venerdì 29 Marzo 2024

Tribunale di Pistoia: sentenza dà ragione al genitore che non vuole vaccinare il figlio

“Il Tribunale non può ragionevolmente ritenere corrispondere al miglior
interesse, anche medico, del minore la somministrazione dei preparati vaccinali
attualmente in uso per la malattia da Sars-Cov-2”: è quanto si legge all’interno di un recente sentenza del Tribunale di Pistoia, con cui il giudice – la dottoressa Lucia Leoncini – ha respinto il ricorso di una madre che aveva chiesto all’ufficio giudiziario l’autorizzazione a sottoporre i 3 figli minori alla vaccinazione anti Covid contro la volontà dell’ex coniuge. Sostanzialmente il giudice ha dato ragione al padre, che si è opposto alla vaccinazione dei figli (di cui uno di età superiore a 12 anni e gli altri due di età inferiore ai 12 anni) ed ha riconosciuto che il rapporto rischi/benefici non fosse adeguato.

“Occorre prendere le mosse dai dati scientifici ed epidemiologici a disposizione”, ha innanzitutto scritto il giudice, sottolineando che i vaccini attualmente in uso in Italia, Pfizer e Moderna, sono univoci nell’indicare nel proprio foglio illustrativo pubblicato sul sito dell’Aifa la non raccomandazione “nei bambini di età inferiore a 12 anni”. Ciò già di per sé avrebbe costituito secondo il giudice un dato significativo sulla cui base rigettare il ricorso per quanto attiene ai due figli più piccoli, dato che di certo “l’autorità giudiziaria non può considerarsi ragionevolmente legittimata ad autorizzare l’utilizzo di un farmaco che l’autorità sanitaria a ciò preposta raccomanda di non utilizzare”. Tuttavia, considerata la loro età prossima al compimento degli anni 12 e avendo riguardo altresì alla domanda di autorizzazione afferente il figlio già ultradodicenne, il giudice ha preso in considerazione tutta una serie di dati ulteriori.

Sotto l’egida dell’art. 32 della Costituzione (riguardante la tutela della salute) invocato da entrambi i contendenti, il giudice ha fornito una completa valutazione rischi benefici della vaccinazione ai 3 figli. In primo luogo ha rilevato che il beneficio del vaccino (rappresentato dalla limitazione della possibilità di contrazione di malattia nella forma grave, ossia potenzialmente letale) nella fascia d’età considerata determini la possibile riduzione di eventi che, stando ai dati ufficiali, “si sono verificati di media in meno di due casi su 100.000 contagiati e in meno di 5 casi su 1.000.000 di bambini, per quanto attiene al decesso, e in poco più di un caso su 10.000 contagiati e in circa 3 casi su 100.000 bambini, per quanto attiene al ricovero in terapia intensiva”.

A fronte di tale protezione, però, occorre fare i conti non solo con il fatto che i vaccini “non valgono ad evitare il contagio” ma che, come precisato nel foglio illustrativo dei due vaccini, non sia nota la frequenza degli eventi avversi più gravi. “Per entrambi i vaccini, inoltre, è specificato che essi comportano un aumento del rischio di miocardite e pericardite”, ha aggiunto il giudice, sottolineando che “i vaccini attualmente in uso in Italia sono stati autorizzati sotto condizione da parte dall’autorità europea, poiché non risulta completata la necessaria IV fase di sperimentazione” e che ciò di per sé “dovrebbe indurre a particolare cautela specialmente ove si voglia somministrare il vaccino a soggetti che, per fascia di età, per un verso non presentano rischi di esposizione grave al virus” e “per altro verso sono ancora in fase evolutiva e di sviluppo e devono quindi essere destinatari di tutela rafforzata”. Di conseguenza, somministrare a tali soggetti vaccini la cui frequenza di effetti collaterali non solo a breve ma “soprattutto a medio-lungo termine” non risulta nota, per “fronteggiare rischi medici che possono ragionevolmente dirsi remoti”, non corrisponde a “una ragionevole applicazione del principio di prudenza”.

È per tutti questi motivi dunque che – “salvo casi peculiari attinenti a specifiche condizioni del minore che rendano più elevato rispetto alla media generale il rischio di sviluppare una malattia grave dall’infezione da Covid-19”, eventualità che non riguardava il caso di specie – il tribunale non ha ritenuto corrispondente al miglior interesse del minore la sua sottoposizione al vaccino. Infine il giudice ha precisato che la valutazione, in casi analoghi a quello di specie, non si presta ad “essere modificata per bilanciamento con contrapposte esigenze di interesse pubblico” dato che “la duplice valenza del diritto alla salute nella prospettiva dell’art. 32 Cost., come diritto fondamentale e come interesse della collettività, non può comportare una sistematica prevalenza dell’ interesse pubblico sul diritto individuale”. In tal senso anche il bilanciamento con altri interessi, come lo sviluppo della vita sociale, non appaiono idonei a incidere direttamente sulla valutazione del rapporto benefici-rischi ed è per questo dunque che anche la volontà dei figli, che a quanto pare avrebbero voluto sottoporsi al vaccino così da riacquistare una normale vita sociale e sportiva, non ha fatto testo.

[di Raffaele De Luca]

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5 Commenti

  1. Ma io mi chiedo: se il foglietto illustrativo pubblicato da AIFA sui vaccini Pfizer e Moderna dice che il farmaco non è raccomandato nei bambini sotto i 12 anni come è possibile che in Italia sia stata avviata la vaccinazione pediatrica dei bambini 5-12 anni?????

  2. Sentenza più che giusta. Le valutazioni fatte per arrivare a questa sana conclusione dovrebbero essere poste in essere per tutti, non solo per gli under 12. Rischi e benefici si devono considerare sempre.

  3. sentenza ineccepibile che dovrebbe far riflettere anche in merito all’obbligo vaccinale imposto da un governo che risulta deficiente della dovuta e completa informazione scientifica.

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