mercoledì 19 Novembre 2025
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Sei arresti a Dublino dopo protesta anti-immigrazione

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A Dublino, nei pressi dell’hotel Citywest Hotel, adibito all’accoglienza di richiedenti asilo, centinaia di manifestanti hanno dato vita a proteste violente innescate da un sospetto caso di abuso su minore: un richiedente asilo avrebbe aggredito sessualmente una bambina di 10 anni vicino all’hotel. Le forze dell’ordine sono state oggetto del lancio di bottiglie, petardi e pietre: è stata data alle fiamme un’auto della polizia, sono intervenuti reparti antisommossa con spray al peperoncino e cavalli e sono stati registrati almeno sei arresti nella prima serata. Il ministro della Giustizia ha denunciato il tentativo di «strumentalizzare un crimine per seminare dissenso», precisando che la protesta di massa è degenerata in assalto alle forze dell’ordine e che «la violenza non è tollerabile». Le violenze di martedì sono avvenute quasi due anni dopo la violenta sommossa nel centro di Dublino, seguita all’accoltellamento di tre bambini fuori da una scuola. Si era diffusa la voce che il presunto aggressore fosse un migrante.

L’Uruguay è il primo Paese dell’America Latina a legalizzare l’eutanasia

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Con l’approvazione definitiva del Senato, l’Uruguay diventa il primo Paese dell’America Latina ad autorizzare l’eutanasia attraverso una legge, e non per via giudiziaria. Una decisione storica, presa in un continente dove la religione cattolica continua ad avere un forte peso nel dibattito pubblico, e che conferma la vocazione progressista del piccolo stato sudamericano in materia di diritti civili.
La norma, approvata con 20 voti favorevoli su 31, arriva dopo anni di dibattiti parlamentari e confronti pubblici. Era stata proposta dalla coalizione di sinistra Frente Amplio e aveva già ottenuto...

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Migranti, affonda una imbarcazione: 40 morti

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Nel pomeriggio di oggi, mercoledì 22 ottobre, al largo delle coste tunisine, è affondata una imbarcazione piena di persone migranti, causando almeno 40 morti. La barca trasportava circa 70 migranti, ed è affondata vicino alla città costiera di Mahdia. Le altre 30 persone a bordo sono state soccorse dalla guardia costiera. L’imbarcazione si è capovolta, ma sono ancora ignote le dinamiche dell’incidente. La procura tunisina sta indagando sull’accaduto.

Piani per Gaza e politica dell’algoritmo: come Tony Blair è tornato al centro del potere globale

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Negli ultimi mesi, Tony Blair è tornato, quasi in sordina, al centro del potere mondiale. Dopo anni trascorsi ai margini della scena politica internazionale – in seguito al rapporto Chilcot che lo accusò di aver trascinato il Regno Unito nella guerra in Iraq senza prove solide sull’esistenza di armi di distruzione di massa e senza aver valutato tutte le opzioni diplomatiche – l’ex premier si ripresenta ora come stratega globale, deciso a riscrivere il proprio ruolo. Tramite la sua fondazione, il Tony Blair Institute for Global Change, ha saputo reinventarsi come regista di una nuova architettura del potere, dove diplomazia e tecnologia si fondono in un unico linguaggio: quello degli algoritmi. Grazie ad essa, l’ex premier si muove tra i tavoli della ricostruzione di Gaza e i progetti di digitalizzazione del Regno Unito, ricomparendo come mediatore tra governi, aziende tecnologiche e istituzioni globali.

Blair stratega

È il ritorno di un Blair diverso, meno politico e più stratega, che non parla più di ideali per legittimare guerre e volgerle al capitalismo dei disastri, ma di efficienza, dati e intelligenza artificiale. Il cambio pelle è non solo formale, ma segna il tentativo di stare al passo con l’evoluzione tecnologica, nel campo del controllo e della sorveglianza. In un’epoca segnata da guerre e rivoluzioni digitali, la sua visione punta a un nuovo tipo di potere, pragmatico, centralizzato, tecnocratico, che mette in discussione la stessa idea di democrazia. Il ritorno sulle scene di Blair inaugura un disegno più ampio: quello di un ordine globale gestito non più dai Parlamenti, ma da reti di dati, sistemi di sorveglianza e infrastrutture algoritmiche capaci di decidere, silenziosamente, il futuro delle nazioni. Il Tony Blair Institute for Global Change è diventato, nel giro di pochi anni, un centro di potere globale capace di incidere sulle politiche pubbliche e sui processi di digitalizzazione di numerosi Paesi. L’organizzazione non profit da lui fondata nel 2016, che conta oggi oltre 900 persone e opera in più di 40 Paesi, fornisce consulenza ai governi su governance, strategie di sviluppo e modernizzazione, con progetti che si focalizzano in particolare in Africa e Medio Oriente. L’istituto è stato criticato per la collaborazione con regimi autoritari, avendo ricevuto finanziamenti controversi, tra cui 9 milioni di sterline dall’Arabia Saudita nel 2018. Grazie alla sua fondazione, Blair ha stabilito relazioni personali con diversi leader arabi, tra cui il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

IA e controllo dei dati

L’ex premier britannico, lontano dalle urne ma sempre più presente nei circoli che contano, ha trasformato il suo istituto in una struttura strategica per promuovere una nuova forma di governo fondata sui dati e sull’intelligenza artificiale. Nel rapporto Governing in the Age of AI: Building Britain’s National Data Library, il TBI propone la creazione di una “Biblioteca nazionale dei dati” che integri tutte le informazioni pubbliche del Regno Unito. L’obiettivo dichiarato è rendere più efficiente la macchina amministrativa, ma il risultato è un modello di Stato in cui la gestione centralizzata dei dati diventa la chiave del potere. A sostenere questo progetto troviamo Larry Ellison, fondatore di Oracle e tra gli uomini più ricchi del pianeta. Come rivelato da WikiLeaks, dal 2021 ha destinato al TBI almeno 257 milioni di sterline tra donazioni e investimenti, consentendo all’istituto di espandersi. Dai dati pubblicati da WikiLeaks, emergeva il sospetto che, nel contesto dell’impegno dell’ente di Blair per la riforma del servizio sanitario britannico (National Health Service), ci potessero essere possibilità di favori futuri per Oracle, già attiva nel programma Stargate. Blair non riceve compensi diretti, ma il suo gruppo è formato da ex consulenti di McKinsey e manager provenienti dalle grandi aziende tecnologiche, con retribuzioni che superano il milione di dollari. Il TBI, presentato come un think tank, opera di fatto come una società di consulenza internazionale in grado di indirizzare strategie digitali, consigliare governi e promuovere l’integrazione fra pubblico e privato nel campo dell’intelligenza artificiale. L’alleanza con Ellison va oltre il sostegno economico. Entrambi condividono la visione di una governance unificata dei dati. Al World Governments Summit di Dubai, lo scorso febbraio, Ellison ha invitato i governi a “unificare tutti i dati nazionali per alimentare l’intelligenza artificiale”, una formula che riecheggia le proposte elaborate dal TBI. La linea è chiara: creare Stati capaci di prendere decisioni sulla base di modelli predittivi e sistemi automatizzati, riducendo il margine d’errore umano e aumentando l’efficienza delle politiche pubbliche. In questa visione, l’amministrazione diventa un meccanismo di calcolo permanente, e la tecnologia si sostituisce alla mediazione politica. Blair ed Ellison promuovono un’idea di governo che non si fonda più sul confronto o sulla rappresentanza, ma sulla gestione scientifica delle informazioni. È una trasformazione profonda, che ridisegna il rapporto tra cittadini e potere, e annuncia l’ingresso in un’epoca in cui la legittimità politica si misura in capacità di elaborazione dati.

Il rischio è un accentramento di potere senza precedenti: uno Stato che conosce, traccia e decide attraverso algoritmi. In nome dell’efficienza, la privacy potrebbe gradualmente diventare un lusso e la libertà un algoritmo da ottimizzare. Molti osservatori parlano già di una “modernizzazione della sorveglianza”, un processo che normalizza il controllo diffuso. L’idea di uno Stato automatizzato, capace di anticipare bisogni e comportamenti, rovescia la logica democratica: non è più il cittadino a controllare il potere, ma il potere a controllare il cittadino. E a rendere tutto più opaco c’è la rete di rapporti del Tony Blair Institute, che collabora indistintamente con governi democratici e regimi autoritari, sostenuto da finanziamenti provenienti dalle grandi multinazionali tecnologiche. Blair, un tempo simbolo della “terza via” laburista, oggi incarna una nuova ideologia: la “terza via digitale”: una politica che abbandona il confronto pubblico per affidarsi all’intelligenza artificiale, dove la decisione non passa più per il dibattito ma per il calcolo. La promessa di efficienza rischia così di diventare la copertura di un controllo pervasivo, un potere che, dietro l’immagine rassicurante della tecnologia, si prepara a governare ogni aspetto della vita collettiva.

La vicinanza con Trump

In parallelo al suo attivismo tecnologico, nell’ultimo decennio Blair si è progressivamente avvicinato all’amministrazione Trump, collaborando in particolare con Jared Kushner, genero del presidente, che nel primo mandato ricoprì il ruolo di consigliere per il Medio Oriente. Secondo fonti internazionali, l’ex premier britannico potrebbe avere un ruolo di primo piano nei piani per la ricostruzione della Striscia di Gaza, nonostante il veto posto da Hamas. Il presidente americano Donald Trump ha annunciato la creazione di un board of peace internazionale per governare ad interim il territorio palestinese, e tra i nomi in campo figura proprio Blair, unico membro finora indicato pubblicamente insieme all’ex presidente statunitense. La scelta non sorprende: da oltre un anno Blair lavora, attraverso il suo istituto, a proposte di gestione e ricostruzione per Gaza in coordinamento proprio con Kushner. Blair conosce bene la regione. Per otto anni è stato inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente – formato da ONU, Stati Uniti, Unione Europea e Russia – senza, però, riuscire a sbloccare il processo di pace. La sua mediazione, giudicata troppo vicina alle posizioni israeliane, gli è valsa critiche da parte della leadership palestinese. Eppure, la sua rete di contatti e la lunga esperienza diplomatica restano un capitale politico di peso per l’amministrazione Trump. Oggi, la ricostruzione di Gaza rappresenta per lui una nuova occasione per rientrare nella partita globale, ma con un approccio diverso: quello della governance tecnologica. Non è ancora chiaro se il suo ruolo sarà formale o di consulenza, ma l’impronta del TBI è evidente. L’idea è applicare in un contesto di post-conflitto i princìpi della gestione digitale che l’istituto promuove da anni: infrastrutture connesse, tracciamento degli aiuti, monitoraggio della sicurezza e identificazione digitale dei cittadini. Gaza rischia così di diventare un laboratorio geopolitico dove tecnologia, sorveglianza e ricostruzione si fondono. Blair non propone solo piani economici: esporta una visione del potere basata sui dati e sull’automazione, in cui la rinascita di un territorio devastato si intreccia con la sperimentazione di un nuovo modello amministrativo globale. In questa prospettiva, Gaza non è solo una questione umanitaria o politica, ma il banco di prova di una strategia che vede nella tecnologia la nuova chiave del potere geopolitico. Un nuovo Leviatano, silenzioso e invisibile, onnipervasivo ed efficiente, costruito non con la forza ma con i dati.

Le memorie di Virginia Giuffre gettano nuovo fango sul principe Andrea e il caso Epstein

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Le memorie postume di Virginia Giuffre, tra le vittime più note di una complessa rete di pedofilia che ha visto partecipi anche importanti personaggi dell’élite politica internazionale, hanno riacceso i riflettori e gettato nuovo fango su personaggi illustri e potenti coinvolti nel famigerato caso Epstein. Il libro di Giuffre, morta suicida circa sei mesi fa a 41 anni nella sua casa in Australia, è uscito nelle librerie di Londra martedì riaprendo il dibattito e lo scandalo sul principe Andrea, fratello di Carlo III d’Inghilterra, accusato dalla vittima di gravi abusi sessuali legati al circolo pedofilo del finanziere americano di origini ebraiche Jeffrey Epstein, anche lui morto suicida in carcere nel 2019, e della sua compagna Ghislaine Maxwell, attualmente in carcere, condannata per adescamento e sfruttamento di minori. Nel libro intitolato “Nobody’s Girl“, Giuffre racconta di aver temuto di poter «morire come una schiava del sesso» sotto il controllo di Epstein e descrive tre incontri intimi con il principe Andrea a Londra, New York e sull’isola privata del defunto finanziere, tristemente nota come “isola del peccato”. L’esponente della famiglia Windsor ha sempre negato le accuse mossegli dalla defunta vittima. Tuttavia, proprio pochi giorni prima dell’uscita delle memorie, il fratello di re Carlo III ha rinunciato al titolo di Duca di York.

«Come ho già detto in precedenza, respingo con forza le accuse contro di me» ha dichiarato il principe Andrea venerdì scorso. Nonostante le smentite dell’accusato, ci sono diversi elementi che rendono sospetta la condotta del reale britannico e avvalorano le accuse di Giuffre. Oltre ad avere rinunciato al titolo di duca, infatti, già nel 2022 il figlio della defunta regina Elisabetta aveva pagato un indennizzo a Virginia Giuffre per archiviare una causa civile negli Stati Uniti intentata contro di lui dalla donna, abusata quando era minorenne. Recentemente sono emersi anche altri fatti che fanno pensare a un coinvolgimento nella vicenda dell’ex duca: la polizia di Londra, infatti, sta indagando sul fatto che nel 2011 il reale inglese avrebbe chiesto a un agente di Scotland Yard di trovare informazioni compromettenti su Giuffre al fine di screditare le sue accuse. Una fonte reale ha affermato lunedì che le accuse secondo cui il fratello minore di re Carlo avrebbe chiesto l’aiuto di un agente di polizia devono essere esaminate accuratamente.

Ma la vittima ormai defunta nel libro non racconta solo del principe inglese, ma cita diverse personalità del mondo politico-finanziario che facevano parte del circolo di Epstein e che hanno abusato di lei. A documentare la storia della donna americana, vittima di violenze fin dalla tenera età da parte del padre, è stata la giornalista americana Amy Wallace in quattro anni di lavoro. Secondo la Wallace fu proprio il padre della ragazza a condurla dall’allora compagna del finanziere Epstein, Ghislaine Maxwell che “reclutava” le prede sessuali del magnate e della sua cerchia di amici e conoscenti: «Lei non si limitava a procurare ragazze per Epstein o a gestire la “contabilità” ma abusava sessualmente di loro, dando precise istruzioni su cosa fare […]» ha dichiarato la Wallace in un’intervista al Corriere della Sera. Nel libro viene menzionato anche un noto primo ministro che, secondo quanto raccontato dalla vittima, la strangolò ripetutamente fino a farle perdere i sensi traendo piacere nel vederla terrorizzata per la sua incolumità. Il nome del primo ministro non è stato reso noto per paura delle ripercussioni. Secondo la giornalista che si è occupata della ricostruzione della storia e della stesura del libro «Stiamo parlando di una donna che una sera riceve una chiamata dall’Fbi: le dicono che la sua vita è in pericolo, che esiste una minaccia seria». La stessa ha anche confermato che centinaia di persone potenti che hanno abusato di Virginia sono ancora libere.

Maxwell e Ghislaine avevano messo in piedi una complessa rete di prostituzione minorile: in particolare, la Maxwell si occupava di adescare ragazze molto giovani come prede sessuali per i festini che Epstein organizzava nelle sue lussuose dimore con alti rappresentanti dell’ambiente finanziario e istituzionale. Secondo alcune dettagliate ricostruzioni, inoltre, sia la Maxwell che Epstein sarebbero stati degli agenti del Mossad che, filmando personaggi potenti in atti illeciti e osceni, li avrebbero resi ricattabili dallo Stato ebraico per sempre. L’attuale presidente statunitense Donald Trump, durante la sua campagna elettorale, aveva promesso di rendere pubblica la lista di nomi delle personalità di rilievo che avevano preso parte alle feste organizzate dal magnate newyorchese, promessa che però ha disatteso durante i primi mesi del suo mandato. Secondo liste precedentemente divulgate, tra i frequentatori del circolo di Epstein compaiono figure come l’ex presidente USA Bill Clinton, il fondatore di Microsoft Bill Gates, il diplomatico Henry Kissinger, il regista Woody Allen, il principe Andrea Windsor e la di lui ex moglie Sarah Ferguson, Tony Blair e Charles Spencer, fratello della più nota Diana Spencer. La Wallace ha raccontato che Virginia era una fan di Trump perché sperava che rendesse noti i nomi degli autori degli abusi e secondo la testimonianza della vittima, Trump sarebbe sempre stato gentile con lei. Sebbene la raccapricciante vicenda sia tutt’altro che conclusa e i responsabili siano ancora liberi, quanto accaduto ha scoperchiato il vaso di pandora della presenza radicata della pedofilia tra i potenti del mondo, rendendoli di fatto vulnerabili e ricattabili. Il libro postumo di Virginia ne è la testimonianza più vivida.

Corte Internazionale: Israele deve fornire aiuti a Gaza

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La Corte Internazionale di Giustizia ha rilasciato un parere consultivo in cui sostiene che Israele ha il dovere di fornire aiuti alla popolazione gazawi e garantire agli organismi internazionali di operare nella Striscia. A tal proposito, secondo la CIG, Israele non ha fornito prove sufficienti a sostegno della sua tesi secondo cui l’UNRWA sarebbe affiliata ad Hamas. L’opinione era stata richiesta dall’Assemblea Generale dell’ONU lo scorso dicembre. Esso può essere citato in tribunale e costituisce una guida all’interpretazione del diritto internazionale, fornendo il punto di vista della CIG; non ha, tuttavia, valore vincolante e gli Stati non sono tenuti a rispettarne il contenuto. Israele ha criticato la posizione della Corte.

La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta sugli attacchi israeliani alla Global Sumud Flotilla

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Mentre a Gaza la tregua resta in bilico a causa delle operazioni dell’IDF e continuano ad arrivare immagini che mostrano i segni visibili delle torture inflitte sui corpi degli ostaggi palestinesi rilasciati, in Italia qualcosa si muove sul versante giudiziario: la Procura di Roma ha infatti aperto un’indagine preliminare sui presunti crimini commessi da Israele contro la Global Sumud Flotilla. Come è noto, la missione – civile, internazionale e politica – è stata intercettata a inizio ottobre in acque internazionali dalla marina israeliana. Sulla base delle denunce di 37 cittadini e parlamentari italiani partecipanti, la magistratura indaga per reati gravissimi come tentato omicidio, pirateria, sequestro di persona e tortura, in un raro caso giuridico che coinvolge direttamente le forze armate israeliane.

La notizia è stata riportata dal Global Movement to Gaza Italia. La Flotilla, che vedeva la partecipazione di centinaia di persone provenienti da oltre 40 Paesi – parlamentari, medici, giornalisti, attivisti – aveva l’obiettivo dichiarato di rompere simbolicamente il blocco navale illegale imposto da Israele su Gaza e portare aiuti umanitari a una popolazione allo stremo. Come ricostruito dai denuncianti, dopo che i mezzi sono stati abbordati, gli attivisti sono stati prelevati dalle imbarcazioni, bendati, condotti nel porto di Ashdod e reclusi nelle carceri israeliane per giorni, senza contatti esterni né, in alcuni casi, assistenza legale, per poi essere espulsi.

Le indagini della procura di Roma, affidate ai sostituti procuratori Lucia Lotti e Stefano Opilio, si muovono su due versanti principali: i fatti avvenuti in acque internazionali e quanto accaduto a terra, tra il porto di Ashdod e la prigione di Ketziot. Il fascicolo contiene attualmente due esposti, quello del team legale della Flotilla a nome di trentasei attivisti e quello dell’avvocato Flavio Rossi Albertini a nome dell’attivista Antonio La Piccirella. Nell’esposto del team legale si legge che «ad una distanza compresa tra 70 e 80 miglia nautiche dalla costa gazawi, una ventina di navi della marina militare israeliana ha abbordato varie imbarcazioni della Flotilla e ne ha prelevato gli equipaggi». Per gli attacchi dei droni contro le navi avvenuti nella notte tra il 24 e il 25 settembre gli avvocati parlano di «tentato omicidio plurimo» e di «naufragio». Per l’intervento della marina israeliana, si parla invece di sequestro di persona e pirateria.

Per i fatti in acque internazionali, dove ogni barca che batte bandiera italiana è considerata sotto giurisdizione italiana, la Procura può agire autonomamente. Diverso il discorso per quanto accaduto a terra: in questo caso abusi e sevizie sono da valutare alla luce dell’articolo 8 del codice penale, che stabilisce le condizioni per la punibilità dei delitti politici commessi all’estero e afferma che a muoversi debba essere in primis il Ministero della Giustizia. L’indagine dovrà inoltre interfacciarsi con il diritto internazionale, dal Manuale di San Remo sulla guerra marittima alla convenzione Onu di Montego Bay. Non viene trascurato neppure il possibile ruolo delle autorità del nostro Paese, dal momento che si chiede ai giudici di valutare se e in che misura lo Stato italiano sia imputabile per omissione di tutela, per la decisione di ritirare la fregata militare Alpino al raggiungimento della cosiddetta “linea arancione”, limite convenzionale a 150 miglia dalle coste della Striscia che segna la “zona di massimo rischio”. La condotta potrebbe integrare il secondo comma dell’articolo 40 del codice penale, in cui si legge che «non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo».

L’apertura dell’inchiesta, hanno dichiarato i legali della Global Sumud Flotilla, «segna un primo traguardo per accertare le responsabilità degli attacchi e degli abusi da parte di Israele contro la missione umanitaria e pacifica della Gsf», il cui obiettivo «è stato quello di rompere il blocco illegittimo imposto da Israele a Gaza e volto ad affamare la popolazione civile».

Numerose figure pubbliche chiedono di bandire la Superintelligenza Artificiale

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Il Future of Life Institute ha lanciato oggi, mercoledì 22 ottobre, un’iniziativa che chiede ai governi di tutto il mondo di introdurre “un divieto che blocchi lo sviluppo della superintelligenza [artificiale]” fino a quando “non ci sarà un ampio consenso scientifico sul fatto che la tecnologia sarà sviluppata in maniera affidabile e controllabile”. La proposta è stata accompagnata da una lettera aperta e ha ricevuto il supporto esplicito di numerosi premi Nobel, di decine di figure politiche e persino di qualche testa coronata. Tuttavia, rischia di distogliere l’attenzione dai problemi reali in favore di un futuro ipotetico che appare ancora estremamente remoto.

L’appello ha raccolto oltre 800 adesioni, tra cui figurano personalità di altissimo profilo come Steve Bannon, imprenditore e podcaster estremamente influente sulle politiche Repubblicane statunitensi, il principe Henry e la duchessa Meghan, il cofondatore di Apple Steve Wozniak, André Hoffmann del World Economic Forum (WEF), padre Paolo Benanti, presidente della “Commissione algoritmi” italiana, e Brando Benifei, europarlamentare italiano che ha avuto un ruolo chiave nella stesura dell’AI Act. A questi si aggiungono figure meno rilevanti sul piano politico, ma dal forte richiamo mediatico quali gli attori Joseph Gordon-Levitt e Sir Stephen Fry, il musicista will.i.am e il giornalista del Corriere della Sera Riccardo Luna.

L’iniziativa si presenta in modo lapidario: poche righe per affrontare una tematica ampia e complessa, un comunicato che sembra più che altro mirato a offrire un trampolino espositivo per il concetto di fondo. La preoccupazione del gruppo è che l’avvento ipotetico della superintelligenza artificiale (ASI) possa avere effetti disastrosi sulla vita delle persone: “dall’obsolescenza e dal depotenziamento dell’economia, alla perdita di libertà civili, dignità e controllo, fino ai rischi per la sicurezza nazionale e persino alla potenziale estinzione umana”. Per scongiurare a priori questo scenario, i firmatari si trovano a chiedere con un certo grado di allarmismo un intervento preventivo da parte dei governi di tutto il mondo.

Per comprendere la portata della richiesta del Future of Life Institute, è però necessario chiarire cosa si intenda per ASI. Secondo la definizione del gruppo, si tratta di tutti quei sistemi di IA che “superano significativamente gli esseri umani essenzialmente in tutti i compiti cognitivi”, una fase evolutiva ulteriore rispetto a quelle delle già avanzate intelligenze artificiali generali (AGI), le quali mirano a eguagliare le capacità della mente umana. Al momento, nessuna di queste due categorie di intelligenza artificiale appare alla portata della ricerca scientifica e vi sono seri dubbi sul fatto che l’attuale direzione tecnologica — quella dei grandi modelli di linguaggio — possa mai tradursi in forme di pensiero dotate della consapevolezza necessaria a eguagliare un cervello biologico.

La definizione stessa di intelligenza artificiale, del resto, rimane estremamente fumosa. Il termine nacque negli anni Cinquanta come trovata di marketing accademico per attrarre nuovi fondi alla ricerca; di conseguenza, anche concetti come AGI e ASI tendono a essere più strumenti narrativi che definizioni rigorose. Questi due orizzonti, apparentemente ancora lontani, diventano però più raggiungibili se si adotta la definizione offerta da OpenAI, azienda leader del settore, secondo cui l’intelligenza artificiale generale sarà raggiunta quando un sistema di IA sarà “in grado di generare un profitto di 100 miliardi di dollari”. Una prospettiva che, tuttavia, potrebbe essere viziata dal fatto che i gravosi legami contrattuali tra OpenAI e Microsoft verranno meno solo al raggiungimento dell’AGI.

Ammesso che le preoccupazioni del Future of Life Institute siano avanzate con le migliori intenzioni, queste appaiono comunque premature, se non addirittura fuorvianti. L’organizzazione era già stata protagonista nel 2023 di una lettera in cui chiedeva di sospendere la ricerca su strumenti più potenti dei modelli di IA allora disponibili, così da evitare “rischi esistenziali” dai toni fantascientifici. Anche in quel caso, l’iniziativa era stata criticata per aver spostato l’attenzione dai problemi già concreti a prospettive remote e inverosimili, alimentando paure irrazionali più che un dibattito costruttivo. Questo nuovo appello rischia quindi di replicare la medesima formula: dare spazio a un sostegno pubblico di facciata a scapito di quegli interventi immediati che sarebbero invece necessari.

Sudan, droni sull’aeroporto di Khartoum: rimandata l’apertura

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L’aeroporto di Khartoum, capitale del Sudan è stato oggetto di attacchi con droni che hanno costretto le autorità a rimandarne la riapertura. La struttura doveva riaprire oggi. Gli attacchi sono stati scagliati dai ribelli delle Forze di Supporto Rapido (RSF) sia ieri che oggi, e si collocano sulla scia di un conflitto per il controllo dell’infrastruttura che va avanti sin dallo scoppio della guerra civile nel 2023. La capitale è a tempo teatro di una dura battaglia tra i le RSF e l’esercito regolare; dopo essere passata nelle mani dei ribelli, è stata riconquistata dal governo all’inizio del 2025.

La Camorra gestiva una squadra di calcio: la Juve Stabia in amministrazione giudiziaria

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Un’importante squadra di calcio di Serie B, la Juve Stabia, sarebbe controllata dalla Camorra napoletana. Per questo motivo, su proposta congiunta del Procuratore nazionale antimafia, del Procuratore di Napoli e del questore della città partenopea, il Tribunale ha emesso un provvedimento che ha posto la società campana in amministrazione giudiziaria. Come riporta una nota della Polizia, infatti, le indagini hanno permesso di accertare «un sistema di condizionamento mafioso dell’attività economica della società calcistica da parte del clan camorristico D’Alessandro, egemone nel territorio stabiese», che vedeva in capo a persone direttamente collegate al clan la gestione di numerosi servizi connessi allo svolgimento delle competizioni sportive del club.

«L’attuale proprietà della società calcistica è subentrata in relazioni economiche di antica data, che sin dall’origine si sono rivelate sottoposte al condizionamento mafioso e rispetto alle quali non si è dotata di adeguati meccanismi di controllo e prevenzione – si legge nel comunicato diramato dalle forze dell’ordine –. Questa gestione ha avuto particolari ripercussioni nel nevralgico settore della sicurezza e della gestione degli steward, dove l’assenza di strumenti di verifica e garanzia ai quali è affidato il servizio, ha condizionato la gestione, anche sotto il profilo dell’ordine pubblico, degli eventi sportivi». L’influenza criminale, che si configura, secondo il questore di Napoli, come «un oggettivo sistema di condizionamento mafioso dell’attività economica della società», veniva esercitata anche nei settori della bouvetteria, delle pulizie, dei servizi sanitari, e, fino all’anno scorso, del trasporto della prima squadra. Inoltre, i controlli effettuati presso il servizio di biglietteria hanno evidenziato «la presenza di punti vendita compromessi nei quali venivano rilasciati biglietti con dati anagrafici alterati, per consentire l’accesso allo stadio a persone pregiudicate e colpite da Daspo, molti dei quali vicini al clan D’Alessandro».

È emersa poi la diffusa infiltrazione da parte del medesimo clan camorristico nella tifoseria organizzata locale. Assai eloquente l’episodio avvenuto il 29 maggio 2025, quando, in occasione dell’evento di celebrazione dell’ottima stagione della squadra, i membri dei tre gruppi ultras della tifoseria, «alcuni dei quali colpiti da Daspo e con profili criminali», si sono «proposti pubblicamente sul palco con i vertici della società, autorità civili e istituzioni pubbliche». Secondo il collaboratore di giustizia Pasquale Rapicano, inoltre, il clan D’Alessandro controllerebbe anche il settore delle ambulanze presso lo stadio. Anche il settore giovanile del club è risultato controllato da personaggi legati alla Camorra. In questo caso, parla da sola una circostanza emblematica: durante un colloquio in carcere tra l’esponente del clan Cesarano Silverio Onorato, recluso al 41-bis, e suo figlio, che puntava a un posto da titolare, gli avrebbe detto di recarsi dal team manager del club Pino di Maio e dirgli di essere «il figlio di Silverio Onorato».

«La Juve Stabia era diventata un mezzo della Camorra per farsi pubblicità e gestire il potere – ha dichiarato il Procuratore di Napoli Nicola Gratteri –. Erano presenti in tutti i servizi, era un pacchetto completo: i calciatori dovevano solo giocare, al resto pensava la Camorra». Gli ha fatto eco il Procuratore Nazionale Antimafia Giovanni Melillo, che ha spiegato come tutta la rete di servizi fosse «sottoposta al condizionamento dei clan per indifferenza, sottovalutazione e connivenza». Il prefetto di Napoli, Michele di Bari, ha confermato essere sul tavolo «la possibilità che alcune delle prossime gare della Juve Stabia possano essere rinviate» al fine di permettere alla nuova gestione della società di riorganizzare servizi essenziali come la sicurezza e il ticketing, fortemente inquinati dalle infiltrazioni dei clan.

Non è il primo caso in cui si delinea uno scenario simile per un club calcistico negli ultimi mesi. A settembre, il Tribunale di Catanzaro ha disposto l’amministrazione giudiziaria per un anno nei confronti del Crotone, che attualmente milita nel girone C della Serie C. La DDA ha infatti evidenziato come siano emersi «sufficienti indizi» per ritenere che l’attività economica del club, «compresa quella di carattere imprenditoriale», sia stata «sottoposta, nel corso dell’ultimo decennio, direttamente o quantomeno indirettamente a condizioni di intimidazione e assoggettamento ad opera di esponenti di locali cosche di ‘ndrangheta». A maggio, il tribunale di Bari aveva disposto l’amministrazione giudiziaria per la società calcistica del Foggia, sempre in Serie C, mirando a tutelare i dirigenti dell’azienda dalle influenze mafiose. Secondo quanto attestato dalle indagini, infatti, un gruppo di ultras collegato ai clan locali avrebbe esercitato intimidazioni sulla società per vedersi garantita la gestione delle sponsorizzazioni e degli accrediti per l’ingresso alle partite.