mercoledì 14 Maggio 2025
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La Colombia muove passi sulla via della pace con i gruppi ribelli

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Il processo di "pace totale" promosso dal governo di Gustavo Petro ha recentemente registrato un passo in avanti: nel dipartimento di Nariño, nel sud-ovest della Colombia, il gruppo armato Comuneros del Sur, dissidenza locale dell’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale), ha consegnato al governo colombiano 585 artefatti esplosivi, tra cui mine antiuomo, mortai e granate, con la promessa di cedere il resto nei prossimi mesi. L'esercito statale ha immediatamente distrutto l’arsenale. La consegna delle armi segna solo l'inizio di un impegno molto più profondo. Con l'accordo firmato, Comuneros del...

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Umiliazioni agli attivisti: Extinction Rebellion denuncia le questure di Roma e Brescia

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Gli attivisti del movimento ambientalista Extinction Rebellion hanno sporto denuncia contro le questure di Roma e di Brescia, accusandole di «sequestro di persona», «perquisizioni degradanti e arbitrarie» e «violenza privata». Le accuse fanno riferimento a due distinti episodi: il primo, avvenuto nel novembre 2024 in Piazza del Viminale, a Roma, in cui «75 persone erano state prelevate con la forza e rinchiuse nell’Ufficio Immigrazioni della Questura per 10 ore»; il secondo, a gennaio 2025, in occasione di una manifestazione contro Leonardo a Brescia, quando «17 persone erano state portate in Questura per 8 ore e alcune di loro erano state fatte spogliare integralmente». La scelta di denunciare le questure arriva in risposta ai sempre più frequenti episodi di repressione che hanno interessato il gruppo e analoghe sigle ambientaliste, a pochi giorni dall’approvazione del Decreto Sicurezza, che criminalizza ancora di più le lotte ecologiste.

«Avviamo due azioni legali per difendere il diritto al dissenso e garantire il rispetto delle libertà fondamentali». Sono queste le parole usate dagli attivisti di Extinction Rebellion per spiegare le motivazioni dietro la loro denuncia contro le questure di Brescia e Roma. I fatti fanno riferimento a due episodi accaduti negli ultimi mesi. Il primo risale al 22 novembre 2024, a Roma, dove gli attivisti hanno svolto un sit-in in Piazza del Viminale, sotto il Ministero dell’Interno. In quell’occasione, «75 manifestanti erano stati prelevati con la forza e trasportati agli uffici della Questura di Roma, in via Teofilo Patini». Tuttavia, ricordano gli attivisti, «il trasferimento in Questura è previsto solo in caso di impossibilità di identificazione, circostanza che non si verificava quel giorno, dal momento che erano stati forniti i documenti di identità». Arrivati in Questura, gli attivisti sono stati trattenuti per 10 ore, «privati degli effetti personali» e «sottoposti a rilievi biometrici», senza che venisse redatto «alcun verbale che giustificasse quanto accaduto». Il secondo episodio si è invece verificato a Brescia lo scorso 13 gennaio. Anche in quell’occasione gli attivisti sono stati portati in Questura malgrado non si fossero rifiutati di collaborare con le autorità. Una volta negli uffici, poi, ad alcune manifestanti era stato ordinato di «spogliarsi completamente ed eseguire degli squat», i piegamenti sulle gambe, «una pratica umiliante prevista solo quando si abbia il legittimo sospetto che la persona nasconda armi o droga».

Le denunce verso le questure di Brescia e Roma arrivano a pochi giorni dall’approvazione del DL Sicurezza, il decreto legge che incorpora gran parte dell’omonimo disegno di legge. Con esso, il governo mette a punto diverse misure securitarie, molte delle quali mirate proprio a criminalizzare le pratiche dei movimenti ambientalisti. Tra di esse si annoverano l’introduzione del carcere fino a due anni per i blocchi stradali e l’aggravante per chi commette reati nelle stazioni ferroviarie e sui mezzi pubblici. In generale, nell’ultimo periodo, il tentativo di delegittimare le lotte dei movimenti ambientalisti si sta facendo sempre più stringente. Gli attivisti di Extinction Rebellion, in particolare, sono stati portati in tribunale in diverse occasioni, spesso accusati, a detta degli stessi giudici, arbitrariamente o attraverso misure caratterizzate da un vero e proprio eccesso di potere.

Colombia, ricercatore italiano ucciso e fatto a pezzi

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Il ricercatore italiano 42enne Alessandro Coatti è stato ucciso e fatto a pezzi nella città di Santa Maria, in Colombia. La testa e le braccia dell’uomo sono state rinvenute all’interno di una valigia, mentre altre parti del suo corpo sono state trovate in un’altra area, sempre dentro una valigia. Le forze dell’ordine sono risalite alla sua identità per un braccialetto di un ostello che aveva al polso. Coatti era uscito sabato sera per recarsi in un locale notturno, ma non aveva fatto ritorno. Era in Colombia per turismo, ma anche per studiare la specie di cui si occupava come biologo. Lavorava presso la Biological Society of London.

Elim, la città indigena in lotta contro le miniere d’uranio

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Una remota comunità Iñupiat nel nord-ovest dell’Alaska sta protestando da mesi contro un progetto di estrazione dell’uranio pianificato nei pressi delle proprie terre, denunciando il rischio di contaminazione delle acque, fondamentali per la salute, il cibo e lo stile di vita della popolazione. La società Panther Minerals prevede di avviare l’esplorazione dell’uranio nell’estate nei pressi delle sorgenti del fiume Tubuktulik, nei pressi di Elim, un villaggio Iñupiat la cui economia di sussistenza si basa principalmente sulla pesca e che attribuisce a quelle aree un valore culturale e spirituale profondo. Gli abitanti di Elim si oppongono al progetto sin dal 2024, manifestando forti timori per una possibile contaminazione radioattiva delle acque e del suolo, con conseguenze gravi per la salute. Intanto, nei pressi di Nome, non lontano da Elim, una compagnia canadese intende estrarre grafite nel bacino di Imuruk. Le comunità indigene si sono mobilitate da ogni angolo dell’Alaska per opporsi a quello che definiscono un nuovo attacco alla loro sopravvivenza. Ancora una volta, le popolazioni indigene si confermano all’avanguardia, in prima linea in un ecologismo autentico, radicato nel sociale, nella cultura e nella spiritualità. Un fenomeno che non riguarda soltanto il continente americano, ma che si osserva in ogni parte del mondo.

Nel vento freddo dell’Alaska occidentale, il villaggio di Elim si trova al centro di un acceso dibattito nazionale: fino a che punto hanno diritto di spingersi gli Stati Uniti per assicurarsi i cosiddetti minerali critici? Elim e Nome, comunità a maggioranza Iñupiat, come molte altre realtà indigene dell’Alaska, dipendono dalle risorse ittiche della regione, e quei territori rappresentano un tempio di cultura, spiritualità e tradizioni. Panther Minerals prevede di avviare l’estrazione di uranio nei pressi delle sorgenti del fiume Tubutulik, mentre nei pressi di Nome, non lontano da Elim, la società canadese Graphite One intende costruire una vasta miniera di grafite alla base delle montagne Kigluiak, nel bacino di Imuruk. L’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump ha promosso una spinta estrattivista con lo slogan «Drill, baby, drill». In Alaska si estrae di tutto: petrolio, gas, minerali. Questa è la regione artica degli Stati Uniti, oggi al centro delle strategie di difesa nazionale, sotto molteplici aspetti. Ne abbiamo parlato nell’articolo pubblicato sul secondo numero del mensile de L’Indipendente, in cui si analizzava il rilievo geostrategico assunto dall’Artico.

Le miniere di uranio sono ormai note per la produzione di polveri radioattive e per il deflusso tossico di scorie che contaminano suolo e acqua. Le popolazioni indigene temono che l’esplorazione dell’uranio possa sfregiare la terra in modo analogo alle profonde ferite lasciate sulle terre della Nazione Navajo. Come ampiamente documentato, tra Arizona, Nuovo Messico e Utah, l’estrazione dell’uranio iniziata negli anni Cinquanta ha scatenato un’epidemia di tumori tra le comunità locali. Molti uomini lavoravano in quelle miniere, attratti da un salario in un contesto socioeconomico disastroso, come accade tuttora nella maggior parte delle comunità indigene degli Stati Uniti, comprese quelle dell’Alaska. Entrambi i progetti minerari, pur rappresentando una possibile opportunità in un contesto di profonda disoccupazione, minacciano la pesca e la caccia di sussistenza, oltre alla distruzione di siti sacri. Le comunità dell’Alaska, come Elim, denunciano la carenza di protezioni federali, una supervisione ambientale insufficiente e il disprezzo per il consenso delle popolazioni indigene. Diversi gruppi nativi dell’Alaska si sono uniti per opporsi a quello che considerano un nuovo attacco alla terra, alla cultura, all’economia, alla natura e alla spiritualità. Un ulteriore colpo inferto a un corpo nativo già storicamente smembrato dal genocidio.

Non è un caso che le popolazioni indigene nel Nordamerica come nel Sudamerica, in Africa come in Asia, siano l’avanguardia, la prima linea di un ecologismo che conosce e riconosce le connessioni tra questioni ecologiche, economiche, sociali e spirituali. Su L’Indipendente ne abbiamo parlato spesso. Sempre negli Stati Uniti rispetto alla lotta contro il DAPL, così come gli Hongana Manyawa, uno dei pochi popoli cacciatori-raccoglitori nomadi rimasti in Indonesia, e la loro cacciata del colosso chimico tedesco BASF, in partnership con la francese Eramet, per la raffinazione di nichel e cobalto estratti dalla Weda Bay Nickel. Stesse dinamiche in Africa, tra estrazioni ma anche mercato dei crediti di carbonio. Così come nel Nord, anche in Sudamerica è la stessa cosa. Perché i popoli indigeni non hanno intenzione di arrendersi al capitalismo e conservano la propria memoria, cultura, tradizioni, spiritualità e luoghi sacri. E per questo sono popolazioni che, ancora una volta, vengono prese di mira.

Non è un caso che le popolazioni indigene, dal Nord al Sudamerica, dall’Africa all’Asia, rappresentino l’avanguardia di un ecologismo capace di riconoscere le connessioni tra dimensioni ambientali, economiche, sociali e spirituali. Su L’Indipendente ne abbiamo scritto più volte. Negli Stati Uniti, ad esempio, in riferimento alla lotta contro il DAPL, oppure nel caso degli Hongana Manyawa, uno degli ultimi popoli cacciatori-raccoglitori nomadi dell’Indonesia, che hanno respinto il colosso chimico tedesco BASF, in partnership con la francese Eramet, coinvolto nella raffinazione di nichel e cobalto estratti dalla Weda Bay Nickel. Dinamiche analoghe si ripetono in Africa, tra operazioni estrattive e mercato dei crediti di carbonio. E, come nel Nord, anche in Sudamerica accade lo stesso. I popoli indigeni non intendono arrendersi al capitalismo e custodiscono memoria, cultura, tradizioni, spiritualità e luoghi sacri. È per questo che continuano a essere presi di mira.

Repubblica Dominicana, crolla il tetto di una discoteca: 18 morti

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Oggi a Santo Domingo, capitale della Repubblica Dominicana, è crollato il tetto di una discoteca, causando la morte di almeno 18 persone e il ferimento di altre 121. L’incidente si sarebbe verificato nelle prime ore della giornata, e la conta delle vittime continua a salire. Le autorità hanno comunicato che le squadre di soccorso stanno ancora lavorando per estrarre le persone intrappolate sotto le macerie. Non è ancora disponibile una stima dei dispersi.

Le verità nascoste sul latte a lunga conservazione

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Il latte è un alimento straordinario, tanto quello materno quanto quello di provenienza animale. Pensiamo soltanto che il bambino duplica il suo peso nei primi 6 mesi di vita, per poi triplicarlo entro il primo anno di età, soltanto assumendo latte. La crescita e lo sviluppo di cervello, cuore, ossa, muscoli e qualsiasi altro tessuto dell’organismo avviene con la sola assunzione di questo alimento, il cui valore nutrizionale è evidentemente altissimo, tanto da non avere eguali in natura. Ma quello che si acquista al supermercato mantiene tutte le qualità? E, soprattutto, è vero che tra latte fresco e a lunga conservazione (UHT) non c’è differenza come da sempre assicura l’industria alimentare? La verità è che vi sono grandi differenze e il latte a lunga conservazione non solo perde molti nutrienti, ma può anzi rivelarsi dannoso. Vediamo perché. 

Il latte e i suoi derivati sono preziosi a livello nutritivo non solo per l’accrescimento dei cuccioli di ogni specie nei primi mesi di vita, ma anche per altre categorie di individui, come ad esempio gli anziani. Con l’avanzare dell’età si tende infatti a perdere massa ossea e muscolare (sarcopenia) e i livelli di alcuni ormoni si riducono drasticamente, con ricadute anche sul metabolismo e con il possibile insorgere di patologie quali diabete, problemi cardiovascolari e tumori. Con un quadro del genere, l’assunzione di latte e derivati (quali formaggi e yogurt) fornisce un valido supporto alla salute.

Fatta tale premessa, è necessario sottolineare che non tutti i prodotti commerciali forniscano tali benefici. Il latte che proviene direttamente dalla mammella della madre, assunto dal neonato senza alcun trattamento fisico o termico intermedio, è l’unico in grado di fornire l’intera gamma di nutrienti e nulla ha a che vedere con il latte confezionato. Si tratta di una discriminante che è bene tenere a mente per regolarsi al meglio nel consumo di questa bevanda.

Parlando, nello specifico, di latte animale vaccino, in commercio ne esistono una gran varietà. Muovendoci in ordine qualitativo decrescente (da quello di migliore qualità fino al peggiore), possiamo elencare:

  • il latte crudo (non è pastorizzato in alcun modo);
  • il latte fresco (pastorizzato a bassa temperatura);
  •  il latte microfiltrato (pastorizzato a bassa temperatura);
  •  il latte Più Giorni e tutti i latti da banco frigo con scadenza da 10 a 21 giorni, tecnicamente chiamati anche latte ESL (Extended Shelf-Life, ovvero latte a scadenza più lunga e pastorizzazione ad alta temperatura)
  • il latte UHT, detto anche latte a lunga conservazione (a scaffale, non banco frigo, con scadenza di 90 giorni, pastorizzato a temperatura ultra-elevata).
Latte a lunga conservazione sugli scaffali di un supermercato

Latte crudo e latte fresco

Per latte crudo si intende «il prodotto ottenuto mediante secrezione della ghiandola mammaria di animali d’allevamento che non è stato riscaldato a più di 40°C e non è stato sottoposto ad alcun trattamento avente un effetto equivalente».

Il latte crudo, per poter risultare idoneo alla vendita diretta al consumatore finale, non deve aver subito in alcun modo operazioni di sottrazione o addizione di un qualsiasi suo componente naturale (ad esempio, non può essergli stato tolto il grasso, motivo per cui non esistono confezioni di latte crudo parzialmente scremato in commercio, ma solo di latte intero). Deve inoltre essere consumato al più presto e comunque entro 3 giorni dalla messa a disposizione, conservandolo in frigo ad una temperatura tra 0°C e 4°C. Il latte crudo è in vendita soltanto direttamente in fattoria oppure presso i distributori cittadini, presenti in varie province italiane – i quali vendono esclusivamente questo tipo di latte. Per un elenco completo di tutti i distributori in Italia di latte crudo, è possibile visitare il sito Milk Maps, che offre un dettaglio provincia per provincia. Il latte crudo ha grandi benefici e si differenzia dalle altre tipologie di latte vaccino per quanto riguarda i trattamenti subiti dopo la mungitura, i quali gli consentono di mantenere determinate caratteristiche organolettiche e nutrizionali – che, con i trattamenti termici, vanno in gran parte perse. Il prodotto è quindi più genuino, fresco e gustoso. Possiamo – anzi, dobbiamo – considerare questo l’unico vero latte naturale, integro, con tutti i nutrienti inalterati. Purtroppo, questo è anche il latte meno utilizzato in assoluto (almeno in Italia), in quanto non risponde alle esigenze di comodità che il consumatore moderno richiede. Per acquistarlo bisogna infatti recarsi appositamente in fattoria o presso i distributori cittadini, dotati di proprio contenitore, rifornirsi e poi tornare a casa, magari dopo aver fatto diversi chilometri in auto. Scomodo, o comunque meno comodo che entrare al supermercato e acquistare un latte qualsiasi, assieme a tutto il resto della spesa. Inoltre, il latte crudo va consumato al massimo entro 3 giorni dall’apertura della confezione e anche in questo caso molti consumatori storcono il naso, in quanto vorrebbero un prodotto da consumare nell’arco di una settimana o anche più tempo. Per tutti questi motivi i distributori di latte crudo sono ormai in via di dismissione in tante città. 

Il latte fresco è un buon compromesso tra un latte crudo e uno pastorizzato ad alte temperature, in quanto è pastorizzato a bassa temperatura, procedimento che gli permette di mantenere gran parte dei nutrienti e delle qualità nutrizionali. Tuttavia, anch’esso ha lo “svantaggio” di non andare troppo incontro alle comodità del consumatore moderno: scade dopo appena 6 giorni e ha un costo superiore rispetto ad altre tipologie di latte di inferiore qualità – come quello Più Giorni o l’UHT. Negli ultimi anni, diverse aziende che producevano il latte fresco hanno smesso di farlo per il calo delle vendite, che costringeva i supermercati (e i produttori stessi) a resi di lotti invenduti e cali di fatturato. Il latte fresco Granarolo, ad esempio, non esiste più dal 2023: la cooperativa bolognese ha infatti eliminato il suo prodotto più classico, decidendo di concentrarsi sul latte “pastorizzato ad alta temperatura”. Una decisione grave, che priva i consumatori dei nutrienti del latte fresco pastorizzato e li spinge verso un prodotto di qualità inferiore. 

Latte pastorizzato e a lunga conservazione

Impianto di pastorizzazione UHT, utilizzato nell’industria alimentare per il trattamento termico e la conservazione a lunga durata di latte

Veniamo ora alle tipologie di latte di bassa qualità che sono collegate a problemi di salute proprio a causa dei processi fisico-chimici con cui si altera il latte fresco o il latte crudo: parliamo del latte pastorizzato ad alta temperatura e del latte UHT (Ultra High Temperature). L’industria, per poter fare profitti ingenti, deve fare in modo che i suoi prodotti rimangano in commercio per periodi lunghi: perché ciò avvenga con il latte, questo deve essere trattato al fine di scongiurare la deperibilità (3 giorni per il latte crudo, 6 per quello fresco). Un alimento vivo, ricco di enzimi e di batteri come lo è qualsiasi alimento naturale, che sia vegetale o animale come il latte, è un cibo che ha dei naturali e fisiologici tempi di freschezza e deperibilità. Per evitare la deperibilità le soluzioni a disposizione dell’industria sono due: usare dei conservanti chimici oppure fare dei trattamenti termici che sterilizzano il prodotto. Entrambe le soluzioni comportano una grande perdita di nutrienti e lo sviluppo di sostanze tossiche indesiderate all’interno dell’alimento. 

Il latte e i prodotti lattiero-caseari sono solitamente sottoposti a procedure termiche prima di essere commercializzati e consumati. Il trattamento termico è finalizzato a eliminare i batteri patogeni e contaminanti, alcune spore e inattivare gli enzimi. Il trattamento termico induce tuttavia alcune reazioni (dette “di Maillard”) che modificano le proteine, generando prodotti come la furosina e il 5-idrossimetilfurfurale (5-HMF). 

Molti altri cambiamenti fisico-chimici si verificano nel latte dopo il processo di pastorizzazione. Tra questi vi sono la degradazione del lattosio in lattulosio e acidi, la denaturazione delle proteine del siero di latte, la defosforilazione e l’idrolisi delle caseine, l’ossidazione dei grassi e la glicazione delle proteine. Tutti rovinano la qualità del latte e creano difficoltà digestive e problemi di allergie e infiammazione intestinale. La reazione di Maillard, per esempio, porta alla perdita di lattosio e aminoacidi essenziali, il che riduce il valore nutrizionale dei prodotti lattiero-caseari. Inoltre, alcuni sottoprodotti della reazione di Maillard sono dannosi per la salute umana, come il 5-HMF che ha citotossicità, mutagenicità indiretta, cancerogenicità, epatotossicità e nefrotossicità. Potrebbe anche ridurre il livello di glutatione cellulare (un antiossidante prodotto direttamente dal nostro organismo) e causare reazioni allergiche. Niente di tutto ciò avviene se si consuma latte crudo o latte fresco. 

La realtà dei fatti è che la versione naturale di questo alimento è priva di effetti dannosi e nutre in maniera sana, quella industriale e trattata termicamente, funzionale al bisogno di illusoria comodità e benessere dell’uomo moderno (e all’arricchimento dell’industria) comporta problemi di salute. Inoltre, gran parte del latte UHT in commercio in Italia proviene dall’estero: in questi casi viene sottoposto a un doppio trattamento termico UHT, in quanto, per normativa, si deve pastorizzare prima del trasporto (nello Stato estero) e dopo l’arrivo in Italia, al fine di scongiurare eventuali contaminazioni microbiologiche che possono insorgere nelle fasi di carico, scarico, trasporto e così via.

E mentre in Italia la massa dei consumatori si abbuffa di latte UHT al prezzo inferiore di un euro al litro, in altri Stati, come l’Austria, le persone possono scegliere latte crudo alla spina, pagando il giusto all’allevatore (1,50 euro circa). Tutto questo avviene in un supermercato (Interspar), che normalmente vende moltissimi prodotti sfusi, in confezioni ecosostenibili, per scelta aziendale.

Sciopero generale nei territori palestinesi contro l’occupazione israeliana

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Ieri è stata la giornata dello sciopero generale globale in supporto alla Palestina, lanciato dalle stesse organizzazioni dei lavoratori palestinesi. In tutta la Cisgiordania gli esercizi commerciali e le poche fabbriche attive hanno chiuso i battenti in solidarietà con i connazionali sotto attacco nella Striscia di Gaza. A Gerusaleme Est, Hebron, Ramallah, Tulkarem, Jenin, Selfit, Tubas e molte altre città negozi, scuole, istituzioni pubbliche e aziende hanno chiuso i battenti in protesta contro il genocidio e contro l’avanzata dell’esercito israeliano, che controlla ormai il 50% del territorio della Striscia.

Lo sciopero è stato partecipato in tutto il mondo, specialmente nei Paesi arabi. In Marocco, Algeria, Tunisia fino al Bangladesh e ai Paesi del golfo arabo si sono registrati enormi cortei in solidarietà del popolo palestinese. La giornata mondiale di sciopero è stata proclamata da tutte le organizzazioni politiche palestinesi «per amplificare le voci e mettere in luce gli orribili massacri e crimini dell’occupazione a Gaza e la distruzione sistematica volta a sfollare il nostro popolo».

Una protesta andata in scena nello stesso giorno in cui il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, si trovava in visita negli Stati Uniti, ricevuto con tutti gli onori nonostante il mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità emesso nei suoi confronti dalla Corte Penale Internazionale.

Uno scatto delle manifestazioni svoltesi in Bangladesh nel giorno dello sciopero globale per la Palestina

Le organizzazioni politiche palestinesi hanno anche sollecitato azioni da intraprendere per porre fine alla guerra «nel mezzo dell’incapacità della comunità internazionale di imporre sanzioni all’occupante o di ritenere responsabile il suo governo terrorista». L’accoglienza riservata a Netanyahu dall’Ungheria di Orban è sicuramente esplicativo del clima politico internazionale e della legittimazione che il primo ministro israeliano sta continuando a trovare.

Secondo le ultime stime a Gaza sono state uccise almeno 50.700 persone, e i bombardamenti a tappeto continuano dopo che Israele ha rotto il cessate il fuoco a marzo.

Anche all’interno della Cisgiordania occupata le forze militari di Tel Aviv continuano la loro aggressione contro la città di Jenin per il 77esimo giorno consecutivo, mentre Tulkarem è invasa da 72 giorni. Decine di case dei campi profughi sono state fatte esplodere e almeno 40mila le persone obbligate a lasciare la propria casa. Almeno 918 i palestinesi uccisi in Cisgiordania dal 7 di ottobre 2023 ad oggi.

Dazi, l’Europa sceglie la trattativa con Trump ma annuncia contromisure

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L’Unione Europea ha svelato la propria strategia di risposta ai dazi statunitensi. La Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha affermato di avere proposto agli USA «tariffe zero-per-zero per automobili e beni industriali», tra cui dovrebbero rientrare prodotti farmaceutici, acciaio e alluminio, legname e semiconduttori. Intanto, la Commissione sta lavorando su una possibile contromisura ai dazi statunitensi. Domani è prevista la votazione di una lista di prodotti statunitensi su cui imporre tariffe aggiuntive, che dovrebbero entrare in vigore il 15 aprile. Il 15 maggio, invece, entrerebbero in vigore tariffe su una seconda lista di prodotti.

Le multinazionali all’assalto dell’Ucraina

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Non solo terre rare e minerali. A essere conteso nella lotta di potere che si combatte in Ucraina c’è molto di più. Se, infatti, il presidente statunitense Donald Trump ha recentemente chiesto a Kiev di ripagare gli aiuti finanziari e militari ricevuti da Washington attraverso una cessione di parte delle entrate derivanti dalle sue risorse minerarie, in realtà l’Ucraina è terra di conquista da parte delle multinazionali straniere da prima del 2014. Nel mirino delle aziende e delle istituzioni finanziarie, infatti, ci sono da lungo tempo le grandi distese di terreni agricoli particolarmente fer...

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Antitrust, multa da 20 milioni alle biglietterie del Colosseo

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L’Autorità garante ha stabilito una multa da 20 milioni di euro per i servizi di biglietteria del Parco archeologico del Colosseo, a causa della prolungata indisponibilità di biglietti d’accesso all’area. Nello specifico, a venire colpiti dalla sanzione sono la Società Cooperativa Culture (CoopCulture), che dovrà pagare una multa di 7 milioni di euro, e gli operatori turistici Tiqets International, GetYourGuide Deutschland, Walks, Italy With Family, City Wonders Limited e Musement. L’Antitrust aveva avviato l’istruttoria nel luglio 2023. Secondo l’Autorità, CoopCulture «ha contribuito, in piena consapevolezza, al fenomeno della grave e prolungata indisponibilità dei biglietti di ingresso per il Colosseo a prezzo base».