domenica 21 Dicembre 2025
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Un’organizzazione internazionale chiede che il Fondo Monetario Internazionale sia processato

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Nella giornata di giovedì 14 aprile l’organizzazione politica globale Internazionale Progressista ha tenuto una seduta di inchiesta sulle attività del Fondo Monetario Internazionale (FMI), interpellando esperti e politici di nove Paesi. Al centro delle contestazioni vi è il fatto che, pur essendo il FMI un’istituzione che opera “con denaro pubblico” e “per servire lo scopo pubblico”, le condizioni imposte con i prestiti conducono spesso i governi dei Paesi richiedenti a situazioni economiche ancora più instabili. L’istituto, sostiene Internazionale Progressista, opera in un totale “disprezzo dei diritti umani” e in piena violazione dei suoi principi fondatori. Per questo è stato fatto “appello urgente e immediato alle responsabilità del FMI” e individuati alcuni possibili percorsi d’azione, tra i quali il ricorso alla Corte di Giustizia Internazionale.

Varsha Gandikota-Nellutla, presidente della sessione d’inchiesta, ha dichiarato senza mezzi termini che “quanto sta accadendo non è un incidente né un fallimento politico casuale o un’inefficacia. Il FMI è un’istituzione pubblica che presta denaro pubblico con il fine di servire lo scopo pubblico, ma non risponde a nessuno. Attualmente non c’è un’autorità in nessuna parte del mondo che ritenga il FMI responsabile delle sue azioni”. Per tale motivo personalità di spicco tra avvocati, economisti e politici di nove Paesi (Ecuador, Argentina, USA, India, Pakistan, Ucraina, Kenya, Brasile e Grecia) si sono incontrati per condurre un’indagine sull’operato del FMI e discutere possibili vie d’azione. L’istituzione è stata infatti contestata per “l’illegalità, l’impunità e il disprezzo dei diritti umani”.

Fernanda Vallejos, economista argentina ed ex membro della Camera dei Deputati, ha proposto di portare il FMI di fronte alla Corte di Giustizia Internazionale, in quanto “sede appropriata per esigere la giustizia che il nostro popolo merita“. Recentemente il suo Paese ha infatti sottoscritto un nuovo accordo per la restituzione di un debito di oltre 44 miliardi di dollari con il FMI, contratto dal governo dell’ex presidente Mauricio Macri. Alcuni studi hanno definito l’accordo “giuridicamente nullo” in quanto impone condizioni irrealizzabili per l’Argentina, basate su valutazioni inadeguate che hanno visto tra le proprie conseguenze un’impennata nei tassi di inflazione. Gli stessi studi avevano già evidenziato la “mancanza di controllo legale del FMI”. L’indagine di Internazionale Progressista costituisce, secondo Vallejos, l’opportunità per l’Argentina e molte altre nazioni di “reclamare la propria sovranità” e “smettere di essere vittime”.

Andres Arauz, politico ed economista ecuadoriano, ha proposto di imporre al FMI la sottoscrizione alla Convenzione di Vienna del 1989 sui trattati tra governi sovrani e organizzazioni internazionali, in modo che gli accordi siglati tra qualsiasi Paese e il FMI possano essere oggetto di verifica da parte delle legislature nazionali e dei tribunali internazionali. Altra strada ipotizzabile, secondo l’esperto di politiche di riforma economica e debito estero Juan Pablo Bohoslavsky, potrebbe essere portare il FMI entro il Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC) dell’ONU, essendo il FMI formalmente e legalmente parte del sistema delle Nazioni Unite e potendo per tale motivo essere reso responsabile nei suoi confronti.

Le pratiche del FMI sono state definite da vari analisti “neocoloniali” in quanto hanno impatto diretto sulla sovranità dei Paesi. Le asimmetrie di potere che derivano da questo tipo di rapporti, per quanto tacite, permettono ai Paesi ricchi di mantenere il controllo sugli altri ponendoli in una condizione di perpetua dipendenza. Uno dei casi più recenti riguarda lo Sri Lanka. A causa della devastante crisi economica che ha sconvolto il Paese, il governo ha dovuto far ricorso ad un prestito del FMI. Tali prestiti prevedono la sottoscrizione di clausole che comprendono tagli al welfare (educazione, sanità e servizi pubblici), privatizzazioni e interventi di stampo liberista. Condizioni che già in passato hanno causato un aggravarsi della situazione dello Sri Lanka, contribuendo ad una progressiva perdita della propria sovranità e una sempre maggiore dipendenza economica.

[di Valeria Casolaro]

Italia-Spagna, in arrivo Trattato di cooperazione rafforzata

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Nella giornata di oggi 22 aprile il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha comunicato che Italia e Spagna stanno lavorando a un Trattato di cooperazione rafforzata per rendere più solide le relazioni bilaterali tra i due Paesi. Come riporta Reuters, l’Italia ha cercato di diversificare le fonti di approvvigionamento di gas dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, firmando accordi con diversi governi africani, e la Spagna dispone della più grande capacità di rigassificazione in Europa. Fonti del ministero degli Esteri italiano negherebbero l’esistenza di tensioni tra i due governi, dopo che l’Algeria (dalla quale la Spagna è fortemente dipendente per il gas) ha siglato accordi con l’Italia per un aumento delle forniture a partire dal 2024.

Donbass, il documentario sulla guerra ucraina prima che il mondo se ne accorgesse

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Un film del 2018 di 121 minuti, del regista Sergei Loznitsa. Presentato in apertura nella selezione “Un Certain Regard” del 71° Festival di Cannes e vincitore del premio per la miglior regia. Sicuramente un film che a pieno titolo esprime il significato intrinseco che ”Un Certain Regard” ricerca nelle opere presentate in concorso. Il regista guarda con “uno sguardo particolare”, una diversa prospettiva, a volte spietata, eventi per lo più sconosciuti e talmente intricati che uniscono indissolubilmente dinamiche umane snaturate da un malessere profondo deteriorandosi sempre più con il passare del tempo e il progressivo aumento della perdita di ogni regola di comportamento. E’ dunque un viaggio attraverso il caos che regna nella regione del Donbass situata nel bacino del Donec nell’Ucraina orientale. Un quadro fittizio ispirato a eventi realmente accaduti tra il 2014 e il 2015,  ricco di personaggi di vario genere, che si suddivide in un mosaico di 13 graffianti episodi, differenziati nei fatti ma allineati per le dinamiche di fondo,  in cui le regole della civiltà sono ormai compromesse. In un clima gelido dominato da un celo costantemente plumbeo, Loznitsa delinea con maestria un film di finzione drammaticamente reale, in cui la verità si mescola all’inverosimile. Un ritratto tragico e satirico di un paese dilaniato nel suo tessuto sociale, dove è ormai impossibile fidarsi l’uno dell’altro, dove nessuno ne esce pulito e dove tutti tirano fuori il peggio di se mostrandoci anche con quanto cinismo i media e la TV, con l’onnipotenza delle nuove tecnologie, mescolano gli eventi fino ad alterarne i fatti solo a beneficio della spettacolarità. Con grande lucidità il regista analizza dinamiche umane ormai deteriorate e snaturate che vanno ricercate in radici profonde tanto intricate da rendere impossibile il ristabilirsi di un qualsiasi ordine civile e morale. Una spietata critica politico-sociale e anti-militarista accompagnata da un sottile umorismo caustico e grottesco che sfocia talvolta nella commedia nera. E’ un tutti contro tutti in un caos generale che regna ormai da otto anni, un inferno quotidiano  che pochi di noi conoscevano prima dei recenti e consequenziali accadimenti che vedono fronteggiarsi Russia e Ucraina in un conflitto diretto. Un film kafkiano che ha il merito, pur attraverso episodi rappresentati come in un crudele specchio deformante,  di far capire che quanto accade oggi ha origini molto lontane e ha motivazioni assai difficili da comprendere. Più difficili e complesse di quanto i tanti servizi giornalistici potranno mai spiegare. Tecnicamente il regista dimostra di saper fare bene il suo lavoro, alternando riprese con macchina a mano in stile reportage di guerra, suggestive inquadrature fisse e lunghi piani sequenza ben costruiti che uniti all’ottima fotografia livida e al minuzioso e raro lavoro sul suono fuoricampo riescono a immergere lo spettatore sempre di più nel atmosfere e nel vivo della situazione.

[di Federico Mels Colloredo]

Capire la vera portata della guerra in Ucraina: intervista al generale Fabio Mini

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b030626y 26 June 2003 Visit to Kosovo of the North Atlantic Council (NAC) with the Ambassadors of the seven invited countries Lt. General Fabio Mini, COMKFOR during the Joint Press Conference with NATO Secretary General, Lord Robertson at KFOR Headquarters, Film City, Pristina.

Si dice spesso, in un apparente paradosso, che solo i generali conoscono realmente il valore e il prezzo della pace. In Italia, tra quelli più autorevoli e senza timori di esporre la propria posizione anche quando in attrito con quelle dominanti vi è di certo Fabio Mini: già capo di Stato Maggiore del Comando NATO per il Sud Europa e alla guida del Comando Interforze delle Operazioni in Ex Jugoslavia. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per una chiacchierata sulla situazione militare del conflitto in Ucraina e, più in generale, su quella che lo stesso generale Mini definisce “guerra per procu...

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Contratti Covid, eurodeputati fanno causa a Commissione UE

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Un gruppo di eurodeputati sta facendo causa alla Commissione europea presso la Corte di Lussemburgo, affinché vengano resi di pubblico dominio i contratti per i vaccini contro il Covid. La richiesta è che la Commissione riveli i prezzi dei vaccini, i pagamenti anticipati, le donazioni, la responsabilità e gli indennizzi. Secondo quanto riportato da EuObserver, la Commissione europea avrebbe affermato nella giornata di oggi 22 aprile di essere vincolata da “clausole di riservatezza”, necessarie per proteggere gli interessi commerciali.

L’Italia alla canna del gas cerca aiuto anche da Angola e Congo

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Ieri, 21 aprile, l’Italia e la Repubblica del Congo hanno firmato un accordo relativo alla fornitura di gas da Brazzaville a Roma. «Con la tappa di oggi si è conclusa una missione molto importante per il governo italiano in questa regione», ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in riferimento a un accordo simile con l’Angola raggiunto mercoledì scorso. L’obiettivo del governo italiano è di ridurre, fino a eliminare, le forniture di gas proveniente dalla Russia, da cui il nostro paese importa circa il 43% del proprio fabbisogno in materia. A tal proposito, il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha dichiarato che l’Italia dovrebbe essere in grado di porre fine alla sua dipendenza dal gas russo entro 18 mesi. Tuttavia, le perplessità non sono poche, anche alla luce dei nuovi accordi.

Importazioni di gas, crediti tg2000

Tra i 97 produttori di gas naturale, la Repubblica del Congo si posiziona al 50° posto (l’Italia è al 52°). Da diversi anni, il Paese non esporta la propria produzione e manca di un sistema efficiente per valorizzare le proprie riserve. Questa situazione rafforza i dubbi circa la garanzia di una produzione importante e duratura nel tempo verso l’Italia che, nel breve periodo, vuole abbandonare le importazioni russe. ENI ha dichiarato che l’accordo firmato con la Repubblica del Congo prevede “l’accelerazione e l’aumento della produzione di gas in nel paese, in primo luogo attraverso lo sviluppo di un progetto di gas naturale liquefatto (GNL) che dovrebbe iniziare nel 2023, portando la capacità estrattiva a oltre tre milioni di tonnellate all’anno (circa 4.5 miliardi di metri cubi)”. Si tratta, dunque, di progetti che poco rassicurano sull’immediatezza delle forniture e che ridimensionano il “successo” italiano, soprattutto se considerati all’interno del contesto geopolitico, lo stesso che ha avviato la macchina di incontri e accordi fra Italia e paesi guidati da esecutivi discutibili. La Repubblica del Congo si basa su una struttura autoritaria, con a capo il generale Denis Sassou Nguesso dal 1979, escludendo il periodo tra il 1992 e il 1997. Nguesso ha spinto su un certo culto della personalità, reprimendo libertà e diritti. Il paese si posiziona al 118° posto (su 180) nell’Indice mondiale della libertà di stampa ed è al centro di diverse denunce da parte di organizzazioni umanitarie, tra cui Amnesty International che ha documentato una serie di violazioni dei diritti umani e crimini di diritto internazionale commessi dalle forze di sicurezza congolesi da aprile a settembre del 2021. Durante questo periodo, almeno 179.000 cittadini della confinante Repubblica Democratica del Congo, tra cui molti rifugiati e richiedenti asilo, sono stati “rastrellati, arrestati arbitrariamente e costretti a lasciare la Repubblica del Congo”.

Proteste in Algeria

Le scelte dell’Italia segnano dunque un paradosso: punire un paese autoritario per arricchirne altri. Il Congo andrà ad affiancare Egitto, Algeria, Qatar, Mozambico e Azerbaijan nei paesi esportatori di gas, oltre all’Angola, che offre comunque poche garanzie in campo energetico, nonostante l’entusiasmo italiano. Con l’Algeria, il nostro Paese ha firmato lo scorso 11 aprile un accordo per implementare, attraverso il Transmed, l’importazione di gas di circa 9 miliardi di metri cubi. Protagonista di repressioni violente del dissenso, accompagnate da arresti arbitrari e diritti limitati, l’Algeria è da tempo sotto i riflettori delle principali organizzazioni non governative dei diritti umani, tra cui Amnesty International che lo scorso anno ha denunciato un peggioramento dello stato della democrazia nel paese, il quale si è classificato al 113esimo posto nell’Index Democracy 2021. Il Qatar è al centro di un bilancio che vede più di 6.500 operai morti per la costruzione degli impianti sportivi in cui si giocherà il prossimo mondiale, sull’Egitto potrebbe aprirsi un discorso a parte visti i casi di Giulio Regeni o di Patrick Zaki, per non parlare dell’Azerbaijan, con cui Di Maio ha siglato un contratto che aumenterà del 35% la nostra fornitura di gas dal paese, che finora rappresentava circa il 10% delle importazioni totali. È stato definito come lo Stato in cui la democrazia non esiste dal giornalista Aslan Ahmad Aslanov, prigioniero di coscienza dal 2019 per le sue posizioni critiche verso il regime. Human Rights Watch ha riportato casi di tortura ai dissidenti, mancata indipendenza della magistratura e limitazione dei diritti civili e politici.

[Di Salvatore Toscano]

Uk e India firmano patto di difesa e sicurezza

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Nelle scorse ore, l’India e il Regno Unito hanno firmato un nuovo trattato di “partnership estesa di difesa e sicurezza”. L’accordo è stato siglato dal premier indiano, Narendra Modi, e da quello britannico, Boris Johnson, che oggi è in visita a Nuova Delhi. I due Paesi, hanno dichiarato i premier in conferenza stampa, «hanno un interesse condiviso nel mantenere la regione Indo-Pacifica aperta e libera». Per questo motivo è nata la nuova partnership che costituirà un «impegno decennale» per India e Regno Unito.

Lo scambio di criptovalute china il capo all’UE

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Il quinto pacchetto di sanzioni definito a inizio mese contro la Russia dall’Unione Europea è un pacchetto atipico, se non altro perché va tra le altre a inasprire le misure imposte a un settore giovane i cui confini sono ancora estremamente fumosi, quello delle criptovalute. A distanza di qualche settimana, le misure in questione hanno infine convinto la più importante piattaforma di scambio del settore blockchain, Binance, ad alterare il proprio modus operandi incrinando il sogno di un blockchain fatto di finanza decentralizzata.

Non che Binance sia felice della cosa, sia chiaro. L’azienda ha anzi informato i clienti delle nuove restrizioni con un comunicato estremamente secco e che non manca di sottolineare come la decisione sia stata presa in relazione a un’imposizione dell’UE. Considerando che Binance è un’impresa cinese con sede legale alle isole Cayman, è facile che la realtà sia più articolata, ovvero che il CEO Changpeng Zhao abbia scelto di ottemperare alle richieste europee nell’ottica di portare avanti il suo progetto di trasformazione del portale in un’istituzione finanziaria di stampo tradizionale, tuttavia resta il fatto che qualcosa è cambiato.

Nello specifico, Binance ha notificato agli utenti russi che i portafogli digitali con somme che superano i 10.000 dollari siano ormai parzialmente congelati. I conti non potranno accogliere ulteriori depositi, né compiere transazioni e investimenti, la loro funzione sarà limitata alle richieste di prelievo e gli account colpiti avranno 90 giorni per terminare eventuali futures. Non solo, perché tutto funzioni l’azienda sta sollecitando tutti gli iscritti a verificare il proprio domicilio attraverso l’invio di documenti, cosa che a sua volta potrebbe far storcere il naso ad alcuni internauti.

Binance è il primo grande servizio di crypto-exchange a sottostare al pacchetto UE, ma l’azienda dice di essere certa che anche gli altri major dovranno presto adeguarsi a queste nuove regole, tacitamente suggerendo che sia indispensabile chinare il capo all’UE per rimanere nei giochi. La situazione impone comunque una riflessione sulla situazione del blockchain decentralizzato e sulla direzione che esso sta prendendo. Che si voglia “fregare il sistema” o circumnavigare le limitazioni di sistemi economici formali soffocanti, le criptovalute sono effettivamente una possibile alternativa al sistema finanziario di stampo classico, tuttavia la bontà liberatoria di queste monete digitali è anche condizionata da alcuni fulcri critici che ne minano l’efficacia.

Il gigante guidato da Zhao, per esempio, ha resistito fino alla fine alle richieste di Kiev di bloccare in maniera coatta ogni portafoglio digitale operante in Russia, tuttavia ignorare la pressione politica dell’Ucraina è una cosa, contrastare l’Unione Europea è un’altra. Binance, in quanto azienda, si dev’essere fatta quattro conti in tasca, capendo che una resistenza adamantina ai pacchetti sanzionatori avrebbe fatto più male di quanto non stia facendo la pubblicità negativa sviluppatasi attorno al suo atteggiamento remissivo.

Il gesto di cedimento del portale è tuttavia perlopiù simbolico: Bloomberg stima che dei 10 milioni di utenti iscritti sul portale, solamente 50.000 siano effettivamente dotati di portafogli che eccedono le somme indicate ed è difficile che questi siano tutti di origine russa. Quella dell’azienda sarebbe dunque una concessione più formale che pratica, tuttavia permane il dubbio che questo tipo di atteggiamento possa finire con il far sì che il blockchain sia vincolato dalle stesse dinamiche da cui molti vorrebbero che si scostasse, ovvero che broker, exchange e banche siano ormai la voce di riferimento di un potere che si sarebbe dovuto sviluppare orizzontalmente.

[di Walter Ferri]

Il Comune di Venezia sperimenterà l’uso del QR Code per monitorare i turisti

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Nelle ultime settimane stanno nascendo nuovi campi di applicazione per il sistema QR Code già sperimentato per la certificazione verde. Dopo l’idea del governo di un election pass, è arrivato il turno degli enti locali minori. Il Comune di Venezia ha deciso di sperimentare un sistema di prenotazioni rivolto ai turisti a partire dalla prossima estate. Inizialmente, sarà facoltativo e darà accesso a diversi incentivi come sconti o priorità su alcuni servizi gestiti dal Comune o dalle sue partecipate. Dal 2023, oltre alla prenotazione e relativo QR Code, sarà necessario anche pagare un contributo d’accesso, proprio come avviene già per musei, teatri e cinema.

Il controllo del QR Code, nelle intenzioni comunali, servirà allo scopo di verificare che tutti i turisti siano in regola con il pagamento della tassa di soggiorno, permettendo loro l’accesso alla città. L’altro obiettivo dichiarato è quello di venire a conoscenza, con anticipo, del numero di persone presenti nel centro storico, per controllare i flussi turistici. In seguito ai 140.000 visitatori di Pasqua e i 100.000 del giorno successivo, il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, e il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, hanno ribadito la loro fiducia nella misura. «È fondamentale che si trovi una soluzione per arginare il fenomeno, magari approfittando delle nuove tecnologie che permettono a tutti di noi di prenotare da qualsiasi parte del mondo il posto in aereo o al cinema. In questo caso sarà il museo open air che è Venezia», ha dichiarato Zaia.

[Di Salvatore Toscano]

A Taranto è stato inaugurato il primo parco eolico del Mediterraneo

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È stato inaugurato ieri 21 aprile, a Taranto, Beleolico, il primo parco eolico off-shore dell’intero bacino del Mediterraneo. L’impianto ha una potenza complessiva di 30 Megawatt (Mw) e, a regime, potrà coprire il fabbisogno annuo di circa 60mila persone, con le sue dieci turbine in grado di generare 58 mila Megawatt/ora (Mwh) di energia. Nelle intenzioni del governo Draghi, Beleolico è il primo passo di una marcia che si vorrebbe spedita, data la recente decisione da parte del Consiglio dei Ministri di sbloccare la costruzione di sei parchi eolici tra Puglia, Sardegna e Basilicata. Il parco inaugurato ieri in una area di circa 131 mila metri quadrati nel golfo della città più inquinata d’Italia è certamente una speranza per un futuro migliore per una zona che ha legato il proprio sviluppo industriale alle industrie dell’acciaio e degli idrocarburi e ai malanni di salute da queste provocati. Anche se la presenza all’inaugurazione, al fianco dei ministri Giorgetti (Sviluppo) e Giovannini (Infrastrutture), del presidente delle Acciaierie d’Italia, Enrico Giovannini, sarà parsa quantomeno di infausto presagio a molti cittadini.

Il parco eolico rappresenta un investimento totale da 80 milioni di euro e la sua costruzione è stata realizzata da una società per azioni di nome Rexenia, secondo i cui calcoli nell’arco del suo ciclo di vita Beleolico consentirà un risparmio di circa 730mila tonnellate di CO2.

Rimane però il bisogno di velocizzare le tempistiche, perché per quanto la notizia di oggi sia positiva, ci sono voluti ben quattordici anni per arrivarci. Contro gli iter europei che invece, solitamente, durano circa sei mesi. Il problema di movimenti tanto lenti, oltre all’urgenza energetica e ambientale, sta nel fatto che nel frattempo gli impianti diventano obsoleti. Se si vuole davvero arrivare a 20 mila megawatt di potenza dell’eolico entro il 2030, nei prossimi otto anni il Bel Paese dovrebbe essere in grado di snellire certe procedure e aumentarne la velocità di almeno tre volte. Una situazione che Legambiente ha ben chiara, tanto da indire un flash mob proprio mentre il nuovo parco eolico veniva inaugurato. I partecipanti hanno fatto appello al premier Mario Draghi perché si renda conto dell’urgenza di un decreto sblocca rinnovabili, mentre al ministro della Cultura Dario Franceschini è stato chiesto di smettere di “ostacolare” la transizione ecologica, dopo fin troppi ostracismi da parte di Sovrintendenze, Regioni, Comuni e comitati locali.

L’esempio di Taranto è centrale perché luogo in cui è esistita un’acuta noncuranza, tra casi come la raffineria Eni e le ciminiere inquinanti dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa (l’ex Ilva). Nonostante le proteste e le battaglie legali, l’Italia iniziò davvero ad agire per la salute pubblica e ambientale solo dopo la spinta da parte della Commissione europea che invitò il Paese ad adeguarsi alla nuova Direttiva 2010/75/UE (Direttiva IED) sulle emissioni industriali e i grandi impianti di combustioni. Era il 2013 e dalle prove di laboratorio fu chiaro l’inquinamento dell’aria, delle acque e del terreno di Taranto. Che Beleolico, possa quindi far tirare “una nuova aria” e rappresentare un primo step verso l’accelerazione sul fronte delle rinnovabili.

[di Francesca Naima]