martedì 26 Agosto 2025
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È stata osservata la più massiccia collisione di buchi neri di sempre

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Un nuovo segnale è stato captato e, questa volta, non proviene da pulsar, stelle morenti o nebulose in formazione, ma da una fusione da record tra due buchi neri con masse pari a circa 103 e 137 volte quella del nostro Sole: è quanto rivelato dalla rete internazionale LIGO-Virgo-KAGRA, la quale comprende migliaia di scienziati specializzati nello studio delle onde gravitazionali. Il segnale, denominato GW231123, è stato registrato dai due osservatori LIGO negli Stati Uniti e, secondo gli esperti, risulta così estremo da mettere potenzialmente in crisi i modelli teorici esistenti: «È l’evento più massiccio mai rilevato di questo tipo. Spinge le nostre capacità di strumentazione e analisi dei dati al limite di ciò che è attualmente possibile», commentano infatti gli scienziati. La spiegazione più probabile è che questi buchi neri si siano formati da fusioni precedenti, anche se non si escludono scenari più complessi.

La scoperta è frutto della collaborazione tra LIGO (Stati Uniti), Virgo (Italia) e KAGRA (Giappone), le tre principali infrastrutture mondiali dedicate alla rilevazione delle onde gravitazionali – minuscole increspature dello spaziotempo generate da eventi cosmici estremi. LIGO è finanziato dalla National Science Foundation (NSF) statunitense e gestito da Caltech e MIT, con il supporto di enti come la Max Planck Society e il Science and Technology Facilities Council britannico. Virgo, invece, ospitato presso l’Osservatorio Gravitazionale Europeo vicino Pisa, è sostenuto da istituzioni europee tra cui l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e il Centre National de la Recherche Scientifique francese. KAGRA, infine, situato a Kamioka, è gestito dall’Università di Tokyo e da altri istituti giapponesi. Complessivamente, si tratta di collaborazioni che coinvolgono oltre 3.000 scienziati nel mondo. Per quanto riguarda in particolare l’evento GW231123, è stato osservato durante il quarto ciclo di osservazione, iniziato nel maggio 2023, che ha beneficiato della più lunga campagna continuativa finora realizzata e di un netto miglioramento della sensibilità degli strumenti.

Secondo i dati finora raccolti, GW231123 rappresenta la fusione di buchi neri con masse talmente elevate da essere ritenute incompatibili con i modelli standard di evoluzione stellare: «I buchi neri di queste dimensioni sono proibiti dai modelli standard. Una possibilità è che si siano formati da precedenti fusioni di buchi neri più piccoli», spiega infatti il professor Mark Hannam dell’Università di Cardiff, aggiungendo che l’analisi, condotta da un team guidato dall’Università di Glasgow, ha richiesto l’uso di modelli teorici capaci di descrivere accuratamente dinamiche ad alta rotazione. «È uno dei tanti eventi che abbiamo studiato nei dati raccolti nel 2023 e all’inizio del 2024», racconta il ricercatore Daniel Williams, aggiungendo che, rispetto alla precedente fusione più massiccia conosciuta, GW190521 (circa 140 masse solari), questa nuova rilevazione segna un balzo notevole. Per alcuni esperti, poi, le sue caratteristiche suggeriscono che l’universo possa essere molto più vario – e turbolento – di quanto si pensasse: «La scoperta di un sistema così massiccio e ad alta rotazione rappresenta una sfida non solo per le nostre tecniche di analisi dei dati, ma anche per la modellizzazione teorica per molti anni a venire», afferma Ed Porter del CNRS. Infine, i ricercatori hanno dichiarato che, nonostante il record e la rilevanza scientifica della scoperta, serviranno anni per interpretare pienamente il segnale e tutte le sue implicazioni. Eventi come questo, però, potrebbero già segnare un punto di svolta nello studio dell’evoluzione stellare: «Ci aspettano tempi entusiasmanti!», conclude il fisico Gregorio Carullo dell’Università di Birmingham.

L’inchiesta sull’urbanistica prova la voracità del modello Milano: intervista a Lucia Tozzi

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Negli ultimi giorni la città di Milano è finita sotto l’occhio dei riflettori per gli scandali di corruzione che hanno visto invischiate l’amministrazione comunale e i principali fondi di investimento attivi nell’urbanistica della città. Se si mettono da parte i toni da soap opera utilizzati da una parte della stampa nostrana, ciò che resta è un avvenimento che sottolinea l’ingordigia del cosiddetto “modello Milano”, un approccio all’edilizia che inserisce la città in una campagna promozionale costante, al fine di attirare l’interesse internazionale a scapito dei bisogni concreti della città e fondato su speculazione e corruzione del modello pubblico-privato. Ne parliamo con Lucia Tozzi, studiosa di politiche urbane e giornalista, autrice di svariati testi, tra i quali L’invenzione di Milano, edito da Cronopio nel 2023.

Perché questa vicenda giudiziaria è così importante?

Per via delle persone coinvolte. Non parliamo solo dell’assessore Giancarlo Tancredi e del sindaco Beppe Sala, che di per sé sono già nomi di spicco, ma anche di figure spesso considerate intoccabili come Manfredi Catella [presidente del gruppo immobiliare COIMA, madrina di opere quali il Bosco Verticale e il quartiere Isola, ndr]. Se fino a questo momento le altre indagini hanno riguardato una scala progettuale più bassa, per esempio progetti relativi alla densificazione della città, ora sono stati toccati i grandi piani di rigenerazione urbana, come gli scali e le trasformazioni di quartiere. Sono andati direttamente ai vertici. Attraverso le intercettazioni, che dimostrano come Manfredi Catella e Stefano Boeri facessero pressioni per approvare i progetti, possiamo osservare che non si tratta dei soliti “furbetti”, ma di vere e proprie dinamiche di potere. Un potere che si muove su un altro piano, anche rispetto all’amministrazione locale.

Come ha sottolineato, non si tratta di uno scandalo solo politico, il nome principale che è venuto fuori è sicuramente quello di COIMA. Come sono solite collaborare politica e fondi di investimento?

Il direttore di COIMA, Manfredi Catella, è sempre stato considerato come un sindaco ombra. Questi fondi si sostituiscono al settore pubblico, pianificano, anche strategicamente, il destino delle aree più importanti della città; quindi, propongono progetti con previsioni urbanistiche alla mano e in qualche modo determinano il futuro dei centri urbani. Il pubblico concede gli spazi e si mette all’opera per rimuovere gli ostacoli che si potrebbero frapporre tra il fondo d’investimento, il progetto e chiaramente il conseguente profitto. Questo modello prevede che il privato decida, progetti, immagini il futuro di spazi pubblici e poi li realizzi e capitalizzi. L’unica cosa che fa il pubblico è concedere lo spazio e agevolare tutte le pretese che a mano a mano il privato avanza nel tempo.

Prevede conseguenze particolari in merito a questo scandalo?

Questa è la grande posta in gioco di questo momento. Il progetto del Villaggio Olimpico chiaramente è già realizzato, però si potrebbe ridiscutere dell’altra parte dello Scalo di Porta Romana, su cui sono emersi molti elementi controversi: la riduzione del parco, volumi eccessivi. Del futuro dello stadio di San Siro si deciderà a settembre, mentre altri progetti come Piazzale Loreto probabilmente non volgeranno al termine per mancanza di interesse. Una parte arrabbiata della cittadinanza però chiede da tempo molto altro: case popolari, servizi, mezzi pubblici; mentre anche quelle persone che sono state favorevoli allo sviluppo hanno perso fiducia. Quando ci saranno le elezioni sicuramente le conseguenze saranno visibili. 

In che modo questa inchiesta mette in discussione il cosiddetto “modello Milano”? 

Ciò che tende a rimanere in ombra, oscurato dalla propaganda mediatica, è che il modello Milano è gia in crisi. Catella e Boeri si sono già spostati a Roma, oltre che a Napoli, in occasione della America’s Cup di vela. Il noto successo dell’attrattività degli investimenti è già migrato altrove, lo stesso Catella ha ammesso nel suo libro che il futuro non sono le grandi metropoli, bensì le piccole e medie città collegate tra loro con i treni ad alta velocità. Se durante lo scandalo Tangentopoli Milano ha potuto ancora contare su un tessuto industriale produttivo, adesso la quasi totale deindustrializzazione ha fatto sì che la città puntasse solo sulla finanza. Il tentativo accanito di salvare questo modello potrebbe suggerire che in realtà la città sia sull’orlo del collasso. La finanza che, si fonde sulla necessità di preservare la propria reputazione, ha saputo sfilarsi in tempo.

Perché il modello Milano è così ingiusto?

Perchè è antiredistributivo: non solo concentra la ricchezza in mano di pochissimi, ma si fonda anche sulla rapina di tutto ciò che è pubblico. Viene detto che si attrae ricchezza, che si porta avanti il PIL, ma questi introiti non passano per le mani dei cittadini. Questo genere di produzione di ricchezza, però, presuppone il consumo dei beni pubblici, delle energie collettive, e quindi vengono depredati servizi come i trasporti, le piscine comunali, i parchi, fino ai marciapiedi stessi allocati ai tavolini. Tutto questo rende Milano una città ostile alle fasce meno agiate.

La stampa non solo ha evitato l’argomento, ma per anni ha fatto il gioco di questo modello. Quali sono state le reazioni? 

Una grande parte della stampa sta facendo di tutto per insabbiare, coprire e andare avanti. Hanno iniziato a separare la corruzione di alcune persone dal modello di sviluppo che per anni ha interessato Milano. Così facendo si punta il dito contro qualcuno, ma si cerca di salvare a tutti i costi il progetto. Per questa stampa diventa così necessario proseguire con le indagini in nome dell’onestà, ma lo sviluppo non va assolutamente toccato. Poi, isolata la questione giudiziaria, si cerca di sottostimarla: si parla di un’inchiesta “debole”, nella quale non vengono apparentemente messe in evidenza le cifre in questione. Questo però è normale, perché trattandosi di un’economia finanziarizzata è molto più difficile risalire ai passaggi di denaro. 

Quanto sta accadendo può dare inizio ad un cambiamento reale?

Secondo me sì, già adesso qualcosa sta cambiando. Queste inchieste, oltre che mostrare la necessità dell’equilibrio tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario, mettono in evidenza il potere della cittadinanza. Visto che la stampa fa di tutto per oscurare, queste inchieste nascono dagli esposti presentati dai cittadini e questa è una forza che viene essenzialmente dal basso. La consapevolezza che è nata in questi ultimi anni è merito anche della dedizione e del tempo dedicato dai comitati; senza di loro non si sarebbe andati da nessuna parte. Mentre da un lato aumenta l’autonomia della sfera economica, dall’altro cresce la consapevolezza e l’esigenza di un cambiamento da parte della cittadinanza. Penso che su questo si consumerà lo scontro futuro.

Bangladesh, aereo si schianta su scuola: almeno 19 morti e 100 feriti

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Almeno 19 persone sono morte e oltre 100 sono rimaste ferite nello schianto di un aereo da addestramento dell’aeronautica del Bangladesh su una scuola a Dhaka, nel quartiere di Uttara. Il velivolo F-7 BGI, decollato alle 13:06, ha perso quota per cause da accertare e si è abbattuto sul Milestone School and College, provocando un incendio. Tra le vittime anche bambini e il pilota, il tenente Toukir Islam Sagar, al suo primo volo in solitaria. Le autorità hanno avviato un’indagine e promesso misure per chiarire le responsabilità e prevenire simili tragedie. Il bilancio delle vittime sembra destinato ad aumentare.

Regno Unito: oltre 100 arresti in pochi giorni per le proteste a favore di Palestine Action

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Sono quasi 200 le persone arrestate nel Regno Unito per avere manifestato a supporto di Palestine Action, il gruppo di attivisti che si batte per i diritti del popolo palestinese recentemente dichiarato terrorista dal Paese. Le proteste in favore del gruppo sono sorte sin dal suo inserimento nella lista delle organizzazioni terroristiche. Inizialmente concentratesi a Londra, le manifestazioni si sono rapidamente estese in tutto il Paese, arrivando anche a Manchester, Bristol, Liverpool, Edimburgo e altre località. Palestine Action è un movimento che organizza atti di sabotaggio contro i giganti dell’industria bellica coinvolti nel genocidio a Gaza. A inizio luglio è stato dichiarato terrorista dopo avere condotto una azione all’interno di una base dell’aviazione britannica, danneggiando due aerei; da allora chiunque collabori con il gruppo, promuova le sue attività o manifesti a suo favore è passibile di arresto.

Le ultime proteste a sostegno di Palestine Action e contro il genocidio in Palestina hanno portato a 110 arresti. Sabato, a Westminster, Londra, si è tenuta una protesta nei pressi della piazza del Parlamento, dove sono state arrestate 55 persone. I media britannici come l’agenzia di stampa BBC riportano che gli arresti avrebbero coinvolto persone di oltre 60 anni, e che sarebbe stata portata via anche una donna di 80 anni con lievi problemi motori. Parallelamente, sempre a Londra, la piattaforma Palestine Coalition, che tiene insieme diversi gruppi che si battono per i diritti del popolo palestinese, ha organizzato una marcia in favore di Palestine Action, e la polizia ha arrestato 10 manifestanti. Sempre sabato, la polizia di Avon e Somerset ha dichiarato al sito di informazione Epigram, di avere fermato una protesta che si stava tenendo presso il Green College di Bristol, arrestando 17 persone; anche in questo caso, tra le persone portate via figurano alcuni anziani, come si vede in un video diffuso dal canale di informazione Bristol 24/7. Altre 16 persone sono state arrestate in una protesta tenutasi a Manchester, vicino alla statua di Gandhi, nei pressi della piazza della cattedrale cittadina. Un’altra piazza di cattedrale sede di una protesta è stata quella di Truro (in Cornovaglia, Inghilterra), dove sono state arrestate altre 8 persone. A Liverpool, arrestate altre 4 persone. In Inghilterra ci sono state proteste anche a Kendal (località situata vicino al fiume Kent) e Canterbury.

Oltre alle proteste in Inghilterra, le mobilitazioni a favore di Palestine Action hanno interessato anche il Galles meridionale, l’Irlanda del Nord e la Scozia. In Scozia, le proteste si sono concentrate a Edimburgo, dove sabato una trentina di persone si sono radunate davanti alla piazza del Parlamento. Malgrado non ci sia stato alcun arresto, il Guardian riporta che la polizia scozzese avrebbe arrestato un manifestante in occasione di un’altra manifestazione in sostegno del gruppo di attivisti. Le proteste in solidarietà a Palestine Action, infatti, vanno avanti sin da quando il movimento è stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche, e stanno coinvolgendo persone di tutte le età e le regioni del Regno Unito. Agli arresti più recenti vanno aggiunti quelli delle settimane passate a Londra e Manchester, che portano il totale dei cittadini britannici presi in custodia per avere supportato Palestine Action almeno a 197. La legge britannica contro il terrorismo prevede infatti la detenzione per chiunque supporti in qualsiasi maniera i gruppi inseriti all’interno della lista: sostenere pubblicamente uno di questi gruppi è un reato che prevede fino a 14 anni di carcere. Nel frattempo Palestine Action ha presentato un ricorso in tribunale, e oggi dovrebbe arrivare la sentenza della Corte d’Appello.

Corea del Sud, alluvioni e frane causano almeno 18 morti

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Negli ultimi giorni la Corea del Sud è stata colpita da piogge torrenziali che hanno provocato alluvioni e frane, causando la morte di almeno 18 persone e lasciandone 9 disperse, secondo il ministero dell’Interno del Paese. La zona più colpita è Gapyeong, a circa 60 km a nord-est di Seul, dove in 17 ore domenica sono caduti 173 mm di pioggia, superando il precedente record nazionale di 153,6 mm risalente a settembre 1998. Le autorità locali hanno mobilitato squadre di soccorso per rimuovere detriti, mettere in sicurezza le abitazioni minacciate dalle frane e assistere gli sfollati.

Cisgiordania, un rapporto documenta la pulizia etnica in atto nei villaggi di Masafer Yatta

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L’organizzazione Mediterranea Saving Humans ha presentato presso la sala Caduti di Nassirya, al Senato, il primo report del monitoraggio riguardo la violazione dei diritti umani a Masafer Yatta, comunità  di più di 20 villaggi palestinesi nel sud della Cisgiordania. I numeri e le evidenze al suo interno mostrano come, in poco più di 4 mesi (dal 31 gennaio al 31 maggio 2025), si siano verificati 838 attacchi da parte delle forze di occupazione israeliane – coloni, polizia ed esercito – contro 27 villaggi palestinesi dell’area, con una media di quasi 7 attacchi al giorno. La violazione numericamente più significativa tra quelle registrate è l’invasione delle proprietà palestinesi a scopo intimidatorio o di molestia da parte dei coloni. In 147 casi dei 409 riguardanti l’invasione delle proprietà palestinesi però, l’azione è stata accompagnata da violazioni di altro tipo, come atti di intimidazione verbale o armata da parte delle forze di Occupazione, aggressioni da parte dei coloni, arresti dei palestinesi presenti nella proprietà, incendi o danneggiamenti a terreni, piante, sistemi di irrigazione o di beni di altro tipo. 

Il documento di Mediterranea sottolinea come, a seguito di queste invasioni, in molti casi il passo successivo sia la creazione di avamposti per occupare le proprietà. Questi avamposti, chiamati outpost, sono pensati e costruiti dai coloni con la sempre presente complicità delle autorità israeliane. Solo nel periodo di analisi sono nati 12 nuovi avamposti nell’area di Masafer Yatta. La presenza di questi outpost israeliani all’interno dei Territori occupati della Cisgiordania è illegale non solo secondo il diritto internazionale, ma anche secondo la legge israeliana. Ma l’illegalità di questa pratica non ferma l’avanzamento della colonizzazione della Cisgiordania, anzi: i cittadini israeliani che decidono di stabilirsi o costruire nuovi avamposti ricevono ingenti incentivi da parte del governo. Le azioni compiute dai coloni dovrebbero essere controllate, fermate e punite dalle forze di polizia israeliana che, in quanto forza occupante, avrebbe il dovere di garantire la sicurezza della popolazione sotto occupazione. Il report mostra invece come, nel 71% delle volte in cui intervengono le forze di polizia o l’esercito israeliani, o questi non fanno nulla per fermare le violenze dei coloni (34,23 % dei casi) oppure agiscono a danno dei palestinesi con arresti arbitrari (37,84% dei casi). A questi arresti, il rapporto lega la discriminazione legale che i cittadini palestinesi della Cisgiordania subiscono, dato che, a differenze di israeliani e cittadini stranieri che rispondono alla legge civile israeliana, i palestinesi sono sottoposti a alla legge militare. Alla connivenza di coloni e forze di occupazione il report dedica un intero capitolo, dove vengono esaminati i modi e gli strumenti usati dalle forze di occupazione per procedere verso l’obiettivo ormai palese della pulizia etnica e dell’annessione dei Territori Occupati della Cisgiordania. 

Nella mattina di giovedì al Senato erano presenti, oltre al senatore di AVS Giuseppe De Cristofaro, promotore della conferenza di presentazione, anche i deputati PD Rachele Scarpa e Arturo Scotto. Insieme alle personalità politiche erano presenti anche Denny Castiglione, coordinatore del progetto Mediterranea with Palestine che fornisce attivisti e attiviste internazionali per attuare la pratica non violenta della presenza protettiva, Laura Marmorale, presidente Mediterranea e in collegamento il giurista Luigi Daniele. «Un progetto nato dal bisogno di non limitarci all’azione diretta, ma di testimoniare, raccogliere dati e raccontare ciò che vediamo», così Castiglione ha spiegato il motivo per cui Mediterranea si è impegnata nella stesura di questa prima metà di report, la seconda parte uscirà alla fine dell’anno. Anche la presidente di Mediterranea da spiegazione della scelta di compilare questo rapporto affermando che «ciò che accade in Cisgiordania viene raccontato solo sporadicamente, solo quando diventa mediaticamente insostenibile.

«Abbiamo voluto raccontare la sistematicità, l’organizzazione, la scientificità con cui avvengono gli attacchi, parte di un disegno preciso, coerente con quanto avviene anche a Gaza». Nel ringraziare i parlamentari presenti, Marmorale, criticando l’operato del governo di Meloni, ha esortato all’azione: «Sappiamo quanto questo governo sia allergico alla sospensione dei memorandum, come stiamo vedendo anche con la Libia. Ma non per questo possiamo rinunciare o arretrare».

Ed è proprio giovedì mattina, mentre la presidente del Consiglio per la prima volta in due anni e mezzo di massacri ha criticato le azioni di Israele solo dopo che è stata colpita l’unica chiesa di Gaza che fungeva da rifugio per i civili, che alla Camera è stata bocciata la mozione che chiedeva la sospensione del memorandum d’intesa militare tra Italia e Israele. Blande critiche da una parte e saldi accordi dall’altra. «Il governo fa spallucce, oggi assistiamo alla condanna di Giorgia Meloni rispetto alla chiesa colpita a Gaza, però poi non si agisce di conseguenza» ha dichiarato Scotto a L’Indipendente a margine della conferenza. Interrogato poi sulla questione della Relatrice speciale delle Nazioni Unite, il deputato PD ha definito «sconcertate e inaccettabile il silenzio del Governo. Noi continueremo a chiedere che venga presa una posizione chiara in difesa di una nostra concittadina». 

Giorno dopo giorno, la Cisgiordania è sempre più vicina alla completa pulizia etnica della popolazione palestinese e all’annessione totale da parte di Israele e Castiglione ammette «non possiamo dimenticare che tutto questo non inizia il 7 ottobre 2023, siamo arrivati in ritardo e lo dobbiamo riconoscere in modo autocritico, ma ancora di più non possiamo oggi rimanere fermi».

Maxi attacco hacker a SharePoint Server: colpite agenzie governative e aziende

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Un gruppo di hacker ha sfruttato una vulnerabilità nel software SharePoint Server di Microsoft per lanciare un attacco globale, colpendo agenzie governative statunitensi, università, aziende energetiche e un gruppo di comunicazione asiatico. L’attacco ha interessato installazioni locali del software, non la versione cloud SharePoint Online. Microsoft ha rilasciato un aggiornamento urgente e lavora a ulteriori correzioni. Le autorità di USA, Canada e Australia indagano, con migliaia di server ancora a rischio. L’origine e gli obiettivi del gruppo restano ignoti. Eye Security ha rilevato oltre 50 violazioni, ma i nomi delle vittime sono coperti da accordi di riservatezza.

Sempre più adolescenti puntano ai rapporti parasociali con l’IA

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Martedì 15 luglio, il Garante per la protezione dei dati personali (GPDP) ha pubblicato la sua Relazione annuale. Tra i temi affrontati, il Presidente Pasquale Stanzione ha evidenziato una tendenza sempre più marcata tra i giovani: il ricorso crescente a interazioni parasociali con chatbot commerciali. Complice la loro programmazione assertiva, queste intelligenze artificiali finiscono spesso per catalizzare l’attenzione dei minori — e non solo — i quali tendono a proiettare su di esse legami affettivi. Una dinamica che può compromettere la salute mentale, le relazioni interpersonali e i diritti delle persone coinvolte.

Secondo quanto riportato nel documento, nel 2024 il tema dell’intelligenza artificiale, insieme a Big Data e deepfake, è stato al centro dell’attività del Garante. L’Autorità è sempre più spesso chiamata a esprimere la sua opinione su prodotti che si collocano in aree normative ancora poco definite, ma che vengono immessi sul mercato con una certa disinvoltura. Una delle criticità più rilevanti che è venuta a crearsi in seguito a questo comportamento commerciale riguarda proprio il rapporto tra soggetti vulnerabili e chatbot, un fenomeno in rapida crescita che si fa particolarmente delicato quando coinvolge adolescenti.

“Almeno un ragazzo su 6, tra gli 11 e i 25 anni, ha utilizzato i chatbot di IA per chiedere consigli e valutazioni, come uno psicologo, riscontrandone poi dipendenza in un caso su tre”, sostiene Stanzione. “Addirittura alcuni sviluppano una sorta di legame affettivo, empatico con questi chatbot anche in ragione del loro tono spesso eccessivamente lusinghiero, assolutorio, consolatorio e del loro configurarsi come un approdo sicuro in cui rifugiarsi, al riparo dal giudizio altrui. E’ quello che viene definito il loop dell’empatia infinita, che genera appunto dipendenza spingendo a svalutare, per converso, i rapporti umani (che appaiono troppo complessi e poco satisfattivi), inducendo così all’isolamento”.

Questa tendenza è stata recentemente confermata anche da Internetmatters.org, organizzazione britannica che nel sondaggio Me, Myself and AI ha rilevato dati che vale la pena tenere in considerazione in vista dello sviluppo pedagogico dei giovani, ma anche sotto l’eventuale lente legislativa. Secondo l’indagine, il 64% dei bambini tra i 9 e i 17 anni interagisce abitualmente con chatbot. Nella maggior parte dei casi si tratta di semplici domande legate a tematiche scolastiche, ma il 23% ricorre a questi strumenti per ricevere consigli su vari aspetti della vita, inclusa la salute mentale e la sfera sessuale.

Il 15% dei giovani che usa le IA preferisce confrontarsi con una macchina piuttosto che con una persona vera. La percentuale sale sensibilmente tra i minori più vulnerabili, dove il 26% dichiara di preferire la compagnia di chatbot agli esseri umani e il 23% afferma di non avere nessun altro con cui parlare. Un quadro che riflette una tendenza più ampia, considerando che anche molti adulti fanno ricorso a strumenti come ChatGPT come surrogato economico della terapia.

Al di là del problema legato alla gestione dei dati sensibili e delle informazioni intime che questi sistemi possono raccogliere e integrare nei loro algoritmi, resta il tema cruciale della loro programmazione: i chatbot sono progettati per essere persuasivi e accomodanti, tendenzialmente servili, la loro programmazione rischia di amplificare le convinzioni di chi si rivolge a loro, rinforzando concetti che andrebbero contrastati. In tal senso, una recente ricerca dell’Università di Stanford ha evidenziato come i modelli linguistici tendano pericolosamente ad assecondare pensieri distorti o deliranti. Per questo motivo, gli studiosi invitano a non considerare le IA come alternativa alla consulenza psicologica professionale, una raccomandazione che non può che sollevare dubbi sull’effetto che questi strumenti possano esercitare sulla mente dei minori.

Per Stanzione, l’urgenza attuale è quella di dover sviluppare trasversalmente una migliore alfabetizzazione digitale, ovvero trasmettere meglio agli utenti quali siano le potenzialità, i limiti e i rischi che si collegano all’uso di questi strumenti. “Ciò su cui è necessario il massimo rigore è il rispetto degli obblighi di age verification e, soprattutto, una comune alleanza delle istituzioni e delle comunità educanti per la promozione della consapevolezza digitale dei minori. La scuola, le scuole, stanno facendo molto; il Garante è al loro fianco in quest’ attività di formazione della cittadinanza digitale”, afferma il Presidente del Garante della privacy. 

Sovraffollamento e troppi suicidi: il Consiglio d’Europa boccia le carceri italiane

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Tra suicidi e sovraffollamento, le carceri italiane risultano tra le peggiori d’Europa; a rivelarlo sono i dati dell’annuale rapporto dedicato alla situazione carceraria del Vecchio Continente, redatto dal Consiglio d’Europa. Secondo il rapporto, in un solo anno la popolazione carceraria è infatti cresciuta del 7,8%, uno degli aumenti più netti tra i Paesi UE, con una media di 118 detenuti per ogni 100 posti disponibili. Gli unici Paesi con una media più alta di quella italiana sono Slovenia, Cipro e Francia. Il nostro Paese, rivela il rapporto, registra inoltre uno dei tassi più elevati di suicidi in carcere e il secondo dato peggiore in termini assoluti nell’Unione Europea, mentre quasi il 30% dei detenuti condannati deve scontare pene superiori ai 10 anni.

Il rapporto del Consiglio d’Europa è uscito alla fine del 2024, ma è stato aggiornato questo luglio. Il documento fa parte di una serie annuale che riporta dati e tabelle relative alla popolazione carceraria del Vecchio Continente prendendo come data di riferimento il 31 gennaio dell’anno in cui è stato redatto, e compara i nuovi numeri con quelli degli anni precedenti. In generale, l’Italia presenta un indicatore “molto alto”, ossia superiore al 25% rispetto alla media europea, in diverse voci: numero di detenuti stranieri, percentuale di ultracinquantenni rispetto al totale dei detenuti, numero di evasioni, densità della popolazione carceraria, durata media delle detenzioni, e suicidi. Proprio queste ultime tre voci risultano le più allarmanti. Secondo i dati aggiornati, al 31 gennaio 2024, l’Italia contava 60.318 detenuti, circa 102,3 ogni 100.000 abitanti; tra il 2023 e il 2024 il numero di detenuti in relazione alla popolazione è cresciuto di 7,4 unità, per una percentuale pari al 7,8%. Solo Croazia, Malta, Slovenia e Svezia hanno fatto peggio. Le carceri italiane, insomma, sono sovraffollate. La capacità del sistema carcerario italiano è infatti di 51.347 detenuti a fronte di 31.924 celle.

Degli oltre 60mila detenuti italiani nel 31 gennaio, 15.763 erano ancora in attesa dell’ultima sentenza, e di questi 9.348 non erano ancora stati processati. Tra i 44.555 detenuti processati, invece, erano solo 1.499 quelli che dovevano scontare una pena inferiore a un anno; la maggior parte (13.356) è stata condannata a una pena tra i 5 e i 10 anni, e pochi meno (12.019) a oltre 10 anni; di questi ultimi, 2.774 sono stati condannati a 20 anni, mentre 1.878 all’ergastolo. Il dato più allarmante, tuttavia, risulta quello dei suicidi. Nel 2023, l’Italia era il secondo Paese con il più alto numero di suicidi in termini assoluti nell’Unione Europea (dietro solo alla Francia), e il terzo in tutta Europa (dietro al Regno Unito). Quell’anno in Italia si erano tolti la vita 66 detenuti, ma nel 2024 il numero di suicidi è arrivato a 91, il dato peggiore di sempre. Secondo i dati di Ristretti Orizzonti, invece, in questi mesi di 2025, se ne sarebbero verificati 44.

Per risolvere la situazione nelle carcerari italiane, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha suggerito un possibile indulto per 10.105 detenuti condannati per reati minori. Una simile misura era stata suggerita anche dal Garante dei detenuti – che aveva tuttavia ipotizzato l’estensione di un possibile indulto a circa 16mila persone. Il Garante, tuttavia, non si era limitato ad avanzare l’idea di liberare parte della popolazione carceraria, ma aveva sottolineato anche la necessità di interventi strutturali per migliorare le condizioni di vita dei detenuti italiani, come il diritto ad accedere ai colloqui intimi, l’apertura delle celle durante il giorno, e la garanzia dell’ora d’aria tutti i giorni evitando le ore di caldo cocente (tra le 13 e le 15).

Giappone, elezioni: coalizione di governo perde maggioranza al Senato

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In seguito alla tornata elettorale di domenica 20 luglio, la coalizione di governo giapponese ha perso la maggioranza al Senato. Il Partito Liberal Democratico (PLD) e il Komeito ora contano infatti 122 seggi su 248. La popolarità di entrambi è in calo da tempo, con la perdita della maggioranza alla Camera già nel 2024. È la prima volta che il PLD, che governa ininterrottamente dal dopoguerra, si trova senza maggioranza in entrambe le Camere. Nonostante ciò, il primo ministro Ishiba Shigeru ha escluso dimissioni e il governo potrebbe sopravvivere in ragione della frammentazione dell’opposizione. Inaspettato il buon risultato di Sanseito, partito di estrema destra, che ha eletto 14 senatori.