venerdì 3 Maggio 2024

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina

Tra USA e Cina è in corso ormai da lungo tempo una guerra commerciale che trova poco spazio sulle pagine dei giornali, ma che procede spedita. La Cina sta infatti compiendo enormi passi in avanti verso il vasto predominio in campo economico e politico, anche se una posizione egemone è per il momento occupata ancora dagli Stati Uniti – che iniziano a risentire delle pressioni di tale ruolo. Questi ultimi affermano infatti di sentirsi minacciati dalle grandi capacità produttive cinesi (specie nei settori dell’elettronica e dell’energia verde) e da quella di offrire prodotti a minor costo, mettendo così in pericolo le aziende statunitensi. In particolare, gli USA puntano il dito contro i sussidi statali alle aziende cinesi, mentre la Cina si limita a rispondere definendo la propria industria più efficiente rispetto a quella statunitense, potendo anche contare su una catena di approvvigionamento completa. La lotta serrata viene condotta anche nel settore dei semiconduttori, dove dimensione economica e politica si mischiano: leader mondiale in questo settore è, infatti, Taiwan. Se da un lato l’isola viene impiegata come strumento di pressione politico-militare sulla Cina, dall’altro la strategia economica e produttiva statunitense è molto pragmatica: se gli USA non possono andare a Taiwan, Taiwan può andare negli USA. Come recentemente annunciato, infatti, l’azienda taiwanese leader mondiale nella produzione di semiconduttori porterà molta della propria produzione negli Stati Uniti.

Janet Yellen e il suo viaggio a Pechino: è muro contro muro

Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, è tornata nel suo Paese martedì 9 aprile, dopo una visita di quattro giorni in Cina finalizzata a discutere con i funzionari cinesi di questioni economiche. Nel suo viaggio, Yellen è stata portata nell’hub meridionale di produzione ed esportazione di Guangzhou e poi a Pechino, dove ha potuto anche effettuare una visita privata alla Città Proibita. La Cina ha steso il tappeto rosso per Yellen, la quale ha affermato che il legame tra le due maggiori economie del mondo si è rafforzato dopo la sua breve visita del luglio dello scorso anno. Tuttavia, l’incontro non è andato a buon fine. I cinesi non hanno infatti accolto i principali punti di discussione di Yellen, in particolare le lamentele degli Stati Uniti sull’eccesso di capacità produttiva e sul dumping (una forma di politica commerciale predatoria), così come sui sussidi cinesi alla “tecnologia verde”, che secondo i funzionari del Tesoro rischiano di inondare i mercati globali di beni a basso costo ed espellere dal mercato le aziende statunitensi.

Janet Yellen

Yellen ha rifiutato di riferire se gli Stati Uniti abbiano in mente sanzioni o azioni di questo genere, ma ha detto chiaramente che si muoveranno per impedire il ripetersi di quanto accaduto più di un decennio fa, quando la Cina produsse grandi quantità di acciaio a basso costo danneggiando i concorrenti occidentali, statunitensi in particolare. «Il presidente Biden e io non accetteremo di nuovo questa realtà» ha detto Yellen mentre si trovava a Pechino, aggiungendo che da quando la Cina è entrata a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) nel 2001, gli Stati Uniti hanno perso 2 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero. Yellen ha usato il suo secondo viaggio in Cina in nove mesi per lamentarsi del fatto che gli investimenti eccessivi di Pechino nel settore dei veicoli elettrici (EV), delle batterie, dei pannelli solari e di altre “tecnologie verdi”, hanno costruito una capacità produttiva di gran lunga superiore alla domanda interna, mentre le esportazioni in rapida crescita di questi prodotti minacciano le aziende negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali.

Da parte loro, i funzionari cinesi fanno notare come gli stessi Stati Uniti stiano sovvenzionando la propria industria di tecnologia verde, in gran parte attraverso l’Inflation Reduction Act promulgato dall’amministrazione Biden. La risposta cinese si concentra poi su questioni legate al sistema produttivo cinese stesso a confronto con quello statunitense, considerato più efficiente grazie anche ad una catena di approvvigionamento completa. Il vice-ministro delle finanze cinese, Liao Min, ha detto: «Gli attuali vantaggi competitivi della Cina sono radicati nel mercato cinese su larga scala, nel sistema industriale completo e nelle abbondanti risorse umane». Liao ha poi denunciato «l’escalation di misure protezionistiche verdi da parte di alcune economie sviluppate». I funzionari cinesi hanno fatto notare come le restrizioni commerciali sui veicoli elettrici cinesi violerebbero le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. Mentre la Cina nega i sussidi e punta il dito contro i programmi governativi degli Stati Uniti e dell’UE per sostenere le proprie industrie, i suoi critici hanno una visione più ampia del sostegno statale, la quale incorpora prestiti a basso costo, uso del suolo, enormi investimenti infrastrutturali e altri benefici che si estendono attraverso una catena di approvvigionamento completamente integrata.

Da parte sua, la Cina afferma che, anche ammettendo che vi sia una “sovracapacità”, questa non è una sua esclusiva. «La cosiddetta “sovraccapacità” è una manifestazione del meccanismo di mercato in atto, dove lo squilibrio tra domanda e offerta è spesso la norma», ha detto il vice-ministro delle Finanze, Liao Min, «Questo può accadere in qualsiasi sistema di economia di mercato, compresi gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali, dove è accaduto più volte nella storia». Inoltre, la Cina afferma che la domanda e l’offerta dovrebbero essere viste da una prospettiva globale, visto che i Paesi occidentali si concentrano su specifici settori chiave per poter raggiungere gli obiettivi climatici posti per l’intero pianeta. Questo argomento è condiviso da Nicholas Lardy, senior fellow del Peterson Institute fo International Economics, con sede a Washington. «Sono molto scettico su questa idea di sovracapacità. Se ci pensate, significa che ogni Paese dovrebbe produrre solo ciò che ha consumato da solo. Ciò significa che non è possibile effettuare scambi. Dove saremmo se non ci fosse il commercio?». In altre parole, secondo Lardy, questa lamentela statunitense nei confronti della Cina sarebbe una critica stessa al commercio e al mercato. Per di più, come dicono i cinesi, implicherebbe il non poter raggiungere gli obiettivi climatici posti, per la maggior parte, dallo stesso Occidente.

Se gli USA non possono andare a Taiwan, Taiwan va negli USA

Nel tentativo di riportare la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti, dopo decenni di deindustrializzazione ed esternalizzazione, gli USA provano anche a mettere a segno un colpo politico nella lotta commerciale con la Cina. La scorsa settimana, infatti, proprio mentre si concludeva il viaggio di Yellen in Cina, dagli Stati Uniti veniva annunciato un accordo con la TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), punto di riferimento per aziende come Apple e Nvidia, seconda azienda di semiconduttori di maggior valore al mondo, la più grande fonderia indipendente (“pure-play”) di questi materiali esistente e la più grande azienda di Taiwan.

La sede della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company

Gli Stati Uniti prevedono di assegnare a TSMC 6,6 miliardi di dollari in sovvenzioni e fino a 5 miliardi di prestiti per poter costruire fabbriche in Arizona. Secondo l’accordo, che sarà finalizzato nel corso dei mesi successivi mesi per poter adempiere a tutte le necessità burocratiche, TSMC così costruirà una terza fabbrica a Phoenix, aggiungendosi a due strutture che sono già in costruzione nello Stato e che dovrebbero iniziare la produzione nel 2025 e nel 2028. Il terzo sito di fabbricazione di TSMC, che si prevede entrerà in funzione alla fine del decennio in corso, si baserà sulla tecnologia di processo a 2 nanometri (nm) di nuova generazione. Il segretario al Commercio degli Stati Uniti, Gina Raimondo, ha affermato che i chip a 2 nm sono essenziali per le tecnologie emergenti, tra cui l’intelligenza artificiale, nonché per le applicazioni militari. «Per la prima volta in assoluto, produrremo su larga scala i chip semiconduttori più avanzati del pianeta qui negli Stati Uniti d’America, tra l’altro, con lavoratori americani», ha detto Raimondo ai giornalisti in un briefing prima dell’annuncio. In totale, il pacchetto degli accordi tra USA e TSMC sosterrà più di 65 miliardi di dollari di investimenti per i tre stabilimenti che il produttore di semiconduttori taiwanese metterà in funzione in Arizona. Raimondo ha spiegato che la presenza di TSMC in Arizona creerà almeno 6.000 posti di lavoro diretti nel settore hi-tech, ma anche più di 20.000 nella costruzione delle fabbriche e decine di migliaia di posti di lavoro indiretti.

L’accordo con TSMC, il più grande degli annunci del programma, sia in termini economici che politici, segna un’altra pietra miliare nella spinta di Biden per rilanciare l’industria dei semiconduttori negli Stati Uniti, avviata nel 2022 con il Chips and Science Act. Intel ha già firmato un accordo preliminare per quasi 20 miliardi di dollari in sovvenzioni e prestiti, mentre Samsung Electronics della Corea del Sud dovrebbe ricevere una sovvenzione di oltre 6 miliardi di dollari. A breve dovrebbe essere annunciato anche un accordo con Micron Technology. In totale, governo USA e aziende hanno annunciato più di 200 miliardi di dollari di investimenti negli Stati Uniti, con i cluster più grandi che stanno emergendo in Arizona, Texas e New York. L’accordo svelato la scorsa settimana con TSMC, dopo mesi di negoziati con il Dipartimento del Commercio e TSMC, è senz’altro il colpo grosso dell’operazione di reindustrializzazione di un settore altamente strategico come quello dei semiconduttori: lo è sia in termini economici e commerciali, vista l’importanza dell’azienda nel settore globale, sia sul piano politico dello scontro per l’egemonia mondiale con la Cina.

[di Michele Manfrin]

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2 Commenti

  1. Le continue contraddizioni nella narrativa neoliberista spero un giorno facciano implodere questa ideologia. Da una parte si grida al limitare l’intervento dello stato nel dio mercato accusando la Cina di aiutare le aziende (da quando è reato?), dall’altra si sovvenzionano con ingenti fondi aziende private di “interesse strategico”.

    • Il solito peso e due misure: gli Stati Uniti stanno incanalando miliardi di soldi pubblici nella loro industria bellica con la scusa della guerra di cui sono gli unici ad avanteggiarsi… per non parlare di quanto hanno imposto la globalizzazione a volenti e non!

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