martedì 26 Agosto 2025
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Giappone, elezioni: coalizione di governo perde maggioranza al Senato

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In seguito alla tornata elettorale di domenica 20 luglio, la coalizione di governo giapponese ha perso la maggioranza al Senato. Il Partito Liberal Democratico (PLD) e il Komeito ora contano infatti 122 seggi su 248. La popolarità di entrambi è in calo da tempo, con la perdita della maggioranza alla Camera già nel 2024. È la prima volta che il PLD, che governa ininterrottamente dal dopoguerra, si trova senza maggioranza in entrambe le Camere. Nonostante ciò, il primo ministro Ishiba Shigeru ha escluso dimissioni e il governo potrebbe sopravvivere in ragione della frammentazione dell’opposizione. Inaspettato il buon risultato di Sanseito, partito di estrema destra, che ha eletto 14 senatori.

Il Brasile ha vietato i test cosmetici su animali

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In Brasile la Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge che vieta l’uso di animali vertebrati vivi nei test su cosmetici, profumi e prodotti per l’igiene personale. Lo rivelano direttamente le istituzioni locali, aggiungendo che il provvedimento, che attende ora la firma presidenziale, modifica la legge 11.794/08 e stabilisce che i dati ottenuti da sperimentazioni animali non potranno più essere usati per ottenere l’autorizzazione alla vendita di questi prodotti, a meno che i test non rispondano a normative non cosmetiche. La nuova legge, tuttavia, non si applicherà retroattivamente, autorizza la commercializzazione di prodotti già testati in passato e definisce inoltre criteri rigorosi per eventuali deroghe, affidate al Consiglio nazionale per il controllo della sperimentazione animale. «Mai più animali saranno utilizzati nei test industriali», ha dichiarato il relatore Ruy Carneiro, mentre le organizzazioni animaliste parlano di “pietra miliare” per il Paese.

Il divieto brasiliano si inserisce in un contesto globale che sembra sempre più orientato verso l’abbandono della sperimentazione animale nei test cosmetici. L’Unione Europea, infatti, ha introdotto un bando completo già nel 2013, seguita da Paesi come Corea del Sud, Nuova Zelanda, Messico e Stati Uniti, mentre in America Latina anche Colombia, Cile e altri Stati hanno approvato leggi simili. In Italia, invece, i test su animali per cosmetici finiti sono vietati dal 2004, e dal 2013 non è più possibile neppure immettere sul mercato prodotti i cui ingredienti siano stati testati su animali fuori dall’UE. Tuttavia, associazioni come LAV e Humane Society segnalano che esistono ancora eccezioni e zone grigie legate a obblighi normativi internazionali e a sostanze usate anche in altri settori. Il testo brasiliano, però. affronta proprio questa ambiguità: ammette deroghe solo in caso di requisiti legali per prodotti non cosmetici, imponendo la documentazione dell’effettiva necessità e vietando l’uso di etichette fuorvianti come “non testato su animali” in questi casi.

In particolare, il provvedimento approvato modifica la legge 11.794/08 e vieta l’uso di animali vertebrati vivi nei test di sicurezza, efficacia o tossicità per prodotti destinati all’igiene personale, alla cosmesi e alla profumeria. Rimangono validi i dati ottenuti prima dell’entrata in vigore della legge, mentre ogni nuovo test sarà consentito solo in casi eccezionali e soggetto a condizioni molto restrittive, definite dal Consiglio nazionale per il controllo della sperimentazione animale. Diverse voci parlamentari hanno sostenuto la misura con forza: «Gli animali provano dolore, fame, freddo, ansia e paura. Tutto ciò che proviamo noi», ha ricordato il deputato Célio Studart, aggiungendo che il testo, frutto anche del lavoro di attivisti e ONG come Humane Society e Te Protejo, prevede un periodo di massimo due anni per l’adozione di protocolli alternativi, l’elaborazione di piani nazionali di diffusione e la pubblicazione di rapporti biennali sul monitoraggio. Le sanzioni pecuniarie, invece, restano invariate rispetto alla normativa attuale, dopo che la proposta di inasprimento è stata esclusa in fase finale.

Kenya: arrestato importante attivista diritti umani per proteste antigovernative

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La polizia kenyota ha arrestato oggi Boniface Mwangi, importante attivista per i diritti umani, con l’accusa di aver favorito «atti terroristici» nell’ambito delle violente proteste antigovernative svoltesi nelle scorse settimane. Le proteste sono esplose dopo che un noto blogger politico, Albert Ojwang, è morto dopo essere stato arrestato dalla polizia: i cittadini si sono così riversati nelle strade per protestare contro il costo della vita e la violenza degli agenti. Almeno 50 persone sono morte durante gli scontri di piazza con le forze dell’ordine.

Milano, anche l’ex vicensidaca indagata nell’inchiesta sull’urbanistica

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L’ex vicesindaca di Milano, Ada Lucia De Cesaris, risulta indagata in uno dei filoni della maxi inchiesta di Milano sull’urbanistica, che vede coinvolto anche il sindaco Beppe Sala. De Cesaris sarebbe colpevole di tentata concussione, per via della “costante ingerenza”, rilevata dagli inquirenti, sul lavoro dell’assessore all’Urbanistica, Giancarlo Tancredi.

Finanziamenti e poltrone: l’intreccio tra università private e politica

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Il 14 maggio 2019 rappresenta uno spartiacque per le università private, comprese quelle telematiche. Prima di questa data, esse dovevano essere organizzate come enti senza scopo di lucro, tipicamente fondazioni o associazioni, con la formazione e la ricerca come scopo primario. Il divieto di assumere la forma di società di capitali serviva proprio a distinguere le università dalle aziende commerciali: si riteneva che l’istruzione superiore non dovesse essere sottoposta alle logiche di mercato in senso stretto. Quel giorno cambia tutto: con il parere n. 1433, il Consiglio di Stato autorizza le...

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Russia, terremoto magnitudo 7.4 in Kamchatka: allerta tsunami

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Nella mattinata di oggi forti scosse di terremoto di magnitudo 7.4 sono state registrate nella Kamchatka, zona nell’estremo oriente della Russia, dando luogo a un’allerta tsunami. L’epicentro si troverebbe nell’Oceano Pacifico. L’istituto geofisico statunitense (USGS) riporta che onde pericolose potrebbero sollevarsi fino a 300 km dall’epicentro.

Nuoto, Italia medaglia d’argento nella staffetta mista

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Ai Campionati mondiali di Singapore, l’Italia ha vinto la medaglia d’argento nella staffetta 4×1500 metri mista, con la squadra composta da Barbara Pozzobon, Ginevra Taddeucci, Marcello Guidi e Gregorio Paltrinieri. L’oro è andato alla squadra tedesca, mentre il terzo posto è andato all’Ungheria e il quarto alla Francia.

Gaza, Israele compie l’ennesimo massacro: 200 uccisi dagli attacchi e dalla fame in due giorni

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Continua il massacro di civili nella Striscia di Gaza, con circa 200 persone uccise in appena due giorni nell’enclave da parte delle forze armate israeliane (IDF). Di queste, oltre un centinaio sono state uccise mentre si trovavano in attesa degli aiuti umanitati nei siti della Gaza Humanitarian Foundation (GHF), 38 nella giornata di sabato e altri 78 dall’alba di oggi, domenica 20 luglio. Per la prima volta dall’inizio dell’aggressione militare, nel 2023, Israele ha emesso oggi un ordine di evacuazione forzata nella zona di Deir el-Balah, annunciando l’espansione delle proprie operazioni di terra. I bombardamenti continuano a non risparmiare le tende dei rifugiati e le abitazioni, in quelle che le forze armate israeliane insistono nel definire operazioni «contro i terroristi».

Almeno due persone, delle quali un bambino di un mese di eta, sono morti di stenti ieri nell’ospedale di Al-Shifa a causa della mancanza di cibo, per i blocchi imposti da Tel Aviv. A questi si aggiunge una bambina di 4 anni, morta di fame questa mattina nell’ospedale di Al-Aqsa. Altri 8 palestinesi sono stati uccisi nelle prime ore di questa mattina nel nord della Striscia, a Gaza City. Due di questi si trovavano in coda per gli aiuti umanitari, secondo quanto riferito a Quds Netword da fonti locali. Secondo quanto riprotato da Al Jazeera, il ministero della Salute di Gaza ha riferito che gli ospedali stanno facendo i conti con un numero senza precedenti di persone in fin di vita a causa della mancanza di cibo. A queste si aggiungono le 900 persone uccise dagli attacchi israeliani mentre si trovavano ai punti di distribuzione del cibo della GHF – 4 in tutto, che hanno sostituito i precedenti 400 punti di distribuzione degli aiuti umanitari gestiti dalle Nazioni Unite e da altri enti internazionali. Solamente una settimana fa, l’ONU aveva confermato che fossero almeno 800 le persone uccise durante la distribuzione degli aiuti umanitari nei siti della GHF.

L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) ha dichiarato che sono almeno un milione i bambini che Israele sta portando a una morte lenta per mancanza di cibo negando l’accesso al cibo, su una popolazione di poco più di 2 milioni di persone. «L’UNRWA ha scorte di cibo sufficienti per l’intera popolazione di Gaza per oltre tre mesi nei magazzini» all’esterno della Striscia, ha fatto sapere l’agenzia, ma Israele non ne permette l’ingresso nell’enclave. La Gaza Humanitarian Foundation, dal canto suo, ha apertamente definito il cibo come un’arma all’interno della Striscia, dichiarando che «A Gaza il cibo è potere» e che «Hamas si sta dando da fare» per far chiudere i siti di distribuzione dell’agenzia proprio perchè la distribuzione «funziona». Hamas «sta diffondendo disinformazione, incitando alla violenza e spingendo per deviare tutti gli aiuti verso le Nazioni Unite e altri i cui modelli sanno di poter sfruttare».

Secondo varie inchieste giornalistiche di media internazionali, dietro il piano di distribuzione degli aiuti umanitari della statunitense GHF, appoggiato da Israele, vi sarebbe il tentativo di sfollare i civili dalla Striscia, spingendo almeno 600 mila persone nella zona di Rafah – che diventerebbe così una maxi area umanitaria – al fine di liberare l’enclave e trasformarla finalmente nella “Riviera del Medio Oriente”, come nei piani di Trump e Netanyahu. Tanto la deportazione quanto la costruzione di maxi aree umanitarie sono due pilastri dell’operazione Carri di Gedeone, inaugurata da Israele lo scorso maggio. Proprio la centralizzazione della distribuzione degli aiuti umanitari nelle mani di Tel Aviv era uno dei punti centrali per il buon fine delle operazioni. Lo “spostamento volontario” dei palestinesi era stato annunciato dallo stesso ministro della Difesa israeliano Israel Katz, che auspicava di riuscire a incoraggiare i palestinesi a «emigrare volontariamente» dalla Striscia di Gaza verso altri Paesi.

Nel frattempo, dopo che l’attacco dell’IDF a una chiesa cattolica nella Striscia, lo scorso venerdì, ha scatenato l’indignazione delle massime cariche italiane e messaggi di solidarietà da tutte le principali autorità del globo, con l’ambasciatore statunitense in Israele che ha definito l’azione un «atto di terrorismo» da parte dell’esercito israeliano, non una parola (come di consueto) è stata spesa a seguito delle stragi commesse ieri e continuate stamattina.

In 425 Comuni italiani non esiste più nemmeno un negozio di alimentari

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425 Comuni italiani, dove in totale abitano 170mila persone, non hanno alcun negozio di generi alimentari sul proprio territorio. 206 Comuni sono invece privi di qualsiasi attività di commercio al dettaglio. Soltanto il 44% della popolazione italiana può accedere a un panificio entro 15 minuti, il 35% a una pescheria, il 60% a un fruttivendolo. A fotografare lo stato di salute della distribuzione dei servizi commerciali essenziali in Italia è Unioncamere che, con l’ausilio dei dati elaborati dal Centro studi Tagliacarne, ha restituito l’immagine di un Paese diseguale, diviso tra il sovraffollamento e il turismo di massa dei grandi centri e lo spopolamento delle aree interne. Una situazione con implicazioni dirette soprattutto per la popolazione anziana, le famiglie prive di automobile e le persone fragili che abitano nei piccoli Comuni sempre più sprovvisti dei servizi essenziali.

Il tessuto urbano italiano riflette la sua storia fatta di divisioni e realtà politiche frammentate, di cui l’esperienza comunale sorta nel XIII secolo è simbolo. Nel nostro Paese si contano 7896 Comuni. Di questi ben 5523 registrano un massimo di 5mila residenti (i cosiddetti piccoli Comuni), per un totale di quasi 10 milioni di abitanti che popolano quindi le aree interne e non le grandi città, da cui per definizione distano. Qui Unioncamere ha fotografato un accesso disomogeneo ai servizi commerciali essenziali. Nei piccoli Comuni, si registrano 9,24 negozi ogni 1000 abitanti. Si tratta del 12,8% in meno rispetto alla media nazionale, pari a 10,42 negozi ogni 1000 abitanti. Le medie nascondono i casi estremi, come i 206 Comuni (205 dei quali con meno di mille residenti) privi di qualsiasi esercizio di commercio al dettaglio, per un coinvolgimento di oltre 51mila persone. In 170mila vivono invece in centri abitati, 425 in tutto, privi di esercizi alimentari. Sono 1124 i Comuni — con una popolazione complessiva di 630mila abitanti — dove è presente al massimo un’attività commerciale alimentare.

In tutti questi casi, l’indice di vecchiaia è nettamente superiore alla media nazionale. L’invecchiamento non è però l’unico fattore che incide sull’evoluzione del tessuto urbano italiano. Va tenuto conto ad esempio delle esigenze didattiche e lavorative che portano a trasferirsi dai centri minori spesso senza farvi ritorno. Pesano anche le politiche pubbliche inefficaci o controproducenti, incapaci di invertire la rotta dello spopolamento e del declino. Di recente ha fatto discutere il Piano Strategico Nazionale Aree Interne (PSNAI) 2021-2027 elaborato dal governo Meloni. Nel documento, che dovrebbe stabilire una gestione organica delle risorse per le aree più distanti dai servizi essenziali, si legge che alcune di queste «non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento». Qualche giorno dopo, l’esecutivo ha annunciato i tagli delle risorse destinate alle province per la rete stradale, nonostante la sua centralità nel collegamento e quindi nella sopravvivenza dei piccoli centri urbani italiani.

Trump fa causa al Wall Street Journal chiedendo 10 miliardi

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Il presidente americano Donald Trump ha citato in giudizio il Wall Street Journal, Rupert Murdoch e altri dirigenti del gruppo editoriale per almeno 10 miliardi di dollari, accusandoli di averlo diffamato con un articolo che lo collega a Jeffrey Epstein. Il pezzo, pubblicato dal giornale, sostiene che l’ex presidente avesse firmato nel 2003 un biglietto di auguri per Epstein, contenente riferimenti sessualmente allusivi e “segreti condivisi”. Secondo la denuncia, l’articolo sarebbe falso, privo di prove e motivato da intento lesivo. «Abbiamo appena intentato una causa POWERHOUSE», ha scritto Trump su Truth Social, promettendo battaglia legale. Dow Jones & Company, d’altra parte, ha dichiarato che si difenderà con fermezza.