A oltre sette anni dalla tragedia del crollo del ponte Morandi, la Procura fa le sue richieste di condanna nei confronti dei 57 imputati. Nel corso della requisitoria che si è protratta per mesi, il pm Walter Cotugno ha chiuso l’istruttoria chiedendo per l’ex amministratore delegato di Autostrade Giovanni Castellucci, già in carcere dopo la sentenza sulla strage di Avellino, una pena di 18 anni e 6 mesi, il massimo previsto dalla legge. La Procura ha motivato la richiesta sostenendo che “tutti gli indicatori per lui sono negativi”, definendo il caso un modello di dolo eventuale. La difesa di Castellucci ha replicato dichiarando che l’ormai detenuto dirigente si trova “in carcere da innocente”, chiedendo rigore nelle valutazioni processuali e sottolineando la sua estraneità alle nuove imputazioni. A Genova, con la tragedia che costò la vita a 43 persone, le prossime udienze saranno decisive per definire le richieste di pena anche per gli altri 56 imputati. A processo ci sono ex dirigenti e tecnici appunto di Aspi, dell’allora società gemella Spea, ma anche del ministero delle Infrastrutture.
Sarkozy in carcere a Parigi dal 21 ottobre per la condanna a 5 anni
L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy entrerà nel carcere parigino di La Santé il 21 ottobre per scontare cinque anni di reclusione, tre dei quali effettivi, per associazione per delinquere in relazione ai tentativi di ottenere tangenti dal regime libico di Muammar Gheddafi per la sua campagna elettorale, vincente, del 2007. Si tratta del primo ex capo di Stato dell’Unione europea che finisce in cella per una condanna, anche se non definitiva. La Corte ha disposto l’esecuzione immediata della pena, definendo i fatti di “gravità eccezionale”. I legali preparano la richiesta di libertà provvisoria, la Corte d’Appello avrà due mesi per rispondere. Nel caso la domanda sia respinta, Sarkozy potrà presentare altre richieste identiche.
Droni e cecchini sui tetti: Udine militarizzata per la partita Italia-Israele
È una Udine completamente blindata quella che oggi si appresta a ospitare l’incontro valido per la qualificazione ai campionati mondiali di calcio Italia-Israele. Per l’occasione, sono comparsi segnali stradali temporanei, con segnati divieti di sosta e di transito, avvisi affissi sui parabrezza delle auto con su scritto «qui non si può stare» e chiuse diverse strade che portano allo Stadio Friuli, dove si disputerà l’incontro. Tuttavia, a mutare non sarà solo la viabilità cittadina: pare infatti che le forze dell’ordine si siano munite di droni, e che abbiano dispiegato anche dei cecchini sul tetto di un albergo. il centrodestra ha lanciato un appello al sindaco per vietare il corteo, che dovrebbe mobilitare almeno 10 mila persone, ma per il momento le istituzioni non hanno adottato misure in tal senso.
«Se Israele e Hamas sono stati capaci di deporre le armi, i manifestanti siano capaci di deporre megafoni e striscioni», si legge nell’appello firmato dal centrodestra, che definisce le manifestazioni contro l’occupazione israeliana e il genocidio palestinese avvenute nel resto d’Italia incitazioni «all’odio verso un altro popolo». Tuttavia, a giudicare dalle indicazioni sul sito del Comune, dove sono indicate le modifiche alla circolazione stradale volte a garantire «lo svolgimento del corteo», lasciano intendere che le istituzioni non abbiano intenzione di ostacolare la protesta. D’altronde, la manifestazione si svolgerà ben lontano dallo stadio, analogamente allo scorso anno, quando, in corrispondenza del medesimo evento, il Comune aveva imposto il divieto assoluto di avvicinarsi allo stadio e istituito una zona rossa militarizzata attorno all’impianto. Come lo scorso anno, il traffico in via Candolini è stato limitato già a partire dalle 12 di sabato 11 ottobre e sarà interdetto fino alle 12 di domani, mercoledì 15. Alcuni accessi alla stessa via, come il sottopasso di via Bottechia, saranno anch’essi chiusi. Interdetta la circolazione anche in viale Ledra e via Bezzeca, in tutto il tratto intorno all’Hotel Friuli, il quale ospiterà la nazionale israeliana, mentre la sosta è vietata nella zona di via Moretti, via Fiore dei Liberi e via Muratti Moretti, tutte e tre intorno al perimetro dell’hotel.
E nonostante in alcune interviste il sindaco abbia dichiarato che «tutte le manifestazioni che sono avvenute a Udine sono pacifiche», comitati e quotidiani locali denunciano una città militarizzata, con elicotteri che la sorvolano in continuazione, droni e cecchini sui tetti. Una foto del quotidiano locale Udine Today mostra proprio quello che sembra essere un tiratore scelto sul tetto dell’Hotel Friuli. Nonostante la smentita del governo, non si esclude nemmeno del tutto la presenza di agenti in borghese del Mossad, come avvenuto in altre manifestazioni pubbliche, al fine di tutelare i cittadini israeliani. Secondo il quotidiano, saranno anche effettuate operazioni di controllo già a notevole distanza dalla struttura e chiunque si avvicinerà allo stadio sarà sottoposto a controlli.

«Alla moltitudine che ha deciso di essere solidale al popolo palestinese, che ha chiesto di non giocare alla “partita della vergogna”, il governo risponde con barriere di cemento, varchi tra grate metalliche, militari con il fucile imbracciato, numerose forze di polizia, droni ed elicotteri» scrive il Comitato per la Palestina – Udine sui propri social, confermando l’appuntamento per stasera alle 17.30. «Il rumore sordo degli elicotteri che da ieri stanno pattugliando Udine non fa che ricordarci in maniera ancora più vivida l’orrore dell’occupazione israeliana e farci sentire ancora più vicini alla popolazione palestinese».
Verona: esplosione durante sgombero di un casolare, morti tre carabinieri
Durante lo sgombero di un casolare occupato a Castel d’Azzano (Verona), si è verificata un’esplosione che ha provocato la morte di tre carabinieri e il ferimento di altri 11 militari e 4 agenti delle Uopi (Unità operative di pronto intervento) della Polizia di Stato. L’edificio, un casolare di due piani satura di gas, è crollato travolgendo le forze dell’ordine al momento dell’irruzione. Secondo le prime ricostruzioni, una donna presente nell’immobile avrebbe attivato la deflagrazione. Due fratelli sarebbero stati fermati, mentre un terzo è attualmente in fuga. Si tratta di Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi, agricoltori e allevatori con problemi finanziarie ipotecari, già noti per due episodi con la stessa dinamica avvenuti un anno fa. I carabinieri intervenuti erano stati mobilitati in forze speciali per l’elevato rischio dell’operazione. La procura di Verona parla di “esito inaspettato e tragedia incredibile”.
Amministrative: in Toscana vince il centrosinistra affluenza al-15%
Con 2667 sezioni scrutinate su 3922, il risultato delle elezioni in Toscana è ormai certo: ha vinto il centrosinistra. Le proiezioni danno il candidato Eugenio Giani, sostenuto dal campo largo, al 53,94%, contro il 40,90% del candidato governativo Alessandro Tomasi. Giani, presidente uscente della Regione, verrà riconfermato governatore della Toscana. Particolarmente alto il tasso di astensionismo, che ha toccato il picco del 52,28%. All’ultima tornata, si era fermato al 37,40%.
Tajani si appropria del bambino di Gaza che sventola il tricolore e rimedia una figuraccia
Dopo lo sciopero generale del 22 settembre e le manifestazioni per la Palestina che lo hanno seguito, la solidarietà italiana al popolo palestinese è arrivata nella stessa Gaza, dove nei giorni sono stati girati diversi video di ringraziamento ai cittadini italiani. Un’occasione ghiotta per il governo che si è rapidamente appropriato del riconoscimento del popolo palestinese: Tajani ha infatti condiviso su Instagram un video del Gaza Skate Team, progetto umanitario e sportivo attivo nella Striscia, che mostrava un bambino sventolare il tricolore come segno di gratitudine al popolo italiano. «Il Tricolore sventola anche a Gaza», ha scritto Tajani. Segno di riconoscenza e gratitudine nei confronti di quello che ha fatto e farà l’Italia». Il post del vicepremier è arrivato anche all’autore del video, che ha chiesto al ministro di rimuoverlo e sottolineato che «il mio grazie è al popolo italiano, non al governo complice dell’occupazione». Nonostante le molteplici richieste di rimozione, il post rimane ancora online.
Il Gaza Skate Team è un progetto umanitario e sportivo della Striscia gestito da un gruppo di ragazzi palestinesi che insegnano ai bambini ad andare sullo skateboard e sui pattini; il gruppo promuove una raccolta fondi per i bambini gazawi e per la riparazione di uno skate park, e sembra avere contatti con analoghi gruppi di supporto alla popolazione palestinese attivi in Italia. Dopo le manifestazioni di fine settembre e inizio ottobre, i coordinatori dell’associazione hanno diffuso diversi video di ringraziamento al popolo italiano per il suo supporto contro il genocidio palestinese. Quello condiviso da Antonio Tajani mostrava uno dei ragazzi andare sui pattini mentre teneva in braccio un bambino che sventolava le bandiere della Palestina e dell’Italia una accanto all’altra; il video originale aveva in sottofondo una canzone della Banda Bassotti, noto gruppo musicale punk di sinistra: la canzone cita i partigiani, fa i nomi di noti rivoluzionari e rivendica la lotta dal basso “contro l’oppressore”, sostenendo che siamo tutti Figli della Stessa Rabbia; “Forte il braccio che alzerà la bandiera rossa della libertà/come chi combatte sui monti con le scarpe rotte quando fischia il vento”, recitano i versi che fanno da sottofondo musicale al video. Insomma, risulta difficile cadere in equivoco sul contenuto del messaggio.
Eppure Tajani sembra avercela fatta; oppure, come ben più probabile, avere deliberatamente manipolato il contenuto del video con fini propagandistici. Il ministro ha condiviso le immagini del Gaza Skate Team sostituendo il sottofondo musicale con una musica dai toni trionfali e rivendicato la solidarietà del popolo palestinese. Il giorno dopo sono arrivati i commenti dell’autore, uno in inglese e uno in italiano: «Ciao, questo video è mio e l’avete pubblicato senza il mio permesso. Per favore rimuovetelo oppure taggatemi chiaramente come autore originale. Se non viene fatto, sarò costretto a segnalarlo per violazione del copyright. Grazie per la comprensione». Le sue parole sono finite rapidamente in alto nella sezione dei commenti di Instagram, ma la squadra social di Tajani sembra non averle viste, se non ignorate. Gaza Skate Team ha quindi pubblicato un altro video di ringraziamento in cui questa volta specifica in maniera esplicita che la solidarietà del popolo palestinese va unicamente alle mobilitazioni dal basso, e non al governo; ha poi diffuso un altro video di chiarimento in cui ribadisce tale concetto.
La sezione dei commenti del post di Tajani, intanto, è impazzata di utenti che hanno chiesto al ministro di rimuovere il contenuto dalla propria bacheca, accusandolo di «sciacallaggio». Il video, tuttavia, resta ancora visibile, ed è addirittura uno dei post del ministro con il maggior numero di interazioni. Il caso del video del Gaza Skate Team è solo l’ultimo strafalcione dell’autodefinitosi «ministro degli Esteri più sfigato della storia», specialmente quando si tratta di Palestina. Negli ultimi mesi, il ministro ha collezionato una figuraccia dopo l’altra, sostenendo che «la Palestina non esiste», che le coste gazawi sono «territorio israeliano», e che «il diritto internazionale conta fino a un certo punto».
Slovacchia, scontro tra treni: 66 feriti
Nella giornata di oggi, lunedì 13 ottobre, due treni si sono scontrati nella Slovacchia orientale, facendo deragliare una locomotiva e un vagone e ferendo almeno 66 persone. L’incidente è avvenuto nei pressi di una galleria vicino al villaggio di Jablonov nad Turnou, circa 55 km a ovest di Košice, seconda città più popolosa del Paese. I servizi medici di emergenza del Paese hanno dichiarato che 16 persone hanno riportato ferite moderate o gravi e almeno 50 sono rimaste leggermente ferite. Sui treni erano presenti circa 80 passeggeri. Ignote ancora le cause dell’incidente.
Financial Times: “Gli USA stanno già aiutando Kiev a colpire i siti energetici russi”
«Da mesi gli Stati Uniti aiutano l’Ucraina a lanciare attacchi a lungo raggio contro le strutture energetiche russe». Secondo un’inchiesta pubblicata dal Financial Times, gli Stati Uniti starebbero fornendo all’Ucraina supporto diretto d’intelligence per colpire obiettivi strategici in territorio russo, in particolare infrastrutture energetiche e raffinerie. Il quotidiano economico-finanziario britannico cita fonti anonime dell’amministrazione americana, secondo cui Washington avrebbe recentemente ampliato la condivisione di informazioni sensibili, consentendo ai missili e ai droni ucraini di eludere le difese aeree russe e di colpire in profondità, fino a 1.400 chilometri oltre la linea del fronte. L’obiettivo di questa strategia sarebbe quello di aumentare la pressione su Mosca, «per indebolire l’economia di Vladimir Putin e costringerlo al tavolo delle trattative», dopo mesi di stallo diplomatico. Le stesse fonti spiegano che gli attacchi avrebbero già ridotto le esportazioni di diesel russo fino al 20% e contribuito a un aumento dei prezzi interni del carburante.
L’interpretazione ufficiale dell’articolo di FT, presentata come reportage, lascia aperte molte domande. La notizia arriva con la consueta confezione tecnica e si può leggere come una nota di servizio: fonti anonime, dati cifrati, verbali di «funzionari a conoscenza della vicenda». Dietro il linguaggio tecnico e l’apparente neutralità della ricostruzione, l’articolo del Financial Times assume un tono che va oltre il semplice resoconto e risulta difficile separarne l’informazione verificata dalla funzione propagandistica. La notizia della collaborazione diretta tra l’intelligence americana e le forze ucraine viene presentata come un passo tattico necessario, quasi fisiologico, in un contesto in cui l’Occidente deve mantenere l’iniziativa per difendere Kiev e indirizzare l’esito del conflitto. Il messaggio implicito è rassicurante per il lettore europeo e atlantista: l’Ucraina sta vincendo grazie al supporto e alla superiorità tecnologica occidentale. La sostanza non è nuova. Fin dall’inizio del conflitto, Washington ha fornito a Kiev coordinate e immagini satellitari, informazioni utili a indirizzare gli attacchi contro postazioni e depositi militari russi. Ora, questa prassi viene semplicemente riconosciuta, ma con una cornice narrativa che mira a legittimare un coinvolgimento sempre più profondo che rischia di aumentare l’escalation e a espandere il conflitto su scala globale.
La parte più politica dell’articolo riguarda la Casa Bianca. Mentre gli occhi della comunità internazionale in queste ore sono puntati sul Medio Oriente, Volodymyr Zelensky prova a tenere alta l’attenzione degli alleati anche su Kiev: il leader ucraino ha sentito per la seconda volta in due giorni Donald Trump e ha parlato con Emmanuel Macron. Per far fronte all’esigenza di nuove armi, Kiev sta lavorando con Parigi per espandere l’iniziativa Purl, con i Paesi della NATO che acquistano armi americane da girare all’Ucraina. La richiesta, pressante, è sempre quella: più sistemi di difesa antiaerea e più missili, con un’attenzione particolare ai vettori di lungo raggio, per contrastare l’offensiva russa. Il Financial Times riferisce che l’attuale amministrazione americana, pur negando un coinvolgimento operativo diretto e non avendo ancora preso una decisione sull’invio dei Tomahawk a Kiev, intende «rendere pubblica» la portata del proprio sostegno per mostrare forza e determinazione, anche nei confronti di Mosca. La mossa avverrebbe in un momento in cui, secondo le stesse fonti, Trump sarebbe “irritato” con Vladimir Putin per la mancanza di progressi diplomatici dopo l’incontro bilaterale avvenuto in Alaska. Il possibile arrivo negli arsenali ucraini dei Tomahawk è motivo di «grave preoccupazione» per il Cremlino, che tuttavia ha puntualizzato: «È un’arma importante, che può essere in configurazione convenzionale o nucleare, ma allo stesso tempo non può cambiare la situazione sui fronti», ha fatto sapere il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
La scelta di rendere note queste informazioni non è casuale: serve a consolidare l’immagine di un’America decisa, pronta a guidare la guerra per procura e, allo stesso tempo, a gestirne la narrazione. In sostanza, la rivelazione del Financial Times funziona come una velina diplomatica: Washington fa sapere al mondo ciò che desidera far sapere, nei tempi e nei modi che ritiene opportuni. Come spesso accade negli articoli che accompagnano le svolte di politica estera americana, il Financial Times cita «funzionari a conoscenza della questione», senza fornire prove documentali o riscontri indipendenti. È il modo più efficace per trasmettere l’impressione di una notizia esclusiva, senza doversi assumere la responsabilità della sua verificabilità. In questo senso, la tradizione del giornalismo anglosassone si intreccia con quella della diplomazia: si pubblica ciò che conviene pubblicare, e si tace ciò che non serve a orientare l’opinione pubblica. Dietro questa strategia di comunicazione, però, si intravedono obiettivi più concreti. Se Zelensky e i partner europei non mostrano disponibilità a una trattativa che non preveda la resa totale di Mosca, la linea americana sembra quella di prolungare il conflitto, logorare la Russia e trarne vantaggi economici e geopolitici, scaricando le sorti di Kiev sugli alleati europei. Le aziende statunitensi continuano a fornire armamenti e tecnologia a Kiev, mentre l’Europa si è già impegnata a sostenere i costi finanziari dell’operazione. Il risultato è un equilibrio asimmetrico: Washington rafforza la propria industria militare e l’influenza internazionale, l’Ucraina resta il terreno di scontro, mentre l’Europa paga il conto.








