mercoledì 27 Agosto 2025
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Nell’Amazzonia brasiliana le comunità autorganizzate stanno fermando i reati ambientali

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In Brasile, il pattugliamento volontario messo in atto dalle comunità autorganizzate ha comportato una riduzione dell’80% dei crimini ambientali. Il risultato è emerso nel report Strengthening Amazon conservation through community‐based voluntary patrolling, pubblicato sulla rivista accademica Conservation Biology. Lo studio è stato condotto nel decennio intercorso tra il 2003 e il 2013 e si è focalizzato su dodici unità territoriali facenti parte delle riserve di sviluppo sostenibile di Mamirauá e Amanã, nello stato di Amazonas. L’obiettivo del progetto era quello di constatare se le operazioni di pattugliamento volontario riducessero le attività criminali in ambito medio ambientale, contro le sole operazioni di routine attuate dal governo brasiliano.

La Voluntary Environmental Agents (VEA) ha effettuato quasi ventimila pattugliamenti in dieci anni, con un conteggio di centocinquantamila ore di lavoro, con un impatto sui crimini ambientali, si spiega nel report, dell’80% in undici delle dodici aree prese in esame. Delle varie violazioni, il 78,24% era legato a pesca illegale, in special misura l’utilizzo di attrezzature vietate o lo svolgimento dell’attività in aree proibite, come le zone di riproduzione ittica. Il 19% invece riguardava la caccia, spesso ai danni di specie protette o in vari casi senza licenza; mentre in misura meno frequente (3%) le attività di pattugliamento hanno impedito operazioni di disboscamento, nelle quali si includeva il prelievo di legname pregiato, il taglio in aree protette o la deforestazione finalizzata a creare spazio per altre attività, spesso condotte da agenti esterni alle comunità locali. 

Il report ha inoltre rivelato che le attività della VEA si sono rivelate particolarmente efficaci in caso di intervento in contesti segnalati dalle comunità locali, pratica che ha creato un equilibrio tra le agenzie statali, i comitati scientifici e le organizzazioni non governative impegnate sul posto.

L’approccio messo in atto dagli agenti volontari consisteva nella confisca dei mezzi considerati illegali e dei materiali estratti, la registrazione delle attività sgominate e la segnalazione delle infrazioni alle autorità ambientali competenti. Inoltre, la creazione di un registro dei dati ha permesso un monitoraggio capillare, finalizzato alla segnalazione delle aree con maggiore incidenza e alla conseguente strategia di pattugliamento. La rilevazione ha segnalato, inoltre, che il numero dei crimini scovati aumentava in maniera direttamente proporzionale all’aumento dei volontari coinvolti nelle operazioni di pattugliamento, mettendo in evidenza la possibilità di aumentare il coinvolgimento delle comunità per ottenere risultati ulteriormente efficaci.

D’altra parte, lo studio ha analizzato in forma comparativa le operazioni condotte esclusivamente dagli agenti ufficiali del governo, in un lasso di tempo decennale (dal 2002 al 2012) in varie riserve dello stato di Amazonas, fatta eccezione per le due aree pattugliate dalle VEA. In questo caso i risultati non sono stati ugualmente positivi: attraverso sessantanove operazioni, dalla durata media di 159 ore ciascuna, che hanno coinvolto almeno sei agenti per missione, sono stati scovati in media tredici crimini ambientali per operazione, senza però mostrare alcuna tendenza significativa nella diminuzione degli stessi. Secondo lo studio questo metterebbe in evidenza l’inefficienza dell’impianto di controllo governativo nella dissuasione dei crimini ambientali, a causa della scarsa legittimità percepita dalle popolazioni locali o per fenomeni di corruzione sistemica nella relazione tra agenti e attività criminale.

I risultati incredibili ottenuti dai pattugliamenti volontari dimostrano come questo modello porti non solo benefici alla salvaguardia delle riserve sostenibili, ma sia capace di alimentare un circolo virtuoso all’interno delle comunità stesse. Difatti lo studio denota una maggiore consapevolezza all’interno del contesto sociale interessato, oltre che uno sviluppo nella coesione e nell’educazione ambientale. Nonostante i benefici, il report sottolinea anche eventuali criticità: in primis i pattugliamenti possono mettere in pericolo i volontari; inoltre, si sottolinea anche la sottorappresentazione della comunità volontaria femminile (26%) e di quella indigena (12%). A questo si aggiunge la dipendenza gestionale che le VEA hanno nei confronti di ONG e Stato, specialmente da un punto di vista logistico-economico e il rischio che il lavoro dei volontari possa disincentivare ulteriormente l’impegno governativo nel controllo e nella lotta contro la criminalità organizzata in contesto ambientale.La collaborazione volontaria ha messo in evidenza la forza autogestita delle comunità amazzoniche nella salvaguardia degli equilibri ambientali dell’area. Il report pubblicato su Conservation Biology afferma, inoltre, che i risultati straordinari ottenuti, rendono questo modello perfettamente replicabile in altri territori tropicali, divenendo così un punto di partenza nella gestione delle aree protette in tutto il mondo.

La Russia avrebbe lanciato un massiccio attacco contro l’Ucraina

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Le forze russe avrebbero lanciato un massiccio attacco con droni e missili sull’Ucraina. La notizia arriva dalle forze armate ucraine, che riportano che gli armamenti russi si sarebbero abbattuti sulla regione di Kiev, e su quelle di Kherson, Mykolaiv, Cernihiv, Cerkasy e Vinnytsia. I droni si sarebbero concentrati anche nell’est di Zytomyr, nell’ovest di Sumy e nel nord di Odessa, e il sindaco di Leopoli ha segnalato un incendio. Dopo l’annuncio ucraino, la Polonia ha dispiegato i propri aerei da combattimento per monitorare la situazione.

Un comune del Salento ha vietato le manifestazioni per non disturbare i turisti

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«Il centro storico è interdetto a qualsiasi genere di comizi e/o manifestazioni politiche, esposizioni al pubblico sia esterne sia interne di bacheche volantini e quant’altro sia idoneo a divulgare verso l’esterno attività politica». Così recita l’ordinanza firmata dalla sindaca di Specchia, Anna Laura Remigi che impedisce ogni tipo di manifestazione o semplice esternazione politica tra le vie del centro del comune salentino. 

Se di per sé quest’ordinanza mette in allarme e fa discutere per le modalità repressive che impone sulla cittadinanza, sono le motivazioni a rendere questo provvedimento incredibile e ai limiti della distopia: nel centro di Specchia non si può manifestare per non disturbare i turisti.

Secondo quanto si può leggere dall’ordinanza, in vigore dal 29 giugno al 30 settembre, il comune di Specchia farebbe parte della lista stilata dall’associazione privata denominata «I borghi più belli d’Italia». In aggiunta, durante i mesi estivi il centro storico sarebbe impegnato nell’iniziativa culturale “Estate Specchiese 2025”. Definite quindi queste peculiarità del comune salentino, la sindaca sottolinea tra le motivazioni della misura la «consistente presenza di turisti interessati alle bellezze del Centro Storico e alle attività di puro svago»; tutte queste ragioni rendono quindi «necessario» interdire il centro cittadino da ogni tipo di espressione politica per «motivi di sicurezza» e per preservare «l’ordine pubblico e la pace sociale».

Nel corso della storia più volte sono state proibite manifestazioni per imporre un controllo sociale ed evitare la deflagrazione di movimenti “scomodi” pronti a destabilizzare il potere costituito; questo caso invece, unico nel suo genere, segna una novità assoluta e mette in evidenza il totale assoggettamento della popolazione verso l’economia turistica. Difatti con questa ordinanza non si vorrebbe, quantomeno ufficialmente, evitare attacchi al potere comunale, bensì «garantire ai turisti e cittadini tutti quella serenità di incontrarsi ed intrattenersi serenamente senza essere investiti da argomenti che nulla hanno di intrattenimento o svago». 

Quest’ordinanza però, non si tratta di una novità assoluta nel comune di Specchia, difatti, già nell’estate del 2023, la sindaca Remigi interdì con la stessa misura ogni attività politica dal centro con le medesime motivazioni.

Si assiste così alla frantumazione del contesto comunitario cittadino, con l’obiettivo di far spazio alla mera logica del profitto turistico, da difendere ad ogni costo. Mentre si osserva la diffusione a macchia d’olio di proteste contro la massificazione turistica in varie città spagnole e del Sud Europa, durante le quali si mettono in evidenza le criticità di un modello che aliena la sfera pubblica, rende inaccessibile il mercato immobiliare e inasprisce il conflitto interno alla cittadinanza, a Specchia la situazione viene capovolta. Nel comune salentino non solo si applicano politiche atte a intensificare l’afflusso turistico, ma si impone una misura preventiva onde evitare ogni tipo di attitudine che possa «arrecare danno all’attività di fruizione turistica e all’immagine del paese». 

Come segnala l’Osservatorio Repressione, questa misura si scontra apertamente con l’Articolo 21 della Costituzione, tanto da vietare manifestazioni e volantinaggio su tematiche come la pace e la difesa dei diritti umani. La sindaca annuncia «che su tutto il restante territorio comunale, su tutte le altre piazze e luoghi del comune si possono tenere comizi e fare manifestazioni politiche o fare volantinaggio od apporre bacheche», ma in questo caso la pezza è anche peggio del buco: specificando che questa “eccezione” garantisce «la libera espressione del pensiero e l’attività politica, spesso indirizzata ai residenti», quello che si può osservare è un maldestro tentativo di giustificare una ghettizzazione delle cause politiche e soprattutto un’ammissione di colpa. La garanzia della libertà d’espressione è presente, ma solo fuori dal centro cittadino.

Facendo un’analisi dell’ordinanza stessa, già dal primo punto è possibile intuire la giustificazione di tale attitudine politica. Per entrare a far parte della lista dei «Borghi più belli d’Italia», ogni paese deve vantare determinati requisiti che ne attestino la «qualità urbanistica e architettonica», ma soprattutto deve comprovare l’impegno nell’accoglienza turistica, che deve fornire da servizi di alloggio, alla presenza di «artigiani d’arte», oltre che un’offerta culturale e festiva peculiare. In nessuna di queste caratteristiche si esplicita la necessità di investire in servizi destinati alla cittadinanza, alimentando così pratiche atte alla costruzione di un luogo «bello», ma spesso vuoto per chi lo abita. A questo si aggiunge l’ineluttabile processo di turistificazione del Salento, terra da un lato attanagliata da un grave processo di spopolamento, ma dall’altro preda della speculazione immobiliare e della gentrificazione finalizzata all’accoglienza turistica. Solo l’anno scorso la celebrazione del G7 nel resort di lusso di Borgo Egnazia, nel brindisino, fortemente voluta dalla premier Giorgia Meloni, mise in evidenza il processo che sta costruendo un’identità parallela del Salento, fatta di tradizione, eccellenza gastronomica e slow life, rin contrasto con il lavoro stagionale sottopagato, e quindi dall’incertezza e dall’arretratezza infrastrutturale.

La pace sociale diviene così parola d’ordine, con il fine di non rovinare il sogno di chi raggiunge il Salento per trovare un locus amoenus. Chi vive in Salento sa bene che l’estate è spesso l’unico momento in cui è possibile racimolare uno stipendio e mettere così da parte il pensiero di una precarietà che aleggia costantemente sulla testa di una terra martoriata dall’ingordigia di chi vuole trasformare il territorio in un parco a tema.

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» recita l’Articolo 21 della Costituzione. Evidentemente, per preservare la patina di un luogo alla visita dei turisti, si può sorvolare su un diritto costituzionale.

Il governo USA sta facendo di tutto per strangolare Cuba 

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Con il documento intitolato “National Security Presidential Memorandum/NSPM-5”, emesso in data 30 giugno, l’amministrazione Trump conferma e rafforza la politica degli Stati Uniti nei confronti di Cuba. Con il pretesto di promuovere libertà, democrazia, diritti umani e libera impresa, il presidente USA ha deciso di incrementare ulteriormente l’embargo e il blocco economico che cingono d’assedio l’isola socialista dal lontano 1962. Sono resi ancor più stringenti i divieti di commerciare e spedire denaro sull’isola, così come il divieto per i cittadini statunitensi di recarvisi in vacanza. La misura, che arriva in un periodo di difficoltà per Cuba, che negli ultimi mesi è stata alle prese anche con frequenti guasti alla linea elettrica, ha l’evidente scopo di destabilizzare il governo cubano e promuovere un cambio di regime. Come d’altra parte ribadito nei mesi passati dal segretario di Stato americano, Mark Rubio, che ha definito Cuba nientemeno che «una minaccia diretta per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti».

I dettagli di implementazione del memorandum, che riprende uno già promulgato nel 2017 durante la prima amministrazione Trump, includono direttive per i Segretari del Tesoro e del Commercio per adeguare le normative relative alle transazioni con Cuba, proibendo specificamente le transazioni finanziarie con entità controllate dai servizi militari, di intelligence o di sicurezza cubani. Viene mantenuto il divieto sui viaggi a Cuba senza specifiche giustificative. Vengono inoltre incaricati il Segretario di Stato e il Rappresentante degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite di «opporsi agli sforzi per revocare l’embargo fino a quando non esisterà un governo di transizione a Cuba». Nel memorandum si dice che verrà istituito un fondo con denaro che andrà alla popolazione cubana, senza specificare in che modo questo avverrà. Altre disposizioni includono rapporti sui fuggitivi dalla giustizia americana a Cuba, revisioni dei programmi di sviluppo della democrazia e la formazione di una task force per espandere l’accesso a internet a Cuba. Il memorandum sostituisce le direttive precedenti e sottolinea che tutte le attività devono promuovere gli interessi degli Stati Uniti.

La risposta cubana è arrivata tramite un comunicato del ministero degli Affari Esteri (MINREX) che rigetta completamente il memorandum di Trump e accusa gli Stati Uniti. Cuba considera entrambe le versioni del memorandum, quello del 2017 e quello di odierno, come aggressive ed egemoniche, progettate per rafforzare l’assedio economico e causare difficoltà al popolo cubano, allineandosi anche alla legge Helms-Burton del 1996, con la quale si sono rafforzate le sanzioni come arma geopolitica. Cuba spiega che il memorandum del 2017 è servito come piattaforma politica per misure estreme, tra cui restrizioni sui viaggi degli Stati Uniti a Cuba, persecuzione delle forniture di carburante, ostruzione delle rimesse e pressioni su paesi terzi ed entità internazionali per ostacolare le loro relazioni con Cuba. Gli Stati Uniti hanno anche incluso Cuba nella lista dei paesi considerati “sponsor del terrorismo internazionale”: una misura che l’isola socialista condivide con l’Iran e la Corea del Nord, che comporta sanzioni economiche, restrizioni agli aiuti esteri, controlli severi sulle esportazioni e limitazioni nelle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti.

Una politica ostile che viola il diritto internazionale e numerose risoluzioni delle Nazioni Unite – che più volte si sono schierate contro le sanzioni americane contro Cuba – mirando a usare la coercizione economica per spezzare la volontà politica della nazione. Con il comunicato si sottolinea come l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite abbia chiesto quasi all’unanimità la fine del blocco fin dal 1992. Nonostante le giustificazioni statunitensi che citano democrazia e diritti umani, Cuba sostiene che questi concetti sono incompatibili con la condotta storica degli Stati Uniti e che il vero obiettivo è distruggere il socialismo e imporre il capitalismo sull’isola. Per finire, Cuba enfatizza la sua natura pacifica e sovrana, attribuendo la politica statunitense agli interessi ristretti di una «cricca anticubana e corrotta».

Prima della rivoluzione cubana, gli statunitensi controllavano il petrolio, le miniere, le centrali elettriche, la telefonia e un terzo della produzione di zucchero di canna di Cuba. Nel 1959, anno della fine della vittoriosa rivoluzione, gli Stati Uniti erano il primo partner commerciale cubano, comprando il 74% delle esportazioni e fornendo il 65% delle importazioni dell’isola. L’embargo contro Cuba, conosciuto anche come “el bloqueo”, è una misura di severe restrizioni commerciali, economiche e finanziarie imposte dagli Stati Uniti nel 1962 come arma per far crollare il nuovo governo socialista, il quale aveva già varato riforme che nazionalizzavano risorse e settori e distribuivano la terra. L’embargo contro Cuba fu imposto solo dopo aver tentato, e fallito, il rovesciamento del governo rivoluzionario cubano con la storica “operazione Zapata” della Baia dei Porci. Fin da allora gli Stati Uniti hanno cercato in tutti i modi di porre fine al sistema socialista presente sull’isola e sorto dalla rivoluzione.

Per volare all’interno dei Paesi europei non serve più il documento

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Gli italiani per volare all’interno dell’area Schengen non avranno più bisogno del documento, ma basterà la carta d’imbarco. È la decisione annunciata dall’Ente nazionale per l’aviazione civile, dopo l’approvazione del ministero dell’Interno. Prima di essere approvata, la misura è stata testata in alcuni voli. Essa è pensata per ridurre i tempi di imbarco in un sistema che, come precisato dal presidente dell’Enac, Pierluigi Di Palma, risulta già parecchio controllato: «Gli aeroporti sono luoghi protetti, è il momento di equiparare i viaggi in aereo a quelli in treno». Restano controlli a campione e su tratte a rischio immigrazione.

I Paesi Europei hanno firmato 200 accordi con l’Ucraina, 40 riguardano l’Italia

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Sono circa 200 gli accordi firmati con aziende e governi europei per la cosiddetta «ricostruzione dell’Ucraina» per un valore complessivo di oltre dieci miliardi di euro. È quanto emerso dalla Quarta conferenza per la ripresa dell’Ucraina, svoltasi ieri e oggi a Roma, e organizzata congiuntamente dall’Italia e dall’Ucraina. All’evento hanno preso parte circa 5000 partecipanti, tra cui decine di capi politici, quaranta organizzazioni internazionali – incluse le principali banche di sviluppo – più di 2000 aziende e diversi rappresentanti della società civile. «Il piano russo è fallito, oggi abbiamo assunto impegni per oltre dieci miliardi di euro. Mi piace pensare che questa conferenza possa essere il punto di partenza per il miracolo economico dell’Ucraina», ha affermato la premier italiana Giorgia Meloni. Roma si è ritagliata un ruolo di spicco nella ricostruzione post-bellica dell’Ucraina e lo stesso presidente ucraino Zelensky ha dichiarato di contare sull’Italia «che sarà molto attiva in questo percorso»: non a caso la Penisola ha firmato 40 accordi per la ricostruzione dell’ex Stato sovietico. Se da un lato, i Paesi occidentali hanno celebrato l’evento come una prova di solidarietà e unità delle cosiddette democrazie, dall’altro, non è mancata la reazione dall’Ambasciata russa, secondo cui «dietro alla conferenza per la ripresa dell’Ucraina apertasi oggi a Roma si nasconde una “logica cinica e menzognera” che viene portata avanti dagli attuali leader dei Paesi occidentali, Italia compresa».

Secondo la Banca mondiale la ricostruzione e la ripresa del Paese dovrebbero costare circa 447 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. In questo contesto, la presidente della Commissione europea ha annunciato un nuovo fondo europeo per la ricostruzione dell’Ucraina che sarà, secondo von der Leyen, «il più grande fondo azionario a livello globale per sostenere la ricostruzione». Il fondo è destinato agli investimenti nei settori dell’energia, dei trasporti, delle materie prime critiche e delle industrie a doppio uso. «Stiamo letteralmente puntando sul futuro dell’Ucraina, sfruttando il denaro pubblico per portare investimenti su larga scala nel settore privato e contribuire alla ricostruzione del Paese», ha affermato von der Leyen.

Per quanto riguarda l’Italia, invece, il ministero per gli Affari Esteri ha reso noto di avere approvato due nuove iniziative di cooperazione del valore complessivo di circa 32 milioni di euro: la prima prevede un credito di aiuto di 30 milioni per la costruzione di un nuovo padiglione dell’Ospedale Pediatrico Regionale di Odessa; la seconda, affidata allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, prevede la fornitura di attrezzature mediche a favore dell’ospedale. È previsto che il sostegno italiano all’ambito salute in Ucraina si rafforzerà ulteriormente attraverso un programma pluriennale, che farà leva su varie eccellenze italiane e che dovrebbe partire nei prossimi mesi. Il Viceministro Cirielli ha approvato anche il rifinanziamento del valore di 22 milioni di euro dell’iniziativa di emergenza multisettoriale in Ucraina condotta dalle organizzazioni della società civile italiane lanciata a dicembre 2024. Verranno così finanziati altri tredici progetti di realtà italiane molto apprezzate in Ucraina. Oltre al settore della salute, la Penisola si occuperà dei beni culturali di Odessa e dell’efficienza idrica della città: a riguardo il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha siglato due accordi con il ministro ucraino per lo Sviluppo per le comunità e la ricostruzione dei territori Oleksii Kuleba. «Questo non è solo una semplice dichiarazione ma un segnale della nostra unità a sostegno per la ricostruzione dell’Ucraina con la partecipazione del settore privato», ha affermato Tajani.

La conferenza ha ospitato a margine anche la riunione della “Coalizione dei volenterosi”. Per la prima volta gli USA hanno preso parte ai colloqui della Coalizione: erano presenti, infatti, l’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Ucraina e la Russia Keith Kellogg, il senatore repubblicano Lindsey Graham e quello democratico Richard Blumenthal, che hanno recentemente sponsorizzato un nuovo disegno di legge sulle sanzioni contro la Russia. Il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer, invece, hanno partecipato all’incontro in videoconferenza dalla Gran Bretagna, dove il presidente francese si trovava in visita di Stato. I Paesi membri della coalizione hanno concordato di istituire un quartier generale a Parigi per un rapido dispiegamento di una nuova forza militare di deterrenza, dopo la fine delle ostilità.

Nonostante la guerra sia tutt’altro che vicina alla conclusione e, al contrario, gli attacchi di Mosca si intensifichino, i capi dei governi europei siglano accordi per la ricostruzione e i privati stanno già pensando di acquisire parte di ciò che resterà del Paese martoriato dalla guerra. Assenti, invece, i piani per fare cessare le ostilità e risolvere le gravi controversie diplomatiche e le cause che hanno scatenato il conflitto. Il tutto avviene mentre l’Europa si prepara alla guerra contro la Russia e nazioni come Lituania e Finlandia sono pronte ad avviare la produzione nazionale di mine antiuomo per difendersi da quella che percepiscono come la minaccia russa. Per questo, Mosca ritiene che quella degli aiuti e della ricostruzione sia una «mangiatoia» che «ha già acquisito vita propria». Secondo l’ambasciata russa, «Dai media trapelano periodicamente notizie in merito al fatto che una parte consistente delle risorse allocate dagli USA e dall’UE sia andata a depositarsi nelle tasche dei funzionari ucraini e di quelli occidentali. Una sorte che, evidentemente, attende anche quelle somme a molti zeri che verranno annunciate a conclusione di questa Conferenza di Roma».

Maturità: studenti boicottano l’orale contro il sistema scolastico, Valditara vuole bocciarli

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Gli esami di maturità sono agli sgoccioli. A prendersi la scena nelle ultime ore è stata la protesta intentata da tre studenti veneti contro i meccanismi di valutazione scolastici, l’ipercompetitività e la mancanza di empatia dei docenti. Gianmaria Favaretto, Maddalena Bianchi e un terzo studente di cui ancora non è stata resa nota l’identità hanno scelto la scena muta all’orale di maturità per denunciare la deriva del sistema scolastico e avviare un confronto sul suo rinnovamento. I tre studenti non saranno bocciati, dal momento che hanno raggiunto il voto minimo grazie ai crediti maturati durante il triennio e il superamento delle due prove scritte. Dall’anno prossimo non sarà più possibile: gli studenti che non sosterranno la prova orale, pur possedendo i punteggi minimi, saranno bocciati. A confermare l’attacco al boicottaggio e al dissenso è il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, promotore di una riforma scolastica fortemente contestata dagli studenti per il suo contenuto individualista e conservatore.

«Credo che ciascuno debba sempre mettersi in discussione. Sono deluso da chi dovrebbe guidarci, dagli adulti, e dal fatto che la scuola sia ormai diventata un luogo in cui si trasmettono solo nozioni. C’è molto su cui riflettere», ha detto Gianmaria Favaretto, studente del liceo Fermi di Padova, in un’intervista al Corriere della Sera, ponendo l’attenzione sulla competizione malsana che avvolge il mondo della scuola e tende a isolare gli studenti piuttosto che favorire cooperazione e integrazione. Il sistema dei voti premia chi si adegua a tale deriva e non chi la mette in discussione facendo ricorso al pensiero critico. «Agli obiettivi si dovrebbe arrivare insieme. Invece, in questi anni, mi è sembrato che i miei compagni venissero ridotti ai loro voti, e che quei voti diventassero un pretesto, per chi andava meglio, per sentirsi superiore e screditare gli altri. Se questo accade, è perché il sistema ci spinge in quella direzione. È ciò che ci viene insegnato», ha aggiunto Favaretto, seguito nella sua protesta da Maddalena Bianchi. La studentessa di Belluno ha ripreso i temi del compagno, concentrandosi sull’assenza di empatia da parte del corpo docenti, il che crea una distanza incolmabile tra le parti, facendo venir meno negli studenti un importante banco di confronto. Nelle ultime ore si è unito un terzo liceale, del Canova di Treviso, al moto di dissenso che dall’anno prossimo si tradurrà in bocciatura. «Se un ragazzo non si presenta all’orale o volontariamente decide di non rispondere alle domande dei docenti, non perché non è preparato, quello può capitare, ma perché vuole non collaborare o vuole boicottare l’esame, dovrà ripetere l’anno», ha spiegato il ministro Giuseppe Valditara a Rai News 24.

Le considerazioni fatte dai tre ragazzi veneti — e da tanti prima di loro — sono in linea col sentimento emerso negli ultimi anni durante le varie mobilitazioni studentesche, che hanno puntato il dito contro l’aziendalizzazione del sapere, l’individualismo dilagante, la repressione dell’attivismo. Questioni che la riforma Valditara non risolverà, esacerbandole. Poche settimane fa, il ministero dell’istruzione ha pubblicato le Nuove indicazioni per la scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione 2025, da cui è emersa la visione di una scuola conservatrice, poco aperta al confronto, dove ad esempio il rispetto dell’altro viene profilato in maniera definita solo nell’ottica di osservazione delle regole — come nel caso della grammatica, che serve a «introiettare la cultura della regola» —, della gerarchia verticale verso l’insegnante e del principio di autorità, definito «conquista interiore dell’uomo libero».

UNICEF, nord Darfur: raddoppia il numero di bambini malnutriti

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Mentre la guerra in Sudan continua, il numero di bambini gravemente malnutriti nel nord Darfur è raddoppiato tra gennaio e maggio rispetto allo stesso periodo del 2024. A rivelarlo è l’UNICEF. In 9 località su 13, il tasso di malnutrizione acuta ha superato i livelli di emergenza stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). «I bambini del Darfur sono affamati dal conflitto e tagliati fuori dagli aiuti che potrebbero salvarli», ha dichiarato Sheldon Yett, rappresentante dell’UNICEF per il Sudan.

Boom di voti, poltrone e guai: la strana rinascita della Democrazia Cristiana in Sicilia

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Salvatore Cuffaro, fondatore della nuova DC, già condannato per favoreggiamento a Cosa Nostra, è oggi al centro della scalata del partito tra retorica legalitaria, nuovi ingressi controversi e inchieste su sanità, tangenti e affari opachi

In Sicilia, negli ultimi tempi, c’è un forte odore di ritorno alla Prima Repubblica. A emanarlo sono in particolare le operazioni politiche della nuova Democrazia Cristiana, che sta cercando di scalare le gerarchie del centro-destra anche grazie a un consenso crescente nella popolazione. Eppure, dopo la fondazione a opera di Totò Cuffaro – ex presidente della Regione Sicilia che ha espiato una condanna per favoreggiamento alla mafia – sono tante le ombre che aleggiano sulle azioni del partito. Negli ultimi giorni, il presidente della nuova DC ha accolto tra le sue fila il deputato regionale di...

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