venerdì 9 Maggio 2025
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Il piano di Israele per occupare Gaza in modo permanente

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Con il riavvio della macchina del genocidio a Gaza, l’esercito israeliano sta preparando il terreno per conquistare militarmente la Striscia, nell’ottica di un’occupazione permanente del territorio. A presentare l’idea sarebbe stato il nuovo Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa Israeliane, Eyal Zamir, trovando l’appoggio indiretto di tutti quei leader dell’estrema destra israeliana che da tempo chiedono un approccio più severo nella lotta ad Hamas. Di preciso, Zamir avrebbe elaborato un piano, illustrato a quotidiani israeliani e internazionali da funzionari anonimi, per prendere il controllo di ampie fasce dell’enclave e costringere i due milioni di abitanti in una “area umanitariaristretta situata lungo la costa. Segregati i palestinesi, le IDF controllerebbero capillarmente la distribuzione degli aiuti umanitari, fornendo alla popolazione il minimo indispensabile perché non muoia di fame. Nel mentre, Israele ha approvato un consolidamento delle colonie in Cisgiordania e un allargamento della campagna terrestre a Gaza, col sostegno dell’amministrazione statunitense.

Il piano di Zamir è stato presentato al quotidiano israeliano Haaretz, da funzionari anonimi. Da quanto riporta Haaretz, Zamir avrebbe detto ai ministri israeliani che il suo piano potrebbe finalmente realizzare ciò che Israele non è riuscito a ottenere in quasi un anno e mezzo di aggressioni, ossia la completa distruzione del governo e delle capacità militari di Hamas. Il piano prevede la mobilitazione di un gran numero di divisioni dell’esercito e un impiego delle unità di riservisti con il fine di lanciare un’offensiva terrestre su vasta scala nell’intera Striscia. I dettagli del piano sono ancora ignoti, ma da quanto hanno comunicato tre fonti militari al Financial Times, esso prevedrebbe un confronto ancora più diretto con le milizie palestinesi allo scopo di segregare la popolazione civile in un’area più piccola delle attuali “zone umanitarie”, situata lungo la costa. Schiacciata la popolazione civile, le IDF si prenderebbero direttamente carico della distribuzione degli aiuti umanitari, tanto da calcolare minuziosamente la quantità di calorie necessarie per ogni palestinese. Con la popolazione rinchiusa in un’area ristretta, Israele, per mano dei ministri di estrema destra, porterebbe avanti il piano di deportazione dei palestinesi proposto da Trump.

Da quanto comunicano i funzionari ad Haaretz, il piano di Zamir lascerebbe aperta la possibilità di un accordo con Hamas per assicurare il rientro degli ostaggi, ma vista l’escalation militare, l’opzione sarebbe da escludere. Proprio questo è il motivo, sostiene Haaretz, per cui il precedente Capo di Stato Maggiore, Herzi Halevi, si era opposto a tale approccio, circostanza che fornirebbe una possibile spiegazione delle sue dimissioni. Tanto Haaretz quanto il Financial Times, inoltre, sottolineano come tale piano sia riuscito a emergere grazie al trionfo elettorale di Trump, la cui amministrazione avrebbe detto di appoggiare Israele in caso di un conflitto su larga scala. «La precedente amministrazione voleva che ponessimo fine alla guerra», ha detto un funzionario al quotidiano britannico. «Trump vuole che la vinciamo».

Per quanto il piano non sia confermato da fonti ufficiali, sono tanti gli elementi che suggeriscono che l’idea fosse sempre stata quella di occupare Gaza. Dai diversi piani di pulizia etnica a quelli di deportazione su isole artificiali, fino ad arrivare agli annunci immobiliari, l’ambizione di Israele sembra essere sempre stata l’annessione totale della Striscia. La stessa nomina di Zamir in sostituzione di Halevi confermerebbe tale ipotesi. Durante il suo discorso di insediamento, Zamir, pupillo dell’estrema destra israeliana, ha affermato a più riprese la sua intenzione di eradicare la presenza di Hamas, per «portare a termine» quella «missione» che le IDF non sono riuscite a completare a partire dal 7 ottobre: «la vittoria e la sconfitta del nemico». «Questa è la nostra missione, questo è il nostro destino», affermava il 6 marzo, in concomitanza con la crisi dei negoziati per l’implementazione della seconda fase di cessate il fuoco, richiamando passi della Bibbia in cui vengono rimarcati il diritto e il dovere del popolo di Israele a combattere.

Il fatto che l’intenzione sia quella di occupare permanentemente la Striscia non è suggerito solo da dichiarazioni passate e piani presenti, ma anche dai progetti approvati per il futuro. Ieri, martedì 25 marzo, il ministro della Difesa Israel Katz ha approvato la continuazione delle operazioni militari terrestri a Gaza; qualche giorno fa, invece, è stata approvata una proposta del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, per cui tredici insediamenti in Cisgiordania verranno scorporati dalle cosiddette “colonie madre” per compiere «un altro passo significativo nel processo di normalizzazione e regolamentazione degli insediamenti».

[di Dario Lucisano]

Camera, no alla mozione di sfiducia a Nordio

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La Camera dei Deputati ha bocciato la mozione di sfiducia al ministro della Giustizia Carlo Nordio, presentata dalle opposizioni dopo il caso Almasri. In sede di votazione, i risultati sono stati 215 no e 119 sì. Azione, il partito di Carlo Calenda, non ha seguito il resto delle opposizioni, scegliendo di non partecipare al voto. La mozione di sfiducia contro Nordio era stata presentata in seguito alla liberazione del torturatore libico e capo della polizia giudiziaria del Paese, Osama Almasri Njeem Habish. Le opposizioni, di preciso, contestavano al ministro di non essere stato trasparente nell’informativa resa al Parlamento.

La Commissione UE approva 47 progetti sulle materie prime strategiche: quattro in Italia

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La Commissione Europea ha selezionato 47 progetti strategici per rafforzare la capacità interna dell’UE nell’estrazione, trasformazione e riciclaggio di materie prime critiche, riducendo la dipendenza dai paesi terzi. L’obiettivo, stabilito dal Critical Raw Material Act, è coprire entro il 2030 almeno il 10% dell’estrazione, il 40% della trasformazione e il 25% del riciclaggio delle materie prime strategiche necessarie. I progetti, situati in 13 Stati membri (Belgio, Francia, Italia, Germania, Spagna, Estonia, Repubblica Ceca, Grecia, Svezia, Finlandia, Portogallo, Polonia e Romania), serviranno a favorire la transizione verde e digitale, oltre a sostenere le industrie della difesa e aerospaziale europee. Su dieci progetti di riciclo, quattro sono in Italia: in Veneto, Toscana, Lazio e Sardegna. Il vicepresidente Stéphane Séjourné ha definito l’iniziativa un passo storico per la sovranità industriale dell’Europa. Secondo Séjourné, «Non ci sono abbastanza miniere in Europa» ed è quindi necessario «aprirne di più»: per questo, più della metà dei progetti riguardano attività di estrazione, soprattutto nella penisola iberica, ricca di litio, rame e tungsteno. Dei 47 progetti selezionati, 24 riguardano l’attività di lavorazione, dieci di riciclaggio e due di sostituzione di materie prime.

I progetti mirano all’approvvigionamento di quasi tutte le materie prime critiche indicate dalla Commissione europea nel 2024: una particolare attenzione sarà data a litio (22 progetti), nichel (12), grafite (11), cobalto (10) e manganese (7), elementi fondamentali per la produzione di batterie, alla base della transizione energetica soprattutto nel settore automobilistico. A riguardo, la Commissione ha annunciato recentemente che, al fine di mantenere una solida base di produzione europea ed evitare dipendenze strategiche, saranno messi a disposizione 1,8 miliardi di euro per creare una catena di fornitura sicura e competitiva per le materie prime delle batterie, che contribuirà a sostenere la crescita dell’industria automobilistica europea, fortemente in ritardo sulle tecnologie chiave. I progetti su magnesio e tungsteno, invece, serviranno ad alimentare l’industria della difesa, basata sull’uso di questi materiali. Il vicepresidente della Commissione ha specificato che il litio non sarà importato dalla Cina, in quanto ha asserito che «non vogliamo sostituire la nostra dipendenza dai combustibili fossili con una dipendenza dalle materie prime. Il litio cinese non sarà il gas russo di domani».

L’UE aveva aperto un bando per la presentazione dei progetti strategici nel maggio del 2024: delle 170 candidature pervenute, di cui 49 da Paesi extra UE, quelle selezionate rispondono a tre criteri: contribuiscono alla sicurezza dell’approvvigionamento dell’Uerispettano i criteri ambientali, sociali e di governance e sono tecnicamente fattibili.  Dal punto di vista economico, per realizzare i 47 progetti selezionati, è necessario un investimento complessivo di 22,5 miliardi di euro. Secondo una fonte riportata da Eunews, l’esecutivo europeo vorrebbe che la maggior parte dei progetti si finanziasse autonomamente reperendo le risorse sui mercati, beneficiando, solo qualora risultasse necessario, di «prestiti, o partecipazioni azionarie, o garanzie sui prestiti» da parte di Bruxelles e degli Stati membri. Séjourné ha spiegato che nel 2025 due miliardi di euro sono stati messi a disposizione dalla Banca europea per gli investimenti. Rimangono escluse, in ogni caso, le sovvenzioni.

L’UE mostrerebbe così ancora una volta la sua “fede” nel libero mercato lasciando che i privati sviluppino da soli ciò di cui c’è bisogno e reperiscano autonomamente le risorse affidandosi alla speculazione finanziaria: un approccio che ha ritardato molto lo sviluppo di concreti piani industriali per attuare la transizione energetica nel Vecchio continente, soprattutto rispetto ai suoi principali competitor, tra cui la Cina. Nonostante, infatti, Séjourné abbia affermato che sulle materie prime critiche «l’Europa è in vantaggio rispetto a Cina e Stati Uniti», perché si è già dotata di una base legale e di una strategia, la Cina è avanti di almeno un decennio negli investimenti in questo settore. Basti pensare che, già a partire dal 2009, il partito comunista ha stanziato per i produttori dell’elettrico ben 231 miliardi di dollari e che tra le prime dieci aziende produttrici di batterie a livello mondiale, sei sono cinesi. Inoltre, Pechino controlla circa il 33% del litio nei progetti globali che attualmente producono il minerale o in quelli in costruzione e ha sviluppato partenariati strategici con le nazioni più ricche di minerali e terre rare, soprattutto in Africa Subsahariana e in America Latina.

Al contrario, i primi progetti concreti a livello comunitario nel settore dei minerali chiave in Europa sono stati lanciati solo negli ultimi anni ed è previsto che soddisferanno una buona parte della domanda europea non prima del 2030. Inoltre, solo a partire dalla fine del 2026, Bruxelles dovrebbe lanciare un centro comune d’acquisto sulle materie prime, per poter fare acquisti congiunti «un po’ sul modello che abbiamo usato per i vaccini ai tempi del Covid», come annunciato dal vicepresidente esecutivo dell’UE.

[di Giorgia Audiello]

AGM‑114R9X: il “missile ninja” dell’esercito USA che uccide a colpi di spada

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Il Comando centrale degli Stati Uniti (CENTCOM) ha reso pubblico, per la prima volta, un video inedito che mostra in azione il missile AGM‑114R9X, una variante del razzo Hellfire, meglio conosciuta come “Ninja Missile” o “Flying Ginsu”. A differenza delle versioni tradizionali, l’R9X abbandona la classica testata esplosiva per affidarsi esclusivamente all’energia cinetica. Questo effetto letale viene dunque amplificato da un sistema di sei lame che, dispiegandosi in volo poco prima dell’impatto, permettono di eliminare il bersaglio con una precisione “chirurgica”, riducendo su carta il rischio di vittime collaterali.

Il video, diffuso il primo marzo sui social network, documenta l’operazione condotta il 23 febbraio, durante la quale è stato eliminato Muhammed Yusuf Ziya Talay, capo dell’organizzazione terroristica Hurras al-Din, affiliata ad Al-Qaeda. Le immagini, riprese sia in modalità termica sia a colori, mostrano chiaramente come al momento dell’impatto il missile non generi l’enorme onda d’urto tipica delle munizioni convenzionali. Invece, l’azione produce un bagliore a forma di croce e una pioggia di scintille, testimonianza dell’effetto “tagliente” delle lame che si schiantano contro la lamiera del veicolo bersagliato.

Sviluppato in gran segreto dalla CIA durante l’amministrazione Obama, il missile R9X è stato sottoposto a missioni in contesti operativi di alta tensione a partire dal 2017. Pur mantenendo dimensioni simili a quelle dei suoi omologhi (circa 163 cm di lunghezza e un peso compreso tra 45 e 49 kg), l’R9X sostituisce la carica esplosiva con un sistema di lame cinetiche, focalizzandosi sulla precisione piuttosto che sull’estensione dei danni. Il missile impiega sistemi di puntamento la cui natura non è stata mai ufficializzata per “bloccare” il bersaglio in tempo reale, perseguendo un impatto mirato in scenari dove la presenza di civili e infrastrutture rende più rischioso l’uso di munizioni convenzionali.

Fin dai suoi primi utilizzi, il cosiddetto “missile ninja” ha dimostrato i suoi tratti caratteristici in missioni ad alto valore strategico. Tra i casi più eclatanti si ricordano l’operazione del 2017, in cui il sistema fu impiegato per eliminare Abu al-Khayr al‑Masri, vice leader di Al-Qaeda, e l’azione del 2022 che portò alla morte di Ayman al‑Zawahiri, leader dell’organizzazione terroristica. 

L’efficacia dimostrata del missile R9X ha suscitato un notevole interesse anche all’estero. Un esempio emblematico è rappresentato dal Governo spagnolo, il quale ha voluto investire oltre 13 milioni di euro per dotare i propri droni Predator B dei missili Hellfire, compresa la variante R9X. Tale scelta, che ha visto la preferenza per sistemi statunitensi già collaudati rispetto ad alternative europee come il Brimstone, evidenzia come la tecnologia R9X stia rapidamente diventando un punto di riferimento per le forze armate internazionali alla ricerca di soluzioni operative a basso impatto collaterale.

Nonostante la notorietà crescente del R9X tra gli “addetti ai lavori”, l’esercito statunitense ha sempre mantenuto un approccio estremamente riservato a proposito dell’arma, preferendo enfatizzare il risultato operativo – ovvero la significativa riduzione dei danni collaterali – piuttosto che discutere i dettagli tecnici. Il fatto che il R9X agisca per puro impatto fisico, senza generare un’enorme onda d’urto esplosiva, consente in effetti di operare in ambienti dove la presenza di civili e infrastrutture rende rischioso l’uso di munizioni convenzionali. Tuttavia, la natura segreta e il modus operandi di questa arma hanno sollevato interrogativi importanti in termini di trasparenza e controllo.

[di Walter Ferri]

Russia e Ucraina hanno raggiunto un accordo per una tregua sul Mar Nero

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Gli Stati Uniti hanno annunciato ieri di aver raggiunto accordi separati con Ucraina e Russia per garantire la sicurezza della navigazione nel Mar Nero e per attuare il divieto di attacchi da parte dei due Paesi ai reciproci impianti energetici. Gli accordi, se attuati, rappresenterebbero il progresso più chiaro finora verso un cessate il fuoco più ampio che Washington vede come un trampolino di lancio verso i colloqui di pace per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina, che si protrae da tre anni. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha dichiarato: «Avremo bisogno di garanzie chiare. E data la triste esperienza degli accordi solo con Kiev, le garanzie possono essere solo il risultato di un ordine di Washington a Zelensky perché rispetti l’accordo».

In merito agli accordi, la Casa Bianca ha rilasciato due annunci separati. Per quanto riguarda le negoziazioni con la Russia, Washington riferisce che è stato trovato il modo di «garantire la sicurezza della navigazione, di eliminare l’uso della forza e di impedire l’uso di navi commerciali per scopi militari nel Mar Nero». Gli Stati Uniti, inoltre, si sono impegnati a contribuire a «ripristinare l’accesso della Russia al mercato mondiale per le esportazioni di prodotti agricoli e fertilizzanti, a ridurre i costi delle assicurazioni marittime e a migliorare l’accesso ai porti e ai sistemi di pagamento per tali transazioni». Inoltre, USA e Russia hanno trovato il modo di «sviluppare misure per l’attuazione dell’accordo del presidente Trump e del presidente Putin per vietare gli attacchi contro le infrastrutture energetiche di Russia e Ucraina». Secondo una lista pubblicata sul sito del Cremlino, queste comprendono: raffinerie di petrolio, oleodotti e impianti di stoccaggio di petrolio e gas, infrastrutture per la generazione e la trasmissione di energia elettrica, centrali nucleari, dighe idroelettriche. Il Cremlino riferisce che la moratoria è valida per 30 giorni a partire dal 18 marzo e che «potrà essere prorogata di comune accordo». Il divieto di attacchi alle infrastrutture energetiche viene confermato anche nell’ambito degli accordi con l’Ucraina, oltre all’impegno a «garantire la sicurezza della navigazione, di eliminare l’uso della forza e di impedire l’uso di navi commerciali per scopi militari nel Mar Nero». Inoltre, gli USA manterranno l’impegno con Kiev di «contribuire allo scambio di prigionieri di guerra, al rilascio di detenuti civili e al ritorno dei bambini ucraini trasferiti con la forza».

Entrambe le parti, tuttavia, hanno espresso reciproca diffidenza. Dal canto suo, il ministro degli Esteri russo Lavrov, citato dalla TASS, ha dichiarato che Mosca avrà bisogno di «garanzie ben definite», le quali «possono essere solo il risultato di un ordine da Washington» nei confronti di Zelensky e del suo team. Già nel corso dei colloqui per implementare l’iniziativa del Mar Nero (concordata tra il 2022 e il 2023 tra Russia, Turchia e Ucraina per l’esportazione di milioni di tonnellate di grano ucraino e altri prodotti alimentari necessari per la sopravvivenza di altri Paesi – soprattutto quelli ricchi), Zelensky si sarebbe dimostrato inaffidabile, cambiando idea all’ultimo minuto in merito ai termini dell’accordo. Secondo il ministro Lavrov, già quegli accordi avrebbero dovuto prevedere l’abolizione delle «misure discriminatorie» contro la reintroduzione di fertilizzanti e prodotti agricoli russi nei mercati globali, ma l’allora segretario delle Nazioni Unite Guterres avrebbe «cercato scappatoie» per imporre comunque le sanzioni. Con queste premesse, per la Russia «solo Washington può ottenere risultati positivi» nel fermare gli attacchi di Kiev. Per quanto riguarda le posizioni dei leader europei, queste «contraddicono direttamente» l’amministrazione Trump, che ha detto che «sono in corso discussioni preliminari sui parametri di una soluzione finale» e che «la NATO dovrebbe essere dimenticata».

Dal canto suo, Zelensky ha riferito che il comportamento della Russia nei prossimi giorni mostrerà le sue vere intenzioni di giungere o meno a un accordo di pace. «Se ci saranno di nuovo allarmi di raid aerei, se ci sarà una rinnovata attività militare nel Mar Nero, se continueranno le manipolazioni e le minacce russe, allora dovranno essere prese nuove misure, specificamente contro Mosca» ha dichiarato.

Nel frattempo, il presidente statunitense Trump ha per la prima volta ammesso che la Russia potrebbe cercare di tirare per le lunghe il raggiungimento di un accordo di pace con l’Ucraina. «Credo che la Russia voglia vedere la fine [del conflitto, ndr], ma probabilmente stanno “trascinando i piedi”» ha dichiarato il presidente statunitense, aggiungendo poi che «la Russia vorrebbe vederla finita, come anche il presidente Zelensky a questo punto».

I colloqui tra le parti sono cominciati a Riyad, in Arabia Saudita, lo scorso lunedì 24 marzo. Le delegazioni russa e ucraina hanno discusso separatamente con l’inviato speciale USA Steve Witkoff, senza tuttavia incontrarsi mai. Nel frattempo, entrambe hanno continuato a lanciarsi accuse di reciproci attacchi con droni.

[di Valeria Casolaro]

Ungheria, migliaia in piazza contro la legge che vieta il Pride

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Ieri, nella capitale ungherese, Budapest, migliaia di persone hanno protestato contro la nuova legge che mira a vietare la marcia annuale del Pride e consente l’uso di software di riconoscimento facciale per identificare organizzatori e partecipanti. Secondo i corrispondenti dell’agenzia di stampa Reuters, circa 2.000 persone avrebbero partecipato alla protesta, organizzata dall’opposizione del Movimento Momentum. Durante le manifestazioni, i dimostranti hanno bloccato un ponte nel centro della capitale. La legge contro lo svolgimento del Pride è stata approvata lo scorso 18 marzo e sostiene che la marcia minerebbe «i diritti dei bambini a un corretto sviluppo fisico, intellettuale e morale». Gli organizzatori hanno affermato che stanno comunque pianificando di svolgere l’evento.

Per la prima volta una persona è sopravvissuta 100 giorni con un cuore artificiale

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Per la prima volta al mondo, un uomo è sopravvissuto per oltre cento giorni con un cuore artificiale in titanio prima di ricevere un trapianto. L’uomo, un quarantenne australiano affetto da grave insufficienza cardiaca, ha attirato l’attenzione di diverse agenzie di stampa internazionali e persino della rivista Nature, che ha raccontato la sua storia sottolineando le potenziali implicazioni future nel campo della medicina. L’intervento è stato effettuato al St. Vincent’s Hospital di Sydney e ha previsto l’inserimento di un dispositivo chiamato BiVACOR, che pompa il sangue nell’organismo attraverso un rotore magnetico. Il paziente, che ha preferito rimanere anonimo, ha trascorso tre mesi nei pressi dell’ospedale in attesa di un cuore compatibile e, attualmente, si sta riprendendo con successo.

«Entro il prossimo decennio vedremo il cuore artificiale diventare l’alternativa per i pazienti che non possono aspettare un donatore o quando un donatore semplicemente non è disponibile», ha commentato Chris Hayward, cardiologo specializzato in trapianti presso lo St. Vincent’s Hospital di Sydney, che ha seguito il caso.

Il paziente soffriva di una grave insufficienza cardiaca, una condizione in cui il cuore non riesce a pompare sangue in modo efficace, causando affaticamento estremo e accumulo di liquidi nei polmoni. Le opzioni terapeutiche erano limitate, e il paziente ha accettato di sottoporsi all’impianto del BiVACOR, un dispositivo progettato per sostituire temporaneamente il cuore umano fino alla disponibilità di un donatore. Si tratta di uno strumento progettato dall’ingegnere biomedico Daniel Timms che utilizza un unico rotore sospeso magneticamente per garantire un flusso sanguigno costante senza attrito meccanico, aumentando così durata ed efficienza. Del peso di circa 700 grammi, è alimentato da un’unità esterna collegata da un filo che attraversa il torace, con batterie che necessitano di sostituzione ogni quattro ore.

L’intervento che ha previsto l’inserimento di tale dispositivo è avvenuto a novembre e si è concluso con successo. L’uomo è poi rimasto sotto stretto monitoraggio in ospedale fino a febbraio, quando è stato dimesso, diventando il primo caso al mondo a vivere fuori da una struttura ospedaliera con un cuore interamente artificiale. A marzo, poi, è stato identificato un donatore compatibile e il trapianto è avvenuto con successo. Secondo quanto riportato dall’équipe medica alle agenzie di stampa, il paziente si sta riprendendo bene e questa sarebbe l’ulteriore dimostrazione che dispositivi come BiVACOR potrebbero in futuro eliminare del tutto la necessità di trapianti cardiaci. La Food and Drug Administration (FDA), infatti, ha approvato l’estensione della sperimentazione ad altri 15 individui che, secondo diversi esperti, potrebbero rappresentare un passo cruciale per la futura estensione generalizzata al pubblico. «Il loro coraggio aprirà la strada a innumerevoli altri pazienti che riceveranno questa tecnologia salvavita», ha affermato il fondatore di BiVACOR Daniel Timms.

[di Roberto Demaio]

Condannato all’ergastolo il killer di Fabrizio “Diabolik” Piscitelli

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La Corte d’Assise di Roma ha condannato all’ergastolo il cittadino argentino noto come Raul Esteban Calderon per l’omicidio del capo ultrà della Lazio Fabrizio Piscitelli, alias “Diabolik”, ucciso a sangue freddo nell’agosto del 2019 al parco degli acquedotti di Roma, in pieno giorno. Un agguato che, secondo l’impianto della Distrettuale antimafia, si sarebbe consumato nella cornice di una guerra tra gruppi criminali per la gestione delle piazze di spaccio sul territorio romano. I giudici hanno, quindi, accolto la richiesta di condanna avanzata dai pm, facendo però cadere l’aggravante del metodo mafioso. I mandanti dell’omicidio sono ancora in via di identificazione.

L’Italia è il Paese del G20 dove i salari sono diminuiti di più negli ultimi 17 anni

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Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), l’Italia è il Paese del G20 dove i salari reali sono diminuiti di più negli ultimi 17 anni. Dal 2008 a oggi, i salari reali in Italia sono calati dell’8,7%, con un divario di genere del 9,7%, tra i più elevati in tutta l’UE. Anche il divario tra lavoratori dipendenti migranti e nazionali è tra i peggiori d’Europa, con i migranti che guadagnano in media il 26,3% in meno rispetto ai colleghi italiani. Malgrado la ripresa del valore dei salari reali registrata l’anno scorso, quello che il governo ha presentato come un grande trionfo risulta, secondo i dati dell’OIL, solo una magra consolazione: nel 2024, infatti, i salari reali italiani sono aumentati del 2,4%, ma non sono riusciti a compensare il calo del 3,2% e del 3,3% dei due anni precedenti.

Il Rapporto mondiale sui salari viene pubblicato con cadenza biennale dall’OIL. L’edizione 2024-2025 del rapporto analizza le tendenze salariali a livello globale, regionale e nazionale. Esso è diviso in tre parti: la prima riporta i dati sugli andamenti salariali negli anni 2023 e 2024; la seconda esamina la situazione delle disuguaglianze salariali e l’evoluzione di queste a partire dall’inizio del nuovo millennio; la terza propone politiche per ridurre le disuguaglianze. Secondo l’OIL, «la recente crisi del costo della vita ha avuto un impatto negativo su tutti i Paesi a economia avanzata del G20, con un effetto particolarmente severo in Italia negli anni 2022 e 2023». Il rapporto conduce uno studio sull’andamento dell’inflazione nel mondo e sottolinea come l’Italia abbia registrato la stessa tendenza degli altri Paesi dell’UE e ad alto reddito: l’inflazione in Italia ha toccato il picco dell’8,7% nel 2022, ed è poi continuata a crescere nel 2023 e nel 2024. Malgrado ciò, i salari reali hanno ripreso a crescere solo nel 2024, e comunque sono aumentati meno di quanto siano diminuiti negli anni precedenti.

Nonostante la ripresa economica, la riduzione dei prezzi e l’aumento dei salari reali, i cittadini italiani continuano a fare fatica. In Italia, infatti, la maggior parte del reddito viene spesa in beni e servizi di prima necessità, come alimenti, alloggi e bollette. Inoltre, i costi di cibo e utenze, sottolinea il rapporto, sono aumentati più dell’indice generale dei prezzi, mentre quelli relativi all’alloggio risultano tra i più alti nell’UE. In Italia, spiega il rapporto, visto lo squilibrio tra l’indice dei beni e servizi primari e l’indice generale, l’aumento del salario reale del 2024 non è riuscito a coprire la perdita di potere d’acquisto. In generale, scrive l’OIL, «le misure di adeguamento salariale degli ultimi due anni non sono state sufficienti a compensare l’aumento del costo della vita».

Nella seconda parte, il rapporto rivela come, con meno dell’1% dei lavoratori dipendenti classificati come percettori di bassi salari, l’Italia risulti uno dei Paesi con il minore tasso di disuguaglianza salariale generale. Tuttavia, queste differenze si fanno sentire quando si tratta di disuguaglianza di genere e nazionalità. L’Italia, inoltre, registra una «disuguaglianza salariale maggiore nei segmenti intermedi e alti della distribuzione salariale»: insomma, la disuguaglianza salariale in Italia risulta più marcata nella fascia alta e intermedia della distribuzione, e più si scende con i salari, più la differenza si riduce.

[di Dario Lucisano]

Denuncia gli abusi della polizia di Cosenza: giornalista fermato e pestato dagli agenti

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Il giornalista Gabriele Carchidi, direttore del portale Iacchitè, nel pomeriggio di sabato scorso è stato fermato e brutalmente bloccato dalla polizia a Cosenza. Un video riprende la violenta aggressione: gli agenti lo strattonano, lo gettano a terra e lo immobilizzano con le ginocchia su gambe e schiena, per poi ammanettarlo. «Ho avuto paura, troppa gente è morta così», ha dichiarato il giornalista ripercorrendo l’accaduto. Fermato per un controllo documenti, Carchidi ritiene che l’episodio sia legato alle sue inchieste sugli abusi della polizia locale. Portato in Questura, è stato fotosegnalato e denunciato per resistenza. Una volta arrivato a destinazione, uno degli agenti, a detta del giornalista, si sarebbe fatto scappare le parole: «Tu sei un diffamatore». Carchidi ha sporto formale denuncia contro i poliziotti coinvolti nel’episodio.

Il giornalista, che sabato si stava recando al campo scuola del CONI per fare jogging, è stato fermato da una pattuglia e invitato a esibire i documenti. Alla richiesta di spiegazioni, gli agenti avrebbero evitato di rispondere, insistendo sulla necessità dell’identificazione. A fronte del suo rifiuto, la situazione è degenerata: «Mi hanno messo subito le mani addosso e spinto contro l’auto di servizio, mentre un’altra agente chiamava rinforzi: io non mi sono opposto», racconta a L’Indipendente Carchidi. Nell’arco di pochi secondi, un’altra volante è sopraggiunta a sirene spiegate e il giornalista è stato atterrato e ammanettato. Il video, ripreso da un testimone, mostra tre agenti impegnati a immobilizzare Carchidi, con uno di loro che gli preme un ginocchio sulla schiena. Dopo essere stato caricato in auto, è stato condotto in Questura, dove è stato sottoposto a fotosegnalamento, perquisito e denunciato per resistenza a pubblico ufficiale. «Un agente mi ha apostrofato come “diffamatore”, chiaro segnale che sapevano benissimo chi io fossi e che probabilmente questo fermo non è stato affatto casuale», afferma Carchidi, noto per le sue inchieste su presunti illeciti compiuti dai membri della polizia locale e sulle spaccature interne alla Questura.

Il giornalista ha parlato dell’accaduto come di un abuso di potere da parte della polizia, provvedendo nella giornata di ieri a sporgere formale denuncia nella caserma dei carabinieri “Paolo Grippo” di Cosenza contro quattro agenti di polizia. «Insieme all’avvocato Nicola Mondelli, in particolare, abbiamo chiesto ai carabinieri di verificare il contenuto delle immagini delle telecamere di sorveglianza ubicate in piazza Donato ‘Denis’ Bergamini», ha scritto sul suo blog Carchidi, il quale ha aggiunto che guardando le immagini, «ognuno potrà capire che io non ho mai messo le mani addosso a nessuno dei quattro agenti invasati e dunque non ho mai commesso il reato di resistenza a pubblico ufficiale».

Dal canto suo, la Questura di Cosenza ha difeso l’operato degli agenti, sostenendo che il giornalista abbia assunto «un atteggiamento ostile e rifiutato di declinare le proprie generalità», rendendo necessaria «l’applicazione delle standardizzate procedure di contenimento». In realtà, ha fatto notare Carchidi, secondo la Corte di Cassazione «la condotta di divincolarsi per sottrarsi ad un controllo delle Forze dell’Ordine, senza l’utilizzo della violenza direttamente contro il Pubblico Ufficiale, non integra il reato di resistenza previsto dall’art. 337 cp (Cass. n. 6604/2022)». A ogni modo, a supporto dell’operato degli agenti è intervenuto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ha dichiarato: «C’è stato un comunicato stampa fatto dalla Questura che ha dato spiegazione e giustificazione, nel rispetto di quelli che sono i protocolli in relazione alle circostanze in cui si verificano certi episodi». Alla domanda se nel caso specifico vi sia stata una sproporzione in merito all’uso della forza, il ministro ha detto di non avere «motivo di ritenere che ci sia qualcosa di diverso» dalla versione data dalla Questura.

[di Stefano Baudino]