martedì 1 Luglio 2025
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Migranti: Lituania denuncia la Bielorussia alla Corte Internazionale

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La Lituania ha portato la Bielorussia davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, accusandola di avere orchestrato operazioni di traffico di migranti attraverso il confine condiviso, violando il diritto internazionale. A dare l’annuncio è il ministro degli Esteri lituano che ha parlato di presunte violazioni del Protocollo delle Nazioni Unite contro il traffico di migranti via terra, mare e aria da parte della Bielorussia. La Bielorussia, di preciso, avrebbe favorito l’entrata di migranti irregolari verso il Paese vicino costringendoli ad attraversare il confine scortati dai propri militari. La Lituania ha chiesto un risarcimento completo per i presunti danni subiti, tra cui rientrano le spese relative al rafforzamento delle frontiere.

Mancato rispetto dei referendum per l’acqua pubblica: presentato ricorso alla CEDU

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Un gruppo di giuristi ha presentato ricorso contro la mancata presa di provvedimenti da parte del governo italiano dopo il referendum del 2011 sull’acqua pubblica. Il ricorso, già annunciato l’anno scorso, è stato presentato lo scorso venerdì davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. «Tra circa sei mesi sapremo se il ricorso sarà stato valutato ammissibile», riferisce uno dei ricorrenti, aggiungendo che probabilmente si dovrà attendere anni prima della sentenza. «Nel ricorso che abbiamo spedito venerdì a Strasburgo», lungo circa duemila pagine, «sosteniamo che la mancata attuazione dei referendum da parte dello Stato ha determinato un aumento delle tariffe e che questo ha peggiorato la qualità della vita personale e familiare dei cittadini italiani». «Lamentiamo inoltre la violazione dell’articolo 14 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, che sancisce la tutela dalla discriminazione dei diritti previsti dalla stessa Convenzione».

I giuristi denunciano infatti come l’Italia abbia violato l’esito del referendum del 2011, quando 26 milioni di cittadini stabilirono che l’acqua dovesse essere considerato un bene di natura esclusivamente pubblica e dal quale non fosse possibile trarre profitto. Nonostante il “sì” abbia ottenuto il 95% delle preferenze, l’esito della votazione è stato oggi a tutti gli effetti tradito. Secondo le analisi del Forum italiano dei movimenti per l’acqua effettuate sul piano di investimenti nazionale sull’acqua e la struttura delle bollette pagate dai cittadini, esistono ingenti addebiti a carico della collettività ed enormi margini di guadagno a beneficio dei gestori. In particolare, a fronte di 13,8 miliardi di euro di investimenti netti programmati nel periodo 2020-2049, l’utile netto per i gestori è risultato pari a 4,6 miliardi di euro.

Venere potrebbe essere un pianeta più simile alla Terra di quanto si pensasse

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Al contrario di quanto ipotizzato in precedenza, Venere potrebbe essere un pianeta molto più attivo e simile alla Terra di quanto si pensasse, in quanto esisterebbero prove di attività tettonica in corso sulla sua superficie: è quanto emerge da una nuova analisi condotta da un team internazionale di ricercatori, dettagliata all’interno di un nuovo studio scientifico sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances. Elaborando i dati radar e gravitazionali raccolti oltre trent’anni fa dalla sonda Magellan della NASA, gli esperti hanno scoperto che le “corone”, ovvero particolari strutture ovali larghe decine o centinaia di chilometri, presentano caratteristiche compatibili con processi tettonici ancora attivi. Secondo gli autori, ciò non solo dovrebbe cambiare il nostro modo di vedere Venere, ma offrirebbe anche una finestra unica sul passato della Terra, in quanto il nostro pianeta potrebbe aver ospitato dinamiche simili. «Combinando i dati gravitazionali e topografici, questa ricerca ha fornito una nuova e importante visione dei possibili processi del sottosuolo che attualmente modellano la superficie di Venere», ha commentato Gael Cascioli, coautore e assistente ricercatore presso l’Università del Maryland e presso il Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt.

Queste illustrazioni illustrano vari tipi di attività tettonica che si ritiene persistano sotto la corona di Venere. In alto sono mostrati il ​​gocciolamento e la subduzione litosferica; in basso sono mostrati due scenari in cui il materiale caldo del pennacchio sale e spinge contro la litosfera, alimentando potenzialmente il vulcanismo sopra di essa. Credit: Anna Gülcher, CC BY-NC

A differenza della Terra, spiegano gli scienziati, la superficie di Venere non mostra evidenti segni di placche tettoniche in movimento. Se sulla Terra, infatti, tali placche si spostano, collidono e si riciclano nel mantello, modellando la superficie in un ciclo continuo, su Venere, invece, la crosta appare rigida e priva di questi movimenti orizzontali. Tuttavia, da tempo gli scienziati sospettano che il pianeta possa essere deformato da dinamiche interne, come la risalita di pennacchi di materiale caldo dal mantello. Le “corone”, strutture geologiche circolari e fratturate osservate in gran numero sulla superficie di Venere, sono per questo da anni al centro di questo dibattito, anche se finora, però, le limitazioni nei dati gravitazionali non avevano permesso di chiarirne la natura. Per questo motivo, gli autori hanno deciso di combinare modelli geodinamici tridimensionali con le misurazioni di gravità e topografia della sonda Magellan per identificare diversi stadi di attività e scenari evolutivi delle corone. Inoltre, la ricerca ha mostrato come l’uso congiunto di dati topografici e gravitazionali consenta di distinguere tra strutture inattive e quelle ancora alimentate da dinamiche del mantello.

Rappresentazione artistica della grande Corona di Quetzalpetlatl, situata nell’emisfero meridionale di Venere, che raffigura un vulcanismo attivo e una zona di subduzione, dove la crosta in primo piano si immerge nell’interno del pianeta. Credit: NASA/JPL-Caltech/Peter Rubin

In particolare, delle 75 corone analizzate, 52 hanno mostrato anomalie gravitazionali compatibili con la presenza di materiale caldo e galleggiante sotto la superficie, il che sarebbe segno di processi tettonici in corso. In alcuni casi, come nelle corone “Eithinoha” e “Atahensik”, i dati hanno suggerito agli autori una dinamica simile alla subduzione terrestre – dove porzioni della crosta vengono spinte verso il basso e riciclate nel mantello – mentre in altri, come “Pavlova” e “Aruru”, i segnali hanno indicato pennacchi mantellari incapsulati sotto una crosta più spessa, senza riciclo del materiale superficiale. I ricercatori, inoltre, hanno anche identificato possibili casi in cui la scarsa risoluzione dei dati Magellan potrebbe aver mascherato la presenza di attività interna, come nel caso della corona Demeter. Tutte caratteristiche che, secondo l’esperta Anna Gülcher, indicano che la formazione delle corone è guidata da processi attivi. «Le corone non si trovano oggi sulla Terra ma, tuttavia, potrebbero essere esistite quando il nostro pianeta era giovane e prima che si stabilisse la tettonica a placche», concludono i coautori, aggiungendo che missioni future aggiungeranno risoluzioni fino a quattro volte superiori rispetto a quelle ottenute grazie a Magellan, le quali potrebbero chiarire definitivamente la natura di queste strutture. Secondo la coautrice Suzanne Smrekar, infine, questa nuova generazione di dati potrebbe «rivoluzionare la nostra comprensione della geologia di Venere e delle implicazioni per la Terra primordiale».

 

La Russia ha dichiarato Amnesty organizzazione non desiderata

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La Procura generale della Federazione Russa ha deciso di riconoscere le attività dell’organizzazione non governativa internazionale Amnesty come indesiderate sul territorio del Paese. «L’organizzazione», si legge nel comunicato stampa della Procura, «si posiziona come attiva sostenitrice della tutela dei diritti umani nel mondo, ma in realtà, la sede londinese è il centro di preparazione di progetti russofobi globali, finanziati dai complici del regime di Kiev». La Russia di preciso, accusa l’ONG di sostenere organizzazioni estremiste e di finanziare le attività di agenti stranieri.

Alle Canarie migliaia di persone sono tornate a protestare contro il turismo

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Ancora una volta in Spagna migliaia di persone scendono in piazza per protestare contro la massificazione turistica. Durante la giornata di ieri, domenica 18 maggio, nelle principali città dell’arcipelago canario, in migliaia hanno manifestato contro un modello turistico neoliberista che sta attanagliando i diritti della popolazione residente. Sotto il lemma «Canarias tiene un límite», la cittadinanza ha sottolineato le conseguenze che le isole stanno vivendo, specialmente da un punto di vista ambientale e sociale.

Come già accaduto in varie occasioni in tutto il territorio spagnolo, questo fenomeno, estremamente aggressivo, sta distruggendo il tessuto sociale dell’arcipelago in varie forme: da un lato il turismo di massa inquina l’ambiente, in molti casi protetto, e alimenta il circolo vizioso dello sfruttamento di territorio per costruire e ampliare le strutture di ricezione turistica. Dall’altro la presenza di expat, persone migranti con alto potere d’acquisto, altera gli equilibri della domanda e offerta, alzando drasticamente il prezzo per accedere a soluzioni abitative per la popolazione residente. Questo paradigma, ormai comune a tutto il paese spagnolo, sta squarciando l’armonia sociale, trasformando i centri urbani e obbligando la popolazione ad abbandonare il luogo che abitavano a causa dell’esplosione dei prezzi; a questo si aggiunge la speculazione sulle case, acquisite in blocco da fondi di investimento e agenzie immobiliari, che, viste le tariffe più alte proposte per gli affitti stagionali e turistici, attuano spesso politiche che prevedono lo sfratto e l’espulsione di quei residenti in canone d’affitto.

Tra le varie richieste, le persone manifestanti hanno chiesto a gran voce di attuare politiche che rispettino i diritti della popolazione residente: imporre una tassa ecologica finalizzata alla conservazione del patrimonio naturalistico; una riconversione del turismo di massa verso un modello più giusto, solidale e sostenibile; la paralizzazione dei grandi progetti turistici; una transizione energetica sovrana e scevra dagli interessi delle multinazionali insieme al fomento dell’agricoltura, dell’allevamento e della pesca. Simultaneamente le migliaia di persone presenti hanno criticato aspramente l’utilizzo delle risorse dell’isola, come l’acqua destinata all’irrigazione dei campi da golf, in un contesto territoriale che a più riprese ha sofferto problemi e rischi di siccità.

Intorno alle 11 del mattino quasi centomila persone hanno presenziato alla manifestazione convocata a Santa Cruz de Tenerife. «Ci hanno detto che viviamo di turismo, ma è già da decenni che il turismo vive di noi. Questo modello sta rubando le nostre vite, sta seppellendo la nostra terra sotto il cemento, deteriorando i nostri spazi naturali di maggior valore, privatizzando i benefici e lasciando a noi le perdite. E adesso sta anche colonizzando i nostri quartieri e ci sta espellendo dai nostri paesi e dalle nostre città». Con queste parole la piattaforma organizzatrice della protesta Canarias tiene un límite ha espresso il proprio dissenso davanti ad una situazione sociale critica. Nel manifesto, letto davanti alle migliaia di persone accorse per la protesta, si criticano aspramente le istituzioni del territorio, responsabili di aver dato il via libera alla costruzione di stabilimenti e alberghi di lusso in tutto l’arcipelago, occupando tanto l’entroterra quanto le poche aree litorali ancora libere dallo sfruttamento di suolo pubblico. 

«Siamo in una situazione di emergenza idrica, energetica, abitativa e climatica, che sono la conseguenza dello stesso problema e segnano l’evidenza dell’insostenibilità del modello economico canario, basato sulla crescita infinita in un territorio sensibile e limitato, mettendo a rischio la vita delle generazioni presenti e future» denunciano ancora dalla piattaforma.

Non solo Santa Cruz de Tenerife, anche a Las Palmas de Gran Canaria almeno quarantamila persone si sono radunate per protestare contro un modello predatore e dannoso per il l’arcipelago. A Fuerteventura la manifestazione si è concentrata sulla protezione degli spazi archeologici e naturalistici, oltre che sulla difesa del diritto all’abitare. Segnalano infatti che in alcuni paesi più del 40% del parco abitativo è destinato alla ricezione turistica, fatto che obbliga i residenti a vivere in soluzioni provvisorie, come camper, automobili e container. Anche a La Gomera, Lanzarote, Valverde e La Palma migliaia di persone hanno accolto l’invito a manifestare; nel capoluogo dell’omonima isola di La Palma, la popolazione ha lamentato una situazione di grave crisi abitativa, alla quale si aggiunge il disastro causato dalle eruzioni vulcaniche del 2021. 

A poco meno di un anno dalle ultime manifestazioni convocate nell’arcipelago canario contro un modello turistico che colonizza i territori ed espelle i residenti, la popolazione reitera il proprio dissenso davanti a politiche che sembrano voler difendere gli interessi delle multinazionali e dei grandi proprietari. Davanti ai dati che confermano un afflusso turistico sempre maggiore nel territorio spagnolo, i residenti hanno scelto di scendere in strada e protestare, quantomeno prima che sia troppo tardi.

La corsa dell’Europa per la riapertura delle miniere

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Il vicepresidente esecutivo della Commissione Europea con delega all’Industria, Stéphane Séjourné aveva detto «Non ci sono abbastanza miniere in Europa, dobbiamo aprirne di più». E così sta succedendo. La Commissione Europea ha pubblicato una lista di 47 progetti per incrementare la produzione dell’Unione di 14 dei 17 materiali che ritiene “strategici” per la transizione energetica e la sicurezza. L’obiettivo è «rafforzare la catena di valore delle materie prime europee» e diversificare le fonti di approvvigionamento in un mercato dove l’UE dipende quasi interamente dalle importazioni, sopratt...

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Livorno, 11 arresti per assalto a furgone portavalori

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Nelle province di Nuoro, Pisa e Bologna sono state arrestate questa mattina 11 persone per l’assalto alla portavalori Battistolli, avvenuto lo scorso 28 marzo lungo l’Aurelia, nei pressi di Livorno. I rapinatori, che erano riusciti a fuggire, avevano sottratto una cifra pari a circa 3 milioni di euro. Le accuse sono di rapina pluriaggravata, detenzione e porto illegale di armi da guerra ed esplosivi, furto aggravatoi e ricettazione.

Gaza: Israele autorizza l’ingresso di una “quantità base di cibo”, ma non ferma il massacro

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L’esercito israeliano ha dato ufficialmente avvio all’operazione Carri di Gedeone, che prevede un’intensificazione delle aggressioni terrestri nell’ottica di un’occupazione militare permanente della Striscia, da affiancare a una nuova modalità di gestione degli aiuti umanitari. L’ufficio del Primo Ministro ha fatto sapere che, con l’adozione di questo nuovo sistema, Israele riaprirà il valico di Rafah, per fare entrare «la quantità base di cibo» dopo oltre 70 giorni di blocco totale degli aiuti. Una decisione «difficile», ha specificato il premier davanti alle numerose critiche: le operazioni non possono proseguire, se la comunità internazionale preme perché entrino gli aiuti a Gaza. «Non stiamo liquidando la questione, ma per farlo dobbiamo fare in modo che non ci fermino». Gli aiuti umanitari, insomma, vengono trattati alla stregua di una questione diplomatica, come del resto provano gli incessanti bombardamenti sulla Striscia: solo nella giornata di ieri l’esercito dello Stato ebraico ha ucciso oltre 150 persone in tutta Gaza, di cui almeno 36 in un bombardamento nel campo di Al Mawasi, in teoria individuato come area umanitaria.

L’operazione Carri di Gedeone è iniziata ieri, domenica 18 maggio. Carri di Gedeone prevede un allargamento su larga scala delle operazioni militari, che finiranno per interessare tutta la Striscia simultaneamente, col fine di consentire una occupazione militare dell’intera area. Nel frattempo, la popolazione verrà spostata a sud, dove rimarrà l’unica area umanitaria di tutta Gaza. Carri di Gedeone è pensata per viaggiare in parallelo alla nuova modalità di gestione degli aiuti umanitari: questo nuovo metodo prevede l’installazione di punti di distribuzione sorvegliati dalle IDF verso cui potrebbe dirigersi un solo rappresentante per famiglia per andare a ritirare gli aiuti. La distribuzione verrà affidata a Gaza Humanitarian Foundation, neo-istituita agenzia statunitense. «Israele consentirà l’ingresso di una quantità minima di cibo per la popolazione, al fine di impedire lo sviluppo di una crisi di carestia nella Striscia di Gaza» ha spiegato ieri l’ufficio del primo ministro, ripreso da vari quotidiani israeliani.

L’annuncio della fine del blocco umanitario ha spaccato a metà la coalizione governativa israeliana, con il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir che ha duramente contestato Netanyahu. Questa mattina, dunque, il premier ha risposto alle critiche rilasciando una dichiarazione video sul proprio canale Telegram, in cui spiega le ragioni dietro la sua decisione. Gli alleati di Israele insistono con il fatto che non possono accettare immagini di gente affamata: «Per ottenere la vittoria, dobbiamo in qualche modo risolvere il problema», spiega Netanyahu. Ecco dunque che fino a che le IDF non avranno ottenuto il controllo militare della Striscia, «dovremo fornire una sorta, un minimo, di mediazione» e rispettare le richieste degli alleati: non lasciare morire la gente di fame. Resta ancora da capire quando verrà realmente rimosso il blocco degli aiuti umanitari. I giornali israeliani sostengono che l’entrata dei camion di aiuti nella Striscia dovrebbe ripartire «immediatamente», ma nella sua dichiarazione video Netanyahu ha affermato che i punti di distribuzione verranno istituiti solo «nei prossimi giorni». Il destino delle migliaia di camion che aspettano sul confine per Rafah, insomma, è ancora oscuro.

Col lancio di Carri di Gedeone, Israele non ha solo annunciato la possibile riapertura delle frontiere per fare entrare gli aiuti umanitari, ma anche intensificato notevolmente i bombardamenti sulla Striscia. Dopo le centinaia di morti e feriti di ieri, stamattina l’aviazione israeliana ha bombardato l’ospedale di Nasser a Khan Younis uccidendo almeno 6 persone nella città. Sempre oggi, inoltre, il portavoce delle IDF in lingua araba Avichay Adraee ha rilasciato una mappa che ritrae l’intera area di Khan Younis come zona di combattimento, per spingere i civili ancora più a sud. Khan Younis sta venendo infatti attaccata anche dalla fanteria israeliana, destino che condivide con il Governatorato di Nord Gaza, altra località dove le operazioni sembrano concentrarsi con forza. In totale oggi, a partire dall’alba, Israele ha ucciso almeno 23 palestinesi.

Dall’escalation del 7 ottobre, Israele ha distrutto o danneggiato il 92% delle case (l’ultimo aggiornamento risale a prima del cessate il fuoco del 19 gennaio), l’82% delle terre coltivabili (i dati più recenti sono di ottobre 2024), l’88,5% delle scuole (dato del 25 febbraio 2025) e, in generale, il 69% di tutte le strutture della Striscia (1 dicembre 2024). Il 59% del territorio della Striscia risulta sotto ordine di evacuazione o interdetto ai civili. In totale, l’esercito israeliano ha inoltre ucciso direttamente almeno 53.339 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia.

I Savoia continuano a reclamare un tesoro da 300 milioni dallo Stato italiano

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Un cofanetto sigillato da 78 anni, nascosto nel caveau della Banca d’Italia, custodisce migliaia di diamanti e perle per un valore stimato tra i 20 e i 300 milioni di euro. Ma non tornerà, almeno per ora, nelle mani della famiglia Savoia: il Tribunale civile di Roma ha infatti respinto la richiesta di Emanuele Filiberto, figlio di Vittorio Emanuele (scomparso nel 2024), e delle zie Maria Gabriella, Maria Pia e Maria Beatrice, che rivendicano la proprietà di questi beni. Secondo i giudici, il tesoro appartiene allo Stato italiano, in quanto «gioie di dotazione della Corona» e non beni personali. La battaglia legale, però, continuerà: la famiglia non demorde, annunciando addirittura ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Il contenzioso giudiziario affonda le radici in una fase dirimente della storia italiana. Il tesoro venne depositato il 5 giugno 1946, tre giorni dopo il referendum istituzionale che sancì la nascita della Repubblica. A consegnarlo all’allora governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi, fu il ministro della Real Casa Falcone Lucifero, su incarico dell’ultimo re d’Italia, Umberto II. Il verbale ufficiale dell’epoca parlava chiaramente di «gioie di dotazione della Corona del Regno d’Italia», e questa definizione è risultata decisiva per il Tribunale: essendo legate alla funzione monarchica e non alla proprietà privata dei Savoia, le preziose gemme rientrano oggi nel patrimonio dello Stato. Nonostante la sconfitta, la famiglia Savoia non si arrende. Emanuele Filiberto ha annunciato sui social il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, affermando che la battaglia continuerà anche «per la restituzione, da parte dello Stato italiano, del valore di tutti gli immobili appartenuti alla famiglia Savoia».

Il contenuto del cofanetto è straordinario: 6.732 brillanti, 2.000 perle, diademi, spille e collier, tra cui spiccano la celebre tiara con nodo Savoia della regina Margherita e un raro diamante rosa montato su una spilla a fiocco. Le stime più prudenti parlano di 20 milioni di euro, ma secondo i criteri delle aste internazionali – dove il valore simbolico e storico influisce pesantemente – la cifra potrebbe salire fino a 300 milioni. Nonostante vengano spesso indicati da molti organi di informazione come “gioielli della famiglia reale”, i tesori non sono in realtà beni privati dei Savoia, poiché non furono acquistati con risorse personali della casata; essi furono invece simboli pubblici della monarchia e, in quanto tali, sono rimasti patrimonio della collettività dopo la nascita della Repubblica.

Il verdetto, pronunciato nella giornata di giovedì, va a chiudere una lunga vicenda giudiziaria iniziata nel 2021, quando gli eredi di Umberto II presentarono una prima richiesta di restituzione, immediatamente respinta. L’anno successivo presero avvio le azioni legali vere e proprie, contro Banca d’Italia, Presidenza del Consiglio e Ministero dell’Economia. Il Tribunale civile di Roma ha definito «manifestamente infondata» la questione di legittimità costituzionale sollevata nel corso del procedimento. A nulla sono valse le memorie private di Luigi Einaudi – e i pareri a lui attribuiti – secondo cui le gioie potessero spettare alla famiglia reale. Il giudice ha chiarito che si tratta di riflessioni personali, prive di valore giuridico. Nessuna prova, inoltre, dimostrerebbe che quei beni fossero effettivamente destinati ai figli del re.

È stata diagnosticata una forma di cancro a Biden

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L’ex presidente degli Stati Uniti Joe Biden è affetto da una «forma aggressiva» di cancro alla prostata che si è diffuso alle ossa. A dare la notizia è stato il suo ufficio in un comunicato ieri, domenica 18 maggio. Da quanto si apprende, Biden avrebbe ricevuto notizia della diagnosi venerdì scorso, dopo aver manifestato sintomi urinari. L’ex presiednte e la sua famiglia stanno valutando le opzioni terapeutiche con i medici, si legge nel comunicato. Dopo la notizia, il presidente Trump ha rilasciato un messaggio di vicinanza all’ex rivale democratico, augurandogli pronta guarigione.