sabato 22 Novembre 2025
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Irlanda, alle presidenziali vince la candidata pro-Palestina e contro la NATO

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Ha criticato duramente la NATO, ha votato contro i trattati dell’UE, ha condannato Israele per la guerra a Gaza parlando apertamente di genocidio, ha promesso di difendere la neutralità militare del suo Paese. Con questi punti del suo programma, Catherine Connolly, 68 anni, ex sindaco della città occidentale di Galway, è stata eletta presidente dell’Irlanda. Nel silenzio pesante della bassa affluenza elettorale, Connolly, ha conseguito una vittoria netta nelle presidenziali irlandesi, imponendosi con circa il 63% dei voti, contro il 29,5% della sfidante Heather Humphreys. La candidata indipendente di sinistra, che negli ultimi nove anni ha ricoperto il ruolo di deputata socialista dell’opposizione nel parlamento irlandese, ha raccolto il sostegno compatto delle forze progressiste e dei partiti a sinistra del Labour, grazie a una campagna che ha avuto come temi centrali la denuncia delle politiche militari occidentali e un forte impegno a sostegno del popolo palestinese. Il risultato segna una rottura rispetto alle precedenti candidature dell’establishment e invia un segnale nitido al governo di Dublino: l’elettorato guarda altrove, premia il coraggio e la divergenza su tematiche calde e chiede una voce che non si limiti all’ordinaria rappresentanza.

Proveniente da un quartiere popolare di Galway e con un passato da avvocata e psicologa clinica, Connolly ha costruito la sua carriera prima nel partito laburista, poi come indipendente, fino a diventare deputata dal 2016 e nel 2020 è stata eletta vicepresidente della Dáil Éireann, la camera bassa dell’Oireachtas (Parlamento) della Repubblica d’Irlanda. Il suo successo elettorale è stato favorito da un’inedita alleanza trasversale delle forze di sinistra, tra cui Sinn Féin, che hanno deciso di concentrare il sostegno su di lei. Contestualmente, la campagna della candidata ha puntato con forza sui temi critici della crisi abitativa, del costo della vita e della disillusione verso i grandi partiti governativi. Sul piano delle idee, Connolly ha fatto della difesa della neutralità nazionale e della critica delle politiche militari occidentali il cuore della sua proposta. Ha ripetutamente denunciato l’espansione della NATO a est e la militarizzazione europea in seguito dell’Operazione Speciale, sostenendo che l’Irlanda non debba allinearsi automaticamente alle logiche dei blocchi. Le sue posizioni hanno sollevato polemiche per il rischio di alienarsi gli alleati dell’Irlanda e, in particolare, ha dovuto affrontare le domande dei suoi sostenitori durante un evento elettorale in un pub di Dublino, dopo aver paragonato gli attuali piani della Germania per aumentare la spesa per la difesa alla militarizzazione nazista degli anni Trenta. Nonostante le critiche, è rimasta ferma nella sua opposizione ai piani dell’UE per il programma ReArm Europe, che prevede un aumento della spesa per il riarmo di 800 miliardi di euro e ha precisato di voler tutelare la tradizione irlandese di neutralità militare, di fronte alle richieste di un maggiore contributo del Paese alla difesa europea. Durante la sua campagna elettorale, ha affermato che dovrebbe essere indetto un referendum sul piano governativo per rimuovere il “triple lock“, un sistema a tre componenti che regola le condizioni per l’impiego di soldati irlandesi in missioni internazionali. La procedura richiede l’approvazione delle Nazioni Unite, la decisione del governo e un voto del Dáil.

Sul fronte geopolitico, Connolly ha assunto una posizione decisa sulla questione palestinese, condannando le operazioni israeliane nella Striscia di Gaza e parlando apertamente di «genocidio». A settembre è stata criticata per aver definito Hamas «parte integrante del tessuto del popolo palestinese» e per aver difeso il diritto dell’organizzazione politica e militare a svolgere un ruolo futuro in uno Stato palestinese. Questa posizione ha suscitato la disapprovazione del Primo Ministro Micheál Martin, leader del Fianna Fáil, e del Ministro degli Esteri Simon Harris, leader del Fine Gael, l’altro partito del governo di centro-destra irlandese. Martin l’ha criticata per essere apparsa riluttante a condannare le azioni del gruppo militante nell’attacco del 7 ottobre 2023 contro Israele. In seguito, Connolly ha aggiustato il tiro, dichiarando di aver «condannato totalmente» le azioni di Hamas, ma non si è tirata indietro nel continuare a criticare i crimini di Israele nella Striscia di Gaza. Nel dibattito presidenziale finale trasmesso in televisione martedì scorso, è stato chiesto a Connolly come avrebbe trattato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump – che possiede un resort di golf in Irlanda e ha intenzione di visitarlo quando ospiterà l’Irish Open l’anno prossimo – in una eventuale visita del tycoon nel Paese e se fosse pronta a sfidarlo in prima persona in merito al sostegno degli Stati Uniti a Israele nella guerra a Gaza. «Il genocidio è stato reso possibile e finanziato dal denaro americano», ha esordito Connolly, che si è detta disponibile a incontrare il presidente USA e a confrontarsi con lui su questi temi.

Lo stile schietto di Connolly e il suo messaggio di uguaglianza sociale e inclusività hanno conquistato molti, soprattutto i giovani elettori. Nei dibattiti presidenziali trasmessi in televisione, ha affermato che rispetterà i limiti del suo incarico, sebbene nel suo discorso di accettazione abbia anche affermato che avrebbe parlato “quando necessario” come presidente. La carica presidenziale in Irlanda, sebbene prevalentemente simbolica, ricopre un ruolo di rappresentanza nazionale e internazionale e può incidere nei contenuti del dibattito pubblico. In questo caso, la scelta popolare rivela una Repubblica che vuole affermare un’identità autonoma, che valorizzi pluralismo, diversità e impegno di pace, in direzione opposta a una Europa che sembra aver intrapreso la strada della guerra permanente. Le sfide immediate per la nuova presidente comprendono la gestione della coesione sociale in un Paese attraversato da tensioni su immigrazione, casa e riconciliazione nord-sud, oltre all’ipotesi di tenere un referendum sul sistema del triple lock. Con la vittoria di Connolly, l’Irlanda recupera la propria vocazione storica alla neutralità, proiettandosi sulla scena internazionale come voce autonoma e critica nei confronti dell’ordine globale, decisa a rivendicare un modello politico fondato sulla sovranità, la pace e la solidarietà tra i popoli.

Attacco di droni ucraini su Mosca, sospesi i voli negli aeroporti

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Nella notte, decine di droni ucraini hanno colpito la regione di Mosca, secondo quanto riferito dal sindaco Sergey Sobyanin. Le difese aeree russe avrebbero abbattuto circa 30 velivoli, mentre gli aeroporti di Domodedovo e Zhukovsky hanno sospeso temporaneamente le operazioni per motivi di sicurezza. Esplosioni sono state segnalate in diverse zone della capitale e nei sobborghi, e un incendio sarebbe divampato in un deposito di petrolio a Serpukhov. Non si registrano vittime.

In Italia i nidi di tartarughe marine registrano un nuovo record

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Nel 2025 l’Italia ha registrato oltre 700 nidi di tartarughe marine Caretta caretta, il massimo storico secondo il progetto europeo LIFE Turtlenest coordinato da Legambiente. In due anni la nidificazione è cresciuta del 60%, con Sicilia (oltre 220 nidi), Calabria (180) e Campania (114) in testa. Il progetto, che coinvolge partner in Italia, Spagna e Francia, punta alla conservazione e al monitoraggio della specie. Si segnala inoltre l’arrivo di nuove femmine nidificanti. Legambiente chiede ora una tutela legale stabile per le spiagge di riproduzione.
Il numero di nuovi nidi è in crescita costa...

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Raid israeliani in Libano: due persone uccise

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Una persona sarebbe rimasta uccisa nel raid aereo condotto da Israele in Libano, riporta il ministero della Salute di Beirut. L’attacco costituisce l’ultima delle violazioni del cessate il fuoco tra i due Paesi da parte di Israele. Il raid è stato condotto contro un veicolo nei pressi della città di Nabi Sheet, regione di Baalbek, nel Libano orientale, e arriva a poche ore di distanza da un’altra operazione simile, portata a termine dall’esercito israeliano nella città di Tiro, nel Libano meridionale, nel corso del quale è stata uccisa una persona.

Tra le comunità berbere del Marocco che lottano contro la siccità e le alluvioni

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Zagora – Alle porte del deserto l’aria impregna il volto di terra e sabbia e le folate di vento rendono impossibile tenere gli occhi aperti. Durante il giorno la temperatura non si schioda dai quarantacinque gradi, per poi calare, di notte, senza mai scendere sotto i trenta. Ogni attività, in quel lasso di tempo che in alcune aree d’Italia viene definito come “controra”, è rigorosamente ferma, per poi ricominciare intorno alle 17.00 e attendere il fresco della sera. 

Il Sud-est marocchino da più di un lustro soffre una grave siccità. Negli ultimi dieci anni, quelle coltivazioni che hanno caratterizzato il lavoro nelle aree rurali del Paese, focalizzate in special modo sulla produzione di cereali, sono state spazzate via dalla penuria d’acqua. Sono quindi numerose le persone che si sono viste obbligate a lasciare la propria terra e così sommarsi al fenomeno della diaspora marocchina. Dalle latitudini estreme del Marocco, sempre più persone si sono messe in viaggio per trasferirsi nelle principali metropoli del Paese e provare a cambiare il destino della propria vita. A questa situazione già drammatica, per la quale il governo di Rabat cerca di attuare programmi di salvaguardia delle poche coltivazioni rimaste, si è aggiunta l’alluvione che nel settembre del 2024 si è abbattuta sull’area e ha portato via con sé i pochi campi, molte case e, secondo le stime del governo, più di venticinque vite.

Immaginari cinematografici 

L’ingresso della Kasbah, Ouarzazate

La regione del Draa-Tafilalet è una tra le più estese del Paese e ospita uno dei tratti di frontiera più delicati tra il Marocco e l’Algeria. Il confine che attraversa il deserto è presidiato dalle forze militari marocchine e il suo accesso è praticamente invalicabile a causa del pattugliamento militare e delle migliaia di mine antiuomo disseminate lungo tutto il perimetro della frontiera. La stessa regione è a sua volta divisa in due parti: l’area a sud confinante con l’Algeria è prettamente desertica, mentre la parte nord è attraversata dalla catena montuosa dell’Alto Atlante con cime che superano i tremila metri. Qui sono evidenti i tratti emblematici della cultura berbera, fortemente radicata nella regione. 

Raggiungere da Marrakech la città di Zagora, capoluogo dell’omonima provincia e ultimo grande centro urbano prima della frontiera, può essere faticoso: due autobus partono ogni giorno dalla stazione della Città Rossa e tagliano la catena montuosa dell’Atlante attraverso il passo del Tizi n’Tichka. I tornanti che si susseguono per ore mettono a dura prova i passeggeri, mentre dal finestrino scorrono le immagini delle vallate, delle distese rocciose che si fanno spazio tra i picchi e, in alcuni punti, compaiono dei piccoli negozi di artigianato o delle tende gestite dagli apicoltori della zona.

Non appena si raggiunge Zagora, sul calar della sera, ci si accorge rapidamente che i pochi turisti che fanno capolino nei riad (le abitazioni tradizionali marocchine con giardino interno spesso adibite ad alberghi) e nei ristoranti adiacenti, raggiungono l’area per usufruire dei tour organizzati tra le dune del Sahara dalle agenzie turistiche. Per i turisti la città sembra essere una semplice tappa di passaggio: dopo l’arrivo e il pernottamento, si raggiunge il deserto, si trascorre una notte in tenda e si ritorna nelle città principali. 

Il senso di abbandono è palpabile. Nonostante l’afflusso dei visitatori sia basso, come dimostra la presenza di poche strutture destinate all’accoglienza turistica, il costo della vita sembra essere più alto rispetto ad altre aree del Paese più popolate e maggiormente interessate dal turismo. A questo modello, che tenta di inseguire un mercato ancora troppo sfuggente, si aggiunge il business delle produzioni cinematografiche. A centocinquanta chilometri di distanza da Zagora sorge la città di Ouarzazate, luogo in cui sono stati girati alcuni tra i più noti colossal di Hollywood e che ospita numerose produzioni audiovisive. «Ho collaborato con Bernardo Bertolucci» ci spiega Alì, artista dell’area, che, tra un racconto e l’altro, prova a fare pubblicità alla sua galleria d’arte. «Accompagnavo la produzione nella ricerca dei luoghi migliori per il film Il tè nel deserto» racconta all’interno del Cafè Littéraire Zagora. Fondato dieci anni fa, questo spazio accoglie varie opere artistiche e una piccola biblioteca con tomi in arabo e in francese. Anche in questo caso, il locale sembra essere spesso deserto. 

Percorrendo la route 9 che porta fino all’ultimo paese prima della frontiera, si raggiunge Tagounit. Il centro urbano è un agglomerato di abitazioni ed esercizi commerciali a ridosso della stessa via principale. Il paese, secondo l’ultimo censimento del 2024, conta più di 15.000 abitanti, solo dieci anni fa, all’inizio della crisi idrica, la popolazione superava i 17.500 individui. 

Palmeria a Zagora

«Provengo da una famiglia berbera nomade» mi spiega Karim, un uomo di quarant’anni nato a Tagounit. Karim rappresenta perfettamente il fenomeno che anno dopo anno sta spingendo un numero sempre maggiore di persone a lasciare le aree periferiche del Sud-est marocchino, per spostarsi verso le grandi città a nord e sulle coste del Paese. «Per sette anni ho vissuto a Casablanca, ho lavorato in un supermercato» ci spiega, mentre mostra alcune foto dell’epoca. Dopo l’esperienza che lo ha tenuto lontano dalla sua terra d’origine, Karim ha scelto di tornare a casa. «Odiavo quella città. È pericolosa, troppo frenetica; qui si sta bene, è tranquillo e ci conosciamo tutti». Nel paese Karim ha la sua famiglia: oltre ai genitori, una sorella è rimasta qui con il marito e i figli, l’altra, invece, si è stabilita definitivamente a Casablanca. 

A Tagounit la carenza d’acqua è tangibile. Il sole del giorno rende ogni attività asfissiante e le stesse case, caratterizzate da poche finestre striminzite, lasciano intuire una vita che scorre tranquilla nella penombra. Le poche attività che animano il paese sono servizi di ristorazione e mercati; qui, tra i banchi, fanno capolino le angurie, specialità dell’area. «Bisogna assolutamente provare le angurie, vengono coltivate qui e sono deliziose» mi spiegano. Per quanto questi frutti rappresentino un vanto della zona, la loro coltivazione si somma ai problemi che stanno attanagliando il Sud-est del Paese. Il loro abbondare è infatti dovuto alla monocoltura intensiva, che ha sostituito la coltivazione dei cereali e che, per mantenere il ritmo delle esportazioni, necessita di una grande quantità d’acqua che, di conseguenza, viene levata alla popolazione locale.  

Villaggio nella catena montuosa dell’Alto Atlante

«Da un po’ di anni non abbiamo accesso costante all’acqua pubblica» mi spiega Karim mentre indica una cisterna in costruzione «è comune, infatti, che ogni casa abbia l’allaccio a un pozzo o un sistema indipendente di accumulo idrico. Ogni settimana viene quindi riattivato l’acquedotto pubblico e chi può fa la scorta».

Dalla siccità alle alluvioni 

Al problema della siccità si sono sommate le alluvioni dello scorso anno, che hanno colpito, oltre al Sud-est marocchino, l’area sudoccidentale dell’Algeria e le parti interne del Sahara Occidentale, compresi gli accampamenti algerini di Tindouf. Secondo gli esperti questi fenomeni, un tempo impensabili, con il tempo saranno sempre più frequenti e con maggiore intensità. Le piogge, che si sono riversate su tutto il Paese e che nella provincia di Zagora hanno raggiunto i 200 millimetri d’acqua in soli due giorni, fortunatamente non hanno portato alla fuoriuscita dagli argini del fiume Draa, che attraversa tutta la regione e segna il confine con l’Algeria. Anche Karim ha subìto i danni della devastazione dell’acqua. «Questa era la mia casa» mi dice, indicandomi una distesa di rocce poco lontana dal paese sulla quale adesso sorge una capanna. «Sono rimaste in piedi solo le colonne che affiancavano il cancello, se le osservi puoi intuire che altezza raggiungeva la casa».

Da quel momento Karim, insieme a un suo amico, ha dato vita a un progetto di volontariato che accoglie persone provenienti da ogni parte del mondo per dare una mano nella ricostruzione. In cambio dell’alloggio, le persone volontarie lavorano per tre ore al giorno, la mattina o il tardo pomeriggio, e apprendono la tecnica tradizionale della costruzione dei mattoni. L’obiettivo è indubbiamente ambizioso: prima di procedere con l’edificazione, è necessario rimuovere tutti i detriti della precedente casa e procedere con la fabbricazione dei mattoni. Questi vengono creati attraverso un impasto di fango e terra e vengono poi lasciati essiccare al sole e in seguito accumulati.  

Detriti e mattoni in costruzione, Tagounit

«Lavorare per questo progetto non è troppo pesante» spiegano Jaimie e Louis, due giovani di diciannove anni di Manchester. «Abbiamo finito le scuole superiori quest’estate e prima di iniziare l’università abbiamo deciso di trascorrere qui un mese». In alcune occasioni Karim accompagna le persone accorse per il progetto a visitare Tagounit e cerca di trasmettere alcuni tratti della cultura berbera dell’area. «È la quinta volta che vengo in Marocco» spiega Alba, una ragazza di vent’anni di Barcellona. «In Catalogna ho iniziato a studiare arabo da un anno, qui provo a metterlo in pratica. Mi piace stare qui, ho conosciuto la famiglia di Karim e amo stare in mezzo alla gente». Il progetto vede un flusso di persone quasi costante: la sera, vari volontari da ogni parte del mondo raggiungono Tagounit con l’unico autobus che, una volta al giorno, collega il paese a Marrakech.

Il richiamo del muezzin scandisce il ritmo della vita locale. La seconda preghiera del mattino dà il via al lavoro e, ancora una volta, è la quarta preghiera a sancire la fine della canicola pomeridiana. A quest’ora le persone volontarie raggiungono, a volte in moto, altre volte in autostop, il progetto. A sera, le volte in cui non si rimane a dormire nella capanna e si rientra a casa, si condivide un pasto cucinato insieme, mentre si chiacchiera con i nuovi arrivati. Quando si raggiunge la provincia di Zagora, ci si accorge che l’aridità avvolge ogni cosa. Il vento caldo leva il respiro e alza la terra a tal punto da non poter aprire più gli occhi. Un tempo, quest’area era puntellata da svariate oasi, le coltivazioni di cereali e datteri davano lavoro e nutrimento. Ci si chiede cosa il futuro potrà destinare a questa terra affacciata sul deserto del Sahara e se la sua popolazione avrà ancora la forza di restare e ricostruire.

Thailandia e Cambogia firmano il cessate il fuoco 

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Dopo gli scontri armati avvenuti in estate e una prima bozza di tregua, Thailandia e Cambogia hanno firmato oggi l’accordo di cessate il fuoco. L’intesa è stata sottoscritta dal premier thailandese Anutin Charnvirakul e da quello cambogiano Hun Manet, accompagnati dal primo ministro malese Anwar Ibrahim e dal presidente USA Donald Trump. Quest’ultimo è volato in Asia per partecipare al vertice dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) e siglare una serie di intese commerciali, a partire proprio da Cambogia e Thailandia. 

Milano: foglio di via al presidente dei Palestinesi in Italia per “istigazione alla violenza”

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Il presidente dell’Associazione Palestinesi in Italia (API), Mohammad Hannoun, non potrà mettere piede a Milano per un anno a causa di un foglio di via notificatogli nelle ultime ore. Oltre all’allontanamento, Hannoun è stato anche denunciato per istigazione alla violenza. «Mi dispiace di questo atto di aggressione nei miei confronti — ha commentato il presidente dell’API — che arriva mentre il nostro governo è complice diretto del genocidio a Gaza, dove fornisce armi per sterminare i gazawi». A quanto pare, i provvedimenti sarebbero nati in risposta ad alcune frasi che Hannoun avrebbe pronunciato durante il corteo del 18 ottobre scorso, commentando le esecuzioni pubbliche di Hamas: «Tutte le rivoluzioni del mondo hanno le loro leggi. Chi uccide va ucciso, i collaborazionisti vanno uccisi. Oggi l’Occidente piange questi criminali, dicono che i palestinesi hanno ucciso poveri ragazzi. Ma chi lo dice che sono poveri ragazzi?».

Secondo il questore di Milano, Bruno Megale, che ha firmato il foglio di via per Mohammad Hannoun, quest’ultimo si sarebbe reso protagonista di una serie di comportamenti “ritenuti idonei a turbare l’ordine e la sicurezza pubblica”, manifestando “una pervicace inclinazione a commettere reati contro l’ordine pubblico”. Ancora, secondo questa ricostruzione, il presidente dell’API risulta “esprimere una pericolosità sociale concreta e attuale”. Dura la reazione dell’associazione palestinese, che ha bollato il provvedimento come «un chiaro tentativo di intimidire chi si espone con coraggio e coscienza, per difendere la verità e denunciare crimini contro il popolo palestinese». «Colpire Hannoun — continua l’API — significa colpire chi, da più di quarant’anni, vive in Italia come parte attiva della comunità, portando avanti la voce dei senza voce, degli oppressi, di chi non ha mai smesso di credere nella giustizia. La sua presenza, la sua parola e il suo impegno sono testimonianze viventi di una storia di resistenza che attraversa frontiere e generazioni».

Come ammesso dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, Mohammad Hannoun «è attentamente monitorato dalle autorità competenti». D’altronde, soltanto un anno fa il presidente dell’API è stato raggiunto dal medesimo schema repressivo: foglio di via (di 6 mesi) accompagnato da una denuncia per istigazione a delinquere. Quello di Mohammad Hannoun non è tuttavia un caso isolato. L’anno scorso Zulfiqar Khan, l’Imam di Bologna, è stato espulso dall’Italia per le sue posizioni a sostegno della resistenza palestinese. A inizio 2024, per via di alcuni post pubblicati sui suoi profili social, nei quali era evidente il supporto alla Palestina e la critica al sionismo, un ventottenne è stato denunciato ai sensi dell’art. 270 bis c.p. (associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico), antisemitismo e incitamento alla jihad (o guerra santa).

Avellino, la terra trema: 8 scosse in poco più di un giorno

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Da venerdì pomeriggio a ieri sera si sono registrate 8 scosse con epicentro nella provincia di Avellino e avvertite in tutta la Campania. Ieri alle 21.49 il terremoto più forte, di magnitudo 4.0, che ha portato gli abitanti a scendere in strada. «Siamo in una soglia di attenzione molto elevata perché è un’area molto sensibile, ad alta pericolosità sismica», ha dichiarato Maurizio Pignone, sismologo dell’Osservatorio nazionale terremoti dell’INGV, precisando che «quella di questi giorni non è la stessa area che ha generato i terremoti dell’Irpinia, ma a circa 30 km più a nord dell’epicentro del 1980».

L’Ex Ilva di Taranto minaccia la salute: 7 associazioni fanno ricorso al TAR

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Sette associazioni ambientaliste e civiche e un sindacato hanno depositato al TAR di Lecce un ricorso che contesta l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) rilasciata per la prosecuzione dell’attività siderurgica a combustione fossile nell’ex Ilva di Taranto. Il documento denuncia non solo vizi procedurali ma l’«inadeguatezza rispetto al contesto ambientale e sociale» della città, definita dall’Onu «zona di sacrificio» e «peso sulla coscienza collettiva dell’umanità». Le associazioni chiedono l’annullamento dell’AIA o, comunque, una pronuncia che apra la strada a un intervento di risanamento ambientale e sanitario definitivo.

A firmare il ricorso sono Medici per l’Ambiente ISDE Italia, Genitori Tarantini, Giustizia per Taranto, PeaceLink, Ambiente e Salute per Taranto, Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, Lavoratori Metalmeccanici Organizzati e il sindacato LMO. Le associazioni evidenziano come questa sia la prima AIA concessa in Italia a un impianto fossile dopo la dichiarazione ufficiale di emergenza climatica da parte dell’Unione Europea e della Regione Puglia, avvenuta nel 2019. Secondo i ricorrenti, l’autorizzazione «ignora volutamente il mutato quadro giuridico internazionale e le decisioni delle corti europee e nazionali», che negli ultimi anni hanno individuato parametri stringenti per la compatibilità tra attività industriale e tutela dei diritti umani e ambientali. In particolare, il provvedimento governativo non terrebbe conto delle sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) e della Corte di Giustizia dell’Ue, che impongono agli Stati membri di rispettare criteri specifici prima di autorizzare attività industriali inquinanti, alla luce degli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi del 2015.

Il ricorso, redatto dagli avvocati Ascanio Amenduni, Michele Macrì e Maurizio Rizzo Striano, con il supporto scientifico del professor Michele Carducci, docente di Diritto climatico comparato all’Università del Salento, elenca sei profili di illegittimità. Nello specifico, si parla infatti del «mancato rispetto dei requisiti stabiliti dalla Corte europea dei diritti umani per le decisioni sulla decarbonizzazione», della «errata rappresentazione dell’emergenza climatica e ambientale senza analisi preventiva dei rischi e benefici», della «violazione dei contenuti vincolanti indicati dalla Corte di giustizia Ue per l’impianto di Taranto», dell’«elusione delle Bat (Best available techniques) per la tutela ambientale e sanitaria» e «del pubblico tarantino dal processo decisionale, in violazione della Convenzione di Aarhus», nonché della «violazione del Codice dell’Ambiente che impone l’adeguamento alle nuove condizioni climatiche e normative».

Secondo i ricorrenti, inoltre, il documento autorizzativo non farebbe alcun riferimento alle emissioni di CO2, alle norme internazionali di riduzione degli inquinanti, né alla Valutazione di Impatto Sanitario e alla tutela della salute delle generazioni future, nonostante la riforma costituzionale del 2022 abbia introdotto l’obbligo di tutela ambientale in chiave intergenerazionale. L’AIA permette ad Acciaierie d’Italia di produrre fino a 6 milioni di tonnellate di acciaio l’anno fino al 2038, utilizzando gli altoforni a carbon coke. Una decisione che si scontra con i drammatici dati sanitari del territorio: stando all’ultima consulenza della Procura, le diagnosi di cancro a Taranto sono state 2.679 nel 2020, 2.101 nel 2021 e 2.345 nel 2022.

«Se il Tar dovesse accogliere questa eccezione, la vicenda potrebbe approdare alla Corte costituzionale», avvertono i firmatari; e, qualora la giustizia nazionale non dia risposta, «il ricorso è già strutturato per arrivare alla Corte europea dei diritti umani». Le associazioni chiedono una sentenza che imponga all’esecutivo «un intervento definitivo per il risanamento ambientale della città» e che riconosca che la tutela della salute non può essere sacrificata sull’altare dell’interesse economico.

Roma, CGIL in piazza per salari e pensioni

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La CGIL è scesa in pizza a Roma, insieme ad alcune sigle politiche tra le quali PD e AVS, per protestare a favore di aumenti di salari e pensioni, oltre che degli investimenti nella sanità e nella scuola e per dire no al riarmo. Dalla piazza, Landini lascia intendere che potrebbero essere convocate le piazze contro la Manovra di Bilancio del governo Meloni, ma che per oggi “ vogliamo dimostrare che c’è una parte molto importante di questo Paese che chiede dei cambiamenti”. In piazza anche il giornalista Sigfrido Ranucci, al quale è stata espressa solidarietà per l’attentato recentemente subito.