Il James Webb Space Telescope, il telescopio più potente esistente al mondo, è stato lanciato nello spazio. La sua missione: scoprire le origini dell’universo e se vi sia la vita su altri pianeti. Progettato dalla NASA congiuntamente con le agenzie spaziali europea e canadese (ESA e CSA), è dotato di una tecnologia talmente potente da poter captare l’impronta termica di un calabrone alla distanza della Luna. Le prime immagini arriveranno tra sei mesi, quando il telescopio sarà arrivato al suo punto di osservazione finale, a circa 1,5 milioni di km dalla Terra, e avrà fatto le prime rilevazioni. L’amministratore della NASA Nelson ha affermato che il telescopio getterà luce sui fenomeni “che ancora non comprendiamo” dell’universo.
Il media è uno specchio sfuocato
Il principio antropologico di base è sempre valido: l’utensile è il prolungamento del braccio, il potere di intervento sul mondo circostante deriva dalla capacità di andare oltre se stessi, oltre i limiti imposti dalla corporeità e dalla fisica. Sotto questo aspetto anche il pensiero è un utensile che convoca orizzonti lontani, possibilità a venire oppure decisioni immediate, interventi meditati o azioni da eseguire quasi senza riflettere. “La rete dei pensieri umani guida azioni e comportamenti e può incatenarci al nostro passato o favorire un cambiamento culturale emergente” (D.S. Bassett).
Il sognare o l’azionare in sincrono pedale della frizione e innesto della marcia discendono ambedue da un lavoro mentale.
L’utensile poi, che raccoglie in sé le capacità del braccio che impugna qualcosa e del pensiero che lo dirige, è il linguaggio: strumento di pensiero e di azione, di rappresentazione e di relazione con altri soggetti. Maurice Merleau-Ponty, da filosofo, ha parlato dello spazio come luogo della percezione dell’altro e delle relazioni interpersonali, determinante per l’esistenza della vita interiore del soggetto.
Potrebbe sembrare del tutto inutile, o quanto meno superfluo, cercare parole nuove sui media, una volta che li definiamo come utensili, come strumenti disponibili a veicolare decisioni e concetti, e a favorire i contatti. Ma i media sono diventati qualcos’altro, spazi in cui l’utensile, la mente e il linguaggio si sono fusi rendendosi indipendenti dalle volontà e dalle attese, dove mittente e destinatario fanno fatica a convivere se escono dagli schemi prestabiliti, dalle regole imposte.
Ma è bene fare un passo indietro e risalire alla teoria dell’origine del linguaggio che, insieme alla spiegazione biologica, ha bisogno di una spiagazione sociale. Questa vede il linguaggio formarsi a partire dalla chiacchiera, dal pettegolezzo, in una linea quasi comica che va dallo spidocchiamento o, se preferite, dalla pulizia comunitaria della pelle di scimmie antropomorfe, alle chiacchiere del caffè e della bottega del barbiere, su cui Carlo Goldoni ha edificato brillanti e incisive pagine teatrali: “- Venite qui, sedete, beviamo il caffè…A che giuoco giuochiamo, signor Eugenio? Si prende spasso dei fatti miei? – Avete saputo della ballerina? – Come l’avete saputo, caro amico? – Eh, io so tutto. Sono informato di tutto. So quando vi va, quando esce. So quel che spende, quel che mangia, so tutto…” (La bottega del caffè).
Dichiarazioni, queste, da uomini, non diverse da quelle delle donne che sparlano del vicinato… Babula skazala, “nonnina diceva” significa in russo, “corre voce che…”. Sono dunque le chiacchiere della vita quotidiana a fare andare avanti il mondo, più che le perle di saggezza, e questo lo hanno imparato da subito i media, trasformando le dicerie in notizie. Goldoni nasce negli anni di fondazione del trisettimanale britannico di cronaca leggera, “Tatler” (Il pettegolo), e il gossip ha da sempre le sue forme sceniche, come ora avviene nelle soap operas; esso è una sorta di “voyeurismo verbale” (S. Benvenuto) potenziato all’ennesimo grado negli attuali social.
In una situazione del genere come si fa ad esigere oggettività e freddezza nella comunicazione? La diceria e il pettegolezzo si sono amplificate, irradiate nelle teorie del complotto. È fuorviante parlare di correttezza nell’informazione quando le condizioni di esistenza stessa del linguaggio lo vedono immerso nell’equivoco, nell’ambiguità, nel fraintendimento, nell’insinuazione. Il richiamo alla pura razionalità nel linguaggio sa di Illuminismo mal digerito. E il marketing non basa forse gran parte della sua efficacia nel pilotare la customer satisfaction? La psicologia infantile ha studiato come, verso i quattro-cinque anni, ci si comincia a rendere conto che gli altri possono vedere le stesse cose in un altro modo e che si può perfino adottare il loro punto di vista. Pluralità dei modi che l’educazione può esaltare o comprimere, valorizzare o strumentalizzare. Il marketing conosce benissimo il potere che il bambino, ancora in età prescolare, ha nell’orientare i consumi, nel trasformare il suo gesto ammiccante con l’acquisto del prodotto dolce da banco.
Il problema non sta tanto nel tipo di ordine economico quanto piuttosto nella gamma di stili e finalità espressive e comunicative, nella varietà delle intenzioni, e se queste sono esplicite o quanto meno ricostruibili. Gli spot pubblicitari erano un tempo annunziati in televisione da un richiamo in sovraimpressione o da un innalzamento di un paio di decibel del livello sonoro. Altrettanto è richiesta una marcatura del messaggio promozionale, come per i titoli di testa di un film o la sigla di un programma. Ma è inevitabile che il medium televisivo produca commistione di generi, così come è inevitabile, è connaturato che i social producano intolleranza e odio. Ci siamo dimenticati del savoir faire nel traffico automobilistico?
Ogni medium ha la sua psicologia, la sua conformità di specie. L’etica non consiste in una algida e ipocrita intelligenza puritana che ci faccia scegliere in base a pregiudizi che devono rimanere occultati. Ecco allora gli intellettuali razionalisti che pontificano contro la disinformazione, che mettono in ridicolo chi teme il Nuovo ordine mondiale, altri che continuano a sostenere che ogni atteggiamento ecologico è velleitario, altri ancora che puntano sul catastrofismo.
Ricordo ai tempi della New Age di trent’anni fa, i detrattori, come se nuovi atteggiamenti di pensiero (e conseguentemente di marketing) comportassero di per sé minacce per il mondo. Ci dovremmo allora stupire se nel 2013 il World Economic Forum individuava come tema cruciale e pericoloso, insieme al terrorismo, “la viralità legata a informazioni infondate o false”? Ma il problema, diciamolo una volta per tutte, non è eliminarle, il che è del tutto impossibile, ma saperle riconoscere, insegnare a svelarle, il che però non a tutti conviene. Molto è spiegato dall’uso figurato delle parole. Un capitolo a parte meriterebbe, ad esempio, l’introduzione del termine ‘virus’ per una minaccia legata al funzionamento dei computer o dei sistemi esperti. Una metafora che spiega quanto una diceria o una verità infondata possano creare danni analoghi.
Ha scritto Kapferer nel suo libro Le voci che corrono (Longanesi, 1987): “Per credere a un’informazione riportata da altri, qualunque sia il nostro desiderio di credervi, occorre che sembri plausibile a quanti l’ascoltano. Gli abituali commenti sulle voci infondate non mancano di stigmatizzare severamente chi ha creduto l’incredibile. In realtà le voci possono svilupparsi perché vengono percepite come verosimili. Ogni voce è necessariamente realistica all’interno del gruppo in cui circola” (p. 70). Aveva forse ragione McLuhan quando sosteneva che i paesi europei fanno fatica a muoversi sulla base delle informazioni, come se avessero temuto l’invenzione della stampa e la diffusione del sapere. Si tratta in effetti di una rivoluzione culturale che viene da lontano, dal formarsi della città come nuovo luogo sociale, e dal nuovo ordine economico che metteva a disposizione i prodotti manifatturieri mediante il loro trasporto materiale e la loro circolazione simbolica. Siamo nell’undicesimo secolo, c’è una lingua comune, il latino, come premessa essenziale all’esplorazione immaginativa di se stessi e dell’universo. Una volta riconosciuta la molteplicità degli affetti e dei desideri, l’individuo scopre di avere un ruolo particolare nella società, di non farsi riconoscere semplicemente nell’obbedienza, nell’anonimato.
Siamo in un lontano preannuncio umanista, appannaggio allora di pochissimi. “Nessuna predica mi sembra più utile di quella che rivela un uomo a se stesso, e ricolloca nel suo essere più profondo, cioè nella sua mente, ciò che è stato proiettato fuori; e che in modo convincente lo pone, come in un ritratto, di fronte ai suoi stessi occhi. Chiunque ha il compito, per prima cosa, di imparare su se stesso, e dopo insegnare con profitto agli altri, ciò che l’esperienza delle sue lotte interiori gli ha insegnato”: Guiberto di Nogent (In Genesim, 1110 circa). In un nuovo alternarsi di interiorità ed esteriorità, in effetti, penso si potrà giocare un prossimo futuro: rimodellando quelle “estensioni della coscienza dell’uomo”, che erano i media secondo McLuhan. Conservando, come lui suggeriva, il nostro sangue freddo, cioè una nostra autonomia, ma anche immaginando originali forme di alleanza. Ad esempio, si potrebbe partire dall’affermazione paradossale di Jean Baudrillard: “Perché non dovrebbero esserci tanti mondi reali quanti sono i mondi immaginari? Perché un solo mondo reale, perché una simile eccezione? A dire il vero, il mondo reale, tra tutti gli altri possibili, è impensabile, tranne che come superstizione pericolosa…” (Il delitto perfetto, Raffaello Cortina, 1996). In effetti, noi semiologi abbiamo chiamato ‘mondo possibile’ quello generato da una qualsiasi forma narrativa, ammettendo che realtà e romanzo si superino di continuo scambievolmente.
Pertanto, sarebbe necessario che qualsiasi media venisse sempre preso, per poterlo tollerare, con un margine di irrealtà, di infedeltà. Come uno specchio sfuocato. Come qualcosa che contiene un germe del (suo) fallimento. Da cui noi siamo in grado, sempre, in qualche modo, di venirne fuori.
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]
Caso Cucchi, richieste condanne a 8 carabinieri per depistaggio
Il pubblico ministero Giovanni Musarò, della Procura di Roma, ha chiesto la condanna per otto carabinieri accusati di depistaggio in relazione alle vicende che portarono alla morte di Stefano Cucchi nel 2009. Le accuse, in particolare, sono di falso, favoreggiamento, omissione di denuncia e calunnia, per le quali sono state richieste condanne che vanno in misura variabile da 1 a 7 anni di detenzione e interdizione dal pubblico ufficio. Una «complessa opera di depistaggi», afferma il pm, giunta finalmente al termine.
Dodici anni: tanto è stato necessario affinché potesse essere fatta giustizia nella vicenda di Stefano Cucchi. Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i due carabinieri accusati del mortale pestaggio avvenuto nel 2009 sono stati finalmente accusati di omicidio avvenuto “lucidamente” e per “futili motivi” il 7 maggio passato. La difficoltà nello svolgimento delle indagini è dovuta anche alla forte omertà e ai depistaggi, avvenuti in questi anni per coprire quanto avvenuto nel comando dei carabinieri, accompagnati dalle intimidazioni nei confronti di coloro che hanno collaborato con la giustizia, per i quali la Procura di Roma ha individuato i responsabili.
Alessandro Casarsa, Francesco Cavallo, Luciano Soligo, Luca De Ciani, Tiziano Testarmata, Francesco Di Sano, Lorenzo Sabatino e Massimiliano Labriola Colombo sono stati accusati a vario titolo di falso, favoreggiamento, omissione di denuncia e calunnia, con pene che vanno da 1 a 7 anni di detenzione a seconda della carica ricoperta all’epoca dei fatti e l’interdizione dai pubblici uffici, perpetua nel caso di Casarsa, Cavallo, De Ciani e Soligo. A Casarsa la pena detentiva maggiore, 7 anni, in quanto all’epoca dei fatti era comandante del Gruppo Roma.
Nella requisitoria, il pm Musarò dichiara come ci sia stata «un’attività di depistaggio ostinata, che a tratti definirei ossessiva. I fatti che oggi siamo chiamati a valutare non sono singole condotte isolate ma un’opera complessa di depistaggi durati anni».
[di Valeria Casolaro]
Cosa contiene il nuovo pacchetto di restrizioni anti-covid
Il Governo ha approvato un nuovo pacchetto di restrizioni per le festività, il cui testo definitivo verrà pubblicato nei prossimi giorni, per contenere la diffusione della variante Omicron. La decisione segue la scia di numerosi altri Paesi europei, nei quali sono state varate restrizioni di vario genere nonostante l’ampia percentuale di popolazione vaccinata (che in tutte si aggira intorno all’80%).
Obbligo di mascherine all’aperto, divieto di festeggiamenti in piazza, rafforzamento del super green-pass e riduzione delle tempistiche per la somministrazione della dose booster: queste le principali misure varate dal Governo con il nuovo decreto legge, il cui testo ufficiale verrà pubblicato nei prossimi giorni. Interventi di natura restrittiva adottati in vista dell’aumento dei casi, nonostante i dati degli studi sulla variante Omicron provenienti dal Sudafrica siano molto rassicuranti. Lo stesso Locatelli, coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico, afferma che a fronte della maggiore contagiosità della variante Omicron il tasso di ospedalizzazione in terapia intensiva è di quasi tre volte inferiore all’anno scorso, come anche il numero di decessi è inferiore «di tre volte abbondantemente» rispetto allo stesso periodo, quando i contagi erano «appena un terzo» di quelli odierni.
Nonostante ciò, le misure che il Governo ha ritenuto di dover adottare sono le seguenti:
- obbligo di utilizzo delle mascherine chirurgiche anche all’aperto e delle FFP2 per trasporti a lunga percorrenza, trasporto pubblico locale, cinema, teatri, musei, eventi spoetivi al chiuso e stadi. In questi luoghi, se al chiuso, è fatto divieto di consumo di cibi e bevande;
- divieto di festeggiamenti in piazze e spazi aperti fino al 31 di gennaio;
- sospensione, fino al 31 gennaio, delle attività di discoteche, sale da ballo o attività assimilabili;
- a partire dal 1° febbraio, riduzione del tempo di vigenza del green-pass, con un passaggio dagli attuali nove mesi ai sei mesi di validità. Allo stesso modo il tempo di intercorrenza tra il completamento del ciclo vaccinale e la somministrazione della dose booster sarà ridotto da cinque a quattro mesi (le tempistiche, in questo caso, sono ancora da definire);
- rafforzamento del super green-pass, che ora sarà necessario anche per accedere a musei, mostre, parchi tematici, centri ricreativi e sociali, sale gioco, sale scommesse e bingo. Per quanto riguarda la ristorazione, sarà necessario il super green-pass anche per consumare cibi e bevande al banco (nel decreto precedente l’obbligo era esteso solo a coloro che si sedessero al tavolo);
- l’accesso alle RSA sarà possibile solamente per coloro che abbiano ricevuto la dose booster o che abbiano completato il ciclo vaccinale (due dosi o dose unica) e l’esito di un tampone negativo;
- aumento dei controlli nelle aree di frontiera, soprattutto gli aeroporti, e nelle scuole, dove verranno impiegate anche risorse del Ministero della Difesa per effettuare lo screening in fase di rientro.
Il “dl festività” arriva alla vigilia delle feste, momento in cui, sottolinea il Ministro della Salute Speranza, «È particolarmente importante che i comportamenti individuali siano adeguati alla fase complessa che stiamo attraversando». Un passo indietro che contraddice la narrativa del Governo stesso circa l’efficacia della campagna vaccinale e delle misure adottate sino ad ora.
[di Valeria Casolaro]
L’Ufficio scolastico del Lazio vuole denunciare tutti gli studenti in occupazione
Il Direttore dell’Ufficio scolastico regionale, Rocco Pinneri, ha inviato una lettera alle scuole della sua Regione Lazio per chiedere di identificare e denunciare gli studenti che prendono parte alle occupazioni. Oltre alle sanzioni disciplinari che vorrebbe vedere applicate, Pinneri invita gli istituti scolastici a far pagare ai ragazzi i costi di sanificazione o le riparazioni di eventuali danni. Le parole del Direttore arrivano dopo una nuova ondata di proteste che si è susseguita nei giorni scorsi, con oltre 50 scuole occupate solo a Roma in quello che si sta dimostrando il movimento di protesta studentesca più importante dell’ultimo decennio.
Perché ragazzi e ragazze manifestano e occupano gli edifici in cui dovrebbero recarsi per seguire le lezioni? Lo avevano raccontato a L’Indipendente direttamente i ragazzi dell’Osa (Opposizione d’Alternativa Studentesca, uno dei collettivi più rappresentativi delle proteste in corso), spiegando che protestano contro le riforme liberiste che stanno rendendo le scuole «una gabbia asservita agli interessi dei privati» e per poter riottenere un pieno diritto alla socializzazione. Da tempo gli studenti avanzano come richiesta base quella di essere ascoltati ed ottenere un confronto con le istituzioni, ma per ora quello che ricevono è solo repressione (l’ultimo caso di pochi giorni fa, quando la polizia ha fermato due studenti appartenenti alle proteste).
Un quadro al quale si aggiungono ora le parole di Pinneri, che hanno portato anche i deputati Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) e Matteo Orfini (PD) a presentare una interrogazione parlamentare rivolta al ministro dell’Istruzione, Bianchi.
Secondo il Direttore dell’Ufficio Scolastico la soluzione è una sola: denunciare i compagni “rivoltosi”, impegnarsi a far tornare l’ordine e far cessare l’illegalità fra i corridoi. Quando Pinneri si esprime in questi termini, parlando appunto di illegalità, lo fa riferendosi proprio alle occupazioni, considerate “un reato di interruzione del pubblico servizio“. Nella lettera il direttore si dice disposto al dialogo “purché non vi sia un’occupazione in corso, non potendo ricevere chi sta commettendo un reato, perché violano il diritto costituzionale all’istruzione di quei numerosi studenti che non condividono il ricorso a tale strumento”.
Tra l’altro, proprio lo scorso gennaio la procura di Roma, interpellata sulle occupazioni scolastiche, aveva ribadito la legittimità delle proteste e delle manifestazioni: gli studenti non infrangono alcuna legge. Anzi, esercitano un diritto sancito e garantito dalla Costituzione. “Gli studenti devono essere considerati soggetti attivi della comunità scolastica, e partecipi alla sua gestione”.
Nonostante Pinneri insinui che si tratta di una piccola parte che impedisce alla maggioranza di studiare, i ragazzi che manifestano sono tanti. In risposta le istituzioni, ancora una volta, alzano un muro e definiscono “dialogo” minacce, atti punitivi e ritorsioni. Dall’inizio dell’anno scolastico, le occupazioni nei licei di Roma sono state circa 50. Le ultime il 13 dicembre al liceo Farnesina e Augusto. Il dialogo però non c’è quasi mai e non poche volte diventa violenza fisica: al liceo artistico Ripetta gli studenti hanno raccontato di una “carica” della polizia in cui è rimasto ferito un ragazzo e una studentessa ha denunciato di aver subito molestie da un agente.
[di Gloria Ferrari]
Caso Sea Watch, Carola Rackete prosciolta da tutte le accuse
È stata prosciolta da tutte le accuse Carola Rackete, la comandante della nave della ong tedesca Sea Watch. Nel giugno del 2019 Rackete era stata arrestata per aver ignorato il divieto imposto dall’allora ministro Salvini e aver fatto sbarcare i 53 migranti soccorsi in mare, che da giorni si trovavano a bordo della nave in condizioni disperate. “Ha agito nell’adempimento del dovere di salvataggio previsto dal diritto nazionale e internazionale del mare” ha affermato la gip di Agrigento Micaela Raimondo, riconoscendo l’impossibilità per Rackete di sbarcare a Tripoli in quanto “porto non sicuro” e aggiungendo l’inesistenza di elementi che, al contario di quanto aveva affermato l’allora governo Lega-M5S, potessero far ritenere lo sbarco “non inoffensivo”.
Yemen, l’ONU dimezzerà le razioni di cibo ai bisognosi perché non ha fondi
Per lo Yemen si prospettano tempi peggiori di quanto non lo siano già. L’Agenzia ONU che si occupa di fornire assistenza alimentare ai Paesi in difficoltà (WORLD FOOD PROGRAMME) ha dichiarato in una nota che ridurrà la quantità di cibo destinata a otto milioni di persone bisognose in Yemen. Motivo? Non ci sono fondi sufficienti. Le famiglie interessate dal provvedimento riceveranno da gennaio la metà della razione minima giornaliera prevista, mentre per 5 milioni di yemeniti, la cui vita è già pericolosamente in bilico.
Il WFP aveva già preannunciato la possibilità di incorrere in inevitabili “ridimensionamenti” perché le scorte scarseggiano da tempo e le risorse economiche non sono sufficienti a colmare la richiesta di aiuti alimentari. I donatori hanno infatti destinato al programma “solo” 2,23 miliardi di dollari dei 3,85 necessari, secondo le Nazioni Unite, ad evitare che intere famiglie muoiano letteralmente di fame.
Nello specifico, come si legge sulla BBC, per dare continuità alla sua assistenza il WFP ha bisogno di almeno 813 milioni di dollari fino a maggio e di altri 1,97 miliardi di dollari per aiutare le persone che saranno in estrema emergenza alimentare nel 2022.
“Ogni volta che riduciamo la quantità di cibo, sappiamo che più persone che hanno già fame e insicurezza alimentare si uniranno ai milioni che muoiono di fame”, ha affermato Corinne Fleischer, direttore regionale del WFP per il Medio Oriente e il Nord Africa. A causa della mancanza di finanziamenti sono in pericolo anche le scorte destinate a bambini affetti da grave malnutrizione e alcune persone potrebbero essere completamente tagliate fuori dal programma. Stando a quanto riportato dal WFP, metà di tutte le famiglie, e cioè 16 milioni di persone, non ricevono una razione di cibo adeguata o non possono permettersene una: l’economia locale è al collasso e la moneta sta vivendo una grossa svalutazione.
Di pari passo, però, stanno aumentando i prezzi del cibo (che in alcuni casi sono addirittura più che raddoppiati) e la guerra non sembra dare tregua ai civili. Molti sfollati continuano a non avare un tetto sotto cui stare. Già prima che lo Yemen fosse teatro di una lunga guerra – cominciata nel 2015 – era considerato uno dei paesi più poveri del mondo arabo, con un’aspettativa di vita media inferiore a 64. Nel 2020 la nazione occupava il 179° posto (su 189) nella classifica di indice di sviluppo umano.
I primi conflitti hanno visto la luce durante la primavera araba del 2011, quando Abdrabbuh Mansour Hadi si è impossessato del potere in seguito ad una rivolta, spodestando Ali Abdullah Saleh. Il “cambio di guardia” avrebbe dovuto instaurare nel Paese una certa stabilità, ma le cose non sono andate esattamente così. Il nuovo presidente Hadi ha subito diversi attacchi da parte delle forze militari fedeli al suo predecessore, e l’economia ha cominciato a crollare. Hadi ha perso definitivamente potere nel 2014, costretto all’esilio all’estero per mano del movimento ribelle musulmano sciita Houthi. Il conflitto si è intensificato e allargato a tal punto da coinvolgere nel 2015 Arabia Saudita e altri otto stati per lo più arabi sunniti, che hanno attaccato per via aerea gli Houthi. Non è sbagliato infatti adesso definirlo uno scontro regionale e culturale nel Medio Oriente tra sciiti e sunniti. Ovviamente a danno dei civili.
[di Gloria Ferrari]
Il governo Draghi non ha alcuna intenzione di fermare le delocalizzazioni
Con una votazione tenutasi all’inizio di questa settimana la Commissione Bilancio del Senato ha bocciato l’emendamento alla Legge di Bilancio 2022 scritto dai lavoratori della GKN e depositato dal senatore Mantero, promuovendo invece quella proposta dal Governo e redatta dal ministro del Lavoro Andrea Orlando e dalla viceministra dello Sviluppo Economico Alessandra Todde. Sono state così ignorate le ripetute richieste degli operai che la ritenevano una misura iniqua mirata al solo vantaggio delle aziende, un provvedimento “dalla parte di Confindustria e delle multinazionali”.
Dopo cinque mesi di lavori il senatore Matteo Mantero, di Potere al Popolo (PaP), era giunto ad elaborare, insieme agli operai della GKN e a numerosi giuristi, il testo di un emendamento alla Legge di Bilancio 2022 che aveva l’obiettivo di introdurre “norme volte a impedire casi come quello di GKN e a tutelare l’occupazione e il tessuto produttivo del Paese da atteggiamenti predatori“. Nel luglio di quest’anno, infatti, 422 lavoratori dell’azienda GKN avevano ricevuto una mail con la comunicazione di licenziamento immediato e chiusura dello stabilimento. Sorte simile è toccata poche settimane fa a tre impiegate della multinazionale giapponese Yazaki, licenziate con effetto immediato tramite videochiamata in seguito alla decisione dell’azienda di delocalizzare gli uffici all’estero. Ad agosto, 90 operai della ditta Logista di Bologna hanno ricevuto un messaggio via Whatsapp con la comunicazione del termine della collaborazione lavorativa a partire dal 20 agosto. All’inizio di questa settimana la sede di Jesi della Caterpillar, presso la quale sono impiegate all’incirca 260 persone, annuncia la delocalizzazione. Iniziativa che il Governo potrebbe bloccare, ma sul quale ha preferito non esprimersi.
Prerogativa dell’emendamento era garantire il tessuto produttivo e i livelli occupazionali, con iniziative a tutela degli operai quali, in caso di cessione, la garanzia per i lavoratori dei medesimi livelli economico-normativi, con una ricollocazione ad un massimo di 40 km di distanza dall’impresa precedente. Al fine di avere un ampio bacino di applicazione, le iniziative previste avrebbero dovuto essere estese a tutte le aziende con un minimo di 100 dipendenti o anche di dimensioni inferiori, qualora nei due anni precedenti avessero portato a termine licenziamenti collettivi. La bozza Mantero-GKN è tuttavia stata respinta in Senato in favore di quella a firma Orlando-Todde. Le differenze tra le due sono sostanziali, in primo luogo perchè la Orlando-Todde è applicabile ad aziende con un minimo di 250 dipendenti, ovvero lo 0,1% delle aziende italiane. Inoltre, il piano per la limitazione delle ricadute occupazionali ed economiche in seguito alla chiusura può avere durata non superiore ai 12 mesi e non prevede obblighi di mantenimento dei livelli occupazionali, ma semmai una “gestione meno traumatica” delle procedure di licenziamento.
“Il problema non erano le modalità” spiegano i lavoratori di GKN stessi in un video postato sui social. “Licenziamenti via Zoom, Whatsapp, sms, dimostrano quale sia l’arroganza delle multinazionali, ma il problema rimane sempre e soltanto il licenziamento in sè e la chiusura delle aziende”, problematica che il Governo affronta “chiedendo all’azienda che sta chiudendo solo una misura per mitigare l’impatto sociale della chiusura”. In pratica, affermano usando una metafora colorita ma efficace, “Noi chiedevamo di abolire la pena di morte e si è finiti a discutere sul galateo del boia”.
Unica alternativa per i lavoratori, ai quali la notifica di licenziamento va consegnata con 90 giorni di preavviso, è l’integrazione salariale straordinaria, misura emergenziale e assistenzialista che non permette una risoluzione strutturale della problematica. In caso di mancata attuazione del piano, inoltre, per l’azienda è previsto il pagamento di un ticket di licenziamento raddoppiato. “In pratica con 90 giorni di avviso e con 600 mila euro si può chiudere un’azienda come GKN” spiegano i lavoratori. Al termine della durata del piano l’impresa può procedere con le procedure di licenziamento collettivo senza nemmeno versare il ticket di licenziamento (la Naspi) moltiplicato per tre volte, previsto dalla legge 92/2012.
Il Governo ha nuovamente fallito, come già in diverse occasioni, la possibilità di portare a termine iniziative a favore della popolazione, evitando il confronto con i settori direttamente interessati. Come affermano gli operai, “Il problema non sono le multinazionali che scappano, che scappino pure: il problema è cosa fa lo Stato che resta“. E lo Stato, in piena regola con la visione di Draghi, tira dritto sulla via delle privatizzazioni e dei licenziamenti di massa senza guardarsi intorno.
[di Valeria Casolaro]
Anche l’Italia dice addio agli allevamenti di pellicce
Dal primo gennaio 2022 in Italia non sarà più possibile allevare animali di qualsiasi specie con lo scopo di ricavarne pellicce. Divieto previsto da un emendamento alla Legge di Bilancio approvato martedì in Commissione Bilancio del Senato. L’Italia seguirà la scia dei già venti Paesi europei in cui esistono interdizioni simili, possibile grazie all’emendamento numero 157.04 che prevede la dismissione degli allevamenti esistenti di animali da pelliccia entro e non oltre il 30 giugno 2022. Un grande traguardo se si pensa ai circa 60.000 visoni uccisi ogni anno in Italia e alle svariate specie animali allevate in cattività e poi uccise per ricavarne pellicce.
La manovra rappresenta una tappa fondamentale di una strada intrapresa dallo scorso novembre. Con l’esistenza dei focolai di Covid negli allevamenti di visoni, il ministero della Salute aveva ordinato la sospensione delle attività al loro interno, fino a dicembre 2021. Anche grazie a diverse campagne delle associazioni animaliste, si chiedeva non più una sola sospensione temporanea ma una chiusura definitiva. Così, da giugno del prossimo anno i cinque allevamenti ancora esistenti in Italia dovranno essere completamente smantellati. La loro fine vuole però essere una rinascita in chiave completamente diversa: la legge prevede l’assegnazione (entro la fine di gennaio 2022) di tre milioni di euro per la riconversione delle strutture in impianti agrivoltaici (un’agricoltura figlia dell’energia rinnovabile).
Sono previsti anche indennizzi per le strutture che dovranno chiudere i battenti e per quanto riguarda la nuova sistemazione degli animali ora in cattività è necessario attendere l’emanazione, entro il 31 gennaio 2022, di un decreto dei ministeri della Transizione ecologica, dell’Agricoltura e della Salute. Una notizia che dà sicuramente speranza e si aggiunge a diversi provvedimenti che cercano di rendere l’Europa un luogo più “umano”, dove viga il rispetto per ogni specie. Per quanto ci sia ancora molto da fare, è giusto riconoscere l’importanza di alcune azioni, come la recente iniziativa volta a mettere fine alla sperimentazione animale in Europa, la Francia intenta a migliorare esponenzialmente il benessere animale, il primo sì del Senato italiano per la tutela dell’ambiente e degli animali in Costituzione, il divieto all’importazione di animali esotici approvato in Italia e, sempre nel Bel paese, l’approvazione dell’emendamento per vietare l’abbattimento dei pulcini maschi.
[di Francesca Naima].