giovedì 20 Novembre 2025
Home Blog Pagina 48

L’allarme del fondatore di Telegram: l’internet libero sta per finire

3

«Sto per compiere 41 anni, ma non ho voglia di festeggiare. La nostra generazione sta esaurendo il tempo per salvare l’Internet libero costruito per noi dai nostri padri». Con queste parole Pavel Durov ha scelto di trasformare il giorno del suo compleanno in un monito pubblico. Niente auguri, nessuna celebrazione: il fondatore di Telegram lancia un allarme evocando un futuro in cui il tempo per salvare la libertà digitale sta per esaurirsi. Il richiamo non è rindirizzato solo ai colleghi delle Big Tech: è un appello globale rivolto a chiunque usi la rete, in tutti i continenti, prima che quello che consideravamo un diritto si trasformi in uno strumento di sorveglianza di massa. Quella che un tempo era la promessa di uno scambio di informazioni orizzontale, libero da confini e controlli, si sta oggi trasformando – secondo Durov – «nel più potente strumento di controllo mai creato».

Nei messaggi diffusi via Telegram e sul suo profilo X, Durov denuncia che Paesi che un tempo si definivano “liberi” stanno imboccando vie che sembrano uscite da romanzi distopici. La difesa della privacy, per lui, non è però solo tecnica, è anche politica e culturale. Telegram nasce, infatti, dalla libertà di pensiero dei fratelli Durov (celebre la frase di Pavel: «Preferisco morire anziché permettere a terzi di accedere ai messaggi privati su Telegram), con l’obiettivo di poter creare una piattaforma dove le comunicazioni potessero essere sicure e private, ma soprattutto libere dall’ingerenza politica. Telegram è la prima app a usare la crittografia end-to-end, ha sparso i data center in tutto il mondo e ha scelto come sede centrale Dubai. Sulla base della sua visione della libertà digitale, Durov ha criticato apertamente il Chat Control europeo, i sistemi di identificazione digitale e i controlli sull’età online. Per lui, la privacy è un diritto umano fondamentale e ogni legge o misura che la riduca rappresenta un passo verso Internet controllato e sorvegliato. E snocciola alcuni esempi: l’implementazione del sistema di identità digitale nel Regno Unito, i controlli obbligatori sull’età in Rete in Australia, la scansione di massa dei messaggi privati nel contesto europeo. Avverte che la Germania sanziona chi critica funzionari via web, che il Regno Unito procede a incarcerazioni per un tweet e che la Francia avvia indagini penali contro leader digitali che difendono privacy e libertà. Un mosaico in cui il controllo statale si estende, la dissidenza viene criminalizzata e la rete diventa un recinto.

Le sue parole assumono un peso ancora maggiore dopo le recenti vicende giudiziarie che lo hanno visto protagonista lo scorso anno. La sera del 24 agosto 2024, appena atterrato con il suo jet privato all’aeroporto di Le Bourget, l’imprenditore russo con cittadinanza nevisiana, francese ed emiratina, è stato arrestato dalla gendarmerie con dodici accuse a suo carico: dalla complicità nella diffusione di materiale pedopornografico al traffico di droga, dall’omessa collaborazione con le autorità alla fornitura di strumenti di crittografia “fuori standard”. La notizia ha fatto il giro del mondo, gettando nello scompiglio i media, dividendo l’opinione pubblica e scuotendo le fondamenta delle Big Tech: che sia solo l’inizio di una operazione di rastrellamento degli imprenditori digitali divergenti? Il suo arresto rappresenta uno spartiacque per la libertà di espressione: si inserisce in un contesto più ampio di quei tentativi sempre più aggressivi da parte dei governi di soffocare ogni voce libera o dissidente. Il nodo centrale dell’indagine era stata la mancata moderazione dei contenuti su Telegram e la scarsa cooperazione con le forze dell’ordine. Per Durov, però, l’inchiesta rappresenta qualcosa di più: il segnale che persino in Occidente la libertà digitale è ormai vista come una minaccia. Il paradosso è che con il suo arresto non è stato perseguitato da un regime autoritario, ma da un Paese – la Francia – che si proclama culla dei diritti umani. A evidenziare l’anomalia è stato persino il Cremlino, con cui non sono mai corsi buoni rapporti: «Le accuse sono gravi e richiedono prove solide – ha dichiarato il portavoce Dmitrij Peskov – altrimenti sarà evidente che si tratta di un tentativo di intimidazione». Durov non è nuovo a scontri con i governi. Nel 2014 rifiutò di consegnare al governo federale russo i dati personali di un gruppo attivo su VK, che protestava apertamente contro Putin, scegliendo l’esilio. Lo scopo principale del CEO, infatti, era quello di avere la massima libertà da ogni costrizione politica. La sua piattaforma doveva poter non essere controllata, perché la sua filosofia vede un sistema di comunicazione privo di regolamentazioni, moderazioni e costrizioni.

Il suo allarme, oggi, a più di un anno dal suo arresto e rilascio, non nasce dal vuoto e appare come il manifesto di un’epoca in bilico: Telegram è sempre stato un simbolo, per molti, di comunicazione libera e cifrata. Il suo messaggio funziona da catalizzatore: spinge a mettere al centro il tema della sovranità digitale, della trasparenza normativa, della governance della rete. Se l’Internet libero è davvero in pericolo, non si tratta di difendere un’idea astratta, ma una condizione essenziale per la democrazia contemporanea e la sopravvivenza stessa del pensiero critico. Dietro l’atlante delle presunte violazioni si innesta, infatti, un’idea di battaglia civile, un invito alla resistenza digitale. Durov sostiene che la generazione attuale rischia di passare alla storia come l’ultima che ha conosciuto la libertà, quella che ha permesso che le sue stesse libertà venissero progressivamente tolte. «Un mondo oscuro e distopico si avvicina rapidamente – mentre noi dormiamo», scrive. Non è solo una denuncia, ma un’esortazione implicita: mobilitarsi, creare infrastrutture di resistenza, difendere strumenti cifrati, sostenere modelli decentralizzati, fare della privacy un tema non tecnico ma politico. Tra poteri che reclamano l’accesso totale ai dati e cittadini sempre più sorvegliati, la rete rischia di smettere di essere un luogo di libertà per diventare il più sofisticato sistema di controllo globale. Durov invita a scegliere da che parte stare: è un richiamo all’azione, perché il tempo a disposizione resta poco e ogni tentennamento rischia di accelerare la corsa verso la distopia.

Processo Morandi, richiesta condanna di 18 anni e 6 mesi per Castellucci

0

A oltre sette anni dalla tragedia del crollo del ponte Morandi, la Procura fa le sue richieste di condanna nei confronti dei 57 imputati. Nel corso della requisitoria che si è protratta per mesi, il pm Walter Cotugno ha chiuso l’istruttoria chiedendo per l’ex amministratore delegato di Autostrade Giovanni Castellucci, già in carcere dopo la sentenza sulla strage di Avellino, una pena di 18 anni e 6 mesi, il massimo previsto dalla legge. La Procura ha motivato la richiesta sostenendo che “tutti gli indicatori per lui sono negativi”, definendo il caso un modello di dolo eventuale. La difesa di Castellucci ha replicato dichiarando che l’ormai detenuto dirigente si trova “in carcere da innocente”, chiedendo rigore nelle valutazioni processuali e sottolineando la sua estraneità alle nuove imputazioni. A Genova, con la tragedia che costò la vita a 43 persone, le prossime udienze saranno decisive per definire le richieste di pena anche per gli altri 56 imputati. A processo ci sono ex dirigenti e tecnici appunto di Aspi, dell’allora società gemella Spea, ma anche del ministero delle Infrastrutture.

I paradisi fiscali nel cuore dell’Europa

4

Ogni anno, miliardi di euro sottratti alla tassazione pubblica drenano risorse vitali per sanità, istruzione e infrastrutture. Dietro questo fenomeno non ci sono solo le esotiche isole tropicali, ma un’intricata rete di paradisi fiscali che prospera nel cuore stesso del mondo occidentale: Europa e Stati Uniti. Giurisdizioni caratterizzate da segretezza, legislazioni fiscali permissive e controlli minimi e inefficaci minano la sovranità fiscale degli Stati, distorcono la concorrenza e alimentano disuguaglianze crescenti in un sistema già di per sé diseguale.
Geografie dell’elusione 
Nel 20...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Sarkozy in carcere a Parigi dal 21 ottobre per la condanna a 5 anni

0

L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy entrerà nel carcere parigino di La Santé il 21 ottobre per scontare cinque anni di reclusione, tre dei quali effettivi, per associazione per delinquere in relazione ai tentativi di ottenere tangenti dal regime libico di Muammar Gheddafi per la sua campagna elettorale, vincente, del 2007. Si tratta del primo ex capo di Stato dell’Unione europea che finisce in cella per una condanna, anche se non definitiva. La Corte ha disposto l’esecuzione immediata della pena, definendo i fatti di “gravità eccezionale”. I legali preparano la richiesta di libertà provvisoria, la Corte d’Appello avrà due mesi per rispondere. Nel caso la domanda sia respinta, Sarkozy potrà presentare altre richieste identiche. 

Droni e cecchini sui tetti: Udine militarizzata per la partita Italia-Israele

5

È una Udine completamente blindata quella che oggi si appresta a ospitare l’incontro valido per la qualificazione ai campionati mondiali di calcio Italia-Israele. Per l’occasione, sono comparsi segnali stradali temporanei, con segnati divieti di sosta e di transito, avvisi affissi sui parabrezza delle auto con su scritto «qui non si può stare» e chiuse diverse strade che portano allo Stadio Friuli, dove si disputerà l’incontro. Tuttavia, a mutare non sarà solo la viabilità cittadina: pare infatti che le forze dell’ordine si siano munite di droni, e che abbiano dispiegato anche dei cecchini sul tetto di un albergo. il centrodestra ha lanciato un appello al sindaco per vietare il corteo, che dovrebbe mobilitare almeno 10 mila persone, ma per il momento le istituzioni non hanno adottato misure in tal senso.

«Se Israele e Hamas sono stati capaci di deporre le armi, i manifestanti siano capaci di deporre megafoni e striscioni», si legge nell’appello firmato dal centrodestra, che definisce le manifestazioni contro l’occupazione israeliana e il genocidio palestinese avvenute nel resto d’Italia incitazioni «all’odio verso un altro popolo». Tuttavia, a giudicare dalle indicazioni sul sito del Comune, dove sono indicate le modifiche alla circolazione stradale volte a garantire «lo svolgimento del corteo», lasciano intendere che le istituzioni non abbiano intenzione di ostacolare la protesta. D’altronde, la manifestazione si svolgerà ben lontano dallo stadio, analogamente allo scorso anno, quando, in corrispondenza del medesimo evento, il Comune aveva imposto il divieto assoluto di avvicinarsi allo stadio e istituito una zona rossa militarizzata attorno all’impianto. Come lo scorso anno, il traffico in via Candolini è stato limitato già a partire dalle 12 di sabato 11 ottobre e sarà interdetto fino alle 12 di domani, mercoledì 15. Alcuni accessi alla stessa via, come il sottopasso di via Bottechia, saranno anch’essi chiusi. Interdetta la circolazione anche in viale Ledra e via Bezzeca, in tutto il tratto intorno all’Hotel Friuli, il quale ospiterà la nazionale israeliana, mentre la sosta è vietata nella zona di via Moretti, via Fiore dei Liberi e via Muratti Moretti, tutte e tre intorno al perimetro dell’hotel.

E nonostante in alcune interviste il sindaco abbia dichiarato che «tutte le manifestazioni che sono avvenute a Udine sono pacifiche», comitati e quotidiani locali denunciano una città militarizzata, con elicotteri che la sorvolano in continuazione, droni e cecchini sui tetti. Una foto del quotidiano locale Udine Today mostra proprio quello che sembra essere un tiratore scelto sul tetto dell’Hotel Friuli. Nonostante la smentita del governo, non si esclude nemmeno del tutto la presenza di agenti in borghese del Mossad, come avvenuto in altre manifestazioni pubbliche, al fine di tutelare i cittadini israeliani. Secondo il quotidiano, saranno anche effettuate operazioni di controllo già a notevole distanza dalla struttura e chiunque si avvicinerà allo stadio sarà sottoposto a controlli.

Un tiratore scelto sul tetto dell’Hotel Friuli. Credits: UdineToday

«Alla moltitudine che ha deciso di essere solidale al popolo palestinese, che ha chiesto di non giocare alla “partita della vergogna”, il governo risponde con barriere di cemento, varchi tra grate metalliche, militari con il fucile imbracciato, numerose forze di polizia, droni ed elicotteri» scrive il Comitato per la Palestina – Udine sui propri social, confermando l’appuntamento per stasera alle 17.30. «Il rumore sordo degli elicotteri che da ieri stanno pattugliando Udine non fa che ricordarci in maniera ancora più vivida l’orrore dell’occupazione israeliana e farci sentire ancora più vicini alla popolazione palestinese».

Verona: esplosione durante sgombero di un casolare, morti tre carabinieri

0

Durante lo sgombero di un casolare occupato a Castel d’Azzano (Verona), si è verificata un’esplosione che ha provocato la morte di tre carabinieri e il ferimento di altri 11 militari e 4 agenti delle Uopi (Unità operative di pronto intervento) della Polizia di Stato. L’edificio, un casolare di due piani satura di gas, è crollato travolgendo le forze dell’ordine al momento dell’irruzione. Secondo le prime ricostruzioni, una donna presente nell’immobile avrebbe attivato la deflagrazione. Due fratelli sarebbero stati fermati, mentre un terzo è attualmente in fuga. Si tratta di Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi, agricoltori e allevatori con problemi finanziarie ipotecari, già noti per due episodi con la stessa dinamica avvenuti un anno fa. I carabinieri intervenuti erano stati mobilitati in forze speciali per l’elevato rischio dell’operazione. La procura di Verona parla di “esito inaspettato e tragedia incredibile”.

La tartaruga verde non è più un animale in via di estinzione

0

La tartaruga verde è, almeno per ora, ufficialmente salva, in quanto dopo decenni trascorsi sull’orlo dell’estinzione è stata classificata da specie “in pericolo” a “minimo rischio”: è quanto emerge dai dati contenuti nella nuova Lista Rossa diramata dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), i quali secondo gli esperti dettagliano una “svolta storica” e “una grande vittoria” per la conservazione, frutto di cinquant’anni di sforzi globali per proteggerla dalla caccia e dalla distruzione degli habitat. In passato, infatti, le tartarughe verdi erano prede molto ambite: ...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Amministrative: in Toscana vince il centrosinistra affluenza al-15%

0

Con 2667 sezioni scrutinate su 3922, il risultato delle elezioni in Toscana è ormai certo: ha vinto il centrosinistra. Le proiezioni danno il candidato Eugenio Giani, sostenuto dal campo largo, al 53,94%, contro il 40,90% del candidato governativo Alessandro Tomasi. Giani, presidente uscente della Regione, verrà riconfermato governatore della Toscana. Particolarmente alto il tasso di astensionismo, che ha toccato il picco del 52,28%. All’ultima tornata, si era fermato al 37,40%.

Tajani si appropria del bambino di Gaza che sventola il tricolore e rimedia una figuraccia

6

Dopo lo sciopero generale del 22 settembre e le manifestazioni per la Palestina che lo hanno seguito, la solidarietà italiana al popolo palestinese è arrivata nella stessa Gaza, dove nei giorni sono stati girati diversi video di ringraziamento ai cittadini italiani. Un’occasione ghiotta per il governo che si è rapidamente appropriato del riconoscimento del popolo palestinese: Tajani ha infatti condiviso su Instagram un video del Gaza Skate Team, progetto umanitario e sportivo attivo nella Striscia, che mostrava un bambino sventolare il tricolore come segno di gratitudine al popolo italiano. «Il Tricolore sventola anche a Gaza», ha scritto Tajani. Segno di riconoscenza e gratitudine nei confronti di quello che ha fatto e farà l’Italia». Il post del vicepremier è arrivato anche all’autore del video, che ha chiesto al ministro di rimuoverlo e sottolineato che «il mio grazie è al popolo italiano, non al governo complice dell’occupazione». Nonostante le molteplici richieste di rimozione, il post rimane ancora online.

Il Gaza Skate Team è un progetto umanitario e sportivo della Striscia gestito da un gruppo di ragazzi palestinesi che insegnano ai bambini ad andare sullo skateboard e sui pattini; il gruppo promuove una raccolta fondi per i bambini gazawi e per la riparazione di uno skate park, e sembra avere contatti con analoghi gruppi di supporto alla popolazione palestinese attivi in Italia. Dopo le manifestazioni di fine settembre e inizio ottobre, i coordinatori dell’associazione hanno diffuso diversi video di ringraziamento al popolo italiano per il suo supporto contro il genocidio palestinese. Quello condiviso da Antonio Tajani mostrava uno dei ragazzi andare sui pattini mentre teneva in braccio un bambino che sventolava le bandiere della Palestina e dell’Italia una accanto all’altra; il video originale aveva in sottofondo una canzone della Banda Bassotti, noto gruppo musicale punk di sinistra: la canzone cita i partigiani, fa i nomi di noti rivoluzionari e rivendica la lotta dal basso “contro l’oppressore”, sostenendo che siamo tutti Figli della Stessa Rabbia; “Forte il braccio che alzerà la bandiera rossa della libertà/come chi combatte sui monti con le scarpe rotte quando fischia il vento”, recitano i versi che fanno da sottofondo musicale al video. Insomma, risulta difficile cadere in equivoco sul contenuto del messaggio.

Eppure Tajani sembra avercela fatta; oppure, come ben più probabile, avere deliberatamente manipolato il contenuto del video con fini propagandistici. Il ministro ha condiviso le immagini del Gaza Skate Team sostituendo il sottofondo musicale con una musica dai toni trionfali e rivendicato la solidarietà del popolo palestinese. Il giorno dopo sono arrivati i commenti dell’autore, uno in inglese e uno in italiano: «Ciao, questo video è mio e l’avete pubblicato senza il mio permesso. Per favore rimuovetelo oppure taggatemi chiaramente come autore originale. Se non viene fatto, sarò costretto a segnalarlo per violazione del copyright. Grazie per la comprensione». Le sue parole sono finite rapidamente in alto nella sezione dei commenti di Instagram, ma la squadra social di Tajani sembra non averle viste, se non ignorate. Gaza Skate Team ha quindi pubblicato un altro video di ringraziamento in cui questa volta specifica in maniera esplicita che la solidarietà del popolo palestinese va unicamente alle mobilitazioni dal basso, e non al governo; ha poi diffuso un altro video di chiarimento in cui ribadisce tale concetto.

La sezione dei commenti del post di Tajani, intanto, è impazzata di utenti che hanno chiesto al ministro di rimuovere il contenuto dalla propria bacheca, accusandolo di «sciacallaggio». Il video, tuttavia, resta ancora visibile, ed è addirittura uno dei post del ministro con il maggior numero di interazioni. Il caso del video del Gaza Skate Team è solo l’ultimo strafalcione dell’autodefinitosi «ministro degli Esteri più sfigato della storia», specialmente quando si tratta di Palestina. Negli ultimi mesi, il ministro ha collezionato una figuraccia dopo l’altra, sostenendo che «la Palestina non esiste», che le coste gazawi sono «territorio israeliano», e che «il diritto internazionale conta fino a un certo punto».

Slovacchia, scontro tra treni: 66 feriti

0

Nella giornata di oggi, lunedì 13 ottobre, due treni si sono scontrati nella Slovacchia orientale, facendo deragliare una locomotiva e un vagone e ferendo almeno 66 persone. L’incidente è avvenuto nei pressi di una galleria vicino al villaggio di Jablonov nad Turnou, circa 55 km a ovest di Košice, seconda città più popolosa del Paese. I servizi medici di emergenza del Paese hanno dichiarato che 16 persone hanno riportato ferite moderate o gravi e almeno 50 sono rimaste leggermente ferite. Sui treni erano presenti circa 80 passeggeri. Ignote ancora le cause dell’incidente.