martedì 18 Novembre 2025
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Lituania: mobilitati migliaia di soldati e cittadini per simulare un’invasione russa

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La Lituania ha dato il via alla esercitazione militare “Vycio Skliautas 2025”, una delle più ampie della storia del Paese. L’esercitazione ha lo scopo di verificare la tempestività di reazione dello Stato in caso di attacco, inscenando una ipotetica invasione russa. Durante le esercitazioni verranno effettuate evacuazioni di civili e test di risposta a eventuali minacce ibride nelle infrastrutture e nei servizi essenziali, come gli ospedali. Nel corso dell’addestramento, che durerà fino all’11 ottobre, verranno mobilitate oltre 2.000 persone tra cui 1.200 funzionari e ufficiali e circa 1.000 volontari. Le esercitazioni si svolgeranno in tutte le 60 municipalità del Paese, e interesseranno 115 istituzioni e agenzie.

Gli scenari previsti dall’esercitazione sono particolarmente articolati e includono l’evacuazione dei civili dalla stazione ferroviaria di Vilnius verso altre municipalità, l’attivazione dei sistemi di allerta pubblica attraverso sirene, notifiche mobili e messaggi sui media, e una prova dedicata alle risposte in caso di attacco aereo. «Le esercitazioni aiuteranno a verificare la prontezza istituzionale nel funzionare in condizioni di mobilitazione, garantire la continuità delle operazioni, testare la cooperazione civile-militare e identificare i punti deboli», ha dichiarato il vice ministro della Difesa Tomas Godliauskas. Particolare attenzione viene dedicata alla protezione delle infrastrutture critiche e alla continuità dei servizi essenziali. Gli ospedali praticheranno la modalità di mobilitazione per garantire l’assistenza sanitaria, mentre le unità di comando locali si eserciteranno a proteggere i punti strategici in collaborazione con le agenzie civili. Le autorità hanno posto l’accento sulla cooperazione interistituzionale: insieme alle forze armate partecipano il Servizio di Guardia di Frontiera, il Servizio di Protezione dei Dignitari, la polizia e numerose ONG, oltre a quattro grandi catene della grande distribuzione alimentare che collaborano alla pianificazione della continuità dei servizi.

A provvedere al coordinamento delle funzioni essenziali dello Stato durante la simulazione sarà il Centro Operativo di Mobilitazione dello Stato, che coinvolge personale dell’Ufficio del Governo, di tutti i Ministeri, del Dipartimento di Mobilitazione e Resistenza Civile, del Dipartimento di Sicurezza dello Stato, dello Stato Maggiore delle Forze Armate, della Corte Suprema, della Banca di Lituania e altri enti. «In questi tempi difficili, le istituzioni della Lituania, le ONG e i cittadini stanno facendo molto per prepararsi alle minacce emergenti: questa unità è la nostra forza», ha dichiarato la premier Inga Ruginiene, aggiungendo che «anche i piani migliori devono essere testati nella pratica». Le parole del primo ministro sottolineano la portata storica di un’esercitazione che rappresenta «uno dei test di preparazione più importanti per l’intero Stato» nel contesto delle crescenti tensioni con la Russia.

Nel frattempo, proprio in Lituania la Germania sta costruendo una nuova base militare NATO. La struttura sorgerà a Rudninkai, al confine con la Bielorussia. Nell’estate 2024 si è svolta la cerimonia di inizio dei lavori di costruzione: la base, una volta completata alla fine del 2027, ospiterà fino a 4.000 soldati tedeschi pronti al combattimento. Il progetto di costruzione è uno dei più grandi nella storia della Lituania. Anche nella vicina Lettonia, in particolare ad Adazi, saranno aperti impianti di stoccaggio e manutenzione di veicoli corazzati, finanziati dal Canada. Gli impianti saranno utilizzati per ospitare i carri armati della Brigata e altri veicoli corazzati, oltre a fornire aree protette per la loro manutenzione.

Nel contesto di generale ostilità che oppone i Paesi baltici alla Russia, l’Estonia ha recentemente aggiunto un ulteriore tassello nelle azioni contro la Nazione eurasiatica confinante, decidendo ad agosto di installare cancelli scorrevoli e blocchi stradali nei tre valichi di frontiera estoni con la Russia per bloccare la circolazione di persone e veicoli in pochi secondi. I Paesi baltici sono saldamente schierati a fianco dell’Ucraina e non sono inclini a concessioni o negoziati per risolvere il conflitto. Negli stessi giorni, infatti, hanno dichiarato in una nota – insieme a Danimarca, Norvegia, Finlandia, Islanda e Svezia – di «riaffermare il principio secondo cui i confini internazionali non possono essere modificati con la forza», rifiutando quindi l’ipotesi che attraverso i negoziati possa essere modificato lo status ucraino dei territori conquistati dall’esercito russo.

Israele bombarda sud del Libano: un morto

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L’esercito israeliano ha bombardato nella notte tra venerdì 10 e sabato 11 ottobre il sud del Libano, dichiarando che si trattava di «un’infrastruttura terroristica di Hezbollah» che «conteneva macchinari ingegneristici» utilizzati dal gruppo per «ristabilire le strutture terroristiche, violando gli accordi tra Israele e Libano». Una persona è stata uccisa nell’attacco, sette i feriti. Il presidente del Libano ha condannato i raid, dichiarando che l’IDF ha colpito infrastrutture civili «senza giustificazione nè pretesto».

I poteri del gioco

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Con i segni del gioco incontriamo gli oggetti e i soggetti, i procedimenti e i valori, i contesti e le regole che ne caratterizzano la struttura; ma i giochi sono spesso interattivi, prevedono il coinvolgimento di vari partecipanti, hanno funzione comunicativa. Il più delle volte chi gioca con noi è con noi solidale – nelle regole – ma avversario per il risultato, in quanto la meta, la vincita o la vittoria non è di tutti; e così per gli eventuali premi che non si dividono in parti eguali: si tratta insomma di una vera e propria comunicazione a un solo oggetto

Ma è gioco anche l’enigmistica o il gioco in solitudine o simulato, dove l’avversario e chi si è proposto di giocare coincidono in un unico soggetto, che si è suddiviso in due distinti ruoli nell’atto stesso di mettersi alla prova, di sfidare le proprie capacità; in ultima analisi, si tratta di giocare non con un’altra persona ma con il Caso, quando ad esempio si tratta di gioco d’azzardo. In tale tipo di gioco-prova, l’ostacolo da superare è il gioco stesso, la sua capacità di autoriprodursi e di riproporre continuamente una posta, che non è il senso, ma il mezzo perché il gioco possa durare. Sotto quest’aspetto il senso del gioco e la sua durata coincidono: il senso del gioco è il tempo, null’altro che questo. Non si vince se non per acquisire il mezzo affinché il gioco possa continuare, non si gioca per vincere ma per continuare a giocare. Ecco dunque affiorare due distinte visioni. Nella prima, la competizione comporta una storia prevalentemente antagonistica, uno sviluppo dove si tratta di acquisire il bene, l’oggetto di valore, la posta in gioco sottraendola alla possibile vittoria di un altro. Nella seconda è in azione invece un meccanismo intracomunicativo, dove le sfide, le vittorie e le sconfitte coinvolgono un soggetto post-mitologico, “moderno”, che ritiene di potersi misurare con sé stesso. Si è detto che gioco è anche l’arena politica, con il suo perpetuo oscillare fra quel che è dichiarato e quel che è davvero sul tavolo: ma qui la posta è sempre tattica, mai strategica, in quanto la strategia va posta in essere non sul piano della comunicazione pubblica ma del progetto, che resta riservato a pochi (lo staff di un presidente, ad esempio). 

La semiologia e la filosofia del linguaggio, con Saussure e Wittgenstein, hanno ripreso la metafora del gioco per spiegare il funzionamento del linguaggio e dei codici che producono senso; ma Wittgenstein, com’è noto, scelse quello che abbiamo chiamato “secondo modello”: «la parola “giuoco linguistico” è destinata a mettere in evidenza il fatto che il parlare un linguaggio fa parte di un’attività, o di una forma di vita». Attività – e condotta – appunto, prima di tutto cognitiva, come fanno vedere i giochi d’immagine, dove si confrontano varie interpretazioni possibili a seconda che si focalizzino differenti punti di vista e dove l’idea stessa di realtà è messa in discussione dalla percezione che ne possiamo avere. 

Gioco e giocattolo si distinguono in rapporto alla nozione di attore coinvolto, inteso in qualità di produttore, trasmettitore o ricettore. C’è la possibilità però che il giocattolo si trasformi in gioco, per mezzo della variazione del numero degli attori. Se qualcuno che gioca chiama qualcun altro a usare lo stesso giocattolo o giocattoli dello stesso tipo, il puro e semplice uso del giocattolo si trasforma in gioco, proprio per la presenza di più attori-giocatori. Il giocattolo è inoltre una merce, ha un suo prezzo, mentre il gioco no, non si può acquistare: non esiste una fase precedente a quella dell’usarlo, della pratica che lo riguarda, mentre nel giocattolo c’è una fase precedente a quella dell’uso che consiste nel suo acquisto. La conversione di giocattoli in giochi (e viceversa, ad esempio quando i giochi costituiscono prodotti da utilizzare successivamente) costituisce un problema semiotico, collegabile ai rapporti fra competenza ed esercizio delle facoltà linguistiche. Una ulteriore differenza consiste nel rapporto comunicativo con le regole: a questo riguardo nel giocattolo possiamo parlare di un donatore, nel gioco di un istruttore; in effetti nel gioco si può parlare di regole, nel giocattolo di istruzioni per l’uso. Ma l’esercizio delle regole richiede forme di controllo, e dunque la messa in campo di un potere che sovraintenda alla produzione del senso riconosciuta e accettata da una comunità. Queste componenti di tipo rituale si incontrano in forma residuale nei tradizionali giochi di carte, dove, per passare dalle norme al contesto, bisogna svolgere un pre-gioco che consiste nel determinare chi dovrà distribuire le carte, ma sono più accentuate in certi giochi infantili dove è percepibile chiaramente l’idea di una sacralizzazione dello spazio e di una definizione del limite. Prendiamo il gioco della grotta o campana, nel quale si disegna per terra un grande rettangolo suddiviso in una serie di quadrati sormontati da un semicerchio, si lancia una pietra, e si percorre la serie degli spazi contrassegnati evitando che nei rilanci successivi il sasso vada a finire nella tana, vale a dire nel recinto proibito. 

Emergono così i significati di concesso-vietato, favorevole-sfavorevole, che contengono a livello profondo quell’opposizione vita-morte che il gioco vorrebbe esorcizzare attraverso la prova del percorso labirintico. Come mostra il gioco dell’Oca, una delle punizioni che si infliggono ai partecipanti consiste nel tornare indietro, nel perdere tempo, essendo il vantaggio primario quello di procedere in avanti per raggiungere per primi la meta. Con questo gioco il modello competitivo si intreccia con l’idea, in qualche modo pedagogica e iniziatica, che nel gioco come nella vita è meglio non compiere passi falsi; d’altra parte essi sono inevitabili, essendo vero quanto osserva l’antico detto taoista: «chi gioca spesso non può non perdere».

Il cessate il fuoco a Gaza non ferma le violenze in Cisgiordania: raid e arresti nella notte

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Dopo che, nella mattinata di ieri, il gabinetto di Netanyahu ha ratificato l’accordo con Hamas per l’entrata in vigore della prima fase del cessate il fuoco a Gaza, le bombe hanno per il momento smesso di cadere sull’enclave, dando un giorno di tregua al genocidio in corso da due anni. Nel mentre però, le violenze in Cisgiordania, dove Israele prosegue indisturbato i propri piani di annessione, si stanno intensificando di giorno in giorno. Solamente tra le giornate di ieri e oggi, una quarantina di persone, tra le quali numerosi giornalisti, sono rimaste ferite nelle incursioni da parte di coloni e militari israeliani nei terreni e nelle città palestinesi, mentre numerose altre sono state arrestate. Gli attacchi si sono concentrati in particolare contro i contadini impegnati nella raccolta delle olive, attività fondamentale per la popolazione palestinese.

Nella serata di ieri, venerdì 10 ottobre, almeno cinque persone sono state arrestate dalle forze di occupazione israeliane nel campo di Nur Shams, ad est di Tulkarem, mentre incursioni dei militari si sono verificate anche nei campi di Balata, ad est di Nablus, e nella città di Ramallah, nella zona in cui si trovano gli uffici di Al Jazeera. Nella città di Dura, nel governatorato di Hebron, i militari hanno sparato a un ragazzo, impedendo poi ai medici di avvicinarsi per prestargli soccorso. Diversi attacchi sono stati poi registrati da parte dei coloni israeliani, scortati dalle forze di occupazione, durante le operazioni di raccolta delle olive da parte dei contadini palestinesi, con almeno 36 persone ferite nelle località di Beita, Huwara e Deir Sharaf, nel governatorato di Nablus. Di queste, cinque sono state colpite da armi da fuoco, mentre numerose altre sono state ferite gravemente dopo essere state prese a sassate e bastonate. Tra di essere vi erano anche numerosi giornalisti, tra i quali il reporter di AFP Jafaar Jshtayeh, la cui macchina è stata colpita a sassate e poi data alle fiamme dai coloni che lo avevano già ripetutamente colpito con colpi di bastone alla schiena. Ishtayeh ha riferito che i militari israeliani, che hanno assistito all’intera violenza dei coloni, non hanno fatto nulla per fermarli. A Beita in particolare, secondo quanto riportano i media palestinesi, si sarebbero verificati numerosi casi di soffocamento a seguito dell’uso intensivo di gas lacrimogeni da parte dei coloni.

Dal 7 ottobre 2023, almeno 1.025 palestinesi sono stati uccisi dai militari israeliani e dai coloni nella Cisgiordania occupata, 9.527 feriti. In aggiunta a ciò, quasi 7 mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case, mentre Israele ha raso al suolo oltre 3200 case e strutture di altro genere. Secondo un report delle Nazioni Unite datato 29 settembre 2025, la violenza dei coloni nella Cisgiordania occupata è aumentata notevolmente nel corso dell’anno corrente. Solamente nel periodo compreso tra il 18 giugno e il 19 settembre, le autorità israeliane hanno costruito o portato avanti i progetti di costruzione di quasi 21 mila unità abitative, anche a Gerusalemme Est. Sono in aumento anche demolizioni e sfratti: mentre per i palestinesi i permessi di costruzione sono praticamente impossibili da ottenere da parte di Israele, «le autorità israeliane hanno demolito, sequestrato o costretto le persone a demolire 455 strutture», scrive l’ONU. Le Nazioni Unite riscontrano anche come, mentre decine di civili rimangono uccisi nei raid e migliaia feriti da lacrimogeni, incursioni e aggressioni fisiche (e anche qui, come a Gaza, non vengono risparmiati nemmeno i bambini), proseguono le operazioni su larga scala da parte di Israele nelle città e nei campi profughi della Cisgiordania settentrionale, in particolare nella zona di Tulkarem e Jenin. A questo, si aggiunge il «disastroso» piano di costruzione di circa 3400 unità abitative nella zona E1 che, una volta realizzate, romperanno il collegamento tra la Cisgiordania settentrionale e meridionale, «minando ulteriormente la contiguità di uno Stato palestinese indipendente e sovrano, aumentando il rischio di sfollamenti forzati e alimentando le tensioni». Il rapporto si conclude ribadendo che gli insediamenti israeliani «non hanno alcuna validità giuridica» e che «costituiscono una flagrante violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite».

Lo scorso 9 ottobre, il think-tank belga International Crisis Group ha pubblicato un report nel quale si afferma che gli attori internazionali, compresi i Paesi arabi, dovrebbero approfittare del cessate il fuoco a Gaza «per agire, piuttosto che aspettare un’annessione formale della Cisgiordania, probabilmente superflua» e «usare la propria influenza, compresi il commercio e la vendita di armi, per esercitare pressioni su Israele affinchè interrompa il consolidamento e la diffusione dell’annessione e inizi a fare marcia indietro». Per il momento, tuttavia, gli occhi della comunità internazionale (salvo poche eccezioni, come la Spagna) sembrano essere puntati altrove. D’altronde, del destino della Cisgiordania, all’interno del piano per Gaza di Netanyahu e Trump e acclamato da numerosi Paesi, Italia inclusa, non è fatta menzione alcuna.

Francia, il dimissionario Lecornu è di nuovo primo ministro

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Dopo che aveva presentato le dimissioni lo scorso lunedì 6 ottobre, a meno di 24 ore dalla formazione del nuovo governo, Sébastien Lecornu è stato riproposto dal presidente Macron come primo ministro francese. Su X, Lecornu ha commentato: «Accetto per dovere la missione che mi è stata affidata per fare sì che la Francia abbia un bilancio entro la fine dell’anno». La Francia si trova in una forte crisi politica, che ha portato alla caduta di quattro governi in un anno.

La piattaforma Microsoft usata per la didattica a distanza è finita sotto inchiesta

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Il Garante della protezione dei dati austriaco sta conducendo un’indagine approfondita su Microsoft 365 Education, piattaforma cloud ampiamente impiegata per la didattica digitale via cloud, a seguito di segnalazioni relative alla raccolta e al trattamento dei dati personali di studenti dell’Unione Europea, inclusi i minori. Microsoft sostiene che la responsabilità della gestione e della tutela di queste informazioni ricada sulle singole scuole, tuttavia l’Autorità austriaca ha chiarito che, in quanto fornitrice del servizio, l’azienda è tenuta a garantire piena trasparenza sulle informazioni trattate, a indicare le basi giuridiche del trattamento e a specificare in modo dettagliato come vengono utilizzati i dati raccolti.

Secondo il Datenschutz Behörde (DSB), Microsoft non ha fornito informazioni sufficientemente chiare riguardo ai cookie utilizzati, né sui dati specifici trattati in relazione ad essi, un’omissione che configura una probabile violazione del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR). L’impresa non avrebbe inoltre fornito tutti i dettagli specifici sui dati personali trattati in relazione all’uso del servizio, ovvero non avrebbe condiviso documenti, log o dettagli tecnici utili a valutare l’effettiva portata del trattamento dei dati. Una carenza di trasparenza che, a ben vedere, non rappresenta un episodio isolato.

Già nel 2022, il Garante della privacy tedesco aveva sollevato dubbi sulla compatibilità di Microsoft 365 Education con le normative europee, evidenziando in particolare la scarsa chiarezza nella gestione dei dati personali. All’epoca, si era cercato di intavolare una discussione con Microsoft al fine di risolvere i punti più spinosi della faccenda, tuttavia l’Autorità ha ritenuto che le modifiche contrattuali apportate in seguito al confronto siano state minime e insufficienti, scarsamente accompagnate da azioni concrete. A seguito di tali criticità, il Land del Baden-Württemberg aveva deciso di sospendere l’uso di Microsoft 365 nelle scuole pubbliche fino a quando il servizio non fosse stato reso pienamente conforme al GDPR.

La superficialità dimostrata delle istituzioni, pubbliche e private, nei confronti di piattaforme come Microsoft 365 Education è in parte riconducibile al contesto emergenziale della pandemia del 2020. Con la didattica in presenza sospesa, molte scuole si erano affidate in tempi rapidi ai grandi fornitori di servizi cloud, accettando condizioni contrattuali poco trasparenti pur di garantire la continuità dell’insegnamento. Microsoft si era di fatto scrollata di dosso gli oneri derivanti la gestione dei dati, subappaltando il compito ai singoli istituti. Un patto faustiano che ha trasferito alle scuole responsabilità spesso superiori alle loro capacità tecniche e organizzative

Considerando che in Italia circa il 90% degli edifici scolastici non possiede tutte le certificazioni di sicurezza obbligatorie, è facile infatti intuire come molti istituti – compresi quelli austriaci – non fossero attrezzati per gestire in modo pienamente conforme questioni complesse di protezione dei dati. Per avere un metro di paragone del compito che viene chiesto alle scuole, basti pensare che, in passato, neppure le istituzioni europee sono riuscite a soddisfare simili requisiti. Nel 2024 il Garante europeo della protezione dei dati (EDPS) ha infatti contestato alla Commissione Europea violazioni del GDPR nell’uso dei servizi cloud Microsoft 365, imponendo alla classe politica delle misure correttive per riportare l’utilizzo del servizio entro i limiti di legge.

L’indagine austriaca mira ora a chiarire la destinazione e l’uso dei dati raccolti tramite Microsoft 365 Education, un aspetto su cui le scuole non dispongono di elementi sufficienti e su cui l’azienda ha finora evitato di fornire risposte dettagliate. In tal senso, l’Autorità ha imposto alla Big Tech di fornire le informazioni richieste entro quattro settimane, così da definire meglio i fini commerciali che si sono sviluppati attorno alla vicenda.

La decisione del Garante austriaco è stata accolta con favore da noyb, l’organizzazione non governativa fondata da Max Schrems, che aveva presentato i reclami iniziali. Il gruppo ha sottolineato come l’azione del DSB rappresenti un passo importante verso una più equa distribuzione delle responsabilità nella catena digitale, contrastando l’idea che il peso della conformità ricada sempre sugli attori più deboli, come, per esempio, le scuole. È inoltre significativo che l’indagine sia portata avanti da un’autorità diversa da quella irlandese, storicamente competente per molte Big Tech statunitensi. La crescente insoddisfazione verso il Data Protection Commission irlandese (DPC), accusato di lentezza e scarso rigore, sta infatti spingendo altri garanti europei ad assumere un ruolo più attivo nei procedimenti transfrontalieri.

Guida autonoma di Tesla sotto indagine per incidenti mortali e frenate fantasma

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È stata aperta un’inchiesta per esaminare casi di “frenate fantasma” e incidenti con esiti mortali che coinvolgono vetture Tesla in modalità autonoma. Nei dati raccolti emergono migliaia di reclami: oltre 2.400 segnalazioni per accelerazioni involontarie e almeno 1.500 per problemi di frenata, fra cui 139 episodi riconducibili a bruschi arresti inspiegabili. L’attenzione degli inquirenti si concentra su quasi 2,9 milioni di veicoli dotati del sistema Autopilot che, in alcuni casi, avrebbe agito in autonomia con comportamenti pericolosi. Alcuni incidenti già noti – inclusi almeno 13 morti in un triennio secondo documenti del Guardian – vengono riesaminati alla luce di queste anomalie sistemiche. Le autorità intendono chiarire se difetti tecnici, algoritmi mal progettati o gestione dei dati abbiano contribuito ai sinistri e valutare eventuali responsabilità legali verso il costruttore americano.

María Corina Machado: biografia della golpista filo-americana che ha vinto il Nobel per la Pace

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L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2025 a María Corina Machado è stata accolta con favore da molte personalità di spicco e politici all’interno dell’UE, ma ha aperto un dibattito politico e mediatico. La leader dell’opposizione venezuelana, premiata per i suoi sforzi «a favore della democrazia e dei diritti umani», descritta dal Comitato norvegese come «una coraggiosa e impegnata paladina della pace», che mantiene accesa «la fiamma della democrazia in mezzo a un’oscurità crescente», viene celebrata in Occidente come simbolo della resistenza al chavismo. Lungi dall’essere pacifista, però, Machado è una golpista filo-americana, che non ha esitato a ricorrere alla violenza e a richiedere interventi esterni contro il suo Paese, collocandosi nella costellazione delle forze politiche della destra radicale che contemplano l’uso della pressione esterna come leva per il regime change venezuelano.

Un premio per “procura”

Il Nobel a Machado, più che un tributo alla pace, appare, inoltre, come un gesto politico dell’Occidente verso Caracas e, indirettamente, verso Washington, sebbene formalmente la Casa Bianca abbia criticato la decisione, con Donald Trump che sperava di ricevere il premio. Secondo alcuni osservatori, infatti, si sarebbe trattato di una vittoria “per procura” per il presidente statunitense, che lei stessa nell’aprile 2024, in un’intervista a Estadão, ha definito «un alleato costante» della causa venezuelana. Proveniente dall’ala più radicale dell’opposizione venezuelana, María Corina Machado si è distinta nel tempo per le sue posizioni estreme, arrivando in passato a sostenere anche la necessità di un intervento militare per rovesciare il governo di Nicolás Maduro.

Una golpista sotto l’ombrello di Washington

La sua figura emerse già durante il fallito colpo di Stato dell’aprile 2002 contro Hugo Chávez, quando partecipò attivamente alle proteste e fu tra i civili che firmarono il decreto di Pedro Carmona, con cui si tentò di sciogliere le istituzioni democratiche e instaurare un governo provvisorio. Quel gesto la collocò tra i protagonisti del tentativo di golpe, sostenuto da settori imprenditoriali e con l’appoggio implicito degli Stati Uniti. Da allora, Machado è rimasta un punto di riferimento della destra radicale venezuelana, filo-occidentale e apertamente contraria a ogni forma di compromesso politico, assumendo posizioni incompatibili con i princìpi di dialogo, sovranità e non interferenza che un riconoscimento dedicato alla pace dovrebbe invece rappresentare.

Súmate e i finanziamenti del NED

María Corina Machado Parisca è nata a Caracas il 7 ottobre 1967, da una famiglia benestante e legata all’élite venezuelana. Ha studiato ingegneria industriale e poi finanza, e si è avvicinata alla politica fondando nel 2002 insieme all’ingegnere Alejandro Plaz l’organizzazione “civica” di monitoraggio elettorale e la promozione della partecipazione democratica in Venezuela Súmate. Presentata ufficialmente come un’ONG apartitica, Súmate è in realtà divenuta presto un potente strumento politico dell’opposizione anti-chavista. L’associazione ottenne notorietà internazionale nel 2004 quando organizzò la raccolta firme per il referendum revocatorio contro Hugo Chávez. In quell’occasione, emersero i legami finanziari con il National Endowment for Democracy (NED), l’ente statunitense che da decenni finanzia progetti di “promozione della democrazia” all’estero, spesso in contesti geopoliticamente sensibili. Documenti pubblici del NED confermano un finanziamento di circa 53.400 dollari a Súmate per «programmi di educazione elettorale» e «partecipazione civica», ma il governo venezuelano denunciò l’operazione come un tentativo di ingerenza politica diretta. Rapporti d’analisi suggeriscono che il NED, oltre a finanziare Súmate, abbia sostenuto altre organizzazioni dell’opposizione venezuelana, servizi d’informazione e campagne politiche indirette, contribuendo a una rete di supporto esterno alla dissidenza.

L’accusa di cospirazione

Nel 2005, Machado e Plaz furono incriminati per “cospirazione” e “ricezione di fondi esteri illegali”, poiché la Costituzione venezuelana vieta il finanziamento straniero a iniziative di carattere politico. Il NED, da parte sua, difese l’operazione come un normale sostegno alla società civile, mentre Washington accusò Caracas di «criminalizzare l’attivismo democratico». Analisti indipendenti e inchieste giornalistiche hanno mostrato come i progetti del NED in Venezuela abbiano storicamente agito in sinergia con le strategie di destabilizzazione del Dipartimento di Stato. Súmate, pur definendosi “neutrale”, ha operato in costante opposizione al chavismo, promuovendo azioni che hanno avuto un chiaro impatto politico. Di fatto, l’associazione ha rappresentato il trampolino di lancio per l’ascesa pubblica di Machado e il suo consolidarsi come riferimento dell’ala filo-americana e neoliberale dell’opposizione venezuelana. Apertamente anticomunista, nel 2011 è stata eletta deputata nazionale, restando fino al 2014. Uno dei volti visibili dell’opposizione venezuelana nelle manifestazioni del febbraio 2014, chiamate La Salida, nel marzo dello stesso anno è stata rimossa dall’incarico di deputata, per la presunta flagrante violazione degli articoli 149 e 191 della Costituzione del Venezuela del 1999, dopo aver accettato l’incarico di “ambasciatore supplente” di Panama presso l’Organizzazione degli Stati Americani. Nel maggio 2014, un alto funzionario del governo venezuelano, Jorge Rodríguez, ha presentato accuse di un complotto da parte di politici e funzionari dell’opposizione, tra cui la stessa Machado, per rovesciare il governo di Nicolás Maduro.

L’ascesa di Machado

Con il tempo, si è affermata come una delle figure più visibili dell’opposizione anti-chavismo. Nel 2023 si è candidata alle primarie dell’opposizione e ha ottenuto l’investitura, ma poco dopo è stata esclusa dalla vita politica: Contraloría General de la República – l’organo supremo di controllo contabile e amministrativo dello Stato venezuelano – l’ha dichiarata ineleggibile per quindici anni, una misura che le ha impedito formalmente di partecipare al voto, con accuse di finanziare attività contro lo Stato e collusione con atti connessi a Juan Guaidó. Di fatto, il suo campo d’azione è diventato la mobilitazione esterna sempre sotto l’ombrello di Washington, gli appelli internazionali, la denuncia continua del governo di Maduro. Nel 2023, ha vinto le primarie dell’opposizione in vista delle presidenziali, ma le autorità elettorali le hanno impedito la candidatura. Machado ha, quindi, guidato la campagna per il candidato Edmundo Gonzalez Urrutia. Nel 2024 il Parlamento europeo ha assegnato a Machado e Urrutia il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.

L’arma della destabilizzazione

Il Comitato norvegese ha motivato il premio «per il suo lavoro instancabile nella promozione dei diritti democratici in Venezuela e per la transizione giusta e pacifica da una dittatura a una democrazia», ma non si può ignorare il suo orientamento ideologico: Machado è di fatto una golpista che ha invocato più volte l’intervento di Washington contro il suo Paese. In Spagna, il partito Podemos ha denunciato che assegnare il Nobel della Pace a Machado equivale a premiare «golpisti e criminali di guerra». La portavoce Ione Belarra ha affermato che il riconoscimento indebolisce il prestigio dell’istituto Nobel se viene destinato a chi, secondo lei, ha una storia politica che non esclude l’uso della destabilizzazione. L’ex leader Pablo Iglesias è andato più lontano, affermando che Machado «da anni tenta un golpe di Stato in Venezuela». I suoi detrattori, infatti, accusano Machado di aver promosso, direttamente o indirettamente, strategie rivolte alla destabilizzazione del governo di Nicolás Maduro, fino a essere considerata una figura disposta a ricorrere a meccanismi esterni per ottenere il cambio di regime, compreso il ricorso ad azioni violente contro il Palacio de Miraflores, provocazioni con morti e feriti e assalti da presentare come atti legittimi di rivolta, utili a giustificare un intervento internazionale.

Le sanzioni come metodo di pressione

Machado ha anche sostenuto apertamente l’uso delle sanzioni economiche contro il regime venezuelano, convinta che esse siano uno strumento indispensabile per esercitare pressione, sebbene le sanzioni siano un’arma che danneggia la popolazione civile e una modalità d’ingerenza esterna. Secondo Caracas, le sue posizioni favoriscono da tempo la linea statunitense di isolamento del Venezuela. Nel 2024 il governo ha avviato un’indagine contro di lei per “tradimento alla patria” e “cospirazione con Paesi stranieri”, accusandola di appoggiare una legge del Congresso USA che proibisce contratti con entità venezuelane. Machado è legata al “Comando Con Venezuela” (Con Vzla), piattaforma che ha coordinato la sua candidatura e le attività elettorali (anche dall’estero) quando lei è stata inabilitata. Il governo venezuelano accusa tale struttura di operare come una cabina politica di orientamento esterno, vista come un mezzo per influenzare dall’estero il processo elettorale venezuelano.

Un piano di restaurazione neoliberista

L’attivista venezuelana sostiene, inoltre, un piano di privatizzazioni massiccio che prevede la riduzione del ruolo statale, l’apertura al libero mercato e la forte partecipazione delle sanzioni internazionali come strumento di pressione sul regime chavista. In altre parole, è una leader di destra che propone la restaurazione neoliberista come alternativa al chavismo. La sua vicinanza alle politiche statunitensi non si limita alle idee: nel 2005 visitò la Casa Bianca e venne accolta come paladina della democrazia contro il regime venezuelano, ricevendo il sostegno implicito dell’amministrazione Bush. Più recentemente, nel 2018, è circolata una lettera controversa che la vedeva chiedere a Benjamin Netanyahu, allora primo ministro israeliano, un intervento di «forza e influenza» contro il governo venezuelano. Parallelamente, Machado ha tessuto rapporti con Javier Milei, il presidente argentino ultraliberista. Nell’agosto di quest’anno lo ha ringraziato pubblicamente per il suo sostegno alla causa venezuelana. Questo tipo di alleanza è già di per sé un segnale politico: la rete internazionale di Machado è costruita sul filo della retorica antiautoritaria, ma con un’agenda economica ferocemente neoliberista.

Un Nobel per compiacere Trump

La scelta del Nobel cade in un contesto globale instabile, con scontri ideologici tra blocchi e un riemergere dell’America Latina come terreno di contesa. Molti analisti suggeriscono che il Comitato del premio abbia voluto evitare l’effetto boomerang di assegnare il premio direttamente al presidente USA, ma abbia scelto un’alternativa che potesse comunque fungere da pedina simbolica nel suo ecosistema politico. Nei media americani si è parlato apertamente di un «rimbalzo simbolico»: il riconoscimento non è andato direttamente a Trump, ma a una figura sostenuta dall’amministrazione USA attuale che, proprio di recente attraverso le parole Marco Rubio, ha ribadito di considerare “illegittimo” il governo di Maduro. La decisione del comitato norvegese ha il chiaro sapore del gesto politico: in un’epoca segnata da guerre geograficamente distanti, da pressioni statunitensi in America Latina camuffate da lotta al narcotraffico e dalla polarizzazione tra blocchi internazionali, Machado diventa l’immagine presentabile dell’opposizione golpista, il volto scelto per una manovra ideologica che intreccia Stati Uniti, destra radicale latino-americana, neoliberismo e nuove forme di ingerenza ibrida.

Italia, produzione industriale in calo: agosto segna -2,7%

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Ad agosto 2025 la produzione industriale italiana è diminuita del 2,7% rispetto allo stesso mese del 2024, segnando il ventinovesimo calo negli ultimi trentuno mesi. Su base mensile, la flessione è del 2,4% rispetto a luglio, mentre nella media del trimestre giugno-agosto la produzione registra un arretramento dello 0,6% rispetto ai tre mesi precedenti. Da inizio anno il bilancio complessivo mostra una contrazione dell’1% rispetto al 2024. Ancora più evidente è il confronto con agosto 2022, quando la produzione era su livelli più alti di circa l’11%, prima dell’avvio della lunga fase negativa che continua a caratterizzare l’industria italiana. Il calo riguarda quasi tutti i comparti: energia, beni di consumo, beni intermedi e beni strumentali mostrano andamenti in flessione. In particolare, il settore energetico subisce una delle perdite più consistenti, mentre i beni strumentali e intermedi limitano parzialmente la discesa. Resistono invece alcune nicchie di crescita, come la produzione farmaceutica di base e la fabbricazione di mezzi di trasporto, che registrano incrementi rispettivamente del 16% e del 10% su base annua.

Dal Valsusa si parte e si torna insieme, anche per la Palestina

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Un milione. Un milione di corpi in movimento, di bandiere, striscioni, messaggi a pennarello su pezzi di cartone. Un milione di voci che scandiscono slogan per la Palestina, nacchere e tamburi, canzoni (ho risentito con gioia e meraviglia canti che vengono da lontano, dagli anni ribelli della mia gioventù e dalle lotte operaie e contadine dei miei padri proletari). Milioni e milioni di passi lungo i viali della Roma imperiale, a cui sono giunti i ribelli delle periferie sociali di tutto il Paese. C’è anche la nostra Valle, anch’essa ridotta a periferia dal sistema violento e folle che sulla guerra agli esseri umani e alla natura fonda il proprio dominio e la propria esistenza.

Si cammina al fianco della Palestina e della sua resistenza, contro il massacro che, a partire dalle morti bambine, sta annientando quel popolo e la sua terra.

Si cammina contro i governi del mondo – governo italiano in primis – che o stanno dichiaratamente dalla parte di Israele o nulla di concreto stanno facendo per fermare il genocidio, perché gli interessi che li legano a Israele e al sistema USA – NATO sono più forti di ogni sia pur minimo senso di umanità.

A ribellarsi sono i popoli del mondo: una solidarietà e una lotta che si risvegliano perché si è capito che la Palestina è ovunque e che, lottando per quel popolo che il capitalismo da sempre vuole annientare, si lotta per se stessi.

Nel dolcissimo ottobre romano le tinte accese dell’autunno si mescolano al fiume di suoni e di colori che avanzano verso il centro. In tanto splendore stona il muro cupo di divise e blindati che sbarrano le vie laterali, il ronzio degli elicotteri, i droni che contendono il cielo al volo dei gabbiani.

Ed eccoci al Colosseo. Il tramonto inonda di rosso le antiche mura, le gradinate su cui i proletari dell’epoca sedevano, ammansiti con la ricetta del “panem et circenses”….Quanto sangue avrà conosciuto l’arena…sangue di gladiatori , schiavi costretti ad uccidere altri schiavi….sangue di leoni, tigri, elefanti, animali strappati alla terra natia per venire a morire al centro dell’impero.

Quando arriviamo a piazza San Giovanni, è ormai buio. Gli interventi conclusivi sono finiti da un pezzo. Mentre sta sfilando la coda del corteo, arriva la notizia di cariche poliziesche e di fermati.

Nella notte sirene di ambulanze e di cellulari. In piazza santa Maria Maggiore la polizia in assetto antisommossa fronteggia un gruppo di manifestanti accorsi a sostegno dei compagni fermati. Sono giovani e giovanissimi, ragazzini, gli stessi che in ogni città continuano la mobilitazione in nome dei diritti negati. Ragazzini come quelli di Gaza che anche in questo momento stanno morendo di bombe e di fame.

Mentre ci spostiamo verso Termini in cerca di una metropolitana , incappiamo nell’ennesima carica appoggiata da idranti e lacrimogeni.

Gli agenti braccano i manifestanti lungo le vie della movida: fa un certo effetto sentire il morso acre dei lacrimogeni arrivato fino ai tavoli delle trattorie, tra le code alla vaccinara, i tonnarelli cacio e pepe e il “vino de li castelli”, a disturbare il rito indifferente del sabato sera…

Ma ecco piazza della Repubblica, la metropolitana affollata di bandiere, kefie, saluti, richiami…

Si corre veloci in direzione Anagnina, dove ritroveremo i compagni e il pullman per il rientro a casa. Ci aspetta una lunga notte di viaggio verso la Valle, là dove la lotta continua. Come sempre, in Val di Susa, si parte e si torna insieme.