L’ex presidente degli Stati Uniti Joe Biden è affetto da una «forma aggressiva» di cancro alla prostata che si è diffuso alle ossa. A dare la notizia è stato il suo ufficio in un comunicato ieri, domenica 18 maggio. Da quanto si apprende, Biden avrebbe ricevuto notizia della diagnosi venerdì scorso, dopo aver manifestato sintomi urinari. L’ex presiednte e la sua famiglia stanno valutando le opzioni terapeutiche con i medici, si legge nel comunicato. Dopo la notizia, il presidente Trump ha rilasciato un messaggio di vicinanza all’ex rivale democratico, augurandogli pronta guarigione.
Al ballottaggio in Romania vincono gli europeisti, in Portogallo vince la destra
Dopo mesi dall’annullamento del primo turno delle presidenziali e del blocco della candidatura del politico indipendente considerato filo-russo, Călin Georgescu, la Romania ha finalmente portato a termine le proprie elezioni presidenziali. Alla fine, a spuntarla è stato il sindaco di Bucarest, l’europeista Nicușor Dan. Dopo non poche polemiche, anche George Simion, che aveva raccolto l’eredità di Georgescu, si è complimentato con il rivale , riconoscendone la vittoria. Nel frattempo, in Portogallo, in occasione delle elezioni legislative, la coalizione europeista di centrodestra Alleanza Democratica si è confermata il primo partito del Paese, confermando tuttavia anche quella spaccatura in aula che dal 2022 costringe i leader politici a governare con esecutivi di minoranza. In sede di votazione , il partito di destra Chega ha ottenuto un risultato nettamente migliore rispetto alle ultime elezioni, mentre il Partito Socialista è calato a picco, costringendo il segretario Pedro Nuno Santos a rassegnare le proprie dimissioni da leader del gruppo.
Il ballottaggio per le elezioni presidenziali in Romania si è tenuto ieri, domenica 18 maggio. Con oltre 6 milioni di voti, corrispondenti al 53,6% delle preferenze, Nicușor Dan, di orientamento moderato ed europeista, è diventato presidente del Paese. Dan si era presentato alle presidenziali come candidato indipendente ed era riuscito ad accedere ai ballottaggi dopo un testa a testa per il secondo posto con il candidato unitario dei partiti di governo, George Crin Laurențiu Antonescu. Si scontrava contro il noto leader del partito di destra Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR), George Simion, che aveva trionfato al primo turno con uno schiacciante 40%. Ieri, Simion ha a più riprese denunciato di essere stato oscurato dai media del Paese, e ha fatto quelle che in diversi hanno letto come allusioni a possibili tentativi di boicottaggio nei suoi confronti. Nel suo account X (ex Twitter), Simion ha affermato che diversi romeni all’estero – che al primo turno avevano votato in maggioranza proprio AUR – non avevano ricevuto le schede elettorali, che nelle liste dei seggi erano presenti diverse persone decedute, e che i pazienti di una struttura per anziani sarebbero stati minacciati di votare Dan. Dopo i primi exit poll, Georgescu ha reclamato la vittoria in un post poi eliminato dal suo account. Infine, verso mezzanotte, ha ammesso la sconfitta.
Con il voto di ieri si è così chiusa, con cinque mesi di ritardo, questa turbolenta stagione elettorale romena. Originariamente, infatti, il ballottaggio per le presidenziali – cui primo turno si era tenuto il 24 novembre – era previsto per l’8 dicembre 2024, ma poco prima, il 6 dicembre, la Corte Costituzionale Romena aveva annullato il primo turno delle presidenziali, accusando la Russia di aver interferito favorendo Georgescu. Secondo la Corte, la Russia avrebbe portato avanti una campagna elettorale in favore di Georgescu, sfruttando come principale canale di propaganda il social TikTok. Malgrado i tentativi di fare riconoscere il risultato, Georgescu è stato costretto a presentare nuovamente la candidatura, ma lo stesso giorno in cui si stava recando presso gli uffici a consegnare le carte è stato arrestato dalle forze dell’ordine e trattenuto nella sede della Procura generale. La sua candidatura è poi stata rifiutata.
Mentre in Romania i cittadini romeni erano chiamati a scegliere il presidente, in Portogallo si votava per eleggere il Parlamento per la terza volta in tre anni. Le elezioni di quest’anno sono state indette dopo uno scandalo di conflitto di interessi che aveva coinvolto il premier Luís Montenegro. A vincerle è stato proprio il partito del premier uscente, Alleanza Democratica, che ha consolidato il suo posto come prima forza politica del Paese. In sede elettorale AD ha ottenuto il 32,10% dei voti, staccando di quasi 9 punti il Partito Socialista di Santos (fermatosi al 23,38%), contro cui l’ultima volta era uscito vincitore in un serrato testa a testa. Secondo le proiezioni, AD dovrebbe ottenere 86 seggi e il PS 58. A ottenere 58 seggi dovrebbe essere anche il terzo partito più votato, Chega, che ha ottenuto il 22,56% delle preferenze. È questo un risultato senza precedenti per il partito di destra, uscito dalle Europee con meno del 10% e dalle ultime legislative con poco meno del 19%. La situazione attuale fotografa insomma un Parlamento notevolmente spostato a destra, ma, nella sostanza, poco diverso da prima: con ogni probabilità AD sarà chiamata nuovamente a formare un governo di minoranza, confermando la situazione di instabilità politica in cui il Paese versa da anni.
Gli Apache vincono la prima battaglia in difesa delle proprie terre sacre
Gli Apache di San Carlos, Arizona, hanno vinto la loro prima battaglia legale in difesa delle loro terre ancestrali che rischiano di essere trasformate in una enorme miniera di rame. Un tribunale federale ha infatti emesso un ordine che ferma i piani del governo degli Stati Uniti di concedere lo sfruttamento di Oak Flat, sito sacro per gli Apache, alla compagnia Resolution Copper, una join venture tra i due colossi minerari Rio Tinto e BHP Group. La battaglia legale, che va avanti dal 2014, si sposterà adesso davanti alla Corte Suprema, la quale avrà l’ultima parola sul caso. Nel frattempo, la lotta delle comunità Apache non si ferma e chiede al governo di abbandonare l’idea di trasformare le loro terre sacre in un cratere estrattivo.
Il giudice Steven P. Logan ha deciso di fermare il trasferimento della terra alle multinazionali affinché venga condotta una attenta analisi del caso da parte della Corte Suprema. «Il governo federale e Resolution Copper hanno messo Oak Flat nel braccio della morte: stanno correndo per distruggere la nostra linfa vitale e spirituale, cancellando le nostre tradizioni religiose per sempre. Siamo grati che il giudice abbia fermato questo assalto alla terra, in modo che la Corte Suprema abbia il tempo di proteggere Oak Flat dalla distruzione», ha detto Wendsler Nosie dell’organizzazione Apache Stronghold. Per innumerevoli generazioni gli Apache dell’odierna Arizona si sono riuniti a Oak Flat, conosciuta in lingua Apache come Chi’chil Biłdagoteel, per condurre cerimonie sacre.
Il sito si trova nella contea di Pinal a circa 60 chilometri a est di Phoenix, nella Tonto National Forest. La terra è sacra per i nativi americani della riserva indiana Apache di San Carlos, così come per molte altre tribù dell’Arizona. Nel dicembre 2014 un disegno di legge promosso dal senatore repubblicano John McCain aveva inserito lo sfruttamento minerario della zona nell’ordine della Difesa nazionale, come molto spesso avviene quando negli Stati Uniti si intendono aggirare accordi e trattati che il governo federale ha concluso nel corso degli anni con le tribù native, le quali hanno giurisdizione su determinate aree. L’amministrazione Obama, per cercare di rimediare, nel 2016, aveva inserito Oak Flat nell’elencato nel Registro Nazionale dei Luoghi Storici, ponendo quindi il sito sotto il controllo federale del Servizio Forestale.
Apache Stronghold, una coalizione di comunità Apache, ha intentato causa nel gennaio 2021 per fermare la proposta estrazione mineraria di rame a Oak Flat. Il progetto ha nel tempo affrontato una diffusa opposizione da parte delle 21 (su 22) nazioni tribali riconosciute a livello federale in presenti in Arizona, così come da parte del Congresso nazionale degli indiani d’America e un’ampia coalizione di gruppi religiosi, organizzazioni per i diritti civili e studiosi di diritto. Nonostante ciò, lo scorso anno, la Corte d’Appello del Nono Circuito aveva stabilito che il trasferimento dei terreni non violasse le protezioni federali della libertà religiosa. Così, Apache Stronghold ha presentato una mozione d’urgenza che è poi sfociata nella decisione odierna da parte della Corte federale di fermare ogni trasferimento in attesa della sentenza finale da parte della Corte Suprema. Per le comunità indigene dell’Arizona questa è senz’altro una prima e importante vittoria nella disputa legale. Gli Apache hanno dunque vinto una battaglia. La guerra deve però ancora terminare.
Arabia Saudita: primo volo diretto verso Teheran dopo dieci anni
Oggi, domenica 18 maggio, è atterrato il primo volo diretto dall’Arabia Saudita a Teheran da oltre un decennio, effettuato dalla compagnia aerea saudita Flynas. La ripresa dei servizi fa parte di un accordo tra Iran e Arabia Saudita volto a facilitare il trasporto dei pellegrini iraniani verso La Mecca e si colloca sulla scia di una progressiva normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. Secondo i termini dell’accordo, Flynas è responsabile dei voli da Mashhad e di parte delle rotte da Teheran, mentre Iran Air gestirà le tratte rimanenti. Secondo i media iraniani, Flynas dovrebbe operare su 224 voli di andata e ritorno entro il 1° luglio, trasportando circa 37.000 pellegrini iraniani.
India, incendio in una palazzina: 17 morti
Oggi, nella città di indiana di Hyderabad, nello Stato meridionale di Telangana, è scoppiato un grosso incendio in un edificio, uccidendo ameno 17 persone. Da quanto riferiscono le autorità locali, l’incendio sarebbe esploso al pian terreno per poi propagarsi verso i piani superiori. Sul posto sono stati schierati circa una dozzina di veicoli antincendio. Tra le vittime sembrano esserci sei bambini di età inferiore ai 5 anni. Secondo le prime indagini, l’incendio sarebbe stato causato da un cortocircuito.
California, bomba presso una clinica per la fertilità
Ieri, a Palm Springs, località californiana a circa 160 km a est di Los Angeles, è esplosa una bomba nei pressi di una struttura per la fertilità, uccidendo una persona e ferendone almeno altre quattro. La persona uccisa si trovava vicino a un veicolo rimasto coinvolto nell’esplosione della clinica, gestita dall’American Reproductive Centers. L’edificio è rimasto gravemente danneggiato dall’esplosione, aprendo un varco nelle pareti della struttura, e sembra che diversi altri edifici nella zona abbiano subito danni. Da quanto comunica Akil Davis, vicedirettore dell’FBI, le autorità hanno individuato un sospetto; i media statunitensi parlano di un 25enne di Twentynine Palms. Lo stesso FBI parla di un «atto di terrorismo intenzionale».
La Libia sta sprofondando nuovamente nel caos
Da circa una settimana, la Libia sta sprofondando nel caos. Tutto è iniziato con l’uccisione di Abdel Ghani Al Kikli, detto Gheniwa, capo dello Stability Support Apparatus (SSA), un’importante milizia armata del Paese affiliata al governo. Dopo la notizia della sua morte, a Tripoli sono scoppiati scontri per il controllo del territorio che tra escalation e apparenti momenti di stabilità sono andati avanti per giorni. Nel frattempo, nella Cirenaica, regione controllata dalla Libyan National Army (LNA) del generale Haftar, la situazione rimane incerta con Haftar che potrebbe approfittare delle tensioni per consolidare il suo potere nell’area orientale del Paese ed estendersi verso ovest. Il clima di instabilità ha raggiunto la stessa popolazione, che si è sollevata per chiedere le dimissioni del primo ministro Abdulhamid Dbeibah spingendo tre ministri ad abbandonare il governo e a prendere le parti dei cittadini.
La situazione di tensione in Libia è esplosa lo scorso lunedì 12 aprile, con l’uccisione di Al Kikli. Secondo le ricostruzioni apparse nei giorni seguenti sui media, Gheniwa sarebbe stato ucciso con un colpo alla testa da un proiettile di precisione mentre si trovava all’interno del quartier generale della 444ª Brigata di Combattimento nella zona di Salah al-Din, a sud di Tripoli. Diversi analisti sostengono che la natura dell’operazione indicherebbe un attentato pianificato e sospettano che dietro l’uccisione di Al Kikli ci possa essere lo stesso Dbeibah, che avrebbe voluto ridimensionare il sempre maggiore potere dell’SSA. L’SSA è una delle tante milizie affiliate al governo accusata di essere coinvolta nelle violenze sui migranti. In Italia si era recentemente parlato di Al Kikli poco dopo lo scoppio del caso Almasri, perché si era scoperto che anche lui, come il carceriere libico, era stato in visita in Italia.
Dopo la notizia dell’uccisione di Gheniwa, nella notte tra lunedì e martedì, Tripoli è stata teatro di violenti scontri iniziati per il controllo del territorio. Martedì il governo centrale ha annunciato la sospensione di tutti i voli all’aeroporto di Mitiga, nell’area metropolitana della capitale e ha in un primo momento dichiarato di avere ripreso il controllo della situazione. Tra martedì e mercoledì, tuttavia, gli scontri sono esplosi nuovamente: i più duri si sono verificati tra la Brigata 444, allineata al premier Dbeibah, e la Forza di Deterrenza Speciale (RADA), milizia a cui fa capo lo stesso Almasri subordinata al Consiglio presidenziale libico, ma ampiamente lontana dall’essere sotto il suo controllo. Gli scontri si sono concentrati nei quartieri di Souq al Juma e Ain Zara, ma hanno raggiunto la maggior parte della città. Mercoledì il ministero della Difesa del governo centrale ha annunciato un cessate il fuoco e lo schieramento di «forze neutrali» per ristabilire l’ordine. Secondo le prime ricostruzioni, questi scontri avrebbero provocato almeno sei morti, ma probabilmente la stima è ribassata. In totale, le fonti non ufficiali parlano di almeno una sessantina di vittime.
Dopo l’annuncio del cessate il fuoco, le forze della RADA si sono ritirate dalla città, mantenendo tuttavia salde alcune postazioni nei quartieri orientali di Tripoli, a Tariq al Shok, Dawwar ‘Awdat al Hayat, e al Istiraha al Hamra. Diversi Paesi, tra cui il governo italiano, hanno fatto evacuare i propri cittadini e la capitale sembra essere entrata in un precario equilibrio. Le manifestazioni sono sorte proprio nel mezzo di questa atmosfera di tensione: giovedì centinaia di cittadini sono scesi in piazza a Tripoli chiedendo le dimissioni di Dbeibah e secondo alcune ricostruzioni sarebbero stati repressi violentemente dalle forze dell’ordine, che avrebbero sparato sulla folla. Il giorno dopo, le proteste sono continuate, e migliaia di cittadini libici hanno marciato verso il palazzo presidenziale. Secondo i media locali, alcuni dimostranti hanno tentato di entrare nell’edificio, lanciando pietre e sfondando le recinzioni. Durante l’attacco, un agente di polizia sarebbe stato ucciso da colpi d’arma da fuoco sparati da ignoti. Dopo le proteste il ministro dell’Economia e del Commercio Mohammed al-Hawij, il ministro del Governo locale Badreddine al-Toumi e il ministro del settore abitativo Abu Bakr al-Ghawi hanno rassegnato le dimissioni in solidarietà al moto cittadino.
Nel frattempo, risultano ancora oscure le possibili conseguenze che il caos scoppiato nella capitale potrebbe avere sull’area orientale del Paese. Questa ruota attorno al governo di Bengasi, controllato dalla famiglia del generale Khalifa Haftar. Secondo alcune testimonianze, Haftar starebbe approfittando del momento di instabilità per consolidare il proprio potere verso ovest, e avrebbe iniziato a marciare verso Sirte, ma non sembrano esserci conferme ufficiali a riguardo. A rendere ancora più caotica la situazione è arrivato l’annuncio che il governo libico avrebbe dichiarato la propria intenzione di riconoscere la Corte Penale Internazionale, spingendo la Corte a rilanciare la richiesta di arrestare Almasri. Anche l’ONU, attraverso l’UNSMIL – la missione delle Nazioni Unite in Libia – si è espresso, chiedendo che venisse rispettato il cessate il fuoco.
Aviaria: diversi Paesi sospendono le importazioni di pollame dal Brasile
Messico, Cile e Uruguay hanno sospeso le importazioni di pollame dal Brasile dopo che il Paese ha confermato la presenza di un focolaio di influenza aviaria in un allevamento commerciale. L’annuncio è arrivato nella sera di ieri, sabato 17 maggio, e segue una analoga decisione presa da Cina e Unione Europea. Lo stop alle importazioni di pollame riguarda tutti i prodotti a base di carne di pollo, uova fertili ed esemplari di pollo vivi. Il Brasile è uno dei principali produttori ed esportatori mondiali di pollame e rappresenta circa il 14% della produzione mondiale di carne di pollo.
Torino: corteo per la Palestina occupa il raccordo autostradale
Un migliaio di cittadini che protestavano per chiedere la fine del genocidio israeliano in Palestina hanno fatto irruzione nel raccordo autostradale che collega Torino all’aeroporto internazionale Sandro Pertini. L’occupazione, cominciata attorno alle ore 17, è durata circa 40 minuti, durante i quali è stato affisso su un cavalcavia uno striscione con la scritta “Stop Genocidio” e sono stati verniciati sull’asfalto altri slogan per la liberazione della Palestina. In giornata, sempre a Torino, un gruppo di attivisti aveva contestato la presenza del ministro della Difesa, Guido Crosetto, al Salone del Libro.
Una sentenza ha riconosciuto il collegamento tra PFAS e il decesso di un operaio
Con una sentenza storica, per la prima volta un tribunale italiano ha riconosciuto un collegamento diretto tra la morte di un lavoratore e l’esposizione prolungata ai PFAS, sostanze chimiche classificate come pericolose per la salute umana e per l’ambiente. A emettere il verdetto è stato il Tribunale di Vicenza in relazione al caso di Pasqualino Zenere, ex dipendente della Miteni di Trissino, che per oltre un decennio è stato impiegato nel trattamento delle acque reflue ed è poi deceduto nel 2014 per un tumore alla pelvi renale. Gli eredi di Zenere avevano fatto causa all’Inail e, dopo una lunga battaglia nelle aule giudiziarie, il Tribunale ha dato loro ragione. Questa pronuncia potrebbe costituire un precedente significativo, mentre volge al termine il processo che vede imputati i dirigenti della Miteni per disastro ambientale.
Nello specifico, il Tribunale ha confermato che Zenere sarebbe deceduto a causa dell’esposizione ai PFOA e PFOS, che l’uomo ha inalato e ingerito e che sarebbero entrati a contatto con la sua pelle durante l’orario lavorativo. «La documentazione riguarda sia le mansioni di lavoro svolte sia il nesso tra queste e la malattia che ha portato al decesso – ha spiegato l’avvocato Adriano Caretta, legale dei familiari di Zenere –. Questa sentenza non agisce sulle responsabilità, ma sulla correlazione tra lavoro e malattia: la materia è di natura previdenziale e attiene appunto a quelli che sono i diritti previsti dalla tutela Inail». Questo storico verdetto, che per la prima volta in assoluto certifica in modo chiaro e documentato il legame tra i PFAS e un caso specifico di decesso per tumore, arriva mentre, sempre a Vicenza, è agli sgoccioli il processo ai 15 ex dirigenti della Miteni, imputati per disastro ambientale a causa della contaminazione della falda acquifera nelle province di Vicenza, Padova e Verona, che ha coinvolto almeno 350mila persone. La Procura alla Corte d’Assise di Vicenza, al termine di una lunga e dettagliata requisitoria, lo scorso febbraio ha chiesto 121 anni e 6 mesi di carcere complessivi per nove dei quindici imputati. Se la sentenza confermasse l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri, potrebbe diventare una pietra miliare nella giurisprudenza ambientale, segnando un precedente per la responsabilità delle multinazionali nell’inquinamento di interi territori.
Studi scientifici dimostrano che i PFAS – sostanze di sintesi utilizzate in molti processi industriali e prodotti di consumo – possono provocare danni al sistema endocrino, al fegato, alla tiroide, al sistema immunitario e alla fertilità. Alcuni PFAS, come il PFOA e il PFOS, sono stati classificati come cancerogeni o possibili cancerogeni. Lo scorso 13 marzo, il governo ha dato il via libera a un Decreto Legge urgente, attualmente al vaglio del Parlamento, volto ad abbassare i livelli permessi di PFAS nelle acque potabili e a inserire limiti per il TFA (acido trifluoroacetico), molecola della classe dei PFAS fino a oggi non soggetta a restrizioni. Il decreto è stato approvato in seguito alla diffusione dei risultati dell’indagine indipendente “Acque senza veleni”, condotta dall’organizzazione ambientalista Greenpeace tra settembre e ottobre 2024, che ha portato alla creazione della prima mappa nazionale della contaminazione da PFAS. Nello specifico, la ricerca ha attestato che, nel nostro Paese, il 79% dell’acqua potabile è contaminato da PFAS: dei 260 campioni raccolti in 235 città di tutte le regioni e province autonome, infatti, ben 206 contengono queste sostanze tossiche.