lunedì 7 Ottobre 2024

“Balla balla ballerino”, una poesia di Lucio Dalla (1980)

Balla, balla, ballerino.
Tutta la notte e al mattino,
non fermarti.
Balla su una tavola tra due montagne.
E se balli sulle onde del mare
Io ti vengo a guardare
Prendi il cielo con le mani
Vola in alto più degli aeroplani, non fermarti
Sono pochi gli anni, forse sono solo giorni.
E stan finendo tutti in fretta e in fila.
Non ce n’è uno che ritorni.
… … …
Ecco il mistero.
Sotto un cielo di ferro e di gesso
l”uomo riesce a amare lo stesso.
E ama davvero, senza nessuna certezza
Che commozione, che tenerezza

La canzone di Lucio Dalla mi ha regalato parole per una visione, per un particolare stato di cose. Mi ha offerto uno sfondo musicale a una aurora boreale, al cielo che balla. Quest’estate ne ho avuto l’esperienza in un piccolo campeggio, in un paesino nel profondo nord norvegese.

L’aurora avevo annunciato il suo arrivo nel cielo stellato con un lento vortice di nuvole nell’ultima luce del giorno. Come se qualcosa ti stesse chiamando a capovolgere il tuo sguardo, a farti perdere l’equilibrio nel seguire in alto quei movimenti.

E arrivò anche il colore, la tavolozza metafisica di una presenza aliena e divina insieme. Nell’obiettivo della macchina fotografica prendeva corpo uno speciale verde azzurro che a occhio nudo non vedevi.

La ventata di luce e densità trasparente cambiava continuamente dimensioni e posizione nel cielo.

Ti sentivi astronomo e nello stesso tempo un sasso di quel suolo, un piccolo animale stupefatto, un poeta romantico, un uomo su cui si riversava amore celeste.

Il tutto e il nulla convocati insieme in una maestosa, scenografica sensazione di infinito. Un roteare pittorico e realistico insieme. Il cielo che balla per me, per chi era con me, per tutti, come una chiamata a sentirsi vivi perché spettatori, colpiti dall’incanto e dalla sorpresa. Nella gratitudine. Indimenticabile.

[di Gian Paolo Caprettini]

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