Mancano pochi giorni all’uscita ufficiale del Nintendo Switch 2, la nuova console firmata Nintendo. Come spesso accade in queste occasioni, il lancio sta catalizzando l’attenzione degli appassionati di videogiochi, tuttavia l’entusiasmo è in parte smorzato da significativi cambiamenti sul piano commerciale, i quali fanno temere per il futuro stesso del consumo videoludico.
Nintendo Switch 2 arriverà nei negozi il prossimo 5 giugno. Considerate le sistematiche e tradizionali carenze di fornitura che accompagnano questo tipo di prodotti, è facile prevedere che la console non sarà immediatamente disponibile se non per chi l’ha preordinata con largo anticipo. A preoccupare, però, non è tanto la possibilità di non poter mettere subito le mani sulla sua libreria di software quanto l’andamento dei prezzi: l’arrivo della nuova console coincide con un marcato aumento dei costi legati ai videogiochi.
Era lecito aspettarsi che, complici le attuali tensioni geopolitiche e l’aumento generale dei costi di produzione, il prezzo della console salisse sensibilmente rispetto al modello precedente – dai €349 ai €479,99. Più sorprendente è invece l’impennata dei prezzi dei titoli di lancio: Donkey Kong Bananza arriverà sugli scaffali a €79,99, mentre il popolarissimo Mario Kart World toccherà quota €89,99. Si tratta di cifre decisamente elevate, soprattutto se si considera che l’innalzamento dello standard di prezzo a €70 è avvenuto solo nel 2020, in concomitanza con il debutto di PlayStation 5 e Xbox Series X.
La mossa di Nintendo ha innescato un effetto domino: a inizio maggio anche Xbox ha annunciato un rialzo dei prezzi sia per i videogiochi sia per l’hardware. Gli 80 euro stanno già diventando la nuova normalità, ma l’attesissimo Grand Theft Auto VI – di cui si vocifera un prezzo prossimo ai €100 – potrebbe presto aprire a sua volta una nuova e inquietante soglia nel Mercato del gaming.
Le aziende coinvolte forniscono giustificazioni ben articolate per spiegare questi aumenti. L’incremento dei dazi statunitensi verso i Paesi in cui le console vengono prodotte, l’impennata dei costi di sviluppo e l’inflazione vengono indicati come fattori determinanti. Per quanto queste motivazioni possano avere un fondo di verità, è difficile non notare che i costi di sviluppo dipendono in larga misura da scelte aziendali orientate al profitto, più che da insormontabili fatalità economiche. Tuttavia, quale che sia la situazione, resta sempre e comunque un problema di fondo: in Italia, come in molte altre nazioni, le retribuzioni non sono cresciute in proporzione al costo della vita. Il potere d’acquisto, ne ha risentito significativamente.
I prezzi aumentano, ma il denaro a disposizione dei consumatori resta stabile o addirittura cala. Non è ancora chiaro quale sarà l’impatto concreto sul Mercato, anche perché i videogiocatori sono già da anni sottoposti a rincari indiretti che vengono veicolati attraverso microtransazioni e loot box. Ci si avvia comunque verso un nuovo paradigma che ambisce a una dimensione elitaria.
A confermare questa prospettiva sono alcune dichiarazioni che hanno fatto discutere. Randy Pitchford, presidente di Gearbox Software, ha per esempio affermato che i “veri fan” non avranno problemi a mettere da parte 80 euro per i nuovi giochi. Più diplomatico, ma altrettanto netto, è stato Doug Bowser, Presidente di Nintendo of America, il quale ha dichiarato in un’intervista alla CBC che chi non può permettersi il Nintendo Switch 2 dovrà accontentarsi del più economico, ma ormai datato, modello originale. In altre parole, accedere ai titoli di nuova generazione rischia di diventare un lusso per pochi eletti.
Israele ha intensificato le operazioni militari a Gaza, con attacchi nel nord e sud della Striscia. A Khan Younis, le truppe hanno avanzato verso l’Ospedale Europeo, danneggiandone una parte. Nel nord, è stato bombardato l’unico centro di dialisi rimasto, aggravando la crisi sanitaria: oltre il 40% dei pazienti renali è morto dall’inizio del conflitto. Il capo dell’esercito israeliano ha affermato che l’offensiva proseguirà fino alla liberazione degli ostaggi e alla sconfitta di Hamas. Quest’ultimo ha dichiarato la disponibilità a negoziati indiretti per un cessate il fuoco e il ritiro completo di Israele da Gaza.
Dopo 25 anni di carcere e quattro di sorveglianza, uno dei boss più sanguinari di Cosa Nostra è definitivamente libero. Giovanni Brusca, autore di circa 150 omicidi e, almeno secondo le ricostruzioni ufficiali, soggetto che ha fisicamente innescato l’esplosivo che il 23 maggio 1992 ha sventrato l’autostrada di Capaci, ha finito di pagare il suo debito con la giustizia. Lo ha fatto usufruendo di significativi benefici penitenziari, avendo scelto di collaborare con i magistrati e contribuito ad aprire il vaso di Pandora sugli affari di Cosa Nostra e i rapporti tra mafia e universo politico. A permetterglielo, una legge fortemente voluta dalla sua più illustre vittima, Giovanni Falcone, il quale aveva compreso il ruolo cardine che i collaboratori di giustizia avrebbero potuto rivestire non solo nella lotta alla mafia, ma anche agli ambienti della “zona grigia”.
Giovanni Brusca, capomandamento di San Giuseppe Jato, venne arrestato la sera del 20 maggio 1996 in contrada Cannatello, frazione balneare del comune di Agrigento. Nella sua lunga carriera criminale, Brusca – anche detto “lo scannacristiani” – si macchiò di una serie di delitti efferati, che ne hanno fatto uno dei latitanti più ricercati fino alla cattura. Oltre che per la strage di Capaci, Brusca è stato considerato responsabile dell’organizzazione della strage di via D’Amelio e della pianificazione degli attentati del 1993 a Milano, Roma e Firenze, nonché di avere ordinato il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo – imprigionato per 779 giorni, poi ammazzato e sciolto nell’acido – per vendicare la collaborazione con la giustizia del padre del bambino, il mafioso Santino Di Matteo. Lo stesso Brusca ha più volte ammesso di avere ordinato o partecipato a oltre cento omicidi.
Nonostante tutto, da sabato scorso Brusca è un uomo libero. Ciò è potuto accadere perché il boss, in seguito alla cattura, decise di abbandonare i ranghi di Cosa Nostra e affidarsi allo Stato come collaboratore di giustizia. E la sua non è stata una collaborazione di poco conto, anzi. Tra le altre cose, Brusca ha infatti raccontato ai magistrati le operazioni che contrassegnarono l’organizzazione della strage di Capaci e dell’omicidio del piccolo Di Matteo, fornendo agli investigatori preziose informazioni per ricostruire in modo incontrovertibile l’articolazione del “commando” dei corleonesi di Totò Riina. Ma Brusca andò oltre, chiarendo ai pm i nessi tra la mafia e grossi pezzi della politica democristiana, così come il cambio di strategia di Cosa Nostra alle elezioni degli anni Ottanta, quando Riina – in pieno Maxiprocesso – decise di voltare le spalle alla DC e dare il voto al Partito Socialista, e infine i legami tra la mafia e Forza Italia. Inoltre, Brusca fu il primo pentito a parlare della “Trattativa Stato-mafia”, sostanziatasi nell’invito al dialogo che gli ufficiali del ROS veicolarono, tra la morte di Falcone e quella di Borsellino, ai vertici di Cosa Nostra.
La legge sui benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia fu intensamente promossa dal magistrato Giovanni Falcone, memore del grande ruolo che i pentiti di mafia avevano avuto nel Maxiprocesso alla mafia degli anni Ottanta, sfociato in una sentenza definitiva della Cassazione che, il 30 gennaio 1992, mise il timbro sull’impianto accusatorio e sullo strategico utilizzo dei pentiti. Questo approccio culminò nell’approvazione di una normativa ad hoc, la legge 15 marzo 1991, n. 82, che ha previsto la possibilità di ridurre drasticamente la pena – 26 anni di carcere anziché l’ergastolo – in cambio della collaborazione. Inoltre, il provvedimento ha introdotto misure di protezione personale, inclusa la scorta e il programma di protezione estremamente riservato per il soggetto e i suoi stretti congiunti.
Quando, 4 anni fa, Brusca lasciò il carcere, molti leader politici – tra cui l’attuale premier Giorgia Meloni – definirono «vergognoso» e «inaccettabile» che un boss mafioso del suo calibro potesse godere dei benefici penitenziari, facendo finta di non ricordarsi che l’ideatore di quel provvedimento era stato proprio Giovanni Falcone. Nessuna parola è però stata da loro pronunciata quando, negli ultimi mesi, sono stati concessi permessi premio al boss stragista Giovanni Formoso, agli spietati killer di mafia Raffaele Galatolo e Paolo Alfano, allo storico capomandamento Ignazio Pullarà e ad altri mafiosi di spicco come Franco Bonura, Gaetano Savoca e Tommaso Lo Presti. I quali sono accomunati da una peculiarità che li differenzia in maniera assai significativa da Brusca: non hanno mai voluto collaborare con la giustizia. Tale scenario trae origine da un approccio giurisprudenziale molto più permissivo rispetto al passato per i boss che non si pentono, segnato da dirimenti sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani e della Corte Costituzionale, le quali hanno reso non più assoluto il divieto di permessi premio e libertà condizionale per la mancata collaborazione con la giustizia. Una strada che, con ogni probabilità, porterà a una drastica riduzione del numero dei pentiti. I quali, diversamente da chi ha sempre tenuto la bocca serrata davanti ai pm, sembrano fare più paura a molti personaggi che siedono sugli scranni più alti delle gerarchie istituzionali del nostro Paese.
La notizia ha fatto rapidamente il giro di internet e riempito di articoli distratti e in fotocopia le principali testate giornalistiche italiane: sarebbero state modificate le linee guida della dieta alimentare mediterranea, quelle che da sempre i nutrizionisti (giustamente) consigliano di seguire, e che in verità è da sempre molto diversa da come la pensiamo, nel senso che quasi nessuno la rispetta davvero. Ma è successo davvero? E che cosa sarebbe la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), ossia l’ente che ha emanato le nuove linee guida? Con l’assetto che contraddistingue L’Indipendente, senza rincorrere la viralità della notizia e andando a fondo alle questioni, abbiamo valutato la portata dei cambiamenti e scoperto un po’ di cose interessanti sulla presunta “indipendenza” dell’ente in questione.
Le nuove linee guida della SINU
Partiamo dalla fine, cioè dalle raccomandazioni concrete e dai cibi a cui esse sono legate: vino, zucchero e sale sono presentati con il consiglio «meno è meglio», con la rappresentazione grafica precisa di sostanze da porre al di fuori della piramide alimentare, proprio a significare un consumo molto saltuario e ridotto, non giornaliero. Stessa indicazione grafica viene data per caffè e tè, posti visivamente fuori dalla piramide con la dicitura «discrezionale, con moderazione». Uova e patate non sono raccomandati più di 1-2 volte a settimana, come anche le carni bianche e i formaggi stagionati (Parmigiano, pecorino), mentre i formaggi freschi andrebbero bene per un consumo settimanale di 2-3 volte, al pari di pesce e legumi. Latte: se ne consiglia un consumo giornaliero, alla base della piramide (quindi 7 volte a settimana). Consumi giornalieri anche per frutta, verdura, cereali come pane e pasta, olio extravergine d’oliva e frutta secca. Dolci, carne rossa e salumi sono relegati all’ultimo piano alto della piramide, per un consumo occasionale e non giornaliero.
Questa nuova piramide alimentare è stata presentata dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU). La rappresentazione grafica a piramide è finalizzata a comunicare in maniera più efficace, soprattutto alle nuove generazioni, come mangiare bene per garantirsi un futuro in salute.
Aderenza alle evidenze scientifiche a corrente alternata
Alcune posizioni di queste nuove linee guida lasciano francamente un po’ perplessi, e si pongono in contrasto con quelle che sono alcune evidenze scientifiche più recenti: infatti, uova, patate e carni bianche sembrano essere viste con sospetto e tenute solo nella parte alta della piramide, scoraggiandone il consumo (non più di 1-2 volte a settimana). Parliamo però di cibi del tutto naturali, assolutamente non industriali e processati. Riguardo alle uova, la stessa FNOB (Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi) ha messo nero su bianco che il legame tra uova e colesterolo è un mito da sfatare, riportando uno dei tanti studi scientifici in cui il consumo di 12 o più uova a settimana non aveva alcuna influenza sui livelli di colesterolo nel sangue. La trasmissione Superquark, sintetizzando altri studi recenti sulle uova, ha divulgato in RAI che «gli studi dimostrano che mangiare anche due uova ogni giorno è perfettamente sicuro per la nostra salute e non vi è alcuna prova che andare al di là di ciò sia dannoso».
Il contenuto di carboidrati nelle patate è di circa un quarto rispetto a quello della pasta o del riso, quindi sono in realtà un perfetto sostituto dei cereali durante la settimana
Le patate sono un alimento fantastico, 100% naturale, ricco di vitamine, minerali, fibre e antiossidanti. Non si capisce perché “demonizzarle” a tal punto da sostenere che debbano essere mangiate una sola volta a settimana perché «non sono un contorno equivalente alle verdure». Semmai il problema è che i giovani oggi mangiano solo patatine fritte e non mangiano verdure, legumi, e amano poco la frutta. Le patate rimangono però un cibo sano, con molti meno trattamenti e lavorazioni rispetto a farine, pane, pasta, crackers. Non fanno ingrassare perché il loro contenuto di carboidrati è di circa un quarto rispetto a quello della pasta o del riso, quindi sono in realtà un perfetto sostituto dei cereali durante la settimana.
Infine, la carne bianca: non esiste ad oggi nessuno studio che correli il consumo regolare di carni bianche (come anche di pesce) con alcun tipo di patologia o tumore, mentre ne esistono molti che correlano un consumo giornaliero e in eccesso di cereali e carboidrati a numerose patologie metaboliche e cardiovascolari, come diabete, obesità, dislipidemia, steatosi, e altre.
Possibili conflitti di interesse
Come sempre, è importante comprendere da quale fonte arrivino determinate indicazioni nutrizionali e vedere se per caso possano essere collegate ad interessi commerciali di fondo, perché sebbene tutto ormai venga proposto come “scienza” e “linea guida ufficiale”, abbiamo imparato che la scienza non è univoca ed esistono molteplici posizioni scientifiche su qualsiasi argomento legato alla salute e all’alimentazione. Nessuna di queste posizioni è più scientifica dell’altra o più autorevole: semplicemente, sono tutti pareri tecnici che provengono dagli addetti ai lavori di un certo settore.
Non dimentichiamoci però che spesso le raccomandazioni generali sulla nutrizione sono frutto di semplificazioni eccessive e forzature arbitrarie, che lasciano letteralmente il tempo che trovano, come è stato per esempio nel caso delle margarine, consigliate come alternativa più sana del burro per molto tempo, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, salvo poi, dal 2015-2018, essere aspramente criticate dalla stessa comunità scientifica che le aveva consigliate, decidendo di eliminarle completamente dalla filiera alimentare (posizione ufficiale OMS), perché negli anni si è visto che proprio i grassi della margarina sono «i principali responsabili delle malattie cardiovascolari e di un gran numero di decessi».
Si possono mangiare tranquillamente 2 uova al giorno senza ripercussioni negative sulla salute
Altro esempio è quello delle uova, un tempo viste come alimento sospetto da limitare a due a settimana per il loro contenuto di colesterolo. Oggi, invece, tutti gli organismi sanitari affermano che si possono mangiare tranquillamente anche due uova ogni giorno senza avere nessuna ripercussione negativa (anzi, è vero il contrario) per la salute. Pertanto, qualsiasi linea guida sulla nostra dieta va intesa come una raccomandazione di massima che non ha una validità perfetta e immutabile, ma è perfettibile e legata a contingenze storiche che poi saranno sicuramente superate fra qualche anno, con un nuovo aggiornamento e nuove raccomandazioni nutrizionali. Non prendiamo le cose come se fossero parola di Dio, insomma.
La SINU, da statuto, è un’associazione privata che si occupa di nutrizione umana, non un ente statale o ministeriale, bensì un ente privato che ha l’intento di riunire studiosi ed esperti del settore per promuovere la ricerca, la formazione e la divulgazione in ambito nutrizionale. Ma va tenuto conto che tale ente è sostenuto economicamente dai suoi soci, tra i quali figurano anche aziende alimentari, nello specifico Barilla, Ferrero (Soremartec), Parmalat, Danone, Yakult, Dr. Schär (leader nella produzione di alimenti per celiaci).
Il comunicato stampa della SINU sulla nuova piramide alimentare afferma che: «In particolare, in Italia, il 9% di bambini e adolescenti dichiara di non mangiare mai verdure, il 7% frutta, il 26% alimenti a base di cereali integrali, il 14% latte e latticini, mentre il 47% dichiara di consumare più di 3 porzioni di carne a settimana».
Come si vede, l’enfasi è posta in maniera decisa sul consumo giornaliero proprio degli alimenti delle multinazionali dei cereali e del latte che sono, guarda caso, i soci sostenitori della SINU stessa. Fra l’altro, a ben guardare, Parmalat, Danone e Yakult producono esclusivamente latticini freschi e latte – altra coincidenza che salta all’occhio – e non formaggi stagionati, relegati in cima alla piramide per un consumo meno frequente di una volta a settimana soltanto. È possibile ipotizzare che, se i soci fondatori fossero stati dei produttori di carne, uova e patate, il consiglio sarebbe stato quello di porre tali alimenti alla base della piramide? Non è da escludere: sappiamo come funzionano certe cose.
Secondo gli ultimi dati Eurostat, nel 2024 il rischio di povertà o esclusione sociale per i minori in Italia resta stabile al 27,1%. Tuttavia, risulta in peggioramento la condizione dei bambini sotto i sei anni, con un aumento dal 25,9% al 27,7%. La situazione migliora leggermente per i minori tra 6 e 11 anni, con un calo dal 26,4% al 25,9%. In crescita anche il rischio per gli over 60, ora al 20,6%. La media UE per i minori è al 24,2%, in leggera diminuzione rispetto al 24,8% del 2023.
Almeno 34 persone sono morte nella regione nord-orientale dell’India dopo che forti inondazioni hanno causato frane negli ultimi quattro giorni. Lo hanno reso noto oggi le autorità e i media, con il dipartimento meteorologico che ha previsto altre forti piogge. I residenti delle aree vulnerabili sono stati invitati a rimanere vigili. Oltre mille turisti intrappolati nello stato himalayano del Sikkim sono stati evacuati nelle scorse ore, secondo quanto affermato in una comunicazione del governo, e le squadre di soccorso dell’esercito sono state mobilitate nello stato di Meghalaya per salvare più di 500 persone bloccate nelle aree allagate.
Lo spoglio, incerto fino all’ultimo, ha consegnato alla Polonia un nuovo presidente della Repubblica appartenente a Diritto e Giustizia, il partito conservatore già espressione del presidente uscente Andrzej Duda. Il nuovo capo dello Stato sarà Karol Nawrocki, che con un risicato 50,89% ha sconfitto il candidato europeista Rafal Trzaskowski. Alta l’affluenza, pari al 71,63%. Si infrange così l’obiettivo di riprendere anche la presidenza da parte degli europeisti polacchi di Coalizione Civica, che appena due anni fa erano riusciti a riportare sullo scranno di presidente del Consiglio Donald Tusk.
Dal punto di vista politico gran parte del programma di Nawrocki corrisponde a quella che è ormai la piattaforma comune a tutti i partiti europei che amano definirsi “patrioti” (dopo aver smesso l’etichetta di sovranisti). In Europa è membro del Partito dei Conservatori e dei Riformisti: lo stesso del partito Fratelli d’Italia della premier italiana Giorgia Meloni, con la quale condivide molte posizioni. Si schiera vagamente sul fronte euroscettico, ma senza mettere in discussione l’adesione della Polonia all’Unione Europea. Ha inoltre annunciato che non intende fare aderire la Polonia all’euro (il Paese è membro dell’UE ma ancora non ha adottato la moneta unica). In politica estera si mostra particolarmente vicino a Donald Trump e in generale mira a consolidare l’alleanza con Washington; in merito alla questione Palestinese nulla lascia presagire che non manterrà la posizione saldamente filo-israeliana del suo predecessore Duda. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, sostiene l’assistenza militare a Kiev contro l’invasione russa, ma è critico nei confronti del governo Zelensky, in una posizione che grossomodo ricalca quella di Donald Trump.
La campagna elettorale in Polonia, come ormai è diventato usuale, si è giocata moltissimo sulle fratture etiche e religiose tra la popolazione conservatrice e quella progressista. Durante la sua campagna elettorale, Nawrocki ha dichiarato che l’aborto dovrebbe essere vietato in quasi tutte le circostanze, riflettendo una visione in linea con la dottrina cattolica tradizionale. Ha inoltre fatto proprio tutto quel collante ideologico che unisce i movimenti politici conservatori e reazionari in Europa: opposizione alle unioni omosessuali, promesse di frenare quelli che ha definito gli «ambienti radicali LGBTQ+» e la presunta «propaganda gender nelle scuole».
Più interessanti le promesse di Nawrocki in politica economica, in quanto piuttosto distanti dal liberismo acritico che contraddistingue i suoi alleati europei. In campagna elettorale ha proposto l’introduzione di una tassa per i proprietari di tre o più appartamenti, con esenzioni per le famiglie con figli, al fine di combattere la speculazione immobiliare e favorire l’accesso alla casa. Ha inoltre annunciato l’intenzione di sostenere programmi di welfare e investimenti pubblici, come lo sviluppo delle infrastrutture ferroviarie e l’espansione dell’edilizia sociale.
In Polonia, il presidente della Repubblica detiene un ruolo importante ma limitato rispetto al governo. È eletto direttamente dal popolo per un mandato di 5 anni e rappresenta la nazione nei rapporti internazionali. I suoi poteri includono la nomina del primo ministro (che dev’essere approvata dal Parlamento), il comando supremo delle forze armate, la possibilità di porre il veto alle leggi del Parlamento (che può essere superata con un voto qualificato dei 2/3 dell’assemblea) e la facoltà di proporre leggi o indire referendum. Tuttavia, non può governare direttamente: non gestisce l’economia, la sanità o l’istruzione, né dirige l’attività legislativa quotidiana. Queste competenze spettano presidente del Consiglio e al suo governo, che detengono il potere esecutivo effettivo. Il presidente, pur influente, ha quindi un potere principalmente di garanzia, rappresentanza e intervento nei momenti di crisi o conflitto istituzionale.
In occasione della festa della Repubblica del 2 giugno, in diverse città italiane sono in programma manifestazioni contro il riarmo e contro una «Repubblica fondata sulla guerra», oltre che per la fine dell’aggressione militare israeliana in Palestina. In Sicilia sarà il movimento No MUOS a scendere in piazza, mentre a Roma il Coordinamento Disarmiamoli manifesterà durante la parata delle Forze Armate, prevista per le ore 10. Iniziative sono in programma anche nelle città di Milano, Pisa, Modena, Torino e Lecco.
Diversi droni ucraini, trasportati da camion con rimorchio che hanno penetrato in profondità il territorio russo, hanno colpito basi militari a oltre 4.000 km di distanza dall’Ucraina. Kiev rivendica di aver distrutto alcuni bombardieri con capacità nucleari, colpendoli mentre si trovavano sulle piste degli aeroporti. A testimonianza sono stati pubblicati alcuni video, che però non è possibile autenticare. Il ministero della Difesa russo, citato dall’agenzia stampa nazionale Tass, ha confermato gli attacchi a cinque aeroporti militari (nelle regioni di Murmansk, Irkutsk, Ivanovo, Ryazan e Amur), ammettendo che «diversi velivoli hanno preso fuoco», ma precisando che gli attacchi «sono stati respinti» e che «alcune delle persone coinvolte negli attacchi terroristici sono state arrestate». Gli attacchi sono stati condotti alla vigilia del nuovo round di colloqui tra Mosca e Kiev, che si svolgerà oggi a Istanbul.
Zelensky ha dichiarato che l’attacco ha richiesto un anno e mezzo di preparazione per essere portato a termine e che è stato condotto «brillantemente» con un totale di 117 droni. A detta del presidente, le operazioni sarebbero state coordinate da un “ufficio” collocato su territorio russo, vicino al quartier generale del FSB. L’attacco ucraino alle basi russe era stato preceduto dal crollo di due ponti collocati in due regioni russe confinanti con l’Ucraina, quelle di Bryansk e Kursk. Il crollo (che per il Comitato Investigativo russo, citato da Reuters, sarebbe da attribuire a due esplosioni) ha causato il deragliamento di due treni e la morte di sette persone, oltre al ferimento di altre 69. L’Ucraina, tuttavia, non ha commentato l’accaduto. Nel mentre, nella notte tra sabato e domenica, la Russia ha lanciato uno dei più grandi attacchi con droni dall’inizio della guerra, durato varie ore: sarebbero 479 i «mezzi di assalto aereo» impiegati, secondo quanto dichiarato dall’aeronautica militare di Kiev, delle quali 472 droni, 3 missili balistici e 4 razzi alati, diretti principalmente verso le regioni di Kharkiv, Sumy, Zhytomyr, Odessa, Donetsk, Dnipropetrovsk e Zaporizhia. Kiev ha dichiarato che 385 droni e 3 razzi sono stati respinti.
Gli attacchi sono avvenuti ore prima dell’inizio di un nuovo round di negoziati diretti tra Mosca e Kiev, avrà luogo oggi a Istanbul. Nel precedente round di negoziati, il primo in tre anni di guerra, era stato concordato lo scambio di mille prigionieri di guerra per parte, ma non a ulteriori discorsi di pace o a una tregua. Oggi, il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov incontrerà l’assistente del Cremlino Vladimir Medinsky. Nei giorni scorsi, l’inviato speciale USA Keith Kellogg aveva dichiarato che era stato concordato tra le parti uno scambio di memorandum contenenti ciascuno le condizioni per un cessate il fuoco. Da parte ucraina, il memorandum è stato consegnato, come riferito dallo stesso Umerov, ma la Russia non ha ancora consegnato la propria copia. I ritardi avevano portato l’Ucraina a minacciare di ritirare la propria presenza dai colloqui, che risulta però ad ora confermata.
La Corte Suprema indonesiana ha confermato la bancarotta del colosso tessile Sritex, fornitore di marchi globali come H&M e Uniqlo. Contestualmente, ha accolto la class action di 185 residenti della provincia di Giava Centrale contro la controllata PT RUM, colpevole di inquinamento atmosferico e fluviale vicino al fiume Bengawan Solo. Ai cittadini sono stati riconosciuti oltre 500 milioni di rupie in risarcimenti e l’obbligo per l’azienda di bonificare l’ambiente. Dopo la chiusura dello stabilimento, la fauna è tornata e l’ambiente ha mostrato segni di ripresa.
RUM era finita al centro delle polemiche già nel 2022, quando l’agenzia ambientale del distretto di Sukoharjo aveva denunciato lo scarico di sostanze tossiche nel fiume Bengawan Solo, il più lungo di Giava. Per mesi, una condotta difettosa aveva riversato acido solforico, zinco e disolfuro di carbonio nel fiume e nell’aria circostante, senza controlli né sanzioni, complice una legge omnibus del 2020 che aveva indebolito i poteri delle autorità locali. Le proteste delle comunità hanno portato alla chiusura dell’impianto nel 2023. In ultima battuta, si è arrivati alla class action vinta dai cittadini e alla conferma della bancarotta dell’azienda da parte della Corte. Un colpo durissimo per la Sritex, nata come negozio locale negli anni Sessanta e diventata il maggiore produttore tessile indonesiano, con oltre 50mila dipendenti. Il crollo delle vendite durante la pandemia, da 1,3 miliardi di dollari nel 2019 a meno di 850 milioni nel 2020, ha reso insostenibili gli impegni finanziari, portando al default.
Le ombre sulla gestione finanziaria di Sritex si sono infittite con l’arresto di Iwan Lukminto, presidente e amministratore delegato del gruppo, accusato di corruzione. Fermato il 20 maggio 2025 dalla Procura Generale nella sua residenza di Solo, in Giava Centrale, Lukminto è ora al centro di un’inchiesta che potrebbe svelare gravi irregolarità nella gestione delle risorse aziendali. L’indagine della Divisione Crimini Speciali è in corso, e molti cittadini chiedono che siano recuperate le risorse sottratte e che venga fatta piena luce sulle responsabilità del disastro ambientale e sociale.
Il fallimento di Sritex, con oltre 10mila operai che hanno perso il lavoro, rappresenta una crisi per l’industria tessile nazionale, che rimane uno dei principali motori occupazionali del Paese. Tuttavia, per le organizzazioni ambientali e le comunità locali, la sentenza costituisce un precedente fondamentale nella lotta per il diritto alla salute, alla trasparenza e alla tutela dell’ambiente. Il caso solleva anche interrogativi più ampi sulla sostenibilità del modello produttivo del fast fashion, che continua ad appoggiarsi su filiere opache e spesso responsabili di gravi violazioni ambientali e sociali.
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