Ricevere uno smartphone da bambini, nonostante sembri ormai una pratica sempre più frequente, potrebbe rivelarsi un dettaglio tutt’altro che innocuo e impattare significativamente sulla salute mentale anche in età adulta. È quanto emerge da un recente studio realizzato da un team internazionale di ricercatori, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Human Development and Capabilities. Estrapolando e analizzando i dati ottenuti da un database globale, gli autori hanno scoperto che i ragazzi tra i 18 e i 24 anni che avevano ricevuto un dispositivo a 12 anni o prima riferiscono più spesso pensieri suicidi o riguardanti aggressività, distacco dalla realtà e ridotta capacità di controllare le emozioni. «L’uso precoce di uno smartphone e l’accesso ai social media che ne consegue sono associati a un cambiamento profondo del benessere mentale nella prima età adulta», afferma la neuroscienziata e coautrice Tara Thiagarajan, aggiungendo che il fenomeno appare coerente in culture e lingue differenti e che servirebbero azioni concrete per proteggere le generazioni future.
Dagli anni Duemila i cosiddetti telefoni intelligenti – computer tascabili e connessi a internet – hanno trasformato l’adolescenza: permettono contatti immediati, apprendimento continuo e intrattenimento illimitato, anche se d’altra parte espongono anche a contenuti dannosi amplificati dagli algoritmi. Le principali piattaforme social, spiegano gli esperti, fissano a 13 anni l’età minima di registrazione, tuttavia il controllo è spesso assente e l’età reale di primo accesso sembra continuare a scendere. In parallelo, le scuole e i governi oscillano fra divieti parziali e libertà totale: Francia, Paesi Bassi e Italia hanno introdotto limiti d’uso in classe, mentre New York e altri stati americani hanno appena adottato norme restrittive. La letteratura scientifica sul tempo davanti allo schermo e sulla salute mentale, inoltre, offre risultati talvolta discordanti: alcuni studi parlano di effetti negativi, mentre altri non trovano correlazioni forti, spesso – secondo gli autori – perché si concentrano solo su sintomi classici come ansia e depressione, trascurando segnali diversi come aggressività o disconnessione dal reale. Per chiarire il quadro, è stato avviato il Global Mind Project, un database planetario che raccoglie profili psicologici e dati di contesto, misurando con il Mind Health Quotient (MHQ) – un indice che integra funzioni sociali, emotive, cognitive e fisiche – la condizione mentale su una scala che va da –100 (grave disagio) a +200 (pieno benessere).
Dall’analisi di oltre 100.000 persone tra 18 e 24 anni emerge un andamento netto: chi possedeva il primo smartphone a 13 anni ottiene un punteggio medio MHQ di 30, che precipita a 1 per chi lo aveva già a cinque anni. Le percentuali di soggetti “in difficoltà” aumentano del 9,5% fra le donne e del 7% fra gli uomini, e i sintomi più associati all’uso precoce includono pensieri suicidi, aggressività e sensazione di essere staccati dalla realtà, mentre fra le funzioni più compromesse figurano autostima, immagine di sé, calma emotiva ed empatia. Circa il 40% dell’associazione negativa è spiegato dall’accesso anticipato ai social media mentre contribuiscono anche relazioni familiari problematiche (13%), cyberbullismo (10%) e disturbi del sonno (12%). «La portata del potenziale danno è troppo grande per essere ignorata», sottolinea Thiagarajan, aggiungendo che i politici dovrebbero adottare quattro misure: alfabetizzazione digitale e mentale obbligatoria, applicazione rigorosa dei limiti d’età con responsabilità delle aziende tecnologiche, restrizione dell’accesso alle piattaforme social sotto i 13 anni e un sistema di “telefoni per ragazzi” con funzioni ridotte. Infine, pur riconoscendo che la causalità diretta non è ancora dimostrata, il gruppo di autori ritiene necessario agire in via precauzionale, in quanto «attendere prove inconfutabili rischia di farci perdere la finestra temporale per un intervento preventivo».
A inizio 2025, Bloomberg aveva lanciato uno scoop: il governo italiano stava valutando di siglare un contratto da 1,5 miliardi di euro con SpaceX per poter usufruire per cinque anni dei satelliti Starlink. La notizia era diventata un caso politico e l’Amministrazione Meloni si era trovata ad affidare al Comitato Interministeriale per le Politiche relative allo Spazio e alla Ricerca Aerospaziale (COMINT) il compito di vagliare alternative al servizio statunitense. A distanza di mesi, il responso non lascia spazio a dubbi: Starlink rappresenta l’unica via percorribile e va intrapresa il prima possibile.
Il rapporto governativo riservato, anticipato da Giacomo Salvini del Fatto Quotidiano, ha dei toni da profezia autoavverante. Il COMINT, gruppo presieduto dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, era stato originariamente chiamato a sviluppare uno studio di fattibilità che vagliasse la possibilità di una costellazione satellitare nazionale, un’opzione impraticabile per molteplici motivi. Con simili premesse, le alternative sul tavolo sono due: attendere il completamento del progetto satellitare europeo Iris2, che nel migliore dei casi entrerà in funzione nel 2030, o usufruire sin da subito dei satelliti a bassa quota messi in campo da Starlink. “In tutta evidenza la Ue non potrà prescindere – a parità di prestazioni ed immediatezza delle stesse – da una stretta partnership con gli Usa in settori strategici quali le Telecomunicazioni satellitari”, recita il documento.
L’avvicinamento del governo a SpaceX risale ormai all’Amministrazione Draghi, una mossa che viene attribuita a uno sgarbo politico ed economico di portata internazionale. Secondo la relazione, nel contesto di Iris2, l’industria italiana è “sottorappresentata rispetto al potenziale, sollevando interrogativi sulla necessità di un maggiore allineamento tra ambizioni nazionali e partecipazione industriale europea”. Urso ritiene che l’infrastruttura controllata da Elon Musk sia “nettamente superiore” alla futura alternativa europea, se non altro perché questa non è “ancora disponibile” ed è “di respiro meno ambizioso”. La valutazione del governo italiano è chiara: per esigenze immediate di comunicazione, soprattutto in ambito istituzionale e militare, bisogna affidarsi agli Stati Uniti.
“Purtroppo il tutto ha preso una piega molto poco tecnica e molto politica, con dubbi legittimi riguardo a sovranità e sicurezza”, ha fatto notare Andrea Stroppa, personaggio ritenuto il ponte degli interessi di Musk in Italia, ai microfoni di Open. “Molte persone hanno lavorato curandosi di questi temi, per non rimanere dipendenti nei confronti di un’azienda americana. Ma al momento l’opzione dei satelliti di SpaceX è la migliore, non se ne può fare a meno”. Considerando che nessuno contesta il ruolo dominante dell’azienda statunitense, è in effetti evidente che le perplessità siano prettamente di natura politica, soprattutto in un contesto in cui l’Unione Europea ha lungamente fantasticato di poter gestire in prima persona le sue infrastrutture digitali essenziali.
Starlink, divenuto ormai essenziale per le comunicazioni dell’esercito ucraino, è incappato più volte in blackout dalle cause vaghe, non opportunamente chiarite, e in episodi di geofencing che hanno limitato le opportunità tattiche del governo di Kiev. I rapporti tra Stati Uniti e Unione Europea non stanno inoltre vivendo un periodo felice, quindi è legittimo temere che un’ulteriore dipendenza dagli strumenti americani possa minare ancor più la resilienza UE. Non a caso, Cina e Russia stanno confidando entrambe in soluzioni satellitari, presenti o future, che siano in grado di porsi come alternativa a quanto imbastito dagli USA. Una scelta strategica che evidenzia la necessità dei due governi di mantenere un certo grado di indipendenza tecnica, ma che assume anche la forma di hard power attraverso cui creare legami con quelle nazioni che son fin troppo spesso relegate alla periferia del mondo.
È iniziato lo sciopero generale per la Palestina. Lo sciopero riguarderà l’intera giornata e coprirà tutti i settori del pubblico e del privato. Per la giornata di oggi sono previste manifestazioni in oltre 80 città. I nostri aggiornamenti in diretta.
Ore 19.25 – Da nord a sud iniziano i cortei pomeridiani
In tutta Italia stanno iniziano i nuovi cortei per la Palestina. Alle 19, a Brescia è partito un corteo da Piazza del Duomo; alla stessa ora, è iniziato un presidio a Cesena, mentre alle 19:15 è partito un corteo a Torino, che in questo momento sta percorrendo corso Giulio Cesare. Marce anche a Bergamo, Cosenza e Genova.
Ore 18.00 – Milano: oltre 10 fermi e 60 feriti
A Milano è trapelato un primo bilancio parziale della giornata di mobilitazioni di oggi. Secondo l’agenzia di stampa Ansa, nel capoluogo meneghino, dopo gli scontri in stazione, ci sarebbero stati oltre una decina di fermi e almeno 60 feriti; in città, intanto, prosegue un presidio stradale in via Vittor Pisani. Fermi anche a Bologna, dove la polizia avrebbe arrestato almeno 8 persone dopo una serie di scontri sulla tangenziale.
I manifestanti sulla tangenziale a Bologna.
Ore 17.20 – Roma: bloccata la tangenziale, manifestanti entrano alla Sapienza
Il corteo pro Gaza partito da piazza Cinquecento ha attraversato Roma fino a bloccare la tangenziale est. Nei pressi del Verano il corteo ha invaso anche la corsia opposta della tangenziale, paralizzando il traffico cittadino. Decine di migliaia di manifestanti hanno sfilato al grido «fuori il sionismo dall’università», entrando anche alla Sapienza con lo striscione “block the university, all eyes on the Flotilla”.
Il corteo per la Palestina di Roma sulla tangenziale est.
Ore 16:40 – Genova, chiuso casello A7 causa corteo
Il casello di Genova Ovest sull’autostrada A7 è stato chiuso in entrambe le direzioni per un corteo organizzato dai sindacati di base. Autostrade per l’Italia ha segnalato la chiusura del tratto tra il bivio A7/A10 e Genova Ovest, consigliando l’uscita a Genova Bolzaneto per chi proviene da Milano. Si registrano due chilometri di coda tra i raccordi A7/A12 e A7/A10. La protesta degli attivisti sta causando forti disagi al traffico urbano, in particolare lungo le direttrici che portano al nodo di San Benigno.
Ore 16:10 – Salvini e Tajani contro gli attivisti: “Violenti”
Il Ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha accusato su X gli attivisti pro-Pal: «Altro che sciopero, questa è violenza: scontri e attacchi alle Forze dell’Ordine, stazioni prese d’assalto e assediate, sassi sui sui binari, migliaia di lavoratori bloccati e arrabbiati. Questi sono i ‘pacifisti’ di sinistra», ha scritto. È intervenuto anche il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «solidarietà alle forze dell’ordine», definendole «bersaglio incolpevole di questa violenza».
Immagini impressionanti. Altro che sciopero, questa è violenza: scontri e attacchi alle Forze dell’Ordine, stazioni prese d’assalto e assediate, sassi sui sui binari, migliaia di lavoratori bloccati e arrabbiati. Questi sono i “pacifisti” di sinistra. https://t.co/jJfioLpAgv
Ore 15:40 – Milano, scontri tra manifestanti e forze dell’ordine
In questi minuti, l’area della Stazione Centrale di Milano è teatro di forti tensioni legate al corteo pro Palestina. La polizia ha bloccato gli ingressi per impedire l’accesso ai manifestanti, con momenti di scontro. Gli attivisti hanno divelto vetrine e lanciato oggetti. Centinaia di persone sono rimaste nell’area esterna con chioschi e negozi, senza entrare nella struttura. In via Vittor Pisani gli agenti hanno usato fumogeni per disperdere il corteo. Tutti i negozi interni sono stati chiusi e la stazione presidiata da poliziotti in assetto antisommossa.
Ore 15:20 – Venezia, la polizia usa gli idranti sui manifestanti
Al porto di Marghera, a Venezia, la manifestazione pro-Palestina è stata respinta dall’intervento delle forze dell’ordine. Blindati e idranti hanno costretto i manifestanti ad arretrare di circa cento metri. I dimostranti hanno gridato slogan come «Vergogna!» e intonato cori per la Palestina. La ritirata si è fermata quando un gruppo di partecipanti si è seduto sulla carreggiata, gambe incrociate e mani alzate, creando una barriera simbolica davanti alla folla in arretramento.
Immagini degli scontri a Venezia Marghera.
Ore 13:25 – Torino: almeno 10mila in protesta, studenti bloccano i binari
A Torino circa diecimila persone stanno partecipando alle proteste. Il corteo, partito dalla stazione di Porta Nuova, sta attraversando il centro città sfilando lungo via Madama Cristina. L’ingresso principale dello scalo ferroviario è stato chiuso dalle forze dell’ordine per motivi di sicurezza. Durante la mobilitazione, un blocco studentesco si è staccato dal corteo principale occupando i binari del treno. L’iniziativa ha causato tensioni e disagi alla circolazione ferroviaria.
Ore 12:50 – Brescia, bloccata stazione della metro
A Brescia i manifestanti hanno occupato la stazione Vittoria della metropolitana cittadina, bloccando l’accesso ai viaggiatori e il traffico dei treni per circa 15 minuti. Sono in centinaia davanti all’ingresso dello scalo e all’interno della stessa fermata. Gli studenti, che hanno guidato la protesta, hanno urlato slogan in difesa della popolazione palestinese, contro il governo israeliano e anche contro l’esecutivo Meloni. Attimi di tensione con le forze dell’ordine.
Ore 12:20 – Pisa, migliaia di manifestanti invadono la superstrada
A Pisa migliaia di manifestanti pro-Gaza hanno invaso la Sgc Firenze-Pisa-Livorno, bloccando completamente la carreggiata in direzione mare. Il corteo è entrato sulla superstrada dallo svincolo vicino all’aeroporto, paralizzando la circolazione e costringendo numerosi automobilisti a fermarsi. In direzione Firenze il traffico, seppur rallentato dalla curiosità dei passanti, continua a scorrere.
Ore 11:47 – Protesta del corteo davanti al consolato israeliano di Bari
Il corteo organizzato a Bari dai sindacati di base, che conta circa duemila persone, è arrivato davanti al consolato di Israele, dove è schierata la polizia in assetto anti sommossa. I manifestanti hanno protestato urlando «Assassini», «vergogna», «Israele fascista, Stato terrorista» sotto la struttura. Fra loro ci sono moltissimi giovani, che hanno issato le bandiere della Palestina. Il corteo si sta ora muovendo, proseguendo il suo percorso autorizzato.
Ore 11:15 – Bloccata la stazione centrale di Napoli
Lo sciopero è arrivato anche nella stazione centrale di Napoli, che è stata bloccata dalle manifestazioni. Nel frattempo, è stato bloccato anche il porto di Trieste e a Milano migliaia manifestanti sono partiti in corteo.
Ore 10:45 – Le principali manifestazioni continuano a crescere
I principali presidi e cortei del Paese iniziano a mobilitarsi e a vedere crescere il numero dei partecipanti. A Venezia è iniziato il concentramento di Marghera, dove si stanno riunendo persone da tutto il nord-est Italia; a Torino sono partiti i cortei dall’università e da Piazza Arbarello; a Genova, migliaia di persone sono arrivate in presidio davanti al Varco San Benigno del porto; nel fiorentino, presso Calenzano, è stata bloccata la A1, e il corteo si è mosso in direzione Campi Bisenzio e Capalle; a Bologna sono partiti i cortei studenteschi verso piazza Verdi.
Intanto, al porto di Livorno, sono arrivati ancora più manifestanti, che si sono diretti verso le banchine dell’Alto Fondale, mentre è partito un corteo anche Pisa; porto bloccato anche a Salerno.
Il corteo studentesco di Torino.
Ore 9:55 – Nuovi presidi a Milano, Potenza, Ravenna e in Veneto
In Veneto è stato inaugurato il primo concentramento regionale. I manifestanti si sono riuniti a Padova, dove hanno rilanciato la più ampia mobilitazione di Marghera, che dovrebbe iniziare a momenti. In Romagna, a partire dalle 9, i manifestanti si sono riuniti in presidio presso Piazza del Popolo, mentre in Basilicata, a Potenza, è iniziato un corteo cittadino. Nonostante la pioggia, i manifestanti stanno iniziando a radunarsi anche a Milano, in piazza Cadorna, dove a breve dovrebbe partire una marcia verso la stazione.
Il corteo a Potenza.
Ore 9:45 – Ancora blocchi studenteschi: Bologna, Brescia, Genova, Lecce e Torino
Gli studenti di Cambiare Rotta hanno bloccato anche l’Università di Lecce, e la sede centrale dell’Università di Bologna; sempre a Bologna, docenti e studenti si sono riuniti davanti alla sede dell’ufficio scolastico regionale. A Genova è stata bloccata una seconda sede e gli studenti sono partiti in corteo. A Brescia, gli studenti e le studentesse delle scuole superiori si sono radunati in Piazzale Cesare Battisti, da dove partiranno alla volta del Duomo. A Torino gli studenti hanno organizzato picchetti in diversi istituti e si sono mossi verso Piazza Arbarello dove è previsto un concentramento studentesco.
Ore 9:30 – Trasporti: a Milano chiusa la M4
Lo sciopero ha iniziato a interessare anche il settore dei trasporti. A Milano la linea 4 della metropolitana (che collega la città all’aeroporto di Linate) è chiusa, mentre le altre linee sotterranee sembrano continuare circolare. Nel capoluogo meneghino la fascia non garantita proseguirà fino alle 15; il servizio riprenderà per tre ore e potrebbe subire ulteriori interruzioni a partire dalle 18. Anche il personale ATAC, di Roma, è in sciopero; nella capitale la fascia garantita è prevista dalle 17 alle 20 e le autorità hanno disposto la chiusura della stazione Termini in vista della manifestazione, che inizierà alle 11.
Disagi previsti anche nelle ferrovie, dove il personale FS, Trenitalia, Trenitalia Tper e Trenord di tutto il Paese (Calabria esclusa) ha aderito allo sciopero. Trenitalia riporta che le linee Torino-Alessandria e Ventimiglia-Genova sono interrotte per condizioni meteo; per 7 treni è previsto un ritardo di almeno un’ora. Per quanto riguarda le tratte regionali, la fascia garantita è prevista dalle 18 fino alle 21.
Ore 9:00 – Logistica: proteste in Piemonte e Toscana
Sono iniziate le prime proteste dei lavoratori della logistica piemontesi. A incrociare le braccia sono stati i lavoratori di BRT Torino, che, affiancati dagli studenti e da rappresentanti di Potere al Popolo, hanno dato il via a un presidio davanti a una sede dell’azienda. In Piemonte, hanno scioperato anche i lavoratori di SAFIM, altra azienda della logistica; in Toscana, invece, presso Marina di Carrara è stato lanciato un presidio davanti al Varco Levante del porto.
Ore 8:30 – Le università si mobilitano: presidi a Bari, Bologna, Genova, Milano, Roma e Torino
Anche gli studenti dell’Università La Sapienza di Roma hanno dato il via alla propria mobilitazione; gli studenti si sono trovati davanti a Piazzale Aldo Moro, sede dell’ingresso principale dell’ateneo, bloccando le entrate. A Bari, invece, gli studenti di Cambiare Rotta hanno bloccato l’entrata del plesso di lingue. A Torino, gli studenti si sono riuniti in presidio davanti al campus Einaudi; a Genova si sono mossi verso la sede centrale; a Milano hanno bloccato l’ingresso principale dell’Università degli Studi; infine a Bologna hanno interrotto le lezioni del Dipartimento di Matematica. Cambiare Rotta ha organizzato presidi in un totale di 36 università.
Gli studenti dell’Università La Sapienza di Roma in presidio davanti all’ateneo.
Ore 8:00 – Iniziano le prime manifestazioni: presidio presso il porto di Livorno
Alle 6 di questa mattina è iniziato il presidio presso il Varco Valessini del porto di Livorno. Il presidio, organizzato dal Gruppo Autonomo Portuali, è la prima manifestazione in programma per oggi delle oltre 60 previste in tutta Italia; il presidio, precisa il GAP, è iniziato in concomitanza con l’orario di avvio dei lavori al porto, e durerà tutto il giorno. Il GAP ha anche annunciato che il 24 settembre si mobiliterà contro l’arrivo di una nave israeliana carica di armi.
I lavoratori del porto di Livorno in presidio presso il Varco Valessini.
Il contesto
Lo sciopero generale di oggi, promosso con lo slogan “Blocchiamo tutto”, è stato lanciato dal sindacato di base USB, col fine di manifestare solidarietà verso Gaza. I lavoratori intendono chiedere la rottura con lo Stato di Israele, denunciare la corsa al riarmo, sostenere la missione umanitaria della Global Sumud Flotilla e, più in generale, affermare un impegno militante, civile e politico «con la Palestina nel cuore». La mobilitazione interesserà i settori di trasporti, scuola, logistica, commercio, energia, portualità, così come i settori industriali, con la partecipazione prevista di lavoratori, studenti e cittadini.
A Manila oltre 80mila persone hanno manifestato contro uno scandalo di corruzione che coinvolge parlamentari e funzionari, con danni stimati in miliardi di dollari. Durante le proteste si sono registrati scontri: la polizia ha arrestato 216 persone, compresi minorenni, accusate di incendi, lanci di pietre e molotov e saccheggi, secondo quanto riferito dal Manila Times. Il segretario dell’Interno Juanito Victor Remulla ha definito i rivoltosi “anarchici” e avvertito che chi ha attaccato gli agenti rischia l’accusa di tentato omicidio. I vescovi cattolici hanno sostenuto le piazze, denunciando: “La pazienza del popolo è finita” e chiedendo riforme, processi rapidi e la fine delle dinastie politiche.
Negli ultimi giorni l’Ecuador è scosso da un’ondata di proteste e disordini di portata nazionale, esplosi dopo la decisione del presidente Daniel Noboa di abolire il sussidio sul diesel, in vigore dal 1974. La misura, che ha fatto impennare il prezzo del carburante da 1,80 a 2,80 dollari al gallone, ha innescato un focolaio di conflitto sociale con manifestazioni che attraversano il Paese, dalle grandi città alle province rurali. Contadini, trasportatori, pescatori, studenti e comunità indigene denunciano un provvedimento che incide pesantemente sul costo della vita e lo considerano l’ennesima espressione di un modello neoliberista responsabile di profonde disuguaglianze. A guidare la risposta è la CONAIE, la storica Confederazione delle Nazionalità Indigene, che ha proclamato uno sciopero nazionale a oltranza. Le immagini che arrivano dalle strade raccontano un Paese spaccato: blocchi stradali lungo la Panamericana, barricate improvvisate con tronchi e pietre, marce di migliaia di persone a Quito e Cuenca, slogan contro il governo gridati al ritmo di tamburi e corni tradizionali. In diverse città i manifestanti hanno occupato piazze e ponti, mentre gruppi di studenti universitari si sono uniti alla protesta. Il 16 settembre a Cuenca oltre centomila persone hanno partecipato alla “marcia dell’acqua” in difesa della riserva naturale di Quimsacocha, ribadendo il rifiuto del progetto minerario di Loma Grande. La mobilitazione, sostenuta anche dalle autorità locali, è stata una delle più imponenti e pacifiche nella storia della città.
Le forze dell’ordine hanno risposto alle proteste con lanci di lacrimogeni, idranti e arresti: gli scontri più duri si sono registrati a Latacunga e Riobamba, con decine di feriti. A Guayaquil, seconda città del Paese, la tensione è esplosa nei mercati e nei quartieri popolari per l’aumento dei prezzi dei trasporti e dei beni alimentari. Il governo ha denunciato “atti di vandalismo” e promesso tolleranza zero, mentre la CONAIE accusa le autorità di criminalizzare la protesta e di reprimere indiscriminatamente intere comunità. La linea scelta da Noboa è stata di estrema fermezza. Il presidente ha dichiarato lo stato d’emergenza in sette province (Carchi, Imbabura, Pichincha, Azuay, Bolivar, Cotopaxi e Santo Domingo) per 60 giorni e imposto un coprifuoco notturno in cinque di esse, dalle 22 alle 5 del mattino. Secondo il Decreto Esecutivo 134, i manifestanti “hanno alterato l’ordine pubblico, provocando situazioni di violenza che mettono a rischio la sicurezza dei cittadini e i loro diritti alla libera circolazione, al lavoro e all’esercizio delle attività economiche”. L’esercito è stato mobilitato per presidiare ministeri, caserme e vie di accesso alla capitale, mentre colonne di blindati hanno fatto il loro ingresso nei centri urbani a titolo di deterrenza. Il Palazzo di Carondelet, sede della presidenza a Quito, è stato circondato da barriere e filo spinato, e la sede operativa del governo è stata temporaneamente trasferita a Cotopaxi, simbolico epicentro della rivolta indigena. Noboa ha dichiarato che chi promuove disordini rischia accuse di terrorismo, avvertendo che non intende ritirare il decreto. Le ripercussioni sono pesanti. I trasporti interprovinciali sono paralizzati, i rifornimenti di cibo e carburante arrivano a singhiozzo, mentre in alcune aree rurali i mercati sono rimasti chiusi per giorni. L’istruzione è stata sospesa in più province e l’attività amministrativa procede a ritmo ridotto. Nonostante ciò, la mobilitazione non si spegne: la CONAIE ribadisce che continuerà fino alla revoca del decreto e rilancia richieste più ampie, come la riduzione dell’IVA dal 15 al 12% e l’apertura di un tavolo nazionale sul modello economico. La protesta ha anche una forte valenza simbolica: i popoli indigeni, che rappresentano circa il 25% della popolazione, si pongono come voce di un malcontento diffuso e come forza politica capace di influenzare la stabilità istituzionale, come già accaduto in passato con la caduta di governi travolti dalle mobilitazioni popolari. Durante la storia del Paese, si sono registrati diversi tentativi di abrogazione del sussidio statale, ma in ogni circostanza, le reazioni dure e contrarie da parte della popolazione hanno fatto desistere le intenzioni dei governi di turno, come nel 2019 e nel 2022. Allora come oggi, le proteste non si sono fatte attendere.
La crisi in corso mette a nudo le contraddizioni di un sistema economico improntato al neoliberismo che, seguendo le direttive del programma del Fondo Monetario Internazionale, ha aumentato il tasso di disoccupazione e portato quello della povertà al 24% con un incremento degli omicidi del 47% rispetto al primo semestre dell’anno precedente. L’eliminazione dei sussidi al carburante non è che l’ultimo atto di una lunga stagione di riforme che hanno progressivamente smantellato i meccanismi di protezione sociale, scaricando sulle classi popolari il peso degli aggiustamenti fiscali. A questo si aggiunge la politica estrattiva: concessioni minerarie e petrolifere stanno trasformando territori ancestrali e fragili ecosistemi amazzonici in aree di sfruttamento intensivo. Le conseguenze sono devastanti: contaminazione delle acque, deforestazione, conflitti territoriali e perdita di biodiversità. Per i movimenti sociali, tutto questo rappresenta il volto concreto del neoliberismo, che non si misura solo in cifre di bilancio, ma nella quotidiana erosione dei diritti e nella marginalizzazione delle comunità rurali. La politica fiscale, con l’aumento dell’IVA e la riduzione degli investimenti pubblici, accentua ulteriormente le diseguaglianze. La popolazione paga di più per i beni di prima necessità, mentre i grandi gruppi economici e gli investitori internazionali beneficiano della stabilità promessa dal governo. Non sorprende che la rabbia esploda sotto forma di protesta radicale: per chi vive nelle campagne e nelle periferie urbane, il neoliberismo significa salari bassi, prezzi alti, servizi pubblici carenti e territori sacrificati all’estrattivismo. L’attuale rivolta, dunque, non è soltanto contro un decreto, ma contro un intero modello che produce esclusione sociale e precarietà. È il segnale di una frattura più profonda: quella tra uno Stato che persegue politiche di aggiustamento in nome della finanza globale e una popolazione che rivendica dignità, giustizia sociale e un futuro diverso.
Nelle Filippine migliaia di persone sono state evacuate per l’arrivo del tifone Ragasa, atteso oggi sulle isole settentrionali, dove vivono circa 20mila abitanti. Il fenomeno porta venti fino a 230 km/h e piogge torrenziali, con rischio di frane e alluvioni a Luzon. Scuole e uffici governativi sono stati chiusi a Manila e in 29 province. Il tifone dovrebbe poi dirigersi verso la Cina meridionale, coinvolgendo anche Taiwan e Hong Kong. Intanto ieri migliaia di filippini hanno protestato contro uno scandalo di corruzione legato ai fondi post-tifoni: oltre 70 arresti dopo scontri con la polizia.
Ci sono insetti, polline e persino fili di ragnatela che restituiscono un’immagine nitida di un ambiente umido e brulicante di vita durante l’età dei dinosauri: è quanto scoperto in frammenti d’ambra ritrovati nella cava di Genoveva, nella provincia di Napo in Ecuador, da ricercatori che ritengono di aver scoperto il più grande giacimento scoperto finora nel continente e hanno dettagliato i loro risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment. Tutti risultati che compongono un mosaico di biodiversità unico e che «apre una finestra su come è avvenuta la transizione dalle foreste di gimnosperme alle foreste odierne dominate dalle angiosperme», commentano gli autori, sottolineando che la scoperta si pone in netto contrasto con quanto finora noto, ovvero che la maggior parte dei giacimenti d’ambra era concentrata solo nell’emisfero settentrionale.
L’ambra è la resina prodotta dagli alberi per difendersi da danni o patogeni, che una volta indurita e sepolta in ambienti privi di ossigeno si fossilizza. Durante il Cretaceo, spiegano gli autori, in particolare tra 125 e 72 milioni di anni fa, si registrò un picco globale di produzione resinosa, il cosiddetto “intervallo resinoso”, che generò depositi abbondanti soprattutto nell’emisfero settentrionale. In Sud America, invece, le segnalazioni erano rare e frammentarie, mai sufficienti a restituire dati paleontologici significativi. Ecco perché la cava di Genoveva rappresenterebbe un unicum: l’ambra, di origine araucariacea — cioè proveniente da antiche conifere della famiglia delle araucarie — non solo si è conservata in grandi quantità, ma ha anche intrappolato al suo interno bioinclusioni eccezionali. Questi reperti si affiancano a pollini, spore e resti vegetali trovati nei sedimenti, che indicano una foresta umida dominata da felci, gimnosperme e dalle prime angiosperme, le piante con fiori che oggi costituiscono circa l’80% delle specie vegetali esistenti.
In particolare, i ricercatori hanno individuato almeno cinque ordini di insetti: moscerini, sia pungenti che non pungenti, mosche, vespe, coleotteri e tricotteri. È stata rinvenuta anche una porzione di ragnatela, orientata come quelle dei moderni tessitori orbicolari, pur priva delle goccioline adesive tipiche di queste strutture. «L’ambra conserva essenzialmente gli esoscheletri di piccoli organismi del passato. La conservazione di queste strutture esterne è così eccellente che, al microscopio, possono sembrare organismi appena morti, eppure hanno milioni di anni», spiega il coautore Xavier Delclòs, aggiungendo che «gli organismi senza scheletri mineralizzati sono rari nella documentazione fossile, ma l’ambra ne conserva molti in condizioni eccezionali, come nessun’altra roccia». La coautrice Mónica Solórzano Kraemer, invece, sottolinea che l’ecologia degli insetti attuali consente di dedurre informazioni sugli habitat di allora: ad esempio, i moscerini ematofagi probabilmente si nutrivano del sangue dei dinosauri che abitavano la regione, mentre i fossili vegetali attestano che circa il 37% della flora era costituito da angiosperme, un dato che illumina una fase cruciale della storia terrestre, quando le piante a fiore stavano iniziando a rimpiazzare le gimnosperme come elemento dominante delle foreste. «La scoperta dei fossili in Ecuador apre una finestra su come è avvenuta la transizione dalle foreste di gimnosperme alle foreste odierne dominate dalle angiosperme», ha concluso Delclòs.
Gli Stati Uniti hanno inviato l’USS Stockdale (DDG-106), cacciatorpediniere classe Arleigh Burke con sistema Aegis, nei Caraibi sotto il Comando Sud, portando a quattro le unità navali schierate nell’area. La mossa arriva dopo i recenti attacchi statunitensi contro imbarcazioni venezuelane accusate di narcotraffico e mentre Caracas espone i jet russi ricevuti in segno di deterrenza. Nelle ultime ore il governo Maduro ha accusato Washington di «provocazioni militari», mentre Trump ha ribadito che l’operazione navale mira a colpire le reti del narcotraffico legate a Caracas. La crisi si fa sempre più tesa e continua a far crescere il rischio di uno scontro diretto nella regione.
In una mossa che risuonerà a lungo nei corridoi della finanza globale, il secondo più grande fondo pensione olandese (ed uno dei più grandi dell'UE), PFZW, ha ritirato mandati per 29 miliardi di euro da due colossi dell’asset management – BlackRock e Legal & General – segnando una svolta storica dettata da inaccettabili divergenze sulle politiche di sostenibilità e voto ESG. La decisione, che include la chiusura di un mandato da 14,5 miliardi con BlackRock e la fine di una gestione da 15 miliardi con L&G, non è solo tecnica: è la risposta organica di un grande investitore istituzionale...
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Un attacco informatico ai sistemi di check-in di Collins Aerospace ha provocato un nuovo caos negli aeroporti europei, in particolare a Londra Heathrow, Bruxelles e Berlino. Dalla serata di venerdì le compagnie aeree sono state costrette al check-in manuale, con oltre 70 voli cancellati nel weekend e centinaia di partenze in ritardo. A Bruxelles è stato chiesto alle compagnie di sopprimere metà dei voli previsti per lunedì 22 settembre, in attesa di una versione sicura del software. Heathrow ha potenziato il personale, mentre a Berlino si registrano lunghe attese ai banchi.
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