Il mondo delle fibre tessili non accenna a rallentare la sua corsa. Stando ai dati dell’ultimo report di Textile Exchange (Settembre 2025), la produzione globale di fibre è aumentata da circa 125 milioni di tonnellate nel 2023 fino a toccare un record di 132 milioni di tonnellate nel 2024 (negli anni 2000 era intorno ai 58 milioni di tonnellate) e con previsioni future che potrebbero raggiungere i 169 milioni di tonnellate nel 2030 se le produzioni seguiranno allo stesso ritmo. Ingenti quantità che si vanno ad inserire in un quadro produttivo vertiginoso, dove tutto quel che si produce non viene smaltito, trasformandosi in pericolosi rifiuti tessili.
A guidare la classifica delle fibre più prodotte è ancora il poliestere e, più in generale, tutti i materiali sintetici a base fossile, vergine. La produzione di fibre riciclate, infatti, è ancora a livelli minimi (7,6%) e gira sempre intorno al poliestere riciclato ricavato da bottiglie di plastica (quindi non da fibra a fibra, ma da altro materiale).
Aumenti produttivi ai quali corrispondono aumenti delle emissioni di gas serra (del 20% negli ultimi cinque anni) associate alla produzione totale di materie prime per l’industria dell’abbigliamento, dei tessuti per la casa e delle calzature. Il che fa allontanare tutto il settore dall’Accordo di Parigi: contenere le emissioni per mantenere il riscaldamento globale entro un limite di 1,5 °C, con questa dipendenza da materiali sintetici a base fossile, è quasi impossibile.
Un dato positivo che emerge dal report riguarda il numero di aziende impegnate in materia di sostenibilità, che ha raggiunto un livello di partecipazione record, dimostrando un discreto slancio verso la responsabilità collettiva.
Le fibre tessili prodotte globalmente sono tante e di varia natura, che rispondono alle richieste del mercato per i più svariati usi (moda sì, ma anche arredamento, calzature, automobili, ecc). Da un rapido sguardo alla situazione attuale, risultano ancora in testa alla classifica le fibre sintetiche. Il cotone rimane la seconda fibra più prodotta dopo il poliestere, nonostante abbia registrato una piccola flessione nell’ultimo anno, passando da 24,8 milioni di tonnellate nel 2022/23 a 24,5 milioni di tonnellate nel 2023/24. La produzione di fibre cellulosiche artificiali, tra cui viscosa (rayon), lyocell, modal, acetato e cupro, è aumentata da 7,9 milioni di tonnellate nel 2023 a 8,4 milioni di tonnellate nel 2024. La produzione globale di lana di pecora si è attestata a circa 1 milione di tonnellate di fibra di lana pulita nel 2024, con la lana che rappresenta lo 0,9% del mercato globale delle fibre (una percentuale irrisoria che si può facilmente constatare dalle etichette dei maglioni, dove incontrare un capo 100% lana è diventata una caccia al tesoro)! Altre fibre, dalla canapa all’elastan, stanno iniziando a guadagnare sostegno nel settore, rimanendo però ancora una percentuale marginale nella produzione globale.
Il sintetico comanda, non certo per le sue incredibili qualità o prestazioni, ma sempre per quell’aspetto di convenienza che permette di mantenere costi bassi e margini che aumentano, mentre il mondo si continua a riempire di plastica dalle fogge più svariate.
Il Materials Market Reportmette anche in evidenza lo stato attuale delle fibre riciclate, che presenta luci e ombre: se da una parte la domanda e le iniziative stanno crescendo, dall’altra la quota effettivamente riciclata resta una frazione ridotta rispetto al totale delle fibre tessili prodotte. La quota di tessili riciclati globali (tutte le fibre) rimane intorno all’8% del totale, leggermente diminuita rispetto al passato a causa del calo del poliestere riciclato. Poliestere che, ad oggi, deriva dal riciclo di bottiglie in PET, mentre il riciclo vero e proprio da “tessile a tessile” resta ancora marginale e rappresenta meno dell’1% del mercato.
Nonostante ciò, sono circa 116 aziende hanno aderito alla 2025 Recycled Polyester Challenge, impegnandosi a utilizzare dal 45% fino al 100% di poliestere riciclato per i loro prodotti. Il 58% dei firmatari ha già raggiunto l’obiettivo di rimpiazzare completamente il poliestere vergine fossile con quello riciclato, ma solo il 26% delle aziende partecipanti ha effettivamente raggiunto già nel 2025 il proprio target di poliestere riciclato. Anche per quanto riguarda le altre fibre le percentuali del riciclato sono ancora molto basse. Questo rallentamento in parte è dovuto ai costi alti per la selezione e la lavorazione dei rifiuti tessili, in parte alla mancanza di infrastrutture impediscono una crescita più rapida del riciclo da tessile a tessile.
Una fotografia controversa, che se da una parte fa ben sperare nell’impegno delle aziende e nello sviluppo di nuove tecnologie, dall’altra mostra che la strada più facile è ancora quella più percorsa e che se non si rallenta la corsa, presto saremo seppelliti dalle stesse fibre di cui ci vestiamo quotidianamente.
Dall’inizio della tregua, almeno 97 civili palestinesi sono stati uccisi e oltre 230 feriti dal fuoco israeliano, secondo quanto riferito dal governo di Hamas, che accusa Israele di 80 violazioni documentate, tra bombardamenti, sparatorie e arresti di civili. Tuttavia, a livello internazionale cresce la pressione su Hamas, accusata di usare la tregua per riorganizzarsi militarmente e ostacolare gli sforzi diplomatici per una pace duratura. Intanto, nelle prossime ore il vice presidente JD Vance e gli inviati Steve Witkoff e Jared Kushner si recheranno in Israele per incontrare il premier Benjamin Netanyahu.
Vi sono componenti degli organi di amministrazione, responsabili tecnici e direttori di cantiere tra i 12 indagati a vario titolo per i reati di inquinamento ambientale e omessa bonifica nell’ambito dei lavori di realizzazione della Superstrada Pedemontana Veneta. Le notifiche di conclusione delle indagini sono state inviate dalla procura di Vicenza, che da mesi indagava sulla presenza di sostanze tossiche nelle acque di scolo dell’infrastruttura, la quale avrebbe comportato la contaminazione dell’ecosistema e delle fonti idriche potabili di Vicenza e Padova. Secondo le ipotesi, gli indagati non avrebbero rispettato le prescrizioni tecniche relative alla composizione del calcestruzzo, impiegando un accelerante contenente PFBA, una tipologia di PFAS – sostanze chimiche “eterne” che, accumulandosi nell’ambiente e negli organismi umani, provocano gravi danni alla salute.
La contaminazione sarebbe avvenuta in un periodo compreso tra il 28 giugno 2021 e il 23 gennaio 2024 nei territori di Castelgomberto, Malo e Montecchio Maggiore (tutti in provincia di Vicenza), come riporta una nota dell’Arma dei carabinieri. Gli indagati avrebbero «omesso di rispettare le prescrizioni tecniche relative alla composizione di calcestruzzo proiettato utilizzato per varie opere in sotterraneo, impiegando un additivo accelerante denomiato “Mapequick AF1000” contenente acido perfluorobutanoico (PFBA) in concentrazioni superiori ai valori di soglia indicati dal parere dell’Istituto Superiore di Sanità n.24565/2015». In questo modo, si sarebbe determinata «una contaminazione significativa delle acque superficiali e sotterranee insistenti nelle aree interessate dai lavori». Contro gli indagati sono state anche formulate le accuse di omessa bonifica e mancato ripristino dei luoghi, «nonostante la piena coscienza dell’avvenuto inquinamento».
I fatti avevano cominciato a venire alla luce a seguito di un esposto del Comitato Veneto Pedemontana Alternativa (Covepa), il quale nel 2023 aveva sollecitato il ministero dell’Ambiente a indagare sugli scarichi di acque di drenaggio provenienti dalle gallerie della superstrada. A seguito di mesi di approfondimenti, il ministero aveva chiesto un’indagine tecnico-scientifica, la quale aveva confermato la presenza di PFBA nelle acque delle falde. Una relazione dell’ISPRA aveva riportato che «le acque di drenaggio in uscita dalle gallerie di Malo e di Sant’Urbano rappresentano delle fonti, tuttora attive, di inquinamento da PFBA delle acque superficiali e sotterranee e, inoltre, il PFBA è individuabile come fattore di potenziale danno ambientale alle acque superficiali, in quanto suscettibile di incidere sullo stato ecologico delle stesse, nonché sullo stato di qualità delle acque sotterranee destinate ad uso potabile».
Lo scorso 8 ottobre, Andrea Zanoni, consigliere regionale, aveva presentato una interrogazione alla Giunta Regionale, dopo aver visionato dati di un tavolo tecnico risalente al 17 giugno di quest’anno nei quali emerge come 3 milioni di metri cubi di terre da scavo contaminate da PFBA siano state depositate in 20 siti, in particolare nelle acque di “ruscellamento”, con concentrazioni dell’inquinante fino a 2000 ng/litro. Si tratta di valori «spaventosi», sostiene Zanoni, che confermano che «l’opera è stata realizzata senza il rispetto per l’ambiente e la salute pubblica, come dimostrano i valori già rilevati a Castelgomberto, dove sono stati trovati PFAS in concentrazioni elevatissime, pari a 263.000 ng/litro». Nell’interrogazione viene sottolineato come 7 dei 31 pozzi idropotabili di Caldogno siano stati chiusi.
Negli ultimi anni, il Veneto è stato interessato anche da un’altra vicenda giudiziaria legata all’inquinamento da PFAS, che amplifica l’allarme per l’attuale contaminazione. Nel 2013 è stata infatti scoperta la contaminazione di una vasta falda acquifera che ha coinvolto circa 350 mila cittadini nelle province di Vicenza, Verona e Padova. Tra il 2015 e il 2016, rilevazioni a campione hanno evidenziato la presenza di elevate concentrazioni di PFAS nel sangue dei residenti, fino a che non è stato dichiarato lo stato di emergenza, nel 2018, insieme all’istituzione di una zona rossa che ha interessato 30 Comuni, con divieto di utilizzo dell’acqua potabile. Per quei fatti, nel processo di primo grado contro i dirigenti della Miteni di Trissino, sono state emesse condanne fino a 17 anni contro 11 imputati.
La Pedemontana Veneta, oltre che una bomba a orologeria per la salute dell’ambiente e dei residenti, si è rivelata anche un’opera dai costi esorbitanti per i cittadini veneti. In soli nove mesi, nelle casse della Regione Veneto si è generato un buco da 47 milioni di euro, per via del canone annuo (destinato a salire fino a superare i 332 milioni di euro nel 2059) che la Regione deve versare alla società costruttrice SIS. Per questo motivo, l’opera è da tempo finita nel mirino della Corte dei Conti, che ha inoltre raccomandato l’applicazione di sanzioni per i ritardi nel terminare i lavori (il termine fissato era il 2020, ma l’ultima tratta è stata aperta solamente nel 2023, mentre l’interconnessione con l’A4 è stata conclusa solamente nel 2024). Vi sono inoltre 20 milioni di euro che la Regione ha versato al concessionario anche se non dovuti, nonché il nodo della possibile riclassificazione della superstrada, che consentirebbe di aumentare il limite di velocità da 110 a 130 km/h, equiparandolo a quello delle autostrade.
Un autista è morto lungo la superstrada Rieti-Terni, nei pressi di Contigliano, dopo l’assalto al pullman che trasportava i tifosi del Pistoia Basket. Il mezzo stava lasciando la città al termine della partita di Serie A2 contro la Sebastiani Rieti, vinta dai toscani nel pomeriggio. Secondo le prime ricostruzioni, l’uomo sarebbe stato colpito da una pietra lanciata contro il parabrezza da alcuni tifosi della squadra reatina durante l’aggressione.
Nel corso della Climate Week a New York, il governo del Suriname ha fatto un annuncio di portata storica: verrà protetto permanentemente il 90% delle foreste tropicali del Paese, pari a oltre 25 milioni di acri (circa 15 milioni di ettari). Il Paese, incastonato tra Guyana e Brasile, che già vanta una copertura forestale intorno al 93% del territorio nazionale, si pone così come un modello di conservazione nella regione amazzonica. Le sue foreste ospitano una biodiversità straordinaria: secondo le stime, 100 specie di anfibi come la colorata rana okopipi, mammiferi iconici come giaguari, tapir...
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Nel corso di un’irruzione nella capitale yemenita, Sanaa, i guerriglieri del gruppo Houthi hanno preso in ostaggio venti collaboratori della Nazioni Unite – di cui cinque locali e quindici internazionali – all’interno degli edifici dell’organizzazione. Le autorità ONU lanciano l’allarme urgente per la situazione. “Cinque membri dello staff nazionale e 15 membri dello staff internazionale sono trattenuti negli edifici dell’ONU”, ha dichiarato all’Afp Jean Alam, portavoce del coordinatore residente delle Nazioni Unite in Yemen. Questo episodio si inserisce nel contesto di una guerra civile, che dal 2014 ha trasformato lo Yemen in una delle crisi umanitarie più gravi al mondo.
Due migranti sono morti e altri 14 sono in gravi condizioni dopo lo sbarco avvenuto sul molo Favarolo dell’isola. I 14 erano a bordo di un barcone intercettato a circa 16 miglia da Lampedusa, all’arrivo sono stati identificati tra i soccorsi anche una donna e cinque minorenni. L’imbarcazione – segnalata da un elicottero – trasportava 85 persone ed è stata soccorsa da motovedette della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera. L’ipotesi è che l’inalazione di idrocarburi nel sottocoperta abbia provocato il decesso dei due migranti e le condizioni critiche degli altri. Per trasferire i feriti, sono stati mobilitati tre elicotteri, uno già operativo sull’isola e altri due in arrivo da Palermo e Pantelleria.
Una doppia scia di sangue lunga oltre trenta metri, vergata con violenza sulla neve candida: proprio come la frustata di un aereo che sfreccia a folle velocità sopra le case e gli alberi, facendo tremare la terra, nel cuore di una valle che era un presepe vivente e in un battito di ciglia è diventata un cimitero ai piedi delle montagne. La cabina di una funivia piena di sciatori che precipita nel vuoto da 108 metri, scivolata via da un cavo di acciaio reciso come per un colpo di forbici. In sette secondi, un tempo brevissimo ma dilatato all’infinito dal terrore e dalle grida disperate, si sfracella al suolo insieme a venti persone. Una catasta di lamiere gialle, il colore della cabina, sci, scarponi, giacche a vento, pezzi di vita schizzati ovunque e cadaveri aggrovigliati buttati alla rinfusa e senza pietà dallo schianto, diversi mutilati e irriconoscibili. Il colpo di forbici che ha tranciato la fune traente della funivia, l’alfa e l’omega della strage del Cermis, è opera di un Grumman Prowler EA-6B dell’Aeronautica militare statunitense, precisamente del corpo dei marines.
La maledizione della montagna
Grumman EA-6B Prowler del Corpo dei Marines
Un aereo da guerra che, sfrecciando con manovre spericolate e tra le risate dei piloti a bordo, ha falciato una funivia e con essa la vita di chi aveva appena finito una festosa giornata sugli sci. Il 3 febbraio 1998 la Val di Fiemme, sotto alla catena del Lagorai, ha vissuto quella che ai più è parsa una maledizione. Ventidue anni prima, il 9 marzo 1976, la funivia era infatti diventata la tomba di 41 persone (una sola sopravvissuta, Alessandra Piovesana, 14 anni), precipitate in caduta libera per l’accavallamento delle funi. Ma non c’è stata nessuna fatalità, la seconda volta. La seconda volta, la tragedia è stata attribuita alla bravata di un top gun americano, un pilota esaltato da un gioco folle insieme ai suoi colleghi, fino a quando non è venuta a galla una verità molto peggiore, molto più inconfessabile: quei voli scriteriati, quelle acrobazie senza rete dei jet americani che terrorizzavano la popolazione della valle, andavano avanti da anni nel silenzio di tutti, e il lugubre resoconto del disastro è stato la cronaca di un disastro annunciato.
Aviano, Texas
A riavvolgere il nastro di questa storia, si trova il capitano Richard Ashby che, come i suoi colleghi, è di stanza nella base di Aviano, una cittadella a stelle e strisce ai piedi delle Prealpi Carniche. L’aeroporto Pagliano e Gori, come è intitolato, è una base aerea italiana utilizzata dall’USAF, Aeronautica militare statunitense. Fu concepita, ai tempi della Guerra fredda, come un avamposto americano sui Balcani, una specie di portaerei pronta a far decollare i suoi aerei verso est. Attualmente, è una delle 111 basi militari statunitensi nel territorio del Belpaese. Ad Aviano, oltre ai cacciabombardieri F15 e altre tipologie di aerei, c’è – ormai è assodato, così come a Ghedi nel bresciano – una bella scorta di testate nucleari americane. Ci sono, tutt’oggi, anche le lamentele furibonde della popolazione locale, che non ne può più da tempo del frastuono e delle vibrazioni dei jet che sfrecciano indisturbati giorno e notte: ma come le proteste della Val di Fiemme, anche quelle dei friulani sembrano cadere perennemente nel vuoto, come un prezzo che ancora dobbiamo pagare ai nostri liberatori per un debito senza fine. Aviano è stata descritta, nel corso del tempo, come una grossa enclave yankee nel cuore del Nord-est, con più di cinquemila americani, le auto, i negozi, un panorama che ricorda più una cittadina del Texas che un tranquillo paese nella pianura veneto-friulana, compresa la lotta nel fango delle soldatesse della base, riferita da alcune cronache colorite.
“Sotto alle Alpi ci sono le palme”
Prima pagina de La Stampa del 4 febbraio 1988
Nel 1998, Aviano era il trampolino della NATO e delle forze USA per controllare i cieli della Bosnia, dopo che gli accordi di Dayton hanno lasciato spazio all’operazione Deliberate Guard, una sorta di pattugliamento aereo per garantire stabilità e sicurezza in quelle regioni dilaniate dalla guerra nei Balcani. L’anno successivo, tuttavia, dopo le recrudescenze e la spirale di tensioni, dalla stessa base di Aviano decollavano i bombardieri diretti a martellare Belgrado e la Serbia, nell’ambito dell’operazione Allied Force, nella quale il disinvolto utilizzo di bombe all’uranio impoverito ha causato malattie e morte anche tra diversi soldati del contingente italiano che ha utilizzato quei micidiali ordigni a sua insaputa. La necessità di addestrarsi ai voli in terra slava, da parte dei piloti americani di Aviano, li spingeva in quel periodo a utilizzare il cielo delle Dolomiti come una palestra naturale, sfruttando la conformazione orogeografica del territorio. Ma, molto spesso, in modo sconsiderato e pericoloso per la popolazione. I voli radenti, o a bassa quota, erano una consuetudine e un vizio dei piloti statunitensi, al punto che nella base avevano coniato il detto “sotto alle Alpi, ci sono le palme”. Evidente il significato: per i top gun del 31 Fighter Wing, la Val di Fiemme era come il deserto del Nevada: non c’era proprio nulla di cui curarsi, sotto alle ali dei loro jet. Nessuna considerazione né rispetto per la popolazione, i centri abitati e, soprattutto, la vita delle persone.
Un top gun con la valigia in mano
Quel maledetto giorno di febbraio 1998, il capitano Ashby, pilota del Prowler, era al suo ultimo volo prima di tornare negli Stati Uniti, dove si era guadagnato l’ingresso nella scuola di addestramento dei caccia bombardieri F18 per le sue eccelse qualità alla cloche. Al suo fianco, il navigatore Joseph Schweitzer – che per una strana coincidenza aveva un cognome praticamente uguale a quello di Carlo Schweizer, il manovratore della cabina della funivia precipitata nel 1976 e unico colpevole del disastro, condannato per aver disattivato i sistemi di sicurezza al fine di velocizzare l’impianto. William Raney e Chandler, Electronic Warfare Officers, completavano l’equipaggio dell’aereo che era considerato il migliore al mondo nella guerra elettronica, sia per accecare i radar e le difese aeree. Caratteristica del Prowler la copertura in oro della cabina, per proteggere dalle radiazioni emesse e ricevute.
Un proiettile sopra le case
Il volo è in programma alle 13.30, ma il Prowler decolla da Aviano solo alle 14.36. Il motivo del ritardo racconta molto di questa storia cupa: proprio Ashby, al momento di accendere i motori, si ricorda di aver dimenticato il nastro per la telecamera VHS con cui ha intenzione di riprendere il volo, così scende dall’aereo per andare a recuperarla, poi monta la telecamera. Un’abitudine, tra i piloti, o forse un vizio, quello di registrare acrobazie e piroette, imprese da condividere con i colleghi davanti a una birra. Un barilotto di birra pare infatti fosse il premio più in voga nelle scommesse tra i piloti di Aviano per chi compiva l’impresa più ardita e sfacciata. E la più ardita e sfacciata di tutte, la sfida delle sfide, era proprio quella di passare a velocità supersonica sotto ai cavi della funivia, in una sfida di abilità che metteva a rischio la vita delle persone.
I resti della cabina dopo l’impatto.
Al Prowler viene assegnata la rotta Easy 10, una delle dieci disponibili per i voli di addestramento a bassa quota, che sarebbe una specie di cerchio intorno alle Dolomiti: da Aviano a Cortina d’Ampezzo, poi scendendo verso Ponte di Legno, Casalmaggiore e risalendo verso Riva del Garda, Marmolada e ritorno in Friuli. Ma quando arriva sopra alla Val di Fiemme, Ashby cala vistosamente la quota di volo e la inforca come un rettilineo, al termine del quale c’è la funivia, il “giocattolo” dei top gun di Aviano. Passato il lago di Stramentizzo, il Prowler si abbassa al punto da sorvolare i campanili e le case, già sotto la quota di volo. Non c’è contatto radio, non è previsto dal tipo di volo, ma quando sorvola Molina di Fiemme, il Prowler è già fuori rotta di oltre otto miglia, inspiegabilmente e forsennatamente. Gli americani, dopo, negheranno che lo fosse. Un proiettile lanciato a filo di terra nel cielo del Trentino: viaggia a mille chilometri all’ora e molto sotto la quota di 1000 piedi, ossia 300 metri, fissata proprio dal piano di volo. Per capirci: molto sotto all’altezza minima e molto oltre la velocità massima consentita. Poco dopo una voce dentro l’abitacolo dice “bersaglio in vista” e tutto succede in un baleno. Ashby ha portato il Prowler verso i tiranti della funivia per passarci sotto, nel suo gioco irresponsabile, ma a quella velocità non può vedere la cabina della funivia che sta scendendo e si abbassa verso destra. Il pilota tira bruscamente la cloche per effettuare una brusca e disperata virata a sinistra, ma non può evitare il devastante impatto: l’ala destra del Prowler colpisce il cavo portante della funivia, col timone di coda sbatte contro quello trainante, col jet ormai radente al suolo. Marino Costa, il manovratore dell’altra cabina che saliva vuota e che viene bloccata dal frantumarsi dell’impianto, rimane appeso nel vuoto finché i vigili del fuoco non riescono a tirarlo giù.
Nascondere le prove
Sono le 15.12: dal Prowler arriva ad Aviano una richiesta di atterraggio di emergenza che si verifica alle 15.35. La cabina non aveva toccato terra, sfracellandosi, che l’aereo era già lontano oltre un chilometro e volava via come se non fosse successo nulla. Arriva alla base friulana gravemente danneggiato, un pezzo di coda viene poi ritrovato nei pressi dell’abitato di Masi. Iniziano subito le operazioni di insabbiamento: Ashby fa sparire il nastro VHS con la registrazione del volo e fa sparire anche la scatola nera, peccato che per farlo non spenga il circuito elettrico, quindi tutti i dati sono cancellati per sempre. Per i carabinieri prontamente inviati agli hangar di Aviano, però, non è difficile capire che il responsabile della tragedia è quel Prowler che fanno appena in tempo a fotografare, prima di essere allontanati dai marines con le armi spianate: la base è italiana e gli americani sono teoricamente ospiti, ma gli uomini dell’Arma devono cedere e allontanarsi. Quando i magistrati italiani nei giorni successivi arrivano ad Aviano AB scendendo da un elicottero, forse per dare il senso della gravità dei fatti, trovano il Prowler già pronto per essere smontato, e con resti della fune di acciaio che teneva la cabina nell’ala e nell’impennaggio di coda, oltre a tracce della canapa con cui erano rivestiti i cavi. Le prove schiaccianti del delitto.
Il “club dei mille”
Nei giorni del dolore e della rabbia che seguono emerge il quadro inquietante di top gun che per abitudine e per gioco sfidano il pericolo e mettono a repentaglio l’incolumità dei civili. Si viene a sapere che ad Aviano c’è il “club dei mille”, ossia un’allegra combriccola di piloti che si vanta di passare a mille chilometri all’ora sotto ai cavi delle funivie. Va precisato che per le regole in vigore in Italia, la quota minima per questi jet è di 2000 piedi, ossia 600 metri circa, e 450 nodi (830 km/h). Nel momento dell’impatto contro la funivia del Cermis, l’aereo americano viaggiava a meno di 100 piedi (alcuni testimoni lo hanno visto sfrecciare a 70 metri) e 540 nodi, ossia 1000 chilometri all’ora. Ci sarebbe stato, peraltro, un accordo tra le autorità italiane e quelle americane che escludeva i voli di addestramento a bassa quota per le truppe impegnate in Italia nell’operazione Deliberate Guard: proprio come il Prowler pilotato da Ashby. Il divieto era previsto dalla nota SMA 175 del 21 aprile 1997 (citata anche dalla relazione della Commissione di inchiesta incaricata di indagare sul disastro).
“Qui la gente ha paura”
Il presidente della Provincia di Trento, Carlo Andreotti, aveva scritto al governo per chiedere un divieto di sorvolo dei centri abitati La lettera è del 22 agosto 1996, due anni prima della strage. Beniamino Andreatta, allora Ministro della Difesa, gli ha risposto dopo quattro mesi dicendo in sostanza che i voli a bassa quota sono indispensabili per l’addestramento e che è sostanzialmente colpa dell’eccessiva antropizzazione del territorio montano italiano, troppo popolato per non creare disagi.
La tragedia che ha spazzato via la vita di cittadini tedeschi, belgi, polacchi (la vittima più giovane è il 14enne Philip Strzelczyk), austriaci e un olandese, oltre a tre italiani, scoperchia una lunga serie di denunce e richieste di intervento non ascoltate. Da una decina di anni gli abitanti della Val di Fiemme denunciavano i passaggi di quei jet, troppi e troppo bassi. Qualcuno ha anche segnalato la caduta di pietre dalla catena del Latemar, perché gli aerei sfrecciano così forte e così vicini da far tremare le montagne. Si contano 73 tra denunce e segnalazioni e diversi cittadini hanno scritto al 3° Stormo dell’Aeronautica di Verona per lamentarsi. La risposta è salomonica: «Ha il numero di serie dell’aereo?», ossia il numero di targa di un apparecchio che vola a quasi trecento metri al secondo. Senza mezzi termini, dicono «qui la gente ha paura». Le acrobazie funamboliche e i passaggi sotto ai cavi della funivia erano noti a tutti, da anni, tanto che il presidente della Provincia di Trento, Carlo Andreotti, aveva scritto al governo per chiedere un divieto di sorvolo dei centri abitati (allora al capo del governo vi era Romano Prodi, alla Difesa Beniamino Andreatta e ai Trasporti Carlo Burlando). La lettera è del 22 agosto 1996, due anni prima della strage. Andreatta gli ha risposto dopo quattro mesi dicendo in sostanza che i voli a bassa quota sono indispensabili per l’addestramento e che è sostanzialmente colpa dell’eccessiva antropizzazione del territorio montano italiano, troppo popolato per non creare disagi. Vietare i voli è fuori discussione, scrive il ministro. Al massimo l’Aeronautica si può impegnare per disturbare meno possibile.
Colpo di spugna e giurisdizione americana
Fatto sta che per guasti, avarie e atterraggi sbagliati, tra gennaio 1990 e giugno 1994 in Italia ci sono stati 26 incidenti per voli militari. Dal 1919, su 135 incidenti aerei verificatisi in Italia, 42 sono imputabili a velivoli militari: uno ogni 2 anni. Nei tre mesi precedenti la strage del Cermis (che qualcuno ha ribattezzato la strage dei top gun), si sono contati 499 voli a bassa quota, 84 dei quali in Trentino. Lo stesso Prowler pilotato da Ashby ha effettuato 11 voli radenti in sei mesi, prima dello schianto contro la funivia. Per il caso, come si era intuito dalle prime fasi, è in arrivo un gigantesco colpo di spugna. Non senza motivo, a caldo dopo la tragedia, il generale Wesley Clark, all’epoca comandante in capo delle forze USA in Europa, dichiarò che il volo del Prowler «era una missione nazionale statunitense». Il motivo è semplice: Clark aveva messo le mani avanti, invocando l’applicazione della Convenzione di Londra del 1951, ratificata dall’Italia nel 1955 (legge 1335, articolo 7). La quale prevede per i militari NATO «l’esenzione dalla giurisdizione dello Stato territoriale per reati realizzati nello svolgimento di mansioni ufficiali». In poche parole, il capitano Ashby e il navigatore Schweitzer (gli altri due membri dell’equipaggio furono subito prosciolti) avevano diritto di essere processati e giudicati negli Stati Uniti, nonostante il fatto che tutto sia successo in Italia e che la Procura di Trento avesse ipotizzato i reati di disastro, omicidio colposo plurimo e attentato colposo alla sicurezza dei trasporti.
Corte marziale: assolti e felici
In merito alla decisione dei giudici statunitensi sulla strage del Cermis, l’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema si espresse in questo modo: «Non commento le sentenze in Italia, figuratevi se lo faccio con quelle americane»
Davanti alla Corte marziale riunita a Camp Lejeune, in North Carolina, Ashby e il navigatore furono processati per violazione dei propri doveri, danno colposo a proprietà militare (l’aereo), danno colposo a proprietà non militare (la funivia), strage e omicidio colposo. Mentre il procuratore colonnello Daugherty fece una requisitoria severissima sulla condotta di Ashby, l’avvocato dei piloti disse che le manovre erano state “ragionevoli”. Il primo fu assolto, la posizione del secondo fu archiviata. Schweitzer ammise poi la distruzione del nastro con la registrazione del volo e patteggiò per l’accusa di intralcio alla giustizia e complotto per nascondere materiali probatori per cui Ashby fu invece condannato a sei mesi di reclusione (ne ha scontati 4 e mezzo) e radiato con disonore dal corpo dei marines. Nel 2008 ha chiesto l’annullamento del provvedimento per non perdere la pensione.
L’inchiesta americana ha appurato che prima di quel giorno non aveva mai effettuato sorvoli a bassa quota in Italia e che né lui né i suoi colleghi avessero bisogno di quell’addestramento, evidentemente doveva essere proprio un volo-premio da ricordare portandosi via negli Stati Uniti il VHS dell’“impresa”. Dopo il verdetto americano, il Manifesto ha titolato «Sono morti di freddo», mentre Massimo D’Alema, diventato nel frattempo presidente del Consiglio, si espresse così sulla decisione dei giudici statunitensi: «Non commento le sentenze in Italia, figuratevi se lo faccio con quelle americane». Incontrando poi poco dopo Bill Clinton, ospite a Roma in quei giorni, come se nulla fosse successo.
La Procura di Vicenza ha chiuso le indagini sulla Superstrada Pedemontana Veneta, l’arteria a pagamento lunga 95 km che attraversa le province di Treviso e Vicenza, accusando 12 persone, tra manager del Consorzio SIS, amministratori della Strada Pedemontana Veneta S.p.A., direttori tecnici e responsabili di cantiere, di inquinamento ambientale e omessa bonifica. Le indagini riguardano i lavori svolti dal 28 giugno 2021 al 23 gennaio 2024 per le gallerie di Malo e di Sant’Urbano (Vicenza). Secondo l’accusa, nelle opere è stato impiegato un additivo per cemento contenente PFBA (un composto della famiglia dei Pfas), in concentrazioni superiori a quanto consentito, provocando contaminazione delle acque superficiali e sotterranee nei comuni di Castelgomberto, Malo, Montecchio Maggiore, Isola Vicentina e Costabissara. La Regione Veneto, tramite l’ARPAV, segnala di aver attivato controlli e monitoraggi ambientali fin dall’inizio dell’opera e di avere trasmesso a luglio 2025 uno studio di impatto ambientale al Ministero.
Negli Stati Uniti si è svolta una giornata di proteste su larga scala organizzata con lo slogan “No Kings”, in oltre 2.600 località di tutti i 50 Stati. Secondo gli organizzatori 7 milioni di persone manifestato contro le politiche dell’amministrazione Trump che vengono definite “autoritarie” e contro lo shutdown governativo. Le proteste fanno riferimento al presidente come a un “re” non eletto e hanno chiesto un ritorno ai princìpi democratici tradizionali, citando in particolare misure su immigrazione, uso della forza e diritti civili. Le manifestazioni sono rimaste pacifiche, mentre da parte del partito repubblicano sono arrivate accuse di radicalismo e antinazionalismo nei confronti dei partecipanti. Trump ha risposto alle mobilitazioni definendole “contro l’America”. Su Truth Social ha poi condiviso un video creato con l’Intelligenza artificiale in cui lo stesso presidente lancia letame sui manifestanti.
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