giovedì 12 Dicembre 2024

Decreto Cutro: le pene agli scafisti servono? Il caso della Grecia insegna

Proseguono le partenze, gli sbarchi, i naufragi e le morti in mare. Il Mediterraneo si conferma una delle frontiere più pericolose del mondo, con stime di oltre ventiseimila morti negli ultimi 10 anni. Le barche cariche di persone che cercano di raggiungere l’Europa continuano a partire dalle coste libiche e tunisine; i Paesi europei, dal canto loro, perseguono nel tentativo di dissuadere le partenze, anche lasciandoli morire. Dopo la strage di Cutro, dove un barcone con circa 200 persone si è spezzato a poche centinaia di metri dalla costa di Crotone, nonostante le critiche e le molte domande sui mancati soccorsi, il governo ha approvato un nuovo decreto legge che forse assumerà proprio il nome della tragedia: decreto Cutro. Il cuore del provvedimento è la previsione di condanne fino a 30 anni di carcere per gli scafisti, nella convinzione che questo possa limitare le partenze. In verità si tratta di una misura scopiazzata dalla Grecia, dove le pene draconiane per i passeurs sono attive da ormai nove anni. Tuttavia proprio il caso greco insegna che non servono a limitare gli sbarchi, ma solo a rendere ancor più insicura la traversata, con l’effetto collaterale paradossale di mandare in carcere per decine di anni semplici migranti, mentre i trafficanti rimangono ignoti e al sicuro.

Sono circa 2000 le persone trattenute nelle galere greche con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Le pene sono altissime. Appena due giorni fa un pescatore egiziano è stato condannato a 280 anni di prigione con l’accusa di aver guidato insieme ad altre persone una barca che a novembre 2022 stava cercando di raggiungere l’Europa: H. Elfallah non aveva i soldi per il viaggio ma conosce il mare, per questo ha accettato di tenere il timone in cambio della traversata gratis, presa assieme al figlio quindicenne col sogno di dargli una vita migliore. Volevano raggiungere l’Inghilterra, dove un altro dei suoi figli ha chiesto l’asilo. Il tribunale di Creta gli ha fatto uno sconto sulla condanna: secondo la legge ellenica in vigore dal 2014 infatti, il passeur è condannabile a dieci anni per ogni persona presente sulla barca. Il tribunale “ha preso in conto le ragioni” per la quale Elfallah ha accettato di guidare la barca, scegliendo di condannarlo invece che a 4760 anni di prigione, a soli 280.

La pratica di perseguire gli emigranti per “traffico di esseri umani” è iniziata all’epoca della crisi migratoria in Europa e dell’arrivo di un milione di siriani in Grecia. La tecnica repressiva si è intensificata nel marzo 2020, quando il presidente turco Erdogan ha aperto le frontiere. In quel momento, migliaia di migranti avevano cercato di entrare in territorio greco. «L’obiettivo di questa criminalizzazione dei richiedenti asilo è quello di creare paura, imponendo pene molto pesanti, e di farne un esempio per scoraggiare coloro che potrebbero essere tentati di venire nelle isole greche», osserva Lefteris Papagiannakis, direttore del Consiglio greco per i rifugiati. Atene si difende e respinge le accuse, sostenendo che i suoi tribunali sono equi. «In Grecia, come negli Stati Uniti e in tutto il mondo occidentale, la magistratura è forte e indipendente, e giudica sulla base dei fatti presentati nelle udienze», ha dichiarato in passato il ministro dell’Immigrazione Notis Mitarachi in una dichiarazione scritta inviata al New York Times, che gli ha chiesto informazioni sulle condanne del 2021. Da ricordare che gli uomini accusati di essere trafficanti sono quantitativamente la seconda categoria di detenuti nelle prigioni greche: la quasi totalità sono persone che non parlano la lingua, che si affidano spesso ad avvocati di ufficio, e non hanno idea di quali siano le leggi in Grecia.

Ogni volta le storie sono circa le stesse: processi basati su un’unica testimonianza della guardia costiera, nessuna indagine approfondita, migranti che dicono di essere stati costretti a prendere il controllo dell’imbarcazione con il rischio di cadere in acqua, o che addirittura negano di aver guidato la barca. Oltre a essere accusati di aver agito come trafficanti di esseri umani, alcuni di loro sono stati incolpati per le morti avvenute durante la traversata, e condannati a pene di prigione di centinaia di anni. Secondo la legge ellenica chi prende il timone diventa automaticamente trafficante. «Basta mettere la mano sulla sbarra per essere giudicati colpevoli», dice Alexandros Georgoulis, l’avvocato di Abdallah J., Khiraldin A. e Mohamad B., tre siriani condannati a pene detentive dai 126 ai 187 anni. Erano il capitano, l’assistente e il meccanico della barca, o almeno questo è quanto ha concluso la magistratura. Per il sistema giudiziario greco, «non importa se ti eri realmente imbarcato con il compito di guidare la nave e nemmeno se hai tratto profitto da questa attività. È una legge assurda e deve essere cambiata. L’obiettivo è spaventare le persone dal tentare queste traversate». Quella barca è naufragata, sono morte delle persone. Abdallah, Khiraldin e Mohamad si sono salvati, appendendosi a una boa. Ma nemmeno hanno visto la Grecia, né un ospedale: sono stati portati direttamente in prigione.

Da anni i trafficanti di esseri umani evitano di salire sulle barche che traversano il mare Egeo per arrivare in Grecia; lo stesso fanno molti dei trafficanti dalla Libia e dalla Tunisia sulle barche che arrivano sulle coste italiane. Per evitare condanne nei Paesi europei affidano il timone a migranti che, da quella traversata, non guadagnano assolutamente nulla. Spesso prendono possesso della barca per evitare un naufragio, per salvare la vita di sé stessi e della famiglia che è con loro. O ancora per avere un po’ di sconto sul prezzo del viaggio, senza nessuna consapevolezza di ciò che stanno rischiando. Altre volte, sono obbligati con le armi dai veri trafficanti a guidare.

[di Monica Cillerai]

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