sabato 5 Luglio 2025
Home Blog Pagina 41

Roma, migliaia in piazza contro il dl Sicurezza: attivisti identificati prima del corteo

0

Sarebbero circa 150 mila, secondo alcune fonti, le persone che hanno preso parte alla manifestazione in corso a Roma contro il dl Sicurezza, partita alle 14 da piazza Vittorio e diretta verso la piazza di Porta San Paolo. I manifestanti si oppongono al provvedimento, fortemente voluto dal governo, in quanto «pericoloso e incostituzionale», dal momento che introduce 14 nuovi reati e aggrava le pene per almeno 9 tra quelli già esistenti. Prima della manifestazione, 15 attivisti di Extintion Rebellion che si stavano recando al corteo hanno denunciato di essere stati pedinati, perquisiti e identificati senza motivo dalla polizia, alla ricerca, secondo quanto denunciato, di «armi atte a offendere e materiale pirotecnico ed esplosivo».

Gli unici oggetti sequestrati, riportano gli attivisti, sono 10 fumogeni colorati «che possono essere acquistati liberamente». Il gruppo di attivisti ha parlato di «azioni intimidatorie arbitrarie» della Polizia, le cui operazioni sarebbero «illegittime» in quanto «non si può perquisire se non c’è un motivo fondato o se non c’è da trovare un corpo del reato». Secondo quanto riportato, la polizia avrebbe inoltre minacciato i ragazzi di portarli in questura se non si fossero sottoposti volontariamente alla perquisizione. «I reati che il Decreto Sicurezza introduce vanno proprio in questa direzione: colpire chi oggi è già marginalizzato e punire in maniera sproporzionata chiunque dissenta» commenta uno degli attivisti identificati.

Sono tante le realtà presenti al corteo oggi, dalla CGIL al Collettivo di fabbrica GKN, all’ARCI, insieme a numerosi esponenti politici e a varie realtà facenti parte della Rete No Ddl Sicurezza, oltre ai collettivi studenteschi. La manifestazione segue le proteste dello scorso lunedì 26 maggio, quando un gruppo di dimostranti si era riunito all’esterno del Parlamento mentre all’interno il governo votava la fiducia al provvedimento (approvato definitivamente dalla Camera il 29 maggio successivo). Tra i manifestanti e i poliziotti, che facevano cordone in tenuta antisommossa all’ingresso dell’edificio, vi sono stati alcuni momenti di tensione, che hanno portato al ferimento di alcuni dei presenti – compreso l’assessore alla Cultura del III Municipio, Luca Blasi.

Rispetto al pacchetto come originariamente pensato, a mutare all’interno del provvedimento approvato sono solo alcuni dei già pochi punti su cui si era concentrata la polemica durante il dibattito politico: madri incinte, accesso alle schede telefoniche per i migranti, obbligo per le istituzioni pubbliche di contribuire coi servizi segreti, e poco altro. L’impianto generale del testo, tuttavia, rimane sempre lo stesso, di natura securitaria e liberticida. Sul fronte dell’inasprimento del codice penale, il DL prevede 14 nuove fattispecie incriminatrici e l’inasprimento delle pene di altri 9 reati. Esso inaugura il reato di «occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui» (che prevede fino a 7 anni di reclusione per tutte le fattispecie già punite con il reato di «occupazione»), quello di blocco stradale (massimo 2 anni di reclusione), quello di rivolta nelle carceri e nei CPR (previsti anche in caso di resistenza passiva). Il decreto, inoltre, conferma le cosiddette “zone rosse” nelle città, potenzia lo strumento del DASPO urbano, e vara una stretta contro chi protesta contro le grandi opere.

L’Europa dimentica la retorica green: con il riarmo centinaia di milioni di tonnellate di emissioni

3

L’aumento della spesa militare dei Paesi NATO potrebbe generare centinaia di milioni di tonnellate annue di gas serra, rischiando di impedire il raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 13 delle Nazioni Unite, dedicato alla lotta contro il cambiamento climatico. A dirlo è un rapporto dell’Osservatorio sui Conflitti e l’Ambiente (CEOBS), scritto su richiesta dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari del Disarmo. Il CEOBS sottolinea che l’aumento della spesa militare aumenterà le emissioni militari sia sul fronte della produzione che su quello del mantenimento e dell’uso dei sistemi d’arma: acciaio, alluminio e combustibili fossili per operazioni militari rendono infatti quello bellico uno dei settori più inquinanti al mondo. Tra i principali Paesi che potrebbero contribuire a questo aumento delle emissioni vi sono quelli europei, con il piano europeo ReArm. Esso prevede un aumento della spesa militare comunitaria fino a 800 miliardi di euro, e sta venendo portato avanti in parallelo a numerose iniziative volte a riconsiderare al ribasso gli obiettivi climatici comunitari, aumentando deroghe e concessioni alle grandi aziende.

Secondo lo studio del CEOBS, la produzione industriale che sta venendo promossa finirà per aggravare l’impatto ambientale dell’industria bellica sia direttamente che indirettamente. Gli aumenti diretti sarebbero effetto di tre fattori principali: le attività di addestramento ed esercitazione, i pattugliamenti di routine, e (in tempo di guerra) i conflitti armati; la costruzione delle basi militari, il loro mantenimento e i consumi a esse legati; la produzione di equipaggiamenti e gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo. Gli aumenti indiretti, invece, sono legati al reindirizzamento di risorse che potrebbero essere spese per la tutela dell’ambiente, al ripensamento al ribasso degli obiettivi e delle politiche ambientali per facilitare il comparto bellico, all’aumento di migrazioni in caso di conflitto, e alla potenziale dipendenza dal fossile che si creerebbe, essendo quello militare un comparto particolarmente energivoro. «Nonostante le difficoltà nel definire l’esatto rapporto tra spesa militare ed emissioni di gas serra militari», scrive il rapporto, i dati indicano «aumenti da decine a centinaia di milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente all’anno derivanti dagli attuali aumenti di spesa».

L’industria bellica, sottolinea il rapporto, è una delle più impattanti al mondo. Il CEOBS e Scientists for Global Responsibility stimano che l’attività militare quotidiana potrebbe essere responsabile di circa il 5,5% delle emissioni globali, il che significa che se le forze armate del mondo fossero un Paese, sarebbero il quarto maggiore emettitore al mondo. Dati questi, che non tengono conto del fatto che i Paesi non registrano tutte le emissioni legate alle proprie attività militari. L’aumento della spesa militare, sottolinea il CEOBS, avrà un impatto negativo sul raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 13 dell’ONU. Esso chiede ai Paesi di: rafforzare la capacità di adattamento ai rischi legati al clima e ai disastri naturali; integrare le misure contro il cambiamento climatico nelle politiche di pianificazione nazionale e di aiutare i Paesi meno sviluppati a fare lo stesso; mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all’anno per il contrasto al cambiamento climatico.

Tra le politiche di riarmo che più potrebbero impattare sul raggiungimento dell’Obiettivo 13, vi sono quelle europee. L’UE ha infatti pensato un piano che prevede l’investimento di una cifra fino a 800 miliardi di euro nel settore bellico. Di preciso, la Commissione Europea ha proposto agli Stati membri di aumentare la spesa per la difesa fino all’1,5% del prodotto interno lordo annuo per quattro anni. Questo debito aggiuntivo, sostiene von der Leyen, potrebbe generare fino a 650 miliardi di euro nel prossimo quadriennio. Per ora sono 16 i Paesi dell’UE che hanno inoltrato una richiesta di sospensione del Patto di Stabilità. A questa cifra si aggiunge quella che proverrebbe dal cosiddetto “fondo SAFE”, che prevede la raccolta di una somma fino a 150 miliardi di euro sui mercati da erogare sotto forma di prestiti diretti agli Stati con l’avvio di procedure d’appalto comuni e semplificate.

Parallelamente, l’UE ha promosso una serie di iniziative volte a depotenziare o rinviare le leggi per la tutela dell’ambienteprimo fra tutti il Green Deal. In queste occasioni, l’Italia figura sempre tra le prime promotrici e guida il fronte UE contro l’ambientalismo. Il nostro Paese è stato in passato l’unico a votare contro i divieti sulla pesca a strascico, riuscendo, a fine 2024, a boicottare la norma. L’Italia si è poi mossa contro la norma sulla riduzione delle emissioni industriali, riuscendo a ridurre i limiti imposti agli allevamenti intensivi; ha contribuito alla riqualificazione al ribasso dello status di tutela del lupo; si è poi schierata contro la riduzione delle emissioni del settore auto, approvata a inizio maggio 2025.

Canada, è ancora emergenza incendi: a rischio anche città USA

0

Giganteschi incendi stanno continuando a devastare le foreste del centro e dell’ovest del Canada, con oltre 170 roghi attivi, metà dei quali fuori controllo. Migliaia di persone sono in evacuazione, soprattutto nelle comunità indigene di Manitoba e Saskatchewan. Il fumo, spinto da venti caldi e secchi, minaccia di raggiungere città statunitensi come Chicago, Detroit e Milwaukee. In alcune zone, come Pukatawagan, gli abitanti sono bloccati a causa della chiusura dell’aeroporto. Le autorità canadesi hanno dichiarato il massimo livello d’allerta. Dopo il disastroso 2023, si teme una nuova stagione di incendi senza precedenti.

Voi che governate

1

Voi che governate sentitevi prigionieri della storia, non della convenienza, del tornaconto, della opportunità.  Amate il rischio, vi prego, insieme alla responsabilità, come un pilota che sale sull’aereo per portare i passeggeri a destinazione. Perché dovrebbe esporli al pericolo, perché non dovrebbe amare la sua che è anche la loro meta?

Lo sguardo sul mondo si fa più cupo, voi avete il compito di trasmettere sicurezza non di punire qualcuno, dovete sentire l’obbligo di proteggere i deboli non di vendicarvi, se avrete procurato la morte invece di salvaguardare la vita sentirete un giorno crollarvi tutto addosso, compresa la vostra vita privata inevitabilmente fallimentare.

Ma ora basta prediche e moralismi. Parliamo di me, di te, di loro, va bene. Ma parliamo soprattutto di ‘noi’, della comunità estesa, senza confini a cui apparteniamo, quel luogo dove è difficile capirsi, dove qualcuno impone scelte, che sa benissimo che sono sbagliate, soltanto per dimostrare che è più forte, dove si è già costretti a fronteggiare la tracotanza e l’ignoranza di molti che guidano altri Paesi. Non aggiungetevi in ogni caso ai peggiori, sappiate dire no alle decisioni indegne.

Voi che governate, che avete la responsabilità transitoria non dico di quanto accade ma di quanto fate per evitare o favorire che avvenga; voi non spostate ancora più in qua i confini dell’irreparabile.

Non vi è stato affidato il compito di risolvere dei problemi, non siete degli scolaretti che dovete dimostrare di essere bravi. Dovete essere invece degni di noi che vi abbiamo voluto, dovete sentire il compito di far crescere il vostro Paese senza danneggiarne altri, dovete vedere aldilà di ciò che è strettamente attuale, dovete segnare strade che non ci sono ancora.

Avete l’obbligo di esprimere il meglio di noi. Se lasciate uccidere bambini, se lasciate che vengano conculcati diritti, frustrate le più semplici ambizioni, se umiliate chi da solo non ce la fa, se occultate le ragioni della giustizia e trascurate chi si vendica, se perseguite i colpevoli confondendo l’importanza oggettiva dei reati, non potete sperare nulla. Noi riconosceremo voi come colpevoli.

C’è un sistema, forse una terapia. Provate a fare una passeggiata in un bosco restando in silenzio e in solitudine prima di prendere decisioni, fate come faceva Nostro Signore con san Pietro negli antichi racconti, visitate le case di chi fa fatica a tirare avanti, in una periferia, in un quartiere disagiato, per ascoltare, per offrire una possibilità. E chiedetevi: le armi che vogliamo produrre elimineranno i loro problemi, dimostreranno quale tipo di forza? 

Si sente spesso parlare di amore. Sì, è vero, ci sono tanti tipi, tanti modi dell’amore. Il più sciocco, forse, ma indispensabile è quello di non voler avere ragione a tutti i costi. Così l’altro, gli altri forse potranno capirci. Ma a chi governa interessa davvero essere capito? Forse non ha nemmeno l’ambizione di convincere ma quella di imporsi.

«Il cibo non arriva più. Di tanto in tanto una zuppa inacidita. Cogliamo a volte un po’ d’erba, e la facciamo bollire. Raccattiamo bucce di patate nei secchi della spazzatura… E questa semi-esistenza che mi resta, la passo in compagnia di fantasmi, vivi o morti…Guardo questa cupa baracca di fantasmi, di umiliazione, di odio, questi malati immobili ridotti alla totale impotenza…un baratro nero, in cui sprofonda un’intera umanità…» (Hanna Lévy-Haas, Diario di Bergen-Belsen 1944-45, Fusi orari 2005, pp.66-67).

Quella dei campi di sterminio nazisti non è soltanto storia con i suoi dati oggettivi ma è metafora universale che deve valere ogni volta,  tutte le volte che si programma e si persegue l’estinzione del nemico invece di una semplice vittoria. Tutte le volte che viene riconosciuto come nemico anche un bimbo, una bimba che non possono difendersi.

E allora sì. L’unica guerra sia allora una guerra santa, minuziosa, intollerante, caparbia: la guerra all’odio. Capace allora di valutare la pace, quando è il caso, come l’accettazione di un perdono. Governanti, però, siatene capaci.

Gaza, i raid israeliani causano almeno 72 morti in 24 ore

0

Almeno 72 morti e 278 feriti sono stati segnalati negli ospedali di Gaza nelle ultime 24 ore, afferma il Ministero della Salute, mentre Israele continua a colpire la Striscia e a mietere vittime in vari centri dell’enclave. Le forze israeliane hanno inoltre aperto il fuoco contro i palestinesi che cercavano cibo in un punto di distribuzione sostenuto dagli Stati Uniti a Gaza, ferendo almeno 20 persone. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari ha affermato che Gaza è il «luogo più affamato della Terra» e che tutti i 2,3 milioni di abitanti della Striscia soffrono di una «fame catastrofica».

«L’attivismo è l’arma per fermare Israele»: intervista alla relatrice ONU Francesca Albanese

2

Lo scorso aprile, nonostante vera e propria campagna diffamatoria mossa da Israele e Stati Uniti, è stato rinnovato il mandato come relatrice speciale ONU per la Palestina a Francesca Albanese. Nei suoi confronti sono state lanciate le solite accuse di antisemitismo, usate strumentalmente contro chiunque cerchi di inchiodare Israele alle proprie responsabilità di fronte alla legge internazionale. Albanese ha davanti ancora tre anni per continuare il lavoro iniziato nel 2022 e portare nelle sedi istituzionali una voce a favore del popolo palestinese. Gli impegni che si è assunta sono diversi e complicati, e si muovono sullo sfondo di un genocidio ancora in corso: noi de L’Indipendente l’abbiamo sentita telefonicamente, per farci raccontar6ìèe cosa le si prospetta davanti con questo nuovo mandato.

Con la riconferma come relatrice speciale ha davanti altri tre anni. Cosa vuole fare in questo periodo? 

Quello che ho fatto finora: esporre la strutturalità e la sistematicità delle violazioni israeliane. In questi anni ho centrato la questione attorno a temi come quelli dell’autodeterminazione, del diritto a esistere, dell’occupazione, perché aiutano la Corte Internazionale di Giustizia ad affrontare il dibattito dal punto di vista giuridico. Israele vìola completamente e incondizionatamente questi diritti. Il mio lavoro vuole esporre la sistematicità di queste violazioni: degli arresti, della segregazione, della privazione della libertà attraverso le carceri e fuori dalle carceri, dell’oppressione burocratica, della sorveglianza. Tutto questo contribuisce a spiegare la natura vessatoria delle leggi e delle pratiche che Israele mette in campo nei c o n f r o n t i dei palestinesi – oltre a esporre il genocidio, naturalmente. 

Su cosa sta lavorando questo momento? 

La mia analisi corrente si sofferma sugli enti privati, sulle compagnie militari e di sorveglianza tecnologica, sulle banche, sui fondi pensione, sulle organizzazioni a scopo caritatevole e sulle università che contribuiscono al genocidio palestinese. Come dico sempre: se la Palestina fosse la scena di un crimine, ci sarebbero centinaia di impronte digitali di complici insospettabili. Intendo poi condurre un’indagine su quello che gli Stati hanno fatto per conformarsi alla richiesta di fine dell’occupazione della Corte Internazionale di Giustizia, perché credo che questo sia il tema cruciale di cui si deve parlare. Nel 2024 la Corte si è pronunciata sull’illegalità dell’occupazione israeliana, affermando che questa viola articoli di carte internazionali sulla discriminazione razziale e l’apartheid. Voglio anche investigare il fenomeno del razzismo anti-palestinese, che è trasversale e transnazionale. Lo abbiamo visto dopo il 7 ottobre: i palestinesi non sono solo stati massacrati, ma anche incolpati e vilipesi a tutte le latitudini.

Crede che sia cambiato qualcosa in questi mesi? L’elezione di Trump ha regalato a Israele un’impunità ancora maggiore di quella di cui già godeva? 

Credo che l’arrivo di Trump alla presidenza americana abbia avuto due effetti sulla questione palestinese: da una parte, ha amplificato il supporto all’impunità israeliana, arrivando a un’esplicita complicità nei crimini che Israele sta commettendo. Nel momento in cui Trump sostiene che ricostruirà Gaza come se fosse una riviera, al di là della assurdità dell’affermazione, c’è dell’immoralità, della mancanza di etica politica. Tutto questo giunge fino all’illegalità, perché Trump fa rientrare lo sfollamento forzato dei palestinesi all’interno delle sue stesse politiche. Se prima si supportava Israele, adesso viene di fatto posto un obiettivo dichiarato. Il secondo effetto che ha avuto l’elezione di Trump è il taglio alla radice di una serie di diritti costituzionali che costituirebbero le fondamenta stesse della cosiddetta democrazia americana, come la libertà d’espressione la libertà di manifestare. Con l’aumento della repressione che è in corso diventa più difficile contestare il potere dall’interno. 

Nelle dichiarazioni di Trump che ha citato non si profila una violazione del diritto internazionale? Trump potrebbe essere perseguito per le sue dichiarazioni? 

Riguardo alla perseguibilità, credo sia più una questione relativa a quali siano i limiti della legge, e in questo caso della legge sulla prevenzione e l’obbligo di porre fine e punire il genocidio. Questi limiti sono chiarissimi: non si deve aiutare uno Stato che sta commettendo o potrebbe stare commettendo un genocidio. Il procedimento avviato dalla Corte Internazionale di Giustizia il 24 gennaio 2024, quando si è pronunciata sulle misure cautelari, ha messo in mora tutti gli Stati. Quella pronuncia indica una segnalazione ufficiale: bisogna smettere di trasferire armi a Israele. E gli Stati Uniti hanno continuato a farlo. In un mondo ideale sì, Trump dovrebbe essere inquisito, ma non solo lui. Anche Biden, per il supporto materiale che ha dato durante la commissione di crimini di guerra. Perché ricordo che ci sono due persone, ai vertici del governo israeliano – il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant – su cui pende un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. 

Parallelamente alle politiche di Trump, assistiamo anche da parte di altri Stati – tra cui la stessa Italia, col caso Almasri – a un disinteresse nei confronti di organi internazionali che dovrebbero essere rispettati. Spesso davanti a queste violazioni ci si chiede, con un certo pessimismo, a che cosa serva il diritto internazionale. 

Capisco il pessimismo della ragione, ma dobbiamo capire che il problema non è con la norma scritta, bensì con l’applicazione e l’adempimento degli obblighi derivanti dalle norme. Sbagliano quelli che vedono che non ci sono progressi perché i progressi ci sono. Le compagnie disinvestono, c’è consapevolezza sulla necessità di fermare i coloni e la loro violenza, c’è cognizione di quanto queste violazioni siano legate anche alla complicità dei governi occidentali. Se non ci fosse stata tutta questa attenzione internazionale la popolazione di Gaza sarebbe stata già cacciata dalla Striscia. Tre anni fa, quando sono diventata relatrice speciale, Israele era ancora percepito come una democrazia: oggi non è più così, è cambiata la percezione. E se vediamo i gangli del sistema, riusciamo anche ad affrontarlo. 

Che ruolo ricopre la mobilitazione in questa presa di coscienza? 

Se uno Stato non rispetta le sue leggi, sacrificando così i diritti delle cittadine e dei cittadini, questi reagirebbero: farebbero scioperi, darebbero fastidio al sistema, creerebbero una massa critica che vuole il rispetto dello Stato di diritto, perché nello Stato di diritto c’è la protezione di noi tutte e tutti. Non puoi aspettarti che le cose cambino con la tastiera. Le lotte si fanno col corpo, con la presenza fisica, manifestandosi attraverso l’azione. Io dico: perché protestare? Perché innanzitutto è un atto di cura nei confronti di sé stessi, perché ritrovarsi tra i propri simili fa bene allo spirito, perché ti fa sentire meno solo, ti fa sentire meno folle. Come è stato durante il periodo della lotta contro la mafia: il colpo più grosso che sia stato inflitto alla criminalità organizzata è arrivato quando la società ha alzato la testa e ha spaccato il muro dell’omertà.

Trump raddoppia dazi su acciaio e alluminio: al 50% dal 4 giugno

0

Il presidente americano Donald Trump ha annunciato che, dal prossimo 4 giugno, i dazi imposti dagli USA sull’acciaio e sull’alluminio importato aumenteranno del 50%, raddoppiando l’aliquota attuale. «È per me un grande onore aumentare i dazi su acciaio e alluminio dal 25% al 50%, a partire da mercoledì 4 giugno. Le nostre industrie siderurgiche e dell’alluminio stanno tornando alla normalità come mai prima d’ora», ha scritto Trump sul suo social Truth. L’aumento dei dazi era stato preannunciato dal presidente USA in occasione di un discorso pronunciato in uno stabilimento della U.S. Steel nell’area di Pittsburgh, in Pennsylvania.

 

 

Il Pakistan nominerà il primo ambasciatore in Afghanistan in quattro anni

0

Il ministro degli Esteri del Pakistan, Ishaq Dar, ha annunciato che il Paese designerà un nuovo ambasciatore di Islamabad in Afghanistan, il primo da quando Kabul è andata sotto il controllo dei talebani nel 2021. In questo momento, infatti, le massime figure diplomatiche che legano i due Paesi sono i rispettivi incaricati d’affari. Il Pakistan non ha ancora reso noto chi nominerà ambasciatore. Dar ha affermato che le relazioni bilaterali tra i due Paesi sono migliorate a partire dalla sua visita in Afghanistan, risalente al mese scorso. Con tale annuncio, il Pakistan diventa il quarto Paese ha designare un ambasciatore in Afghanistan dopo Cina, Emirati Arabi Uniti e Uzbekistan.

Le banane biologiche contengono pesticidi? Facciamo chiarezza

1

Le banane sono un frutto gradito a moltissime persone, ma negli ultimi tempi la credibilità di questo alimento viene messa in discussione su vari fronti, dal punto di vista nutrizionale e ambientale. C’è chi sostiene sia un frutto da eliminare a causa del suo elevato contenuto zuccherino (in realtà contiene né più né meno gli zuccheri di una mela gialla Golden, niente di esorbitante), altri ritengono che le coltivazioni di banane, anche quelle BIO, siano inondate di pesticidi e dunque l’alimento sia nocivo o comunque da limitare fortemente, e infine ci sono i detrattori per motivi di tipo ambientale: sostengono che le banane arrivano da molto lontano e quindi inquinano il pianeta. 

Quest’ultima motivazione è sicuramente vera e non contestabile, a patto però che chi la formula sia coerentemente una persona che si limiti a mangiare soltanto la frutta e verdura locale e di stagione. Perché in caso contrario, se acquista l’uva nel mese di Marzo, oppure fragole e zucchine in inverno, allora il ragionamento sulla sostenibilità e impatto ambientale decade completamente, dal momento che il cibo fuori stagione arriva anch’esso dall’altra parte del mondo e richiede coltivazioni in serre riscaldate a gasolio, niente di più ecologico rispetto alle banane che giungono dall’Ecuador insomma. 

Da un punto di vista strettamente salutistico quindi molte persone sono oggi interessate a consumare frutti e verdure che non vengano trattati coi pesticidi e fertilizzanti chimici, dal momento che la scienza ci avverte da tempo che i residui di queste sostanze, presenti nei cibi, possono contribuire allo sviluppo di patologie di vario tipo e all’infiammazione dell’organismo. Ecco perché i consumatori più attenti vorrebbero avere dati rassicuranti sulla produzione della frutta biologica e l’assenza di residui di pesticidi chimici. Da sempre purtroppo si diffondono in rete sospetti e notizie infamanti sul BIO, e i consumatori finiscono per essere preda di affermazioni e notizie confuse e discordanti. Tutto ciò non può fare altro che generare sconforto e perdita di fiducia nelle coltivazioni biologiche, e si finisce per pensare che il cibo BIO è solo un’illusione o una truffa, e in realtà sia trattato con pesticidi e altre sostanze tossiche al pari di quello convenzionale. Con questo articolo mi accingo a dare delle informazioni che smentiscono quest’idea errata sul BIO, e vedremo come vi sia una reale differenza qualitativa delle banane biologiche rispetto a quelle che provengono da coltivazione convenzionale. 

I test di laboratorio sui pesticidi

Abbiamo sempre bisogno di dati certi e numeri per poter dimostrare ciò che ha una valenza oggettiva in fatto di qualità degli alimenti, al di là delle affermazioni della teoria e delle normative di legge previste sulla carta per le produzioni biologiche. Ciò che conta alla fine sono sempre i dati riscontrati sull’alimento. Ecco perché mi avvalgo dei test effettuati sulla banane – sia quelle biologiche che quelle convenzionali – dal mensile Il Salvagente, rivista leader nei test di laboratorio contro le truffe ai consumatori, pubblicati sul numero di febbraio 2022. Questo test sulle banane aveva come titolo Cosa resta sotto la buccia e vorrei partire proprio dal titolo facendo notare ai nostri lettori come i residui di sostanze pesticida siano stati misurati nel frutto e non nella buccia. Questi test sono molto accurati perché ci dicono se ci sono sostanze tossiche nella parte edibile del frutto, quella che poi noi tutti mangiamo e alla quale siamo interessati, dal momento che la buccia è spesso la parte che non viene consumata in alcun modo. 

Il primo appunto importante da farci dunque è il seguente: i pesticidi sono stati ritrovati nella polpa della banana di quasi tutti i campioni testati. Quasi tutte le banane hanno evidenziato la presenza di residui di uno o più pesticidi (anche fino a 6 pesticidi diversi in alcuni casi). Quasi tutti dicevo, perché guarda caso alcuni campioni di banane biologiche non avevano alcun residuo di pesticidi, mentre tutte la banane da agricoltura convenzionale portate in laboratorio avevano i pesticidi. In pratica le banane testate sono state quelle di marchi diversi, vendute in supermercati e discount italiani, 20 campioni in tutto. Il secondo appunto da farci è questo: purtroppo le banane sono un frutto che non fa eccezione e hanno residui di pesticidi, specialmente se acquistiamo quelle non biologiche, dove il 100% dei prodotti in commercio è contaminato da pesticidi tossici come Tiabendazolo, Imidacloprid o l’acido gibberellico (quest’ultimo è un ormone per la crescita e la maturazione del frutto), sebbene i valori riscontrati dai test siano stati in tutti i casi sotto ai limiti di legge consentiti.  

Le banane biologiche e i pesticidi naturali

Veniamo al nocciolo dei test effettuati in laboratorio e in particolare concentriamoci sulle banane BIO, assodato che il 100% delle banane da agricoltura convenzionale contiene residuo di pesticidi e ormoni per la maturazione del frutto, come emerso anche da altri test precedenti effettuati ad esempio in Svizzera da un’altra rivista dei consumatori chiamata K-tipp. In questo test svizzero notiamo fra l’altro come nessuna banana BIO avesse residuo di pesticidi nella polpa del frutto. 

Tornando al test italiano de Il Salvagente, va detto subito che in due prodotti BIO sono state trovate tracce di pesticidi proibiti e non ammessi per il BIO: si tratta di 2 banane biologiche di due importanti catene della Grande Distribuzione: la francese Carrefour e l’italiana Esselunga. Due casi che non trovano scusanti, in questi prodotti i pesticidi chimici non devono essere presenti in alcun modo. Le due aziende hanno preso impegni per rimuovere completamente i pesticidi dalle filiere del loro prodotto biologico. Staremo a vedere. 

Poi ci sono stati 2 marchi BIO che hanno mostrato la presenza di un pesticida naturale, lo Spinosad, ovvero di una sostanza consentita nella normativa del biologico per allontanare gli insetti che attaccano le piante di banane. Parliamo però di pesticidi naturali, ben diversi da quelli chimici (mai ammessi nel BIO), che possono essere utilizzati e che hanno caratteristiche di tossicità differenti dai pesticidi chimici di sintesi. Lo Spinosad è una sostanza di origine naturale ad azione insetticida derivata dalla fermentazione provocata dal batterio Saccharopolyspora spinosa, appartenente all’ordine degli Actinomiceti, batteri con caratteristiche simili ai funghi. Questo prodotto è una neurotossina e quando gli insetti entrano in contatto con la sostanza o la ingeriscono, i loro muscoli iniziano a flettersi involontariamente, poiché interferisce sulla trasmissione degli impulsi nervosi. Ciò provoca paralisi in tempo breve e morte nel giro di alcuni giorni. Gli agricoltori biologici utilizzano a volte questo pesticida naturale, diffondendo sui terreni il batterio responsabile della fermentazione. Il limite massimo previsto dal disciplinare di produzione BIO per questa sostanze è di 2 mg/kg e nelle banane BIO in cui è stato ritrovato il valore era di 0,005 mg/Kg, ovvero 400 volte inferiore al limite di legge. 

Possiamo dire tranquillamente in questo caso che il pesticida naturale è del tutto legittimo e non comporta alcun rischio per la salute del consumatore. Infine, altri 3 marchi BIO di banane non avevano assolutamente nessun residuo di alcuna sostanza pesticida, né chimico né naturale. Ribadisco invece che tutti i campioni di banane non biologiche avevano residui di più sostanze pesticida. 

Da qui la conclusione che possiamo trarre, come messaggio finale, è che le coltivazioni biologiche sono ancora una buona garanzia di prodotto privo di pesticidi, e che chi getta fango nel cibo BIO potrebbe avere interessi legati alla grande industria delle produzioni intensive, che non può certo fare a meno di usare sostanze tossiche e ormoni nelle coltivazioni. La credibilità del BIO, inevitabilmente, è legata ai dati oggettivi e alle percentuali di confronto con le produzioni convenzionali: in media il 96% delle produzioni convenzionali di frutta e verdura presenta i residui di pesticidi (anche fino a 10-12 molecole diverse in uno stesso frutto, nel caso di mele o di alcuni ortaggi), mentre il 98,17% delle produzioni BIO non presenta nessun residuo, e spesso quando lo si ritrova è dovuto a contaminazioni accidentali, tipicamente da trasporto di sostanze per via del vento, provenienti dai trattamenti di produttori vicini che spruzzano i pesticidi nei loro campi e coltivano col metodo convenzionale. Questi sono i dati con cui ad oggi, da consumatori, dobbiamo fare i conti e trarre le nostre conclusioni sulle scelte di acquisto.

Nigeria, inondazione sommerge una città: 117 morti

0

Almeno 117 persone sono morte nello Stato centro-settentrionale del Niger, in Nigeria, a causa di una grave inondazione. L’inondazione si è verificata ieri, giovedì 29 maggio, nella città di Mokwa e il primo dato sui danni è stato fornito oggi dalle Ibrahim Hussaini, capo dell’Agenzia per la Gestione delle Emergenze dello Stato nigeriano del Niger. Da quanto comunica Hussaini, ci sarebbero diversi dispersi, e diverse case sarebbero state sommerse. I primi rapporti non fornivano il numero di dispersi, ma parlavano di almeno 50 case distrutte. Secondo delle ricostruzioni apparse sui media, l’inondazione sarebbe stata causata dal crollo di una diga di una città vicina.