domenica 13 Luglio 2025
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Anche il Portogallo riduce le restrizioni e l’utilizzo del Green Pass

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Anche in Portogallo i cittadini non dovranno più sottostare a gran parte delle restrizioni anti Covid: come annunciato la settimana scorsa dal premier Antonio Costa, infatti, a partire da oggi si entra in «una fase che si basa essenzialmente sulla responsabilità individuale di ciascuno» dovuta appunto alla «scomparsa della maggior parte dei limiti imposti dalla legge». Nello specifico, con le nuove misure è stato innanzitutto ridotto l’uso del Green Pass, che non sarà più necessario per svolgere attività quali recarsi al ristorante o accedere a centri benessere, terme, palestre e casinò. Esso d’ora in poi dovrà essere utilizzato solo per effettuare viaggi in aereo o in nave, partecipare a grandi eventi culturali, sportivi o aziendali, visitare strutture sanitarie e case di cura o recarsi in bar e locali notturni, che sono stati riaperti proprio con le nuove misure. Oltre a ciò, poi, non vi è più alcun limite relativo al numero di persone autorizzate a sedersi al ristorante così come non vi sono più limiti di capienza per le attività commerciali, i matrimoni, i battesimi e gli spettacoli culturali. Resta invece obbligatoria la mascherina per svolgere alcune attività, come usufruire dei trasporti pubblici o accedere alle case di cura e agli ospedali.

Le riaperture, che come sottolineato dal premier sono state possibili soprattutto grazie alle tante vaccinazioni effettuate, non erano però inaspettate: esse infatti sono la diretta conseguenza dell’esecuzione dell’ultima fase del piano presentato dal Governo nel mese di luglio. Oggetto della strategia, in pratica, era quello di tornare gradualmente alla normalità passando per tre fasi, da attuarsi non appena raggiunta la percentuale di portoghesi vaccinati prestabilita per ciascuna di esse. Così, dopo aver dato esecuzione alle prime due fasi, adesso è divenuta realtà anche la terza, la cui attuazione era prevista proprio per i primi di ottobre, giorni in cui si puntava al raggiungimento dell’85% della popolazione completamente vaccinata. Dunque, siccome tale obiettivo è stato raggiunto (in Portogallo infatti attualmente l’85% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale), il governo non ha tardato ad effettuare le riaperture così come era stato stabilito.

Detto ciò, non si può non notare come la risposta alla pandemia da parte del Portogallo sia di gran lunga differente rispetto a quella italiana. Infatti, anche se nel nostro Paese quasi il 79% della popolazione over 12 ha completato il ciclo vaccinale, non sono stati predisposti programmi simili a quello del Portogallo, ovvero strategie volte a ridurre l’uso del Green Pass. Anzi, con i decreti sul lasciapassare sanitario che si sono succeduti nel tempo l’Italia si è invece affermata come lo Stato con il Green Pass più severo d’Europa insieme alla Grecia. Sono infatti diversi gli stati europei in cui non è stato introdotto tale strumento, mentre altri, come appunto il Portogallo, si stanno incamminando verso un graduale ritorno alla normalità pre-pandemica.

[di Raffaele De Luca]

Un mondo in cui la censura alla stampa è decisa da YouTube: il caso RT

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Con una decisione improvvisa la piattaforma video YouTube, ovvero Google che ne è proprietaria, ha deciso apparentemente di sua sponte di chiudere i due canali tedeschi di RT, testata internazionale di informazione finanziata direttamente dal Governo russo. La mossa è stata giustificata con la motivazione della guerra alla disinformazione ed ha destato profondi dissapori politici, con il Ministero degli Esteri del Cremlino che ha promesso ripercussioni sul portale stesso – paventando il bando totale di YouTube in Russia – nonché su ogni giornale tedesco operante nell’area controllata da Mosca.

Una reazione che può sembrare immotivatamente aggressiva, soprattutto se si considera che in vista delle elezioni russe la stessa Roskomnadzor (complicato acronimo che sta per Servizio federale russo per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa) aveva bloccato molti dei siti e delle app vicini all’opposizione. Tuttavia l’ira di Mosca risulta meglio comprensibile se analizzata nel contesto decisamente inusuale in cui nasce: un’azienda privata USA ha oscurato in toto una testata giornalistica operante in un Paese terzo che non aveva manifestato antagonismo nei confronti della sua redazione.

Stando a quanto dichiarato da YouTube, la branca tedesca di RT avrebbe pubblicato un video in cui diffondeva letture inesatte sul COVID-19, meritandosi di conseguenza una sospensione temporanea. Il giornale avrebbe dunque aggirato tale limitazione facendo affidamento al suo canale secondario, Der fehlende Part (“la parte che manca”), cosa che ha spinto gli admin a bloccare tutto.

Non è insolito che il social in questione oscuri dei singoli video o che sospenda momentaneamente alcune attività, piuttosto a essere insolito è il fatto che l’azienda abbia deciso di imporre un intervento tanto radicale nei confronti di un organo di stampa nonostante questo non sia incorso apertamente nelle ire del Governo che lo ospita. Questa incongruenza ha spinto molti a teorizzare che dietro alla manovra di YouTube ci sia la mano di una Germania che non ha voluto compromettersi con atti oscurantisti, accusa che però è stata esplicitamente negata da un portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert.

Altra ipotesi sul tavolo è che l’ordine di staccare la spina alle pagine di RT sia giunto direttamente dagli Stati Uniti, magari nell’ottica di minimizzare la diffusione delle narrazioni favorevoli agli interessi russi, teoria che si poggia sull’idea che l’azienda tech abbia più convenienze a supportare i messaggi della Casa Bianca che a proteggere la libertà di stampa.

Che YouTube abbia portato avanti una decisione presa internamente o che sia stata convinta da una forza censoria discreta ed occulta, resta il fatto che la faccenda rappresenta un precedente inquietante che, in mancanza di un’adeguata risposta politica, potrebbe destare grandi perplessità sul come l’UE sia in grado di difendere il diritto all’informazione.

[di Walter Ferri]

Roma: nuova protesta dei lavoratori Alitalia

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I lavoratori Alitalia hanno messo in atto una nuova protesta a Roma, precisamente in piazza della Repubblica, in occasione del tavolo di oggi al Ministero del Lavoro. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa LaPresse, un centinaio di manifestanti si è poi spostato in metro ed ha raggiunto la sede del ministero di via Flavia, con le forze dell’ordine che hanno cercato di bloccare, invano, i lavoratori all’uscita della fermata. Successivamente, questi ultimi si sono recati nuovamente al luogo originario ed hanno bloccato il traffico in via XX settembre ed in via Vittorio Emanuele Orlando. «Alitalia siamo noi» hanno gridato i manifestanti durante la protesta.

Romania: incendio in ospedale, almeno 9 vittime

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In Romania, un incendio verificatosi questa mattina nel reparto Covid di un ospedale della città di Costanza ha causato la morte di almeno nove malati di coronavirus. Le fiamme sono divampate precisamente nel reparto di terapia intensiva dove, secondo quanto riferito dai media locali, si trovavano dieci persone, mentre in tutto nell’ospedale erano ricoverati 113 pazienti. Ad ogni modo non si tratta della prima volta che in Romania si verifica un episodio del genere: eventi simili infatti non avvengono di rado, a causa dello stato fatiscente di diverse infrastrutture ospedaliere.

I movimenti per la giustizia climatica assediano la Pre-COP 26

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Mentre a Milano rappresentanti del Governo e delle multinazionali dell’industria fossile sono asserragliati tra le mura del MiCo per discutere per l’ennesima volta di cambiamenti climatici, gli attivisti marciano per la città, per protestare contro le manovre di greenwashing messe in atto alla Pre-COP 26.

Vari gruppi di attivisti della Climate Justice Platform hanno occupato ieri sera con tende da campeggio Piazza Affari, sede della Borsa di Milano, “simbolo nazionale di quel capitalismo finanziario che storicamente contribuisce alla devastazione ambientale”. Il quadro generale della situazione lo hanno molto chiaro in mente, dal momento che in Italia sono UniCredit, Assicurazioni generali e Intesa San Paolo le istituzioni che più scommettono sul mercato del carbone. Nel 2020 UniCredit ha finanziato con 5 miliardi di euro multinazionali dell’industria fossile quali Total ed Eni.

Nella mattinata di ieri, il gruppo di Rise Up 4 Climate Justice aveva tentato di bloccare uno degli accessi al MiCo, la sede della conferenza Pre-COP. La polizia era intervenuta subito contro i manifestanti, che si stavano muovendo in forma pacifica, utilizzando i manganelli per disperdere la folla. Le rivendicazioni del gruppo sono ben espresse nel loro manifesto online: dalla redistribuzione delle ricchezze e un reddito universale all’inclusività, dall’attivismo alla mobilitazione diretta e territoriale. Simili sono le rivendicazioni di un’altro movimento, Extintion Rebellion, attivo anch’esso a Milano in occasione del Pre-COP.

 

Nella giornata di oggi, guidati dalla “star” Greta Thunberg, sono scesi in piazza anche gli attivisti di Friday for Future per denunciare lo youthwashingovvero l’operazione di facciata messa in atto dal Governo nell’invitare 400 giovani “selezionati” per “simulare” un confronto sul futuro del pianeta (il cosiddetto Youth4Climate, la “simulazione” del Governo dei Giovani di cui il ministro Cingolani è tanto fiero). Il corteo, marciando su Milano, intende far sentire alla popolazione la vera voce degli attivisti, al di fuori di preconfezionate occasioni istituzionali. Gli eventi tenutisi al Pre-COP, secondo loro, fanno parte di un’operazione retorica che non intende apportare alcun cambiamento radicale alla situazione attuale. Ciascuno di questi gruppi, che espone chiaramente il proprio manifesto tramite i social media, invita all’azione e alla disobbedienza civile in quanto unici strumenti per poter far sentire la propria voce e creare un cambiamento.

La piattaforma Climate Justice ha inoltre inaugurato la terza edizione del Climate Camp, all’interno del quale centinaia di persone, provenienti anche dall’estero, hanno potuto confrontarsi sui temi del cambiamento climatico e del malcontento generale di fronte all’azione delle istituzioni.

Che alla Pre-COP siano in atto manovre di greenwashing sembra esser fuori di dubbio. Il simbolo di Eni compare ovunque e, pur non potendo organizzare eventi a causa della condanna per traffico illecito di rifiuti, emessa dal Tribunale di Potenza, terrà invece un incontro promosso dalla Fondazione Eni “Enrico Mattei”. Eni sta inoltre cercando di costruire due nuove centrali a gas nei territori di Brindisi e Civitavecchia, già fortemente provati dalla presenza di impianti a carbone. Tra i maggiori sponsor della manifestazione vi sono poi Enel, Edison e A2A: quest’ultima si trova al centro di una vicenda giudiziaria che la vede incolpata di disastro ambientale, mentre Edison ha appena ricevuto una condanna storica che ne determina la responsabilità per l’inquinamento della zona di Bussi, nella provincia di Pescara, conosciuta ora come la discarica di veleni più grande d’Europa. Enel, dal canto suo, si trova attualmente coinvolta in un processo per l’emissione di polveri di carbone della centrale di Cerano. Edison è peraltro promotrice della costruzione di un nuovo gasdotto che, unendo Cipro e Puglia, aprirebbe allo sfruttamento dei giacimenti della porzione di Mediterraneo compresa tra i due estremi.

Con la co-presidenza alla COP-26 e il ruolo di rilievo nel prossimo G20, l’Italia avrebbe l’occasione di compiere gesti importanti nella direzione del cambiamento. Tuttavia la direzione presa dal Governo non sembra promettente in questo senso. Tanto da fare apparire mera operazione propagandistica anche le parole di Mario Draghi che, incontrando una delegazione di attivisti di Friday For Future, ha affermato: «Vi stiamo ascoltando, abbiamo tanto da imparare dalle vostre idee».

[di Valeria Casolaro]

Rincari bollette, da oggi aumenti sino a 300 euro

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Scattato l’aumento delle bollette di luce e gas. Secondo le stime Coldiretti l’aumento ammonterebbe a 300 euro per famiglia nel 2021. Conseguenze dirette saranno la diminuzione del potere d’acquisto dei nuclei familiari e l’aumento dei costi delle imprese. Netto aumento anche dei costi dei carburanti. I rincari hanno effetto diretto sui costi di produzione nella catena del cibo, in particolare per gli imballaggi, con il risultato che si pagherà più l’imballaggio del prodotto che il prodotto stesso. La stessa Coldiretti spiega come l’unica soluzione a tali folli rincari sia l’investimento sul biometano e le risorse sostenibili, nella cui ottica il Pnrr rappresenta uno strumento fondamentale.

La Corea del Nord testa missile antiaereo di nuova concezione

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L’agenzia di stampa Kcna ha comunicato che le forze armate della Nord Corea hanno testato un nuovo missile antiaereo. La nuova tecnologia permette al missile di avere elevata reattività e precisione, oltre alla capacità di abbattere bersagli aerei a una distanza considerevolmente maggiore. Si tratta dell’ultimo di diversi test missilistici realizzati nelle scorse settimane, per i quali il segretario di Stato americano Antony Blinken ha espresso preoccupazione. La Corea del Nord ha precedentemente ricevuto sanzioni internazionali per il suo programma di armi nucleari e ha in varie occasioni violato le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Professori universitari contro il green pass: superate le mille firme

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Sono oltre mille, per la precisione 1.025, i professori universitari che hanno firmato l’appello contro il passaporto sanitario. La lista aggiornata, di quelli che spesso sui media vengono fatti passare come pochi intellettuali controcorrente, mostra invece un movimento di idee che coinvolge ben più che una sparuta minoranza. La petizione era stata lanciata un mese fa e rifiuta il green pass in quanto strumento che «suddivide la società italiana in cittadini di serie A, che continuano a godere dei propri diritti, e cittadini di serie B, che vedono invece compressi quei diritti fondamentali garantiti loro dalla Costituzione (eguaglianza, libertà personale, lavoro, studio, libertà di associazione, libertà di circolazione, libertà di opinione)».

Nel comunicato che commenta il superamento della soglia delle mille firme, redatto dal responsabile comunicazione del gruppo, il professor Lorenzo Maria Pacini, si legge: «Noi crediamo nell’Accademia come luogo di civiltà, integrazione, cultura e cittadinanza attiva e continueremo a far sentire la sua voce contro l’inaccettabile strumento ideologico del Green Pass, che non ha alcun fondamento scientifico mentre, al contrario, esso è moralmente e socialmente dannoso, tanto più ora che viene esteso a nuove categorie di cittadini. Nelle università stiamo vivendo discriminazioni, tensione emotiva, disagio e divisioni che mai avremmo voluto vedere. L’applicazione politica del Green Pass, uno strumento vessatorio, è contraria ai principi stessi della scienza e della conoscenza, principi che le nostre istituzioni dovrebbero promuovere e difendere invece che mortificare, nonché in opposizione alle libertà e ai diritti fondamentali della persona, sanciti nella Costituzione italiana e nei Trattati e Carte di valore internazionale».

Clima, attivisti occupano con le tende Piazza Affari a Milano

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Una settantina di giovani attivisti della Rise Up 4 Climate Justice e altri gruppi appartenenti alla piattaforma Justice Climate hanno occupato Piazza Affari a Milano, sede del palazzo della Borsa Italiana. Dopo aver montato numerose tende, gli attivisti hanno trascorso lì la notte, esponendo striscioni quali “Stop greenwashing” e “O la Borsa o la Vita”. L’occupazione avviene in seguito ai blocchi avvenuti ieri alla Pre-Cop e alle manifestazioni ambientaliste contro le politiche del Governo in materia di cambiamento climatico.

Kufr Qaddoum: il villaggio palestinese che da dieci anni resiste all’occupazione

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Durante la protesta di venerdì scorso nel villaggio di Kufr Qaddoum, quattro palestinesi sono stati feriti da proiettili di metallo ricoperti di gomma e altre decine sono stati soccorsi in seguito all’inalazione di gas lacrimogeni. Il portavoce del villaggio, Murad Shteiwi, ha detto ad Al Jazeera che i soldati israeliani hanno invaso le case degli abitanti, mentre alcuni cecchini sparavano ai manifestanti dai tetti di alcune case.

Ma quella di Kufr Qaddoum non è “solo” una storia di violenza e di ordinaria occupazione come le altre che arrivano dalla Palestina.  Kufr Qaddoum è un piccolo villaggio nel nord della Cisgiordania occupata, vicino alla città settentrionale di Nablus. Gli abitanti tengono proteste ogni fine settimana, negli ultimi 10 anni, contro l’esproprio di quasi 1.000 acri (405 ettari) di terra, necessario per far posto ad un insediamento israeliano. Tutto questo è legale? Per la legge no. Gli insediamenti in Cisgiordania violano l’articolo 49, paragrafo 6, della Quarta Convenzione di Ginevra, secondo la quale è vietato il trasferimento di cittadini di una potenza occupante in un territorio occupato. Citando testualmente: “La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”. E ancora. Infrangere gli accordi stabili dalla Convenzione costituisce un “crimine di guerra”, secondo quanto si legge nello Statuto di Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale (articolo 8).

Ma Kufr Qaddoum resiste, anche di fronte alla chiusura delle principali strade che collegavano il villaggio ai paesi limitrofi, avvenuta fra il 2000 (durante la seconda Intifada) e il 2003 per mano dell’Esercito Israeliano. Da quel momento gli abitanti sono costretti ad usare strade alternative per raggiungere Qalqilia, la principale strada di Nablus, chiusa per impedire proprio ai palestinesi di avvicinarsi troppo al vicino insediamento israeliano di Qadumim. Inutile dire che le conseguenze di un’azione del genere hanno avuto (e hanno tuttora) un forte impatto sull’agricoltura, sull’educazione e sulla vita economica e sociale del villaggio.

Tant’è che la resistenza non violenta in Palestina è una pratica entrata a far parte della routine quotidiana, necessaria per difendere la propria terra e la sua libertà. Infatti i manifestanti non fanno parte di un esercito o di un gruppo armato organizzato: sono persone comuni, cittadini che popolano ogni giorno le strade di Kufr Qaddoum, che la vivono e che ne hanno costruito le fondamenta.

Solitamente il corteo pacifico comincia così: dopo la preghiera i manifestanti si radunano sulla quella stessa strada chiusa che conduce direttamente alla colonia israeliana. L’aria si riempie di densi fumi neri, esalati dai copertoni bruciati per mano dei palestinesi, per non essere riconosciuti dai soldati israeliani. Questi, invece, rispondono con una violenta pioggia di lacrimogeni. Non finisce sempre così. Non con i lacrimogeni. Negli anni i residenti palestinesi di Kufr Qaddoum hanno pagato molto cara la loro resistenza, con scontri spesso finiti nel sangue. A loro dire, almeno 170 persone sono state arrestate e diverse centinaia sono state colpite da proiettili veri e proiettili d’acciaio rivestiti di gomma.

Intanto il mondo rimane a guardare. Nonostante la legge dichiari illegali gli insediamenti israeliani, paesi come gli Stati Uniti, il Canada e la Comunità Europea stessa ignorano le responsabilità di Israele. Anzi, accade che tacitamente e con gesti quotidiani ne approvino nei fatti il comportamento. Come? Accogliendo i prodotti proveniente dagli insediamenti sugli scaffali dei negozi, ad esempio, etichettati da Israele come propri: equivale ad approvare tacitamente e indirettamente l’annessione di Israele.

I residenti palestinesi della Cisgiordania, costantemente sotto occupazione, non sono considerati cittadini. Ne consegue l’impossibilità di avere una voce politica, potere decisionale e, banalmente, possibilità di voto. Cosa che invece spetta ai coloni israeliani, molti dei quali si sono trasferiti in Cisgiordania proprio per prendere il controllo della terra palestinese. Intanto Israele è considerato da molti un paese democratico, con confini riconosciuti a livello internazionale. Contemporaneamente, però, mantiene un’occupazione militare della terra su cui vivono milioni di persone, negandogli una democrazia che gli appartiene di diritto.

[di Gloria Ferrari]