere provvedimenti volti a contrastare i cambiamenti climatici. Anche in più di 60 città italiane le strade si sono riempite di persone che hanno manifestato a favore della tutela dell’ambiente. A Torino ad esempio, dove in migliaia sono scesi in piazza, è stato esposto un enorme striscione recante la scritta «COP26: se non ora quando?», mentre a Milano i manifestanti hanno intonato slogan come: «Giustizia climatica ora».

I vaccini sono in scadenza? Pfizer allunga la data di validità

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In Israele, Pfizer ha accettato di prolungare la data di scadenza di circa 60.000 dosi dei suoi vaccini anti Covid in quanto correttamente mantenuti in condizioni di freddo estremo. È quanto riferiscono alcuni media locali, secondo cui nello specifico la validità dei vaccini, che sarebbe dovuta scadere a fine luglio, è stata estesa alla fine di ottobre, con il via libera dell’azienda farmaceutica arrivato in seguito alle discussioni delle ultime settimane tra i dirigenti della stessa ed i funzionari del ministero della Salute.

La decisione di Pfizer si baserebbe su un documento della Food and Drug Administration (FDA), l’organo statunitense che regola i prodotti farmaceutici, nel quale viene comunicato che le dosi possono essere utilizzate fino a tre mesi dopo la data di scadenza se conservate nelle giuste condizioni. Nello specifico, a pagina 3 dello stesso, si legge che «scatole e flaconcini di vaccino Pfizer-BioNTech con data di scadenza da maggio 2021 a febbraio 2022 stampata sull’etichetta possono rimanere in uso per 3 mesi oltre la data indicata purché le condizioni di conservazione approvate, ossia tra i -90ºC e -60ºC,  siano state mantenute».

Tuttavia, non si può non notare come tali indicazioni non sembrano reggersi su ricerche o studi che dimostrino effettivamente che non vi sono problemi connessi all’estensione della data di scadenza. O meglio, potrebbe anche essere che vi siano degli studi alla base di quanto stabilito, ma al momento ciò non resta che una mera ipotesi, dato che essi non sono appunto stati resi pubblici tramite la documentazione rilasciata.

Inoltre, a tal proposito bisogna anche ricordare che, stando a quanto sostenuto dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), è fondamentale rispettare la data di scadenza dei farmaci. Infatti, in un comunicato dell’agenzia si legge che «la data di scadenza dei medicinali non è la mera conseguenza di considerazioni arbitrarie o di logiche di tipo commerciale, ma scaturisce da evidenze scientifiche, essendo il risultato di una valutazione basata sugli studi di stabilità condotti sui farmaci».

Detto ciò, quanto stabilito non fa che confermare il fatto che Israele sia ormai diventato un laboratorio in tema vaccinazioni. Dopo essere infatti divenuto il primo Paese ad aver autorizzato la somministrazione della terza dose nonostante non vi fossero solide evidenze scientifiche che la giustificassero, adesso Israele si afferma anche come la prima nazione ad estendere la data di scadenza dei vaccini.

[di Raffaele De Luca]

Carles Puigdemont è di nuovo libero, ma al momento non potrà lasciare la Sardegna

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La Corte d’Appello di Sassari non ha ritenuto illegale l’arresto dell’ex presidente della Catalogna, Carles Puigdemont. Tuttavia, accogliendo anche la richiesta della procuratrice generale Gabriella Pintus, il giudice ha stabilito che non c’è ragione di applicare nei confronti di Puigdemont alcuna misura cautelare. Resta però da stabilire se quest’ultimo debba essere estradato o meno, motivo per cui al momento l’ex presidente della Catalogna non potrà lasciare la Sardegna.

La censura di Facebook si abbatte su L’Indipendente: ma la fake news è la loro

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Secondo gli algoritmi di Facebook, L’Indipendente avrebbe pubblicato una notizia falsa. A farcelo sapere la stessa bigtech oscurando la foto di un nostro articolo e contrassegnandolo con la dicitura “Informazioni false. La stessa informazione è stata controllata in un altro post da fact-checker indipendenti”. La notizia in questione è quella del massacro di 52 balene alle Isole Faroe. Secondo Facebook sarebbe falsa. Tuttavia, i fatti non stanno così. L’informazione data, come confermato da ulteriori verifiche, è vera. Ciononostante, il social non ha esitato dall’apporre sul post in questione l’etichetta che, di fatto, ci accusa di diffondere bufale.

Approfondendo, cliccando su “scopri perché”, emergono le motivazioni adottate dalla piattaforma. Non solo false ma, a nostro parere, aberranti. Facebook ha individuato il post come una fake news perché, nel 2019, un sito di fact-checking indipendente segnalò come “falsa” la foto da noi utilizzata. Il sito Aos Fatos, in particolare, in un articolo di ormai due anni fa, spiega che la stessa immagine sarebbe stata utilizzata dal presidente brasiliano Bolsonaro in modo fuorviante e decontestualizzato. Con un tweet del 18 agosto 2019, il capo del governo del Brasile, in relazione ai temi ambientali, accusò di ipocrisia la Norvegia, postando l’immagine, nel suo caso, effettivamente fuori contesto. Le foto, anziché alla Norvegia, si riferiscono infatti proprio all’evento danese da noi citato: il ‘Grindadràp’ (ovvero la mattanza delle balene).

Riepilogando: le informazioni da noi diffuse sono vere, la foto da noi utilizzata immortala la mattanza di balene nell’Isole Faroe, oggetto della notizia. Si tratta di un’immagine di archivio, che non documenta i fatti accaduti questo mese, ma raffigura correttamente l’evento trattato. Di contro, Facebook ha etichettato la notizia come “falsa” basandosi su un articolo del 2019 che tratta di questioni che nulla hanno a che vedere con quanto abbiamo scritto.

Una vicenda che deve fare riflettere sui limiti e le ingiustizie degli algoritmi utilizzati dal social network. Da tempo denunciamo la pericolosa china che il “fact checking” sta prendendo anche in Europa, dove grandi aziende private come Facebook si stanno arrogando il diritto di dividere la verità dalla menzogna attraverso l’uso di algoritmi digitali. Una strada pericolosa per il diritto all’informazione che le big tech stanno intraprendendo con il favore delle istituzioni sovrannazionali, a cominciare dalla Unione Europea che sta di fatto appaltando la censura su internet alle grandi piattaforme social. Si tratta di una deriva che dovrebbe allarmare tutte le testate giornalistiche e spingerle a fare fronte comune per la tutela della libertà di informazione. Ma il silenzio che sul tema proviene dai grandi giornali mainstream è assordante.

Tornando al nostro caso: dopo aver appurato che l’etichetta di diffusori di notizie false appioppataci dagli algoritmi di Zuckerberg è del tutto falsa, rimane il profondo senso di ingiustizia per un trattamento che potrebbe spingere ingiustamente i lettori a crederci diffusori di notizie false. Nella redazione de L’Indipendente dal primo giorno di pubblicazioni stiamo lavorando per costruirci una credibilità basata su criteri deontologici precisi e non derogabili: fare un giornalismo coraggioso, libero e senza filtri, ma con un’attenzione rigorosa a rimanere ancorati ai fatti ed evitare qualsiasi fake news. Su queste basi abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere supporto ai nostri lettori e a chiunque creda che ci sia bisogno di una informazione diversa in questo paese. L’azione di Facebook ha quindi ripercussioni gravi sulla nostra immagine. Per questo stiamo valutando in queste ore se e quali iniziative, anche legali, intraprendere per tutelare la nostra immagine e la nostra reputazione. Fosse anche la guerra di Davide contro Golia. Vi terremo aggiornati, fate girare. Grazie.

[la redazione de L’Indipendente]

 

 

Alitalia: manifestanti bloccano autostrada Roma-Fiumicino, tensioni con polizia

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Nella giornata di oggi si sono verificati attimi di tensione con le forze dell’ordine durante la protesta dei lavoratori di Alitalia, i quali hanno manifestato a Fiumicino. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa LaPresse, infatti, i manifestanti hanno forzato il blocco predisposto dalla polizia, paralizzando l’autostrada che porta verso Roma.

Pericolosi giochi di guerra nell’Indo-Pacifico: tutti contro la Cina sotto la regia Usa

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Per contrastare il crescente potere militare della Cina, numerose nazioni asiatiche e non, per lo più sotto l’influenza degli Stati Uniti, stanno creando imponenti scorte di armi e contorte alleanze militari. Quella che si sta delineando è una vera e propria corsa al riarmo, in cui i vari paesi stanno cercando di rifornirsi delle tecnologie militari più moderne e minacciose, esasperando così le tensioni geopolitiche della zona, in uno scenario da guerra fredda.

Numerosissime sono le alleanze intrecciate dagli USA in chiave anti-cinese. Dal punto di vista diplomatico c’è QUAD, una sorta di NATO che coinvolge anche Giappone, India e Australia. Da un punto di vista commerciale c’è FOIP (Free and Open Indo-Pacific Strategy), strategia volta a creare una piattaforma di libero mercato tra il continente africano e quello asiatico per contrastare il potere commerciale cinese. Ma anche, a raggio più ampio, la Western Belt and Road, un programma alternativo alla Via della Seta. E non manca nemmeno l’alleanza di intelligence, in questo caso chiamata Five Eyes, e pensata per sorvegliare e monitorare il dragone da cinque punti: Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e USA.

L’ultimissimo prodotto della strategia anti-cinese americana è AUKUS, un’alleanza militare trilaterale volta a condividere tra i partecipanti (USA, Regno Unito e Australia) la tecnologia per la difesa navale, per incrementare il controllo occidentale della zona del mare Indo-Pacifico, togliendola all’influenza cinese. Un patto che è appoggiato anche da Taiwan, un alleato americano in chiave anti-cinese. L’Indo-Pacifico è una regione di vitale importanza geopolitica per la nuova strategia di contenimento messa in atto dalla nuova amministrazione Biden, più concentrata sulla guerra commerciale rispetto alle amministrazioni precedenti.

Ma gli USA non sono certo gli unici a volersi armare contro la Cina.

Sottomarini nucleari e missili ipersonici forniti dagli Usa all’Australia e 8.7 miliardi di dollari investiti da Taiwan (la “provincia ribelle”) per aggiornare gli armamenti, con una speciale attenzione per gli aerei da guerra. Missili ballistici con annessi sottomarini (SBLM) per la Corea del Sud, con un incremento del 4,5% del budget militare entro il 2022 e un nuovo piano per la creazione di un satellite spia da lanciare nello spazio. Anche per il Giappone, un aumento del 2,6% del budget militare nel 2022. Queste sono solo alcune delle numerose iniziative militari che i paesi che gravitano intorno all’Indo-Pacifico stanno intraprendendo per difendersi da un potenziale attacco cinese.

Ovviamente, anche la Cina sta facendo la sua parte. Il paese ha infatti recentemente avviato una produzione in massa di missili DF-26, molto potenti, oltre a missili ipersonici e intercontinentali, capaci di coprire distanze fino a 4000 chilometri. Tutte queste armi, sempre più sofisticate e pericolose e abbondanti su entrambi i fronti, non fanno che aumentare la probabilità che le tensioni nella zona si esasperino. Spesso le escalation degli armamenti non portano a guerre, e d’altra parte nessuno degli attori in campo pare desiderare un conflitto potenzialmente devastate e globale. Tuttavia si tratta di giochi pericolosi che altre volte nella storia sono sfuggiti di mano con tragiche conseguenze.

[di Anita Ishaq]

Garante Privacy: le scuole non possono chiedere lo stato vaccinale dei ragazzi

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«Agli istituti scolastici non è consentito conoscere lo stato vaccinale degli studenti del primo e secondo ciclo di istruzione, né a questi (a differenza degli universitari) è richiesto il possesso e l’esibizione della certificazione verde per accedere alle strutture scolastiche». Lo specifica il Garante della privacy in una lettera indirizzata al ministero dell’Istruzione, ponendo i paletti su richieste indebite del passaporto vaccinale ed anche su possibili “domande impertinenti” ai ragazzi.

Non solo. Il Garante, nel sensibilizzare «le scuole sui rischi per la privacy derivanti da iniziative finalizzate all’acquisizione di informazioni sullo stato vaccinale degli studenti e dei rispettivi familiari» mette in guardia «sulle possibili conseguenze per i minori, anche sul piano educativo, derivanti da simili iniziative». Come a sottolineare che nelle scuole si stia sviluppando una abitudine al controllo e alle intromissioni nella privacy personale e delle famiglie che oltrepassa quello che per il Garante è il livello di allerta.

Un altro passaggio della lettera fa riflettere: «Per quanto riguarda i familiari, le amministrazioni scolastiche non possono trattare informazioni relative all’avvenuta o meno vaccinazione, ma limitarsi a verificare, mediante il personale autorizzato, il mero possesso della certificazione verde all’ingresso dei locali scolastici». Anche qui il Garante, tra le righe, sembra sottolineare un problema che in molte scuole si sta verificando, ovvero che i dirigenti scolastici, almeno in alcuni casi, non si stiano accontentando di verificare il possesso della “certificazione verde” ma vogliano indagare sullo stato vaccinale di studenti e genitori.

Anche in merito all’ipotesi dell’eliminare l’obbligo della mascherina nelle sole classi dove tutti gli studenti siano vaccinati il Garante, pur rendendosi come ovvio disponibile a collaborare alla ricerca di soluzioni per applicare la norma, ribadisce la necessità «che vengano in ogni caso individuate modalità che non rendano identificabili gli studenti interessati, anche al fine di prevenire possibili effetti discriminatori per coloro che non possano o non intendano sottoporsi alla vaccinazione».

Arrestato in Sardegna il leader indipendentista catalano Puigdemont

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L’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont è stato arrestato appena sbarcato all’aeroporto di Alghero, le forze dell’ordine italiane hanno eseguito un mandato di cattura europeo emesso dalla magistratura spagnola per reati contro l’ordine e la sicurezza nazionale. Puigdemont si trovava in Belgio dal 2017 dopo che in Spagna era ricercato in seguito al referendum per l’indipendenza della Catalogna svoltosi senza il consenso di Madrid. Il leader catalano è stato portato in carcere a Sassari e questa mattina il giudice dovrà stabilire se rilasciarlo o estradarlo in Spagna.

Trattativa Stato-mafia, tutti assolti: per i giudici il fatto non costituisce reato

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Una trattativa tra gli uomini dello Stato e i mafiosi di Cosa Nostra ci fu, ma ciò non costituisce reato: è questa la sintesi più cruda della sentenza pronunciata ieri nell’aula bunker del carcere Pagliarelli dalla Corte d’Assise di Appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, che va a chiudere il secondo grado di giudizio del processo sulla trattativa Stato-mafia. I contenuti del dispositivo riformano quasi integralmente il verdetto di primo grado dell’Aprile 2018.

Gli alti ufficiali del Ros dei Carabinieri che in primo grado avevano subìto pesanti condanne per il reato di “Violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”, ovvero Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, sono stati assolti “perché il fatto non costituisce reato”. Insieme a Marcello Dell’Utri, già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa nel 2014 ma assolto in questo processo “per non aver commesso il fatto” (dopo una condanna a 12 anni in primo grado), erano stati imputati poiché ritenuti responsabili di avere veicolato la minaccia di Cosa Nostra contro le istituzioni italiane nel periodo compreso tra il ’92 e il ’93 (i Carabinieri) e il ’94 (Dell’Utri).

Il contesto in cui ebbe origine la trattativa Stato-mafia riguarda il delicato periodo immediatamente successivo alla pronuncia della sentenza di Cassazione del Maxiprocesso che, nel gennaio 1992, sferrò un colpo senza precedenti a Cosa Nostra, avvalorando l’impianto accusatorio del pool di Falcone e Borsellino. In quel frangente, come hanno testimoniato diversi collaboratori di giustizia, la Cupola deliberò l’uccisione di una serie di prestigiosi uomini politici che avevano garantito ai mafiosi di insabbiare il Maxiprocesso, non riuscendo però a concretizzare la loro promessa. Per questo motivo, nel marzo del ’92, la mafia uccise Salvo Lima, uomo di Andreotti in Sicilia e tradizionale figura di “ponte” tra i punciuti di Cosa Nostra e la Democrazia Cristiana, preparandosi a colpire gli altri personaggi presenti nella sua lista nera. I Carabinieri del Ros, dopo la morte di Giovanni Falcone nel maggio del ’92, cercarono dunque di “allacciare” gli esponenti dell’associazione criminale palermitana per trovare un accordo: a tal fine si servirono di Vito Ciancimino, politico democristiano corleonese e mafioso, avendolo inquadrato come figura funzionale al raggiungimento di un’interlocuzione con l’allora capo di Cosa Nostra Totò Riina. Il quale, infatti, rispose subito all’invito al dialogo con il famosopapello”: un insieme di richieste presentate allo Stato in cambio della fine delle violenze, tra cui spiccavano la revisione della sentenza del Maxiprocesso e della Legge Rognoni-La Torre, l’annullamento del 41-bis, la riforma della legge sui pentiti e una lunga serie di benefici carcerari, oltre alla chiusura delle supercarceri di Pianosa e Asinara.

Se i vertici del Ros e Marcello Dell’Utri sono stati assolti in Appello, ciò non è avvenuto per Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, i due mafiosi imputati nel medesimo processo (Riina e Provenzano sono, nel frattempo, deceduti). Se per il primo i giudici hanno derubricato il reato in “tentata minaccia”, applicando un leggero sconto sulla pena (27 anni di reclusione, uno in meno rispetto ai 28 comminati in primo grado), per Cinà, medico di Riina, la condanna non ha subito modifiche rispetto alla sentenza del 2018, trovando invece integrale conferma: 12 anni di reclusione. Un dato estremamente importante dal momento che, secondo l’accusa, egli avrebbe “preso in consegna” il papello di Riina, poi pervenuto a Vito Ciancimino. Segno evidente del fatto che l’effettiva sussistenza di quel segmento di trattativa, sebbene non sussunta dalla Corte sotto una fattispecie di reato, sia stata attestata anche dai giudici di secondo grado.

L’esistenza della trattativa, già sancita in altre sentenze passate in giudicato, è stata peraltro confermata dagli stessi attori istituzionali che ne sono stati protagonisti. Basti ascoltare la deposizione resa in Aula il 27 gennaio 1998 da Mario Mori a Firenze, in cui l’ex Ufficiale ha ricordato i dettagli di un dialogo avuto con Vito Ciancimino nell’estate del 1992: «Cominciai a parlare con lui e gli dissi: Signor Ciancimino, che cos’è questa storia? Ormai c’è un muro contro muro, da una parte c’è Cosa Nostra e dall’altra c’è lo Stato. Ma non si può parlare con questa gente?». Mori asserì inoltre davanti ai giudici che il successivo 18 ottobre Ciancimino gli avrebbe confermato che, a determinate condizioni, «quelli [i mafiosi, ndr] accettano la trattativa». Un invito al dialogo da parte istituzionale che, secondo i giudici di primo grado, avrebbe suscitato nei mafiosi di Cosa Nostra la convinzione che “alzare l’asticella” del ricatto per mezzo delle stragi potesse condurre all’ottenimento di ulteriori benefici per l’organizzazione: ecco, dunque, la bomba di via D’Amelio del 19 Luglio ’92 (in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino, avvertito della trattativa pochi giorni prima di morire, insieme a cinque uomini della sua scorta) e quelle di Roma, Firenze e Milano del ‘93 (che provocarono complessivamente la morte di dieci persone, tra cui due piccole bambine, oltre al ferimento di decine di individui), culminate con il fallito attentato allo stadio Olimpico del 23 Gennaio 1994.

Occorrerà leggere le motivazioni del verdetto di Appello, che saranno pubblicate entro 90 giorni, per appurare come i giudici abbiano concepito l’intricato complesso di tali vicende nei loro rapporti causa-effetto. Nel frattempo, una parte consistente dell’universo antimafia è sulle barricate: questa sentenza segna, inequivocabilmente, la fine di un’epoca.

[di Stefano Baudino]

 

 

La soluzione per estrarre idrogeno dall’acqua marina si avvicina?

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Un gruppo di ricercatori dell’Università della Florida è riuscito a sintetizzare un composto in grado di ottimizzare l’estrazione di idrogeno dall’acqua marina. Una svolta molto importante, soprattutto per l’ambiente, poiché questo elemento chimico è un rilevante vettore energetico la cui combustione, rispetto ai combustibili fossili, è pulita e non produce inquinamento. Sul nostro pianeta, però, l’idrogeno si trova nelle molecole combinato ad altri elementi chimici, come l’acqua, la quale è formata da due atomi di idrogeno e da uno di ossigeno (H2O). Questo dato di fatto pone la necessità di  separarlo per ottenerlo allo stato puro, processo che richiede un certo dispendio di energia.

Da tempo scienziati di ogni parte del mondo si impegnano nella ricerca di processi atti all’estrazione di questo gas. Ancora oggi, però, la maggior parte delle tecnologie impiegate per ricavarlo richiede fonti idriche dolci e tendenzialmente pulite. Ottimizzare la sua estrazione dall’acqua salata è, quindi, un notevole salto in avanti, soprattutto perché offre la possibilità di ottenerlo espandendo i confini geografici della produzione. Per effettuare l’elettrolisi dell’acqua salata, i ricercatori hanno dovuto trovare qualcosa che fungesse da catalizzatore. Nello specifico, nella trasformazione chimica, il processo di generazione dell’ossigeno durante la rottura della molecola di acqua, entra in contrasto con la reazione di evoluzione del cloro perdendo, di conseguenza, stabilità ed efficienza. Il catalizzatore individuato dal team scientifico americano è quindi una sostanza chimica in grado di facilitare le reazioni. Si tratta di film nanoporosi di seleniuro di nichel drogati con ferro e fosforo, combinazione di elementi che ha permesso di raggiungere un’elevata efficienza e una stabilità a lungo termine per oltre 200 ore. Il prossimo passo sarà quello di migliorare ancora di più la portata del materiale cercando, inoltre, opportunità e finanziamenti per la sua commercializzazione.

[di Eugenia Greco]