mercoledì 1 Maggio 2024

In Messico sono esplose le proteste per chiedere giustizia per i 43 studenti scomparsi

Negli ultimi giorni, a Chilpancingo, capitale dello Stato messicano di Guerrero situato sulla costa del Pacifico, stanno divampando le proteste dei cittadini che chiedono risposte sul caso dei 43 studenti scomparsi e poi trovati morti nel 2014. Lunedì 9 aprile i manifestanti hanno dato fuoco al palazzo del Governo, incendiando anche diverse macchine situate nel parcheggio. I dimostranti sono prevalentemente familiari dei desaparecidos degli eventi di ormai 10 anni fa, affiancati da folti gruppi di studenti provenienti da tutto lo Stato, tra cui anche dalla stessa Università di Ayotzinapa in cui studiavano i 43 ragazzi scomparsi e uccisi. Le azioni di dimostrazione, partite alla fine di febbraio, sono state fonte di numerosi scontri tra la polizia e i manifestanti, a causa di cui il passato 7 marzo è stato ucciso uno studente della stessa Normale di Ayotzinapa; con esse, si riaccende uno dei casi più eclatanti dell’ultimo decennio, i cui morti, nonostante spesso riconosciuti come vittime di una vera e propria strage di Stato, non hanno ancora trovato pace.

Nel corso delle proteste svoltesi nella città di Chilpancingo è iniziata una guerriglia tra manifestanti e forze dell’ordine, con incendi appiccati a macchine ed edifici. A quanto sembra, almeno una dozzina di veicoli sarebbero stati dati alle fiamme, così come un edificio sede di uffici statali che si trova vicino all’autostrada principale che porta da Città del Messico ad Acapulco. Il palazzo, che ospita anche l’ufficio del governatore, pare inoltre essere stato saccheggiato. I manifestanti chiedono che venga fatta giustizia sul caso dei 43 studenti trovati uccisi dopo essere scomparsi nel 2014, e contestano con forza l’incessante insabbiamento del caso da parte dello Stato che ha portato a erigere il castello della cosiddetta “verità storica” sostenuta dal Governo dell’ex Presidente Enrique Peña Nieto. I genitori e i familiari delle vittime, nello specifico, chiedono di venire ricevuti dal Presidente del Paese il quale nei mesi precedenti all’inizio delle proteste ha evaso le loro richieste, negando loro la possibilità di incontrarlo.

L’ondata di dissenso di questa settimana è stata alimentata anche dalla recente morte di Yanqui Kothan Gómez Peralta, normalista di Ayotzinapa ucciso dagli scontri con la polizia il passato giovedì 7 marzo. In occasione della sua morte, gli studenti di Ayotzinapa hanno rilasciato un comunicato in cui condannano lo Stato e il Governo messicani per l’accaduto, e sono partite delle indagini nei confronti degli agenti coinvolti nella sparatoria. Yanqui Kothan Gómez Peralta e i suoi colleghi universitari si trovavano a Chilpancigo per dare sostegno ai genitori dei 43 ragazzi scomparsi nel 2014, dopo che il 26 febbraio i familiari hanno annunciato l’installazione di un presidio permanente per portare avanti le proprie rivendicazioni. Pare gli studenti siano arrivati sul posto sequestrando e poi rilasciando una decina di pullman, evento che, come gli scontri con la polizia e la sparizione di persone poi trovate uccise da parte di bande criminali, non è certamente fuori dall’ordinarietà in un Paese come il Messico; qui, infatti, la lotta di classe, operaia, e contadina è ancora una realtà fattuale e fortemente sentita, che viene inoltre alimentata dalla povertà e dalla violenza di Stato nonché dalla corruzione politica diffusa a livello strutturale.

La vicenda dei 43 studenti scomparsi e poi trovati morti nel 2014 è ancora poco chiara, ma in molti, tra cui anche alti funzionari di Stato, pensano e dichiarano che essa sia uno degli ennesimi casi messicani di strage di Stato. La notte in cui si svolsero i fatti, un centinaio di normalisti si impossessarono prima di due e poi di altri tre autobus per recarsi a Città del Messico ad assistere alla commemorazione per il massacro di Tlatelolco del 2 ottobre 1968. Mentre attraversavano la città di Iguala, venne tesa un’imboscata a uno degli autobus da parte della polizia e di altri sicari non identificati, senza che nessuno intervenisse: i 43 studenti a bordo svanirono così nel nulla. Fino al 2022, la versione ufficiale del Governo, definita “verità storica”, era che la banda locale dei “Guerreros Unidos” avesse ucciso, bruciato e poi gettato in una discarica i corpi degli studenti, probabilmente per recuperare un carico di eroina nascosto in uno degli autobus, ad insaputa degli studenti; tale versione veniva addirittura avvalorata dalle indagini e dalle confessioni di membri del gruppo criminale, che avrebbero raccontato l’accaduto. Già un anno dopo le confessioni dei membri dei Guerreros Unidos, tuttavia, emersero i primi dubbi, che nel 2022 culminarono nel rapporto della Commissione per la Verità e l’Accesso alla Giustizia, secondo cui nella vicenda il personale militare e di polizia avrebbe agito in collusione con i Guerreros Unidos. A oggi dei 43 studenti sono state solo resti delle ossa di tre di loro, mentre degli altri 40 non risulta alcuna traccia.

[di Dario Lucisano]

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