venerdì 9 Maggio 2025
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Amsterdam, uomo accoltella 5 persone in centro: arrestato

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Un uomo ha accoltellato cinque persone nel centro di Amsterdam prima di essere successivamente arrestato, ha riferito la polizia olandese, aggiungendo che sono in corso le indagini sulla vicenda. L’aggressione è avvenuta questo pomeriggio, con gli agenti di polizia che sono giunti rapidamente sulla scena, fermando il sospettato. Le persone colpite – una coppia americana, un polacco, una donna belga e un’altra di Amsterdam -, sono state portate in ospedale da ambulanze ed elisoccorso e risultano in condizioni gravi. L’inchiesta sta cercando in queste ore di ricostruire il movente dietro all’aggressione.

La paradossale crisi delle uova negli Stati Uniti

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Da settimane, una nuova crisi sta mettendo in ginocchio la società statunitense: quella delle uova. A causa di una influenza aviaria, che ha costretto gli allevatori a uccidere milioni di pulcini, polli e galline, il prodotto alimentare simbolo del Paese a stelle e strisce sta infatti scomparendo dagli scaffali di tutti i supermercati, costringendo le persone a prendere misure alternative. C’è chi, dal Texas, è partito alla volta del Messico per acquistare scorte del prezioso alimento dai vicini di casa. Altri, invece, hanno preferito un approccio meno ortodosso, acquistando prodotti contrabbandati dallo stesso Messico o rapinando camion e grossisti di carichi dal valore di decine di migliaia di dollari. A finire in mezzo a questa psicosi collettiva è stata anche la stessa amministrazione statunitense, che è arrivata a lanciare appelli al resto del mondo, tra cui al nostro Veneto, per riportare le uova nelle case dei cittadini americani.

La carenza di uova negli Stati Uniti sta andando avanti almeno dall’inizio dell’anno, tanto che c’è chi ormai parla esplicitamente di una vera e propriacrisi”. A causarla è stato lo scoppio di una grave epidemia di aviaria. L’influenza aviaria ha infatti effetti disastrosi per i produttori: se viene scoperto anche un solo caso di contaminazione, le norme sanitarie degli Stati Uniti prevedono l’uccisione di tutto il pollame che potrebbe essere entrato in contatto con l’animale infetto. L’agenzia di stampa Associated Press, citando fonti governative, scrive che, per limitare la diffusione dell’aviaria, a gennaio erano stati macellati più di 23 milioni di uccelli, mentre a dicembre ne erano stati abbattuti più di 18 milioni. In totale, dall’inizio dell’epidemia, sarebbero stati uccisi più di 166 milioni di animali.

L’assenza di uova nel mercato ha portato a un’impennata nei prezzi senza precedenti. Secondo le statistiche dell’Ufficio Statistico statunitense, il prezzo delle uova è in aumento da giugno dell’anno scorso. Nei primi due mesi del 2025, il prezzo delle uova ha già superato due record storici, attestandosi a 4,953 dollari a gennaio e a 5,897 dollari a febbraio, con un picco giornaliero di 8,03 dollari registrato il 24 febbraio. Da allora, il prezzo è tornato a calare e, secondo i primi dati, sarebbe sceso sotto i 3 dollari, ma secondo gli analisti è destinato ad aumentare di nuovo. Il consumo di uova negli Stati Uniti, infatti, è particolarmente elevato. Secondo i più recenti dati, gli statunitensi consumano in media circa 284,4 uova a testa ogni anno. Questo dato comprende tutti gli abitanti residenti negli Stati Uniti, e dunque anche chi non mangia le uova per ragioni di età, dieta o motivi di salute. Intervistata dall’emittente Fox News, inoltre, la segretaria all’Agricoltura, Brooke Rollins, ha rimarcato che generalmente durante la Pasqua la domanda di uova aumenta e che probabilmente, vista la scarsità di uova nel mercato, aumenterà anche il prezzo del prodotto.

Davanti alla crisi, i cittadini statunitensi hanno fatto ricorso alle misure più fantasiose per procacciarsi le uova. A inizio febbraio, la BBC raccontava di un furto avvenuto in Pennsylvania, dove i ladri hanno preso di mira un camion di un grossista, sottraendo oltre 100.000 uova per un valore complessivo di 40.000 dollari. In generale, sembra siano aumentati anche i furti nelle fattorie locali. Oltre ai furti, è aumentato notevolmente anche il contrabbando. Da ottobre dello scorso anno, i tentativi di introdurre uova illegalmente sono aumentati del 36%. Nello stesso periodo, i sequestri di uova e prodotti legati al pollame sono stati dieci volte superiori rispetto a quelli di fentanyl.

L’amministrazione USA, dal canto suo, ha svelato un piano di 1,5 miliardi di dollari per combattere l’aumento dei prezzi delle uova, di cui 500 milioni destinati a misure di biosicurezza, 400 milioni agli agricoltori colpiti dall’aviaria e 100 milioni alla ricerca medica e sui vaccini contro la malattia. Nella stessa intervista a Fox News, Rollins ha anche affermato che l’amministrazione stava negoziando per importare tra 70 e 100 milioni di uova dall’estero. La prima richiesta è arrivata alla Danish Egg Association, e si è poi estesa ad altri Paesi europei. A metà marzo, dalla Turchia, sono partite circa 15.000 tonnellate di uova. Tra i Paesi a cui Washington ha spedito una richiesta di aiuto c’è anche l’Italia. «Sono arrivate molte richieste agli imprenditori agricoli veneti, da Verona a Padova» ha detto Michele Barbetta, presidente del settore avicolo di Confagricoltura Veneto, «ma anche noi siamo al limite con la produzione e non possiamo garantire un approvvigionamento».

[di Dario Lucisano]

Nel porto di Ravenna è stato sequestrato un carico di materiale militare diretto a Israele

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Un carico di oltre 13 tonnellate di componenti metallici destinati a Israele è stato sequestrato nel porto di Ravenna dall’Agenzia delle Dogane. Il sequestro, risalente al 4 febbraio scorso e convalidato dal Gip del Tribunale di Ravenna, riguarda centinaia di pezzi metallici grezzi, tra cui cilindri, lamiere e manovelle, per un valore complessivo di oltre 250mila euro. Questi materiali, secondo gli inquirenti, erano destinati alla società israeliana IMI Systems Ltd, specializzata nella produzione di armamenti per le forze armate. Nei prossimi giorni, il Tribunale del Riesame si pronuncerà sulla richiesta di dissequestro avanzata dall’azienda lecchese, mentre la rete antisionista e anticolonialista per la Palestina ha convocato per sabato prossimo un presidio a Piazza del Popolo, a Ravenna, per protestare contro i «traffici di morte» nei porti italiani e «ogni complicità» con Israele.

L’indagine ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di un imprenditore 57enne di Lecco, amministratore unico della Valforge srl, accusato di esportazione non autorizzata di materiale bellico. L’azienda lecchese, infatti, non risulta iscritta al Registro nazionale delle imprese autorizzate dal Ministero della Difesa e non dispone delle necessarie autorizzazioni per operare nel settore degli armamenti. Secondo la ricostruzione della Procura, la Valforge avrebbe agito come intermediaria, commissionando la produzione dei componenti a due aziende della provincia di Varese e inviandoli poi a Ravenna per l’imbarco. La difesa dell’imprenditore contesta l’accusa, sostenendo che i materiali sequestrati fossero semplici componenti metallici grezzi, privi di una chiara identificazione come parti di armamenti. Secondo l’avvocato dell’azienda, Luca Perego, la Valforge si sarebbe limitata a certificare la qualità dei materiali senza avere conoscenza della loro destinazione finale. Tuttavia, il fatto che il carico fosse diretto a IMI Systems, azienda esclusivamente impegnata nella produzione di armamenti, ha fatto emergere dubbi su tale ricostruzione.

Attivisti e associazioni pacifiste, tra cui il Coordinamento lecchese Stop al Genocidio e la campagna BDS, denunciano da tempo il coinvolgimento di aziende italiane nella fornitura di armamenti a Israele. Secondo queste organizzazioni, oltre alle esportazioni autorizzate e tracciate, vi sarebbero traffici paralleli di materiali che sfuggono ai controlli ufficiali, rendendo ancora più preoccupante il quadro complessivo. Evidenziando come, ormai da tempo, il Porto di Ravenna sia «un luogo dove la scarsissima trasparenza dei traffici rende possibile farlo diventare un Hub per il trasporto di armi, come gli altri scali portuali dell’Alto Adriatico, in particolare verso i teatri di guerra in Medio Oriente», i membri della Rete antisionista ed anticolonialista per la Palestina hanno indetto un presidio che si terrà in Piazza del Popolo, a Ravenna, alle ore 16 di sabato 29 marzo, con l’obiettivo di «denunciare con forza ogni complicità, a qualsiasi livello, del nostro Paese con Tel Aviv, e mettere in luce la pericolosa riconversione a fini bellici dell’apparato produttivo».

Il recente sequestro ha riportato l’attenzione sul porto di Ravenna come possibile snodo per il transito di forniture militari dirette in zone di conflitto. Non è la prima volta che il traffico di armi attraverso lo scalo romagnolo suscita polemiche. Già nel 2021, infatti, i sindacati del porto di Ravenna avevano proclamato uno sciopero per impedire il carico di armi dirette in Israele. Scene simili si erano viste anche a Livorno e Napoli, dove i dipendenti del porto avevano rifiutato di caricare navi che erano sospettate di trasportare armamenti verso Israele, per esprimere «vicinanza ai palestinesi, che da anni subiscono una spietata repressione». A Genova, invece, nel novembre del 2023 oltre 400 persone avevano risposto all’appello dei portuali contro l’invio di armi in Israele che transitano dal porto, presentandosi al blocco del varco di San Benigno e provocando disagi e deviazioni del traffico. Principale bersaglio della protesta è stato il trasporto di materiale bellico verso Tel Aviv da parte della compagnia marittima israeliana Zim Integrated Shipping Services (Zim). Poi, nel giugno del 2024, circa 800 persone erano tornate in presidio per bloccare i varchi portuali del capoluogo ligure in sostegno alla Palestina.

[di Stefano Baudino]

*Errata corrige: a differenza di quanto riportato in una precedente versione dell’articolo, il carico non era di armi ma di materiale militare.

La Polonia sospende le richieste di diritto d’asilo

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La Polonia ha sospeso temporaneamente il diritto dei migranti che arrivano in Polonia attraverso il confine con la Bielorussia di presentare richiesta di asilo. La nuova legge è stata annunciata dal primo ministro Donald Tusk e approvata dal presidente Andrzej Duda, e consente alle autorità di sospendere il diritto di asilo delle persone che rappresenterebbero una «minaccia seria e reale» per il Paese per 60 giorni alla volta. Essa prevede inoltre esenzioni per minori, donne incinte, individui con particolari esigenze sanitarie e rifugiati politici. La legge è stata promossa dal premier polacco, che accusa la Russia e la Bielorussia di usare i migranti come strumenti di una «guerra ibrida».

Dall’Egitto al Kuwait: il sogno imperialista della Grande Israele

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In Israele è diffusa l’idea che i confini attuali non siano accettabili come definitivi: l’ideologia sionista, insieme a una lettura radicale della Bibbia, alimentano la convinzione che la Grande Israele debba estendersi non solo contro ogni ipotesi di Stato palestinese, ma anche togliendo terre a Siria, Libano, Egitto e Giordania. E un nuovo rapporto dell’esercito rafforza questa ipotesi.
La commissione governativa guidata dall’ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale, Jacob Nagel, ha infatti reso pubblico il suo rapporto riguardo al futuro dell’IDF, l’esercito israeliano. Una delle princ...

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Milano amplia le zone rosse interdette a chi ha precedenti penali

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Il Comitato per l’ordine e la sicurezza di Milano ha deciso di introdurre tre nuove “zone rosse”, le aree interdette a chi ha precedenti penali o procedimenti pendenti. Le nuove aree designate sono, nel Comune di Milano, via Padova e Colonne di San Lorenzo, e, in quello di Rozzano, il quartiere dei Fiori. Esse vanno così ad aggiungersi alle stazioni ferroviarie di Centrale, Garibaldi e Rogoredo, e alle aree di Piazza Duomo e dei Navigli. Il Comitato ha inoltre stabilito una proroga della misura, che scadrà ora il 30 settembre. Essa prevede il divieto di stazionamento e l’allontanamento forzato dalle aree individuate a persone giudicate «pericolose», lasciando ampio margine di discrezionalità alle forze dell’ordine nell’identificazione dei soggetti da allontanare.

Dopo i primi tre mesi di applicazione, che hanno portato all’identificazione di oltre 132mila persone e all’emissione di 1.313 ordini di allontanamento, il Comitato ha stabilito di ampliare il perimetro delle zone rosse rispetto alle cinque aree già presidiate, tra cui la Stazione Centrale, i Navigli e il Duomo. Secondo i dati forniti dalla Prefettura, gli allontanamenti emessi nei primi mesi di applicazione si suddividono in 480 per reati contro il patrimonio, 377 per reati legati alla droga, 308 per reati contro la persona e 148 per altre fattispecie. Il prefetto Sgargaglia ha dichiarato che si è proceduto a individuare «ulteriori aree cittadine in cui svolgere analoghi servizi», dati i «risultati positivi ottenuti». L’ordinanza, tuttavia, resta al centro di un acceso dibattito. Se da un lato le istituzioni evidenziano la necessità di proteggere il tessuto urbano, dall’altro molte associazioni per i diritti civili e la Camera Penale di Milano hanno sollevato dubbi sulla compatibilità del provvedimento con le garanzie costituzionali, temendo discriminazioni nei confronti di determinate categorie di cittadini. La Costituzione italiana sancisce il principio della presunzione di innocenza, secondo cui ogni individuo è considerato innocente fino a prova contraria: l’ordinanza prefettizia è accusata di contravvenire a questo principio, applicando restrizioni basate su precedenti penali o semplici segnalazioni, senza una condanna attuale o una valutazione individuale del pericolo concreto. L’ordinanza utilizza termini generici come «soggetti molesti» o «atteggiamenti aggressivi»: una vaghezza che può facilmente condurre a interpretazioni arbitrarie e discriminazioni, compromettendo ulteriormente i diritti individuali.

A Milano, le “zone rosse” – che avevano già visto una loro prima applicazione a Firenze e Bologna, dove in 3 mesi erano stati 105 i soggetti destinatari di provvedimenti di allontanamento su 14mila persone controllate – sono state introdotte a partire dallo scorso capodanno. Inizialmente, esse erano state previste per un periodo di tre mesi. Contestualmente, il Viminale ha chiesto alle amministrazioni locali di tutta Italia di varare analoghe misure, con il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ha inviato una direttiva ai prefetti per spingerli ad adottare apposite ordinanze. Le “zone rosse” sono così nate anche a Roma, coprendo le aree di Termini, Tuscolano ed Esquilino, particolarmente interessate dal flusso di turisti per il Giubileo. Nella nota di Piantedosi si comunicava che i destinatari della misura sarebbero stati «soggetti pericolosi o con precedenti penali»: la possibilità di allontanare individui con precedenti figura però all’interno del DDL Sicurezzaprovvedimento che non ha ancora ottenuto il definitivo via libera dal Parlamento – che, come la stessa direttiva evidenzia, «reca un’ulteriore estensione del divieto di accesso a coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per delitti contro la persona o contro il patrimonio commessi nelle aree interne e nelle pertinenze di infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano». La fumosità della direttiva si coglie ancora meglio nel passaggio successivo, ove si legge che «la misura del divieto di accesso dovrà essere disposta ogni qual volta il comportamento del soggetto risulti concretamente indicativo del pericolo che la sua presenza può ingenerare per i fruitori della struttura».

[di Stefano Baudino]

Il DDL Sicurezza torna alla Camera per un errore di formulazione

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Il DDL Sicurezza tornerà alla Camera per una terza lettura a causa di un errore nelle coperture finanziarie. La Ragioneria generale dello Stato ha infatti notato come in sei articoli siano previsti stanziamenti a partire dal 2024. Davanti alle critiche dell’opposizione, la maggioranza ha rimarcato che la priorità è quella di approvare la misura il prima possibile. Il relatore del DDL, Marco Lisei (FDI), ha mostrato apertura per eventuali modifiche, mentre il forzista Maurizio Gasparri ha affermato che andrà solo fatto l’aggiustamento necessario. Il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, ha proposto una mera modifica alle coperture finanziarie per non tardarne l’approvazione.

In Spagna sono state ritrovate tracce di una popolazione europea finora sconosciuta

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Un’inaspettata svolta nella storia dell’evoluzione umana in Europa. Nel sito di Sima del Elefante nei Monti Atapuerca, in Spagna, un team di ricercatori ha rinvenuto i resti di quella che si ritiene una popolazione umana sconosciuta, vissuta in zona oltre 1,1 milioni di anni fa. I resti comprendevano un cranio parziale con il lato sinistro del volto di un ominide adulto e, secondo gli esperti, è il più antico fossile umano mai scoperto nell’Europa occidentale. Gli scienziati hanno dettagliato i risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nature e ipotizzano che possa appartenere all’Homo erectus, specie nota in Africa e Asia ma mai identificata con certezza nel continente europeo. D’altra parte però, la morfologia del cranio differisce da quella di altre specie conosciute, rendendo l’attribuzione incerta. «Questa conclusione è la proposta più onesta che possiamo fare con le prove in nostro possesso. È prudente, ma è anche un po’ audace, perché non escludiamo la possibilità che possa trattarsi di qualcosa di diverso», ha commentato María Martinón-Torres, direttrice del Centro nazionale spagnolo di ricerca sull’evoluzione umana.

Fino ad oggi, spiegano i coautori, il primo abitante conosciuto dell’Europa occidentale era ritenuto l’Homo antecessor, vissuto circa 850.000 anni fa e scoperto sempre nei pressi di Sima del Elefante. Si tratta di una specie che presentava tratti facciali simili a quelli dell’Homo sapiens, con una struttura più verticale e piatta, al contrario del nuovo fossile che, invece, mostra un volto più sporgente, caratteristica che lo avvicina a Homo erectus. Oltre ai resti umani, inoltre, nel sito sono stati rinvenuti strumenti in pietra e ossa di animali con segni di macellazione, suggerendo un insediamento attivo in un ambiente boschivo con praterie umide, ricche di prede. Per quanto riguarda i risultati dettagliati nello studio, invece, è stato adottato un approccio multidisciplinare, combinando analisi tradizionali con imaging avanzato e ricostruzioni 3D per studiare il frammento di volto rinvenuto. I ricercatori non hanno potuto datare direttamente il fossile, ma hanno stimato la sua età tra 1,4 e 1,1 milioni di anni spiegando di aver analizzato gli strati sedimentari circostanti.

Inoltre, il team ha anche rianalizzato una mandibola parziale trovata nel 2007 a Sima del Elefante, ma a un livello di sedimento leggermente più alto. Gli autori dello studio ora ritengono che appartenesse alla stessa popolazione di umani preistorici. Tuttavia, con solo piccole parti del volto, è stato impossibile identificare la specie di ominide in modo conclusivo. Pertanto, il team l’ha assegnata a “Homo affinis erectus”, dove affinis significa affine a, per indicare che il fossile è strettamente correlato a, ma distinto da, una specie nota. «Dobbiamo ancora scavare i livelli inferiori di Sima del Elefante. Quindi chissà? Potremmo avere altre sorprese. Penso che la scoperta chiave sia che stiamo documentando per la prima volta una popolazione di ominidi che non sapevamo di avere in Europa», ha aggiunto Torres, sottolineando che si tratta di una nuova evidenza che solleva interrogativi sulle migrazioni umane arcaiche e sulla diversità evolutiva del genere Homo nel continente.

[di Roberto Demaio]

UE, ecco il piano contro le emergenze: kit di sopravvivenza ed esercitazioni

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L’Unione Europea ha presentato il proprio piano per gestire le potenziali crisi, da attuare in caso di disastri naturali, pandemie, cyberattacchi o «aggressioni armate». La “Strategia di preparazione dell’Unione”, è stata presentata ieri, mercoledì 26 marzo, da Roxana Mînzatu e da Hadja Lahbib, rispettivamente vicepresidente esecutiva della Commissione e commissaria all’Uguaglianza e alla Gestione delle crisi, e intende armonizzare le linee guida per gestire le crisi tra i 27 Paesi dell’UE. Il documento elenca 30 «azioni chiave» divise in 7 categorie, e presenta un piano d’azione per «far progredire gli obiettivi dell’Unione in materia di preparazione», e per «sviluppare una “cultura della preparazione”». In alcuni casi, la Strategia si rivolge direttamente ai cittadini, invitandoli a tenersi preparati a eventuali crisi, tanto da chiedere loro di radunare scorte di acqua, cibo e medicinali per essere autosufficienti per almeno 72 ore. Su stessa ammissione della Commissione, la proposta viaggia in parallelo con gli ultimi documenti dell’UE, primo fra tutti il Libro Bianco sulla Difesa, in cui la Russia viene presentata come la minaccia principale dell’Unione.

«La preparazione deve essere intessuta nel tessuto delle nostre società». È questo il principio fondamentale avanzato dalla Strategia di preparazione dell’UE alle crisi. Il piano è in linea con le azioni già attuate da alcuni dei Paesi comunitari, come per esempio nel caso della Francia, che ha annunciato la distribuzione di un manuale di “sopravvivenza per le famiglie”, e si propone di promuovere una strategia comune a tutta l’Unione sulla base di sette principi chiave. Essa si fonda sulla presunta constatazione per cui sarebbe «urgente rafforzare la preparazione e la prontezza civili e militari dell’Europa ad affrontare le crescenti sfide odierne in materia di sicurezza – in materia di salute, migrazione, sicurezza tecnologica, clima, difesa o economia». Per tale motivo, propone «un approccio integrato che coinvolge l’intera amministrazione», dal pubblico al privato, dal locale al sovranazionale, arrivando a toccare «l’intera società, riunendo i cittadini, le comunità locali e la società civile, le imprese e le parti sociali, nonché le comunità scientifiche e accademiche».

La Strategia di preparazione dell’UE è stata presentata ai cittadini con un video apparso sui social dell’Unione, in cui la commissaria Lahbib mostra il “kit di sopravvivenza” che ogni cittadino dovrebbe sempre avere con sé per sopravvivere 72 ore: contanti, carte da gioco e radio. Il video di Lahbib annuncia uno dei sette principi cardine su cui ruota la Strategia, ossia il coinvolgimento diretto della popolazione. Questo verrà portato avanti anche attraverso l’organizzazione di lezioni di preparazione nei programmi scolastici e l’introduzione di una “Giornata europea della preparazione”. Il piano coinvolge i cittadini anche promuovendo una maggiore collaborazione tra civile e militare, con l’organizzazione di più esercitazioni di scenari critici. Terzo punto chiave è il principio di cooperazione tra pubblico e privato, per cui l’UE si propone di istituire una task force per fare dialogare i due piani. Altro principio è quello di sviluppare le «funzioni essenziali della società europea», garantendo criteri minimi di preparazione per servizi essenziali come gli ospedali, e organizzando lo stoccaggio di materie critiche. Chiudono la lista una maggiore cooperazione con i partner esterni e tra i Paesi dell’UE, e l’annuncio di un futuro piano di previsione e anticipazione delle crisi. Tutti i punti sono solo abbozzati, e prevedono 30 «azioni chiave» di natura generale.

Il piano va di pari passo con le ultime iniziative dell’UE e si basa sui documenti recentemente condivisi dall’Unione. Tra questi, viene nominato il Libro Bianco sulla Difesa, in cui la Russia viene presentata come una delle minacce principali dell’Unione. Tra gli esempi di possibili crisi presentati dalla Strategia, infatti, spicca quello delle possibili «crisi geopolitiche», che potrebbero portare a «conflitti armati» se non a una «aggressione armata contro gli Stati membri». In tale scenario, la Federazione risulta al primo posto, così come per quanto riguarda i possibili attacchi ibridi e cyberattacchi.

[di Dario Lucisano]

USA, dazi del 25% sulle auto in entrata

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato nuove tasse di importazione su auto e componenti in arrivo nel Paese, fissando la tariffa al 25%. Trump ha spiegato che le nuove tariffe entreranno in vigore a partire dal 2 aprile, con oneri per le aziende che importano veicoli a partire dal giorno successivo; quelle sui componenti, invece, non inizieranno prima di maggio e non dovrebbero coinvolgere Canada e Messico. Trump ha specificato che le aziende straniere che producono negli USA saranno esentate dalle tariffe.