martedì 10 Dicembre 2024

Dal proletariato alla neoplebe, le nuove classi sociali: intervista a Paolo Perulli

Ha ancora senso parlare di classi, e quindi di lotta di classe, nel terzo millennio? O forse si tratta di un concetto superato? Dopotutto, la divisione tra due classi che ha contraddistinto l’era industriale, ovvero della borghesia (la classe di chi detiene i mezzi di produzione) e del proletariato (ovvero di chi non detiene solo la propria forza lavoro) è oggettivamente problematica e il mondo decisamente più sfumato. Su questo si interroga nel suo ultimo libro Paolo Perulli, docente di Sociologia economica, concludendo che sì: parlare di classi è ancora necessario per comprendere il mondo che abitiamo. Occorre, tuttavia, attualizzare le categorie: neoplebe, classe creativa ed élite. Questi sono, secondo Perulli, i nuovi soggetti collettivi che segnano le società occidentali. Una analisi di una nuova triade di classi sociali è necessaria, per l’autore, per interpretare il mondo attuale e per poterlo, infine, anche scardinare. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per parlarne.

Molti sociologi e pensatori affermano che con il neoliberismo la suddivisione in classi marxista, legata al capitalismo industriale, sia ormai superata. Potrebbe spiegarci in che modo è avvenuto lo sfaldamento della configurazione sociale precedente?

Le società nazionali del passato erano state lungamente costruite dagli Stati nazionali sulla progressiva inclusione dei cittadini. La massima espansione avviene nel periodo 1930-1960, con il keynesismo e il welfare state. È stato il momento di massima inclusione e giustizia sociale. Poi l’ondata neoliberista spazza via tutto. Essa è guidata da un’élite che affida alle imprese multinazionali, alle banche d’affari e a un Paese egemone (gli Stati Uniti) la guida del mondo. Si creano così tre nuove linee di frattura nelle nostre società, che ho analizzato nel mio libro Neoplebe, classe creativa, élite. La nuova Italia (Laterza 2022): inclusi/esclusi, cosmopoliti/locali, concentrati/estesi. Queste fratture sono destinate ad approfondirsi se non cambieranno le forze alla guida delle società.

La sua teoria è che la società occidentale attuale sia costituita da tre classi: élite, classe creativa e neoplebe. Può darne una definizione e una descrizione?

L’élite ha preso il posto della precedente classe, la vecchia borghesia nazionale dell’industria e del commercio. È un’élite globalista, finanziaria, selettiva ed esclusiva. Ha interrotto l’ascensore sociale che permetteva ad altri strati di entrarci, coltiva il proprio privilegio e vuole governi che traducano questo privilegio in leggi (con rendite finanziarie, ricchezze e successioni, tassazione). I governi sono parte dell’élite, senza differenze sostanziali seguono queste indicazioni. Appartiene all’élite l’alta burocrazia pubblica. In Italia rappresenta solo l’1% della popolazione lavorativa ed è sostenuta da uno strato tecnico di servizio che vale circa il 10%. Nel mezzo della società non sta più una classe media, che rappresentava il 60% della società per reddito, valori e aspirazioni. Essa è scivolata verso il basso, a causa della globalizzazione liberista, che pure essa ha sostenuto (con il voto e il consenso). Ha perso reddito, ricchezza e potere: tutto il ceto medio di artigiani e commercianti, il lavoro autonomo, si è impoverito. È entrato a far parte di una galassia che chiamo neoplebe. Essa, in Italia, rappresenta il 58% della popolazione lavorativa (con differenze regionali). Nella galassia neoplebe, che ha un deficit di rappresentanza politica e sociale e coltiva un risentimento e una mancanza di alternative, vi è una classe operaia che ha subito intensi processi di deindustrializzazione, e un nuovo crescente proletariato dei servizi poveri e dequalificati (che comprende immigrati, giovani, non scolarizzati). Tra i due poli della triade sta una classe creativa in crescita: sono tutte le professioni e le capacità di lavoro nuovo, espressione di arti, tecniche, innovazioni scientifiche, cultura e settori dei media, imprenditori di piccole imprese tecnologiche e start-up, freelance, saperi avanzati, professioni dell’insegnamento, etc. Una classe ampia, circa il 30% della popolazione lavorativa, ma non ancora consapevole di sé e delle proprie potenzialità.

Per quale motivo ha scelto di utilizzare il termine “neoplebe”? E perché quella che un tempo si definiva classe media negli ultimi decenni si è impoverita? La sociologa Saskia Sassen parla addirittura di una crescente dinamica di “espulsioni” di persone dalla società, come anche Bauman parla di “vite di scarto”.

Si, la Sassen e Bauman avevano visto giusto: la società si è sempre più polarizzata. Per visualizzarla in una immagine semplificata: prima era a forma di una cipolla, adesso è una piramide. Alla base di questa piramide c’è quella che chiamo neoplebe: gli strati in via di scivolamento in Occidente, gli strati poveri trasformati in operai-semischiavi in Oriente. La neoplebe è un termine urticante, non piace perché si ritiene dispregiativo, invece ritengo che esprima bene la situazione dello strato inferiore della società che è sempre esistito, nella Roma antica e nella città medievale. Ma lì aveva propri rappresentanti, mentre oggi non ne ha.

Secondo lei com’è possibile che la neoplebe non riesca a rappresentarsi, identificarsi e quindi in un certo senso unificarsi per far valere i propri diritti come fu per il proletariato nel ‘900? Basti pensare all’altissimo tasso di astensionismo degli ultimi anni, che probabilmente deriva dalla sfiducia che proprio la neoplebe mostra nei confronti della classe politica e dell’élite.

A differenza del proletariato del passato, che ha avuto una sua identità, dei valori, degli stili di vita e dei sentimenti collettivi, unificati da un movimento operaio che ha dato ad esso dignità, la neoplebe attuale non è unita ma frammentata. Vi è un individualismo di massa, un basso livello culturale non riscattato da alcun avanzamento, dipendenza dalla tecnologia e dai media che la guidano verso consumi eterodiretti. La sfiducia verso la classe politica è un dato generale, ma non dimentichi che il trumpismo in America e il leghismo e il populismo in Italia sono fenomeni neoplebei.

Come descrive e come rappresenta l’élite italiana ed in generale quella mondiale? È sostenibile un sistema economico in cui la neoplebe continua ad aumentare, mentre le élite globali continuano ad arricchirsi? Quale potrebbe essere, secondo lei, la chiave di svolta che possa portare ad uno sviluppo sostenibile della società ed a una redistribuzione della ricchezza?

In Italia l’élite è anziana, maschile, poco istruita (quasi la metà non ha la laurea) e si è dimezzata dopo la crisi del 2008. In generale, le dinamiche della crisi attuale sono affidate a un’élite mondiale irresponsabile di fronte alle grandi sfide, soprattutto quella del cambiamento climatico. Quando un’élite fallisce andrebbe sostituita, ci dovrebbe essere una circolazione e un ricambio. Perché questo avvenga è necessario che la classe creativa, l’unica dotata di saperi e di conoscenze, prenda l’iniziativa e imprima una nuova dinamica alla storia mondiale. Ma essa non è oggi in grado di farlo, in questo senso vi è un regresso impressionante rispetto all’età degli intellettuali del XX secolo che hanno indicato la direzione e il senso della storia mondiale. Senza una classe creativa che capisca il suo ruolo non ci sarà uno sviluppo, solo un regresso. E la neoplebe, anziché essere educata e guidata dalla classe creativa, come dovrebbe avvenire attraverso la creazione di lavori qualificati e di ruoli sociali più avanzati, anch’essa regredirà allo stadio di un permanente esercito di riserva, a disposizione di avventure e perfino totalitarismi.

Perché quella che le chiama “classe creativa” non ha ancora assunto un forte ruolo politico? Penso soprattutto al mondo dell’arte e della cultura, che è sempre meno politicizzato quando invece dovrebbe puntare a far scorgere nuovi desideri e nuovi immaginari.

No, la classe creativa anziché desideri e immaginari – quelli li crea l’industria dell’intrattenimento – deve inventare nuovi mondi, cioè fornire delle visioni del mondo. Lo ha fatto nel passato: pensi alla rivoluzione francese della borghesia nascente, al movimento operaio nel Novecento. Oggi la nuova classe creativa dovrebbe essere la “classe ecologica” (per dirla con Latour) che guida una risposta alla crisi climatica, da cui dipenderà l’abitabilità del pianeta nei prossimi decenni. Compito enorme, mentre chi guida la società oggi è totalmente immobile e impreparato a dare queste risposte.

Secondo lei è solo una questione di consapevolezza di classe, oppure c’è una qualche volontà che punta a tenere la neoplebe, ma più in generale tutto il popolo, separato ed atomizzato?

Vi è sempre una parte consapevole e una automatica nel funzionamento delle società. La parte consapevole è la volontà delle élite attuali di usare la neoplebe e di impedirne la crescita culturale, come dimostra il sotto-investimento in istruzione, in edilizia sociale, in servizi di welfare, e la altissima tassazione sul lavoro. Il resto lo fanno le tecnologie digitali, il cui ruolo di crescita di una stupidità di massa è impressionante.

In conclusione, secondo lei è ancora necessario parlare di classi e di lotta di classe, oggi?

Certo è necessario, ma va aggiornata l’immagine delle classi, come ho cercato di fare proponendo la triade élite-classe creativa-neoplebe. È importante che la nuova lotta di classe si esprima oggi con lo sciopero. I diritti di proprietà intellettuale sono il nuovo fronte di lotta della classe creativa. Poi manca una consapevolezza più ampia che riguarda l’ecologia, che è la questione delle questioni. Quanto alla neoplebe, per uscire dal localismo e dal nazionalismo subalterno dovrebbe darsi obiettivi unificanti, ad esempio un reddito di base universale finanziato da chi usa i beni comuni (ambientali) a proprio esclusivo vantaggio. Una proposta di questo tipo unificherebbe la neoplebe mondiale.

[di Gioele Falsini]

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4 Commenti

  1. La plebe vecchia o neo si distingue non solo per il livello del reddito ma per la coscienza morale. Nel caso della Lega fu chiaro dall’inizio che si trattava di plebe. Proprio perche’ contraddistinta dall’ignoranza, dal seguire slogan, in breve a non pensare con la propria testa.
    Un punto importante dell’articolo e’ l’indicazione dell’individualismo come fattore presente. L’individualismo tuttavia e’ alla base della societa’ borghese ed e’ alla base dell’esercizio del potere. Senza individualismo intanto saremmo in una altra formazione sociale

  2. Il ragionamento fila. Tuttavia l’insitenza sulla preoccupazione Cambiamento Climatico mi pare ingenua e non realistica. Il problema del cambiamento climatico certamente esiste ma non è così al momento al centro dei problemi del pianeta come il Mainstream racconta. Si specula e si incute paura anche sul clima proprio da parte di quelle élite che il professore vorrebbe combattere. Le cose sono più complesse. Le nuove tecnologie e in paricolare lo Smartphone che tutti usiamo sono il morbo infetto che non permette ai più di ragionare. Banale quando si vuole ma vero.
    Tutto il resto è noia.

  3. Aggiornamento necessario, troppo evidenti le fratture che ci sono state a cavallo del secondo millennio.
    Tuttavia l’esigenza di creare nuove classi sociali fa cogliere solo alcuni aspetti evidenti, ma non tiene conto che la frammentarietà nella nostra società occidentale è troppo estesa.
    Le differenze sono difficili da catalogare o meglio clasdificare. Se volessimo approfondire i dati, ci accorgiamo che alla base di questa frammentazione ci sono persone o gruppi di persone che non necessariamente corrispondono a quelle categorie descritte.
    Sono piuttosto delle realtà complesse( individuali o collettive) che sono già oltre quelle suddivisioni e non gli appartengono.
    L’ interdipendenza, a cui si accenna, tra la classe creativa e la neoplebe è la visione benefattattrice che mette nelle mani di uno il riscatto dell’altro.
    A ben vedere la storia della nostra società è costellata di aiutini.
    La classe che si trova in fondo alla cosiddetta piramide rimane e rimarrà in quella posizione e non è una novità, la storia sociale insegna, le masse vanno incanalate, educate o veicolate.
    Le masse sono comunque individui e come tali vanno considerati, non c’ è solo un avanzamento verticale ma anche una espansione a 360 gradi.

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