La polizia spagnola ha arrestato otto persone accusate di avere condotto attacchi nei confronti di individui di origine straniera. Gli episodi di violenza sono stati registrati a Torre Pacheco, città nel sud-est del Paese, a partire dal fine settimana, e sarebbero andate avanti per tre notti; da quanto si apprende dai media locali, le violenze sarebbero state condotte contro persone nordafricane e migranti da decine di individui incappucciati. In seguito agli attacchi, cinque persone sarebbero rimaste ferite e tre di esse sarebbero state portate in ospedale. L’agenzia di stampa Reuters riporta inoltre di scontri tra gli autori degli attacchi e la polizia.
Cortina verso le Olimpiadi tra frane, lavori in ritardo e buchi di milioni di euro
Non bastavano ritardi sui lavori e problemi di bilancio a sollevare problemi sui progetti delle Olimpiadi Milano-Cortina; ora sono arrivati anche i disastri naturali. Da ormai un mese, infatti, il bellunese è teatro di frane e smottamenti che stanno interessando la statale Alemagna, la stessa strada dove dovrebbero venire realizzate alcune delle opere per la manifestazione sportiva. L’ultima è avvenuta nella notte tra sabato 12 e domenica 13 luglio, e si è abbattuta tra San Vito di Cadore e la stessa Cortina, causando disagi alla viabilità. Cittadini e comitati locali avvisano da tempo dei potenziali rischi idrogeologici in cui versa l’area interessata dai lavori, ma nessuno ha voluto ascoltarli. Le colate di detriti sono solo l’ultimo dei problemi dell’organizzazione delle Olimpiadi del 2026, che sin dal lancio dei vari progetti è stata costellata da critiche e mala gestione, e che oggi deve fare fronte alla sostanziale irrealizzabilità di molte delle opere che interessano le prossime Olimpiadi.
L’ultimo smottamento che ha interessato il territorio veneto, è avvenuto poco dopo le 22:30 di sabato, quando pezzi di detriti si sono staccati dalla vetta Croda Marcora, del gruppo montuoso Sorapìs. La frana sembra essersi verificata a causa della forte pioggia, e in seguito a essa il tratto di strada interessato è stato chiuso. Quella dell’ultimo fine settimana non è la prima volta che la statale Alemagna viene colpita dai detriti del gruppo montuoso Sorapìs. La prima frana degli ultimi 30 giorni, riporta l’Anas, è avvenuta lo scorso 15 giugno, e ha colpito un tratto stradale situato nel comune di Borca di Cadore. Esso è rimasto chiuso per quattro giorni, ma con l’arrivo di luglio, il primo giorno del mese, è avvenuta una seconda frana. Questa seconda volta, la colata ha interessato un tratto stradale situato nel Comune di San Vito, a una manciata di chilometri da quella che la ha preceduta. Il personale Anas è tornato a lavoro per riaprire la strada, ma l’8 luglio è avvenuta una terza frana, sempre a San Vito.
La frana di sabato si è abbattuta in aree adiacenti a quelle dove dovrebbero svolgersi i lavori per la realizzazione di diversi svincoli stradali collaterali ai progetti per le Olimpiadi. Cittadini e comitati locali avevano già avvisato dei rischi idrogeologici che interessano la zona nel 2021, in occasione dei mondiali di Sci, ma in risposta si sono visti chiedere risarcimenti per 127 mila euro. In vista delle prossime Olimpiadi, la statale Alemagna conta tre progetti Anas: uno a San Vito di Cadore, uno a Valle di Cadore e uno a Pieve di Cadore (frazione Tau di Cadore), dal valore totale di 250 milioni di euro. Società Infrastrutture Milano Cortina 2020–2026 (SIMICO), invece, ha in progetto la costruzione di due varianti stradali, una a Longarone (dal valore di circa 396 milioni di euro) e una nella stessa Cortina (dal valore di quasi mezzo miliardo); i lavori per le due varianti non sono ancora cominciati e la loro conclusione è prevista rispettivamente per il 2028 e il 2027.
I lavori sugli svincoli della statale Alemagna non sono gli unici a essere in ritardo nella tabella di marcia delle prossime Olimpiadi. SIMICO ha infatti in cantiere 21 progetti nel solo Veneto, di cui 8 non vedranno la luce prima dell’inizio dell’evento sportivo, il prossimo 6 febbraio: gli interventi per l’accessibilità dell’Arena di Verona, dove si terranno la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi e quella di apertura delle Paralimpiadi (per circa 19 milioni di euro) termineranno a dicembre del 2026; la ristrutturazione del trampolino simbolo delle Olimpiadi del 1956 (10 milioni), dove avrebbero dovuto essere costruite aree ristoro e sale d’aspetto, terminerà solo in parte; del cosiddetto progetto di “mobilità intermodale” per collegare infrastrutture e sedi dell’evento (127 milioni di euro) verrà ultimata solo la cabinovia, malgrado esso comprenda anche stazioni e mezzi di trasporto, un maxi-parcheggio per 750 auto, e un edificio con servizi e aree ristoro; la riqualificazione di Piazza Mercato (7,5 milioni), dove avrebbe dovuto essere costruito un parcheggio sotterraneo, dovrebbe iniziare a giugno 2026, e l’appalto non è ancora stato assegnato; la strada secondaria che dovrebbe penetrare nell’abitato di Cortina (circa 52 milioni di euro), dovrebbe iniziare a venire costruita a maggio 2026, ma anche in questo caso l’appalto non è ancora stato assegnato; il memoriale dedicato alle discipline del bob, skeleton e slittino (2,5 milioni), invece, terminerà a dicembre 2026.
A questi lavori si aggiungono quelli che ancora devono venire ultimati e la cui data di conclusione risulta pericolosamente vicina all’inizio dell’evento sportivo. Uno di questi, la ristrutturazione dello Stadio Olimpico di Cortina (20 milioni), avrebbe dovuto essere consegnato lo scorso 26 giugno. Per ora, solo due opere sono state completate. Oltre agli evidenti problemi nella consegna dei progetti, l’organizzazione di Milano-Cortina si è rivelata un coacervo di scandali e mala gestione. Lo scorso aprile la Procura di Milano ha chiesto di archiviare l’inchiesta sulla Fondazione organizzatrice, in cui si ipotizzano reati di corruzione e turbativa d’asta, ma ha sollevato la questione di costituzionalità sul decreto del governo che, trasformandola in ente privato, avrebbe ostacolato intercettazioni e sequestri preventivi di un presunto profitto di reato di circa 4 milioni. Il tutto non considera il buco milionario generato dalla Fondazione: in un contesto già segnato da deficit patrimoniali accumulati dalla Fondazione – oltre 107 milioni – la stima dei costi è infatti lievitata di ulteriori 180‑270 milioni. Oltre a questi, con il decreto sport, il governo intende stanziare 328 milioni di euro alla istituzione di un nuovo Commissario per le Paralimpiadi, che avrebbe il compito di «subentrare nei rapporti giuridici della Fondazione»; formulazione che appare come una scusa per scorporare parte dei costi visto che le Paralimpiadi erano già presenti nel Comitato.
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La Commissione Europea lancia la nuova strategia per le emergenze sanitarie
Con la consueta retorica tecnocratica del “prevenire è meglio che curare”, la Commissione Europea ha annunciato due nuove strategie nell’ambito dell’«Unione della preparazione», focalizzate sulla costituzione di scorte strategiche e sulle contromisure mediche per rafforzare la preparazione alle crisi e la sicurezza sanitaria, sulla base delle raccomandazioni della relazione Niinistö. Dietro il lessico rassicurante della governance e dell’efficienza operativa, della «resilienza», delle «strategie coordinate» e delle «iniziative solidali», si nasconde un impianto burocratico di gestione centralizzata che sembra voler cristallizzare lo stato d’eccezione come prassi ordinaria, normalizzando un paradigma securitario e bio-amministrativo che prescinde ormai da reali minacce, per perpetuare uno stato di mobilitazione permanente basato sulla teoria dello shock.
Nel dettaglio, la strategia di costituzione di scorte prevede la creazione di una rete europea per monitorare e gestire beni essenziali come cibo, acqua, medicinali, carburanti. Le azioni chiave mirano a «salvaguardare gli approvvigionamenti essenziali prima delle crisi» e si focalizzano sull’istituzione di una rete dell’UE, sul coordinamento degli stock con gli Stati membri, sul miglioramento dei trasporti e della logistica per una risposta rapida alle crisi, sull’ampliamento delle scorte a livello dell’UE con il sostegno di iniziative come rescEU, e sulla promozione di partenariati civili-militari, pubblico-privati e internazionali per massimizzare l’uso delle risorse in modo efficiente e puntuale.
In apparenza, nulla di strano: la logica dello stoccaggio può sembrare ragionevole, ma il problema è che la crisi viene evocata come giustificazione costante per concentrare potere, centralizzare le decisioni e marginalizzare le autonomie nazionali. L’intero impianto è volutamente opaco e si affida a partenariati non solo civili-militari, ma anche pubblico-privati che, come già visto nel caso dei vaccini Covid, servono a trasferire denaro pubblico nelle mani di colossi farmaceutici e infrastrutturali, legittimando profitti colossali sulla pelle dei contribuenti.
Con la seconda iniziativa, l’UE intende predisporre una serie di «contromisure mediche» – promuovere i vaccini antinfluenzali di prossima generazione, nuovi antibiotici per contrastare la resistenza antimicrobica, antivirali per le malattie trasmesse da vettori, dispositivi di protezione, rafforzare la cooperazione globale e la collaborazione intersettoriale, elaborare un elenco dell’UE di contromisure mediche prioritarie, migliorare l’accesso ai medicinali e la loro diffusione attraverso appalti congiunti.
La Commissione annuncia inoltre l’accelerazione del programma HERA Invest, il braccio biotecnologico dell’UE, e il rafforzamento della EU FAB, la “capacità calda” di produzione di vaccini pronta all’uso. In pratica, si istituzionalizza un complesso bio-industriale che alimenta se stesso, producendo soluzioni per problemi che contribuisce a creare o ad amplificare, per spaventare l’opinione pubblica e legittimare misure draconiane.
Tra i bersagli? Le solite minacce: dai virus respiratori e da contatto a rischio pandemico, come il Covid-19, alle zoonosi come l’influenza aviaria, fino alle malattie emergenti e riemergenti come l’Ebola, arrivando alla famigerata “Malattia X”, un’entità fittizia creata dall’OMS, funzionale a giustificare una sorveglianza sanitaria continua e l’espansione illimitata del biopotere.
Siamo di fronte a un modello di governance che sfrutta il rischio ipotetico per modellare la realtà. Si crea il nemico invisibile – un virus ancora sconosciuto – per legittimare spese miliardarie, restrizioni dei diritti fondamentali e l’avanzata di un nuovo Leviatano tecno-sanitario, sempre più simile a un ibrido tra Big Pharma, NATO e OMS.
È impossibile leggere queste strategie senza richiamare alla mente il Trattato Pandemico globale dell’OMS, ancora in fase di finalizzazione. Entrambe le iniziative europee si inseriscono nel solco di quell’accordo, che prevede la creazione di un sistema integrato di biosorveglianza globale basato su intelligenza artificiale, test di massa e raccolta di dati biometrici. Anche in questo caso, non si parla mai apertamente di consenso democratico o di diritti dei cittadini, ma solo di «scalabilità», «efficienza» e «resilienza».
E proprio il termine “resilienza” è il leitmotiv abusato da Hadja Lahbib, Commissaria per la Parità e per la Preparazione e gestione delle crisi, che per commentare le nuove misure varate dall’UE ha spiegato che «rafforzando la nostra preparazione e resilienza», l’obiettivo è «affrontare le sfide future con fiducia». Lahbib divenne nota quando pubblicò un assurdo video dal titolo What’s in my bag? Survival edition, in cui mostrava gli oggetti da avere sempre con sé in caso di “crisi”, inclusi i vituperati contanti, per sopravvivere almeno 72 ore.
Bruxelles formalizza così il passaggio dall’eccezione alla regola: lo stato di crisi non è più un’eccezione, ma la nuova normalità, alimentata da paura, emergenze e terrorismo mediatico. Come ogni architettura autoritaria che si rispetti, anche questa si regge su un pilastro imprescindibile: la paura.
Si tratta dell’ennesima tappa in un processo più ampio: la costruzione di un’infrastruttura normativa, logistica e ideologica finalizzata a centralizzare il potere e a consolidare un controllo preventivo su popolazioni sempre più medicalizzate e sempre meno sovrane, nel quadro di un capitalismo emergenziale che monetizza la crisi e istituzionalizza la paura.
Il terrore sanitario è l’elemento fondante del nuovo ordine europeo: un’ansia diffusa e coltivata ad arte, utile per mantenere alto il livello di allerta e basso il livello del dibattito pubblico. Ogni emergenza è buona per giustificare nuove deroghe, nuove misure eccezionali, nuovi dispositivi di controllo.
Il governo italiano continua a tacere sulla persecuzione contro Francesca Albanese
Dopo l’annuncio delle sanzioni statunitensi contro la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, il mondo ha reagito con una generale condanna alle misure degli Stati Uniti; eppure, di fonte al coro di voci che si sono schierate al fianco di Albanese, ce n’è una – la più importante – che non si è ancora fatta sentire: quella del governo del Paese della quale la relatrice ONU è cittadina, l’Italia. Quando la Corte Penale Internazionale rilasciò il mandato d’arresto contro Netanyahu, Salvini disse che il primo ministro israeliano sarebbe stato il «benvenuto in Italia», e Tajani rigettò l’ordine della Corte liquidando le richieste di esecuzione del mandato come «irrealizzabili». Oggi, tuttavia, quello stesso governo che sui concetti di patria e di orgoglio nazionale ha costruito la propria identità politica tace di fronte alla persecuzione di una propria illustre cittadina che, ricoprendo un importante incarico internazionale, si sta battendo per il rispetto dei diritti umani in Palestina. Davanti alle restrizioni ad Albanese imposte dagli USA sulla base di accuse pescate alla rinfusa dal bagaglio della retorica filo-israeliana, il governo del “prima gli italiani” non sembra avere nulla da ridire, e preferisce, anzi, non interferire con le politiche degli alleati statunitense e israeliano.
È un silenzio assordante quello italiano sulla questione delle sanzioni a Francesca Albanese. La misura era stata annunciata lo scorso 9 luglio, e include diverse limitazioni, come il divieto di ingresso negli Stati Uniti, il congelamento dei beni e l’impossibilità di ricevere fondi e donazioni da aziende statunitensi. A favore di Albanese si sono sollevate voci provenienti da tutte le sfere della società: diversi relatori ONU hanno condannato le sanzioni definendole «pericolose e inaccettabili», e chiedendo che venissero revocate; a loro hanno fatto eco capi di uffici delle Nazioni Unite, come l’Alto Commissario per gli Affari Umanitari, Volker Türk; diverse ONG, come Amnesty e Human Rights Watch, hanno definito l’attacco ad Albanese «vergognoso» e chiesto agli Stati di prendere misure per respingere «vigorosamente» le sanzioni; la stessa società civile si è mobilitata, facendo fioccare petizioni sulla piattaforma change.org per chiedere al governo italiano di prendere posizione. Sul fronte politico, seppur timidamente, si è mossa persino l’UE, che per bocca del portavoce Anouar El Anouni ha «espresso rammarico» per la decisione di imporre sanzioni ad Albanese, e riaffermato il proprio sostegno al sistema ONU per i diritti umani.
Insomma, tra società civile, ONG, politica, istituzioni e uffici internazionali hanno parlato tutti. Manca solo il governo italiano. Quello stesso governo che, lo scorso novembre, giudicava la scelta di emettere mandati d’arresto contro Netanyahu e il suo ministro Gallant «sbagliata», e che addirittura per voce del ministro Salvini invitava un criminale di guerra nel Paese. Meloni, forte del suo ideale di “difesa dell’italianità”, si è sempre messa di punta davanti le accuse di razzismo contro i propri cittadini: era successo l’anno scorso, quando la Commissione Europea contro il Razzismo e l’Inclusione accusava le forze dell’ordine e la politica italiana di portare avanti pratiche di profilazione razziale: «Le nostre Forze dell’Ordine sono composte da uomini e donne che, ogni giorno, lavorano con dedizione e abnegazione per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, senza distinzioni. Meritano rispetto, non simili ingiurie», diceva allora la premier.
Sulle accuse di antisemitismo che gli USA hanno ripetutamente lanciato contro Albanese, invece, il governo non ha mai speso una parola. Eppure queste non sono mai state corredate da rapporti, e, anzi, hanno sempre puntato il dito contro la mera attività della Relatrice italiana. Quando ne chiedevano l’estromissione dall’ONU, gli USA accusavano Albanese di un «virulento antisemitismo», sostenendo che esso emergesse dalle sue richieste di fare rispondere Israele delle proprie azioni in Palestina. Una definizione quanto meno curiosa del termine, visto che l’antisemitismo si identifica con l’odio razziale nei confronti degli ebrei, e non nelle critiche documentate a uno Stato che sta compiendo crimini contro l’umanità. Le sanzioni degli Stati Uniti ad Albanese, e come prima di esse le accuse e i tentativi di boicottarne il lavoro, si configurano come una vera e propria intimidazione, da parte di uno Stato i cui interessi vengono costantemente minati dalla attività della relatrice. È il caso del suo ultimo rapporto, in cui Albanese esplora «i meccanismi aziendali che sostengono il progetto coloniale israeliano», citando proprio decine di realtà statunitensi.
Violenze in Siria: 30 persone uccise
Continuano le violenze settarie in Siria, dove negli ultimi giorni sono state uccise almeno 30 persone, e altre 100 sono rimaste ferite. La notizia è stata data nelle prime ore della mattina di oggi, lunedì 14 luglio, dal ministero degli Interni siriano, che ha parlato di scontri nella città siriana di Sweida, a maggioranza drusa. Secondo testimoni locali, gli scontri sarebbero scoppiati lo scorso venerdì a causa di una ondata di rapimenti, tra cui quello di un mercante druso. Gli scontri si sarebbero concentrati nel quartiere di Maqwas a est di Sweida, abitato da tribù beduine, che sarebbe stato circondato da gruppi armati drusi e successivamente conquistato.
La Francia riconoscerà la Nuova Caledonia
In una svolta definita «storica», il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che riconoscerà la Nuova Caledonia come Stato autonomo, ma che il territorio rimarrà possedimento francese. L’accordo prevede la creazione di uno Stato di Caledonia che potrà essere riconosciuto dagli altri Paesi, ma che non avrà un posto nelle Nazioni Unite. Il documento riconosce la nascita di una nazionalità caledoniana accanto a quella francese. Esso deve essere ancora approvato dalla stessa Nuova Caledonia, che potrebbe farlo votare ai propri cittadini il prossimo anno. L’accordo segue le violente proteste del 2024, scoppiate contro delle riforme elettorali proposte dalla Francia e presto allargatesi alla questione dell’indipendenza del territorio.