Solitamente, quando le persone lasciano volontariamente il proprio lavoro in massa significa che l’economia è in fase positiva e stabile e che molti credono sia giusto cercare qualcosa di più gratificante e con compenso maggiore, decidendo di mettersi in gioco in un momento in cui le cose vanno generalmente bene. Il periodo pandemico ci consegna però una nuova tendenza: il lavoro viene lasciato in massa in un periodo economico affatto positivo e tutt’altro che stabile. Tale fenomeno è stato chiamato Great Resignation o, altrimenti, Big Quit.
Anthony Klotz, professore di management alla Mays...
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Sinceramente non ho le conoscenze per capire come uscire da questa situazione in cui i lavoratori sono sempre più schiacciati a favore di una piccola élite di oligopolisti. Probabilmente bisogna fare marcia indietro sulle regole della concorrenza internazionale delle merci perché va contro il benessere del pianeta e porta al dumping sul costo del lavoro. Come si faccia non lo so
Il fatto che molte persone in diverse parti del mondo stiano decidendo di lasciare il loro lavoro, anche per effetto dello “stress test” pandemico, ritengo sia da valutare positivamente non solo e non tanto come la fine ma come l’inizio di un nuovo cammino segnato da una crescente e più diffusa consapevolezza delle sfide che ci attendono a partire dalla resistenza e dall’opposizione ai programmi disumani definiti dal WEF
Un possibile scenario potrebbe essere la settimana lavorativa ridotta come gli altri stati, contando che uno stipendio medio di 1500 costa al datore di lavoro poco più del doppio si spererebbe di rendere efficenti le poche ma buone ore di lavoro della settimana “ridotta” (ai minimi termini) per permettere al lavoratore di immettere il proprio reddito nel sistema economico dietro la prestazione di un servizio o l’acquisto di un bene MOBILE e/o fungibile, mentre per i super ricchi (in costante diminuzione ma con un patrimonio in costante crescita) si prospetta l Acquisto di beni IMMOBILI e/o Infungibili, questo per sottolineare il crescente divario tra “caste sociali’
P.s ormai ci sono tanti lavori in Italia che pochi italiani vogliono fare, se non li facciamo noi spero di poterli assicurare a immigrati che li farebbero con onore e dignità
Che bell’articolo!!!
Complimenti
Immaginando un futuro in cui non si lavora più 8 ore al giorno, ma 6 o 7 (pause incluse), per che tipologia di lavoratore e mente a prova di burnout è pensata l’idea di avere al contempo 6 lavori / clienti diversi? Questo è disumanizzare ulteriormente. Un approccio del genere mi riporta vagamente al concetto di un imprenditore o comunque di libero professionista. Rendere il dipendente un’azienda, mettendolo in competizione con altri (magari da tutto il mondo, sai che bello competere con chi vive in un paese in via di sviluppo) e gravandolo del rischio di impresa. È un argomento molto vasto e complesso, ma gira e rigira peggiorano le condizioni del lavoratore mascherandole da “progresso”.