I comitati per le famiglie degli ostaggi israeliani hanno organizzato uno sciopero generale in tutto il Paese, che secondo i media locali avrebbe raggiunto 300 distinte località. I manifestanti hanno chiesto il raggiungimento di un accordo di cessate il fuoco a Gaza, concentrandosi sul rientro degli ostaggi nelle mani delle organizzazioni palestinesi. Limitate, invece, le proteste contro le politiche genocidarie a Gaza. A Tel Aviv, maggiore centro coinvolto, sono scese in piazza quasi un milione di persone. In altre aree del Paese, le persone si sono riversate per le strade, bloccando il traffico e dando fuoco a cumuli di pneumatici; al termine della giornata sono state arrestate 38 persone.
Belucistan, scontri tra forze iraniane e separatisti: sei morti
Il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC) iraniano ha annunciato di avere ingaggiato degli scontri con due gruppi di separatisti beluci, nella provincia sudorientale del Sistan e Belucistan. Secondo quanto comunica l’agenzia di stampa Fars, le IRGC avrebbero individuato due abitazioni in cui i gruppi di rifugiavano, situate rispettivamente nell’area settentrionale e in quella meridionale della provincia, e vi avrebbero condotto dei raid. Sei militanti di gruppi separatisti beluci sarebbero stati uccisi e altri sarebbero stati arrestati. I beluci sono una minoranza distribuita in una regione chiamata Belucistan, situata a cavallo tra Iran, Afghanistan e Pakistan. In questi tre Paesi sono attive diverse firme separatiste per l’indipendenza dei beluci.
Kuwait: 67 arresti per produzione clandestina di bevande alcoliche
Le autorità del Kuwait hanno arrestato 67 persone, accusandole di produzione e distribuzione di bevande alcoliche. La notizia arriva dal Ministero dell’Interno del Paese. Il Ministero ha spiegato che le autorità hanno sequestrato sei fabbriche attive, e altre quattro non ancora operative. Il capo della rete criminale sarebbe stato arrestato. Il Kuwait vieta l’importazione e la produzione nazionale di bevande alcoliche, ma alcune vengono prodotte clandestinamente senza effettuare controlli; negli ultimi giorni, secondo il Ministero della sanità, 23 persone sarebbero morte per un’intossicazione causata da tali prodotti.
I Paesi petroliferi affossano il trattato globale sulla plastica
È terminato con un nulla di fatto il vertice di Ginevra per redigere un trattato globale contro l’inquinamento della plastica. Gli incontri si sono tenuti per dieci giorni consecutivi con oltre 1.400 delegati provenienti da 183 Paesi diversi. Nonostante siano stati proposti due distinti testi, entrambi giudicati poco ambiziosi dalle associazioni ambientaliste, al termine della seduta è mancata l’intesa per siglare la versione definitiva, e il comitato ha deciso di rinviare i negoziati a data futura, ancora da annunciare. A risultare critici sono stati tutti gli aspetti fondamentali per contenere i danni ambientali della plastica, dai vincoli sulla produzione alla segnalazione dei rischi per la salute umana. Gli incontri fanno parte di uno sforzo pluriennale per raggiungere un accordo per contrastare l’inquinamento da plastica nel mondo; essi rientrano nell’ambito della quinta sessione del gruppo, iniziata lo scorso novembre in Corea del Sud.
Gli incontri per l’istituzione del Trattato Globale sulla Plastica sono terminati il 15 agosto. Dopo otto giorni dall’avvio del vertice, è stata avanzata una prima bozza di accordo, già ritenuta parecchio problematica dalle associazioni ambientaliste: il testo, riporta Greenpeace, non introduceva limiti definiti sul ciclo di vita della plastica, ma è stato comunque boicottato dai rappresentanti dei «petrostati», guidati dall’Arabia Saudita, e dai 234 lobbisti delle industrie del petrolio, della chimica e della plastica presenti agli incontri. Il secondo testo, ancora meno ambizioso del primo, eliminava «i riferimenti ai vincoli di produzione e non ha affrontato la questione delle sostanze chimiche tossiche utilizzate nella plastica», contesta Greenpeace. «L’incapacità di raggiungere un accordo a Ginevra deve essere un campanello d’allarme per il mondo», scrive Graham Forbes, capo della delegazione di Greenpeace per i negoziati del Trattato. Secondo il gruppo, un accordo tra i Paesi non può rimanere ostaggio degli Stati e delle multinazionali petrolifere, e deve tenere conto dell’intero ciclo di vita della plastica, della sua produzione, dei danni ambientali e per la salute umana, e delle esigenze delle comunità indigene, che risultano le più colpite dalla crisi.
La quinta sessione del Comitato Intergovernativo per i Negoziati (INC-5) è iniziata a Busan, in Corea del Sud, lo scorso novembre. Il Trattato a cui si sta lavorando, che sarebbe giuridicamente vincolante, è stato richiesto dall’Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEA) con la risoluzione 14/5 del 2022, che fissava come termine per i negoziati la fine del 2024; la prima parte della sessione, tuttavia, è terminata senza che venisse raggiunto un accordo. Oltre 900 scienziati indipendenti hanno firmato una dichiarazione che invita i negoziatori delle Nazioni Unite a concordare un trattato globale sulla plastica completo e ambizioso, basato su solide prove scientifiche, con l’obiettivo di porre fine all’inquinamento causato dalla plastica entro il 2040. A opporsi a tale prospettiva sono però, in particolare, Paesi con grandi industrie di combustibili fossili come Arabia Saudita, Russia e Iran, che hanno evitato tagli alla produzione.
Birmania, attacco aereo dell’esercito: 21 morti
L’esercito birmano ha lanciato un attacco aereo sulla città di Mogok, uccidendo almeno 21 persone. A dare la notizia è Lway Yay Oo, portavoce dell’Esercito di Liberazione Nazionale Ta’ang (TNLA). Secondo il portavoce, l’attacco sarebbe avvenuto giovedì sera e avrebbe preso di mira il quartiere di Shwegu, colpendo prevalentemente civili. Sono state distrutte anche abitazioni ed edifici di un monastero buddista. Gli attacchi arriverebbero in un momento di tensione per il Paese, con forze come il TNLA che stanno combattendo contro la giunta militare salita al potere nel 2021. Mogok è un importante centro minerario di rubini della regione settentrionale di Mandalay ed è stato conquistato nel luglio 2024 dal TNLA.
Una sentenza negli USA dichiara la bandiera israeliana simbolo di ebraismo
Un giudice federale statunitense ha equiparato la bandiera israeliana a quella che ha definito «razza ebraica». La decisione arriva nell’ambito di una causa intentata da un’attivista pro-Israele, che ha accusato una persona di averla aggredita durante una manifestazione. Secondo la ricostruzione accolta dal tribunale, l’attivista portava al collo una bandiera israeliana, che la sua presunta assalitrice avrebbe tirato, strangolandola brevemente; la difesa, invece, sosteneva che tra le due ci sarebbe stato un breve scontro e che la kefiah dell’imputata si sarebbe impigliata nella bandiera. L’atto, in ogni caso, è antisemita, ritiene il tribunale di Washington DC, perché legato a un simbolo della religione ebraica: la stella di David disegnata sulla bandiera. La decisione del giudice stabilisce un nuovo standard legale che può essere utilizzato per equiparare antisionismo e discriminazione antiebraica. Con essa, insomma, viene portata avanti una diretta equiparazione tra antisionismo e antisemitismo, identificando lo Stato di Israele con la religione ebraica stessa.
La causa dell’attivista pro-Israele è stata presentata lo scorso luglio dal National Jewish Advocacy Center, un’organizzazione no-profit che ha rappresentato l’attivista. Le versioni fornite sulla vicenda sono due: l’attivista sostiene di essere stata strangolata per breve tempo dopo una colluttazione con l’imputata, che avrebbe tirato la bandiera attorno al suo collo; la difesa invece affermava che tra le due ci sarebbe stato uno scontro senza alcun contatto di natura dolosa, e che la kefiah – tipica sciarpa palestinese – dell’imputata si sarebbe impigliata nella bandiera dell’attivista pro-Israele. Comunque sia andata, a fermare la situazione è arrivato un agente delle forze dell’ordine, che ha arrestato l’imputata. L’agente ha fornito una testimonianza senza esporsi in tribunale, dove, sottolineano gli stessi giornali israeliani che riportano la vicenda, “l’aggressione deve essere provata oltre ogni ragionevole dubbio”.
L’ONG sosteneva che i diritti civili dell’attivista sarebbero stati violati perché aggredita su base etnica; nella causa, spiegano i giornali israeliani che hanno intervistato i rappresentanti dell’ONG, veniva argomentato che il sionismo costituirebbe un aspetto della fede ebraica, e non una posizione politica. I legali hanno utilizzato un’interpretazione del concetto di sionismo come forma di protezione degli ebrei filo-israeliani, individuando nell’antisionismo un’idea che mina i diritti civili statunitensi nell’ambito di religione, etnia e origine nazionale. Il tribunale ha stabilito che l’imputata «ha deliberatamente discriminato [l’attivista] su base razziale», portando come prova la testimonianza dell’agente che l’ha arrestata. La violenza, sostiene il giudice, non si sarebbe verificata se non ci fossero stati motivi di discriminazione razziale: «Tirare deliberatamente una bandiera israeliana legata al collo di una persona ebrea per strangolarla è una prova diretta di discriminazione razziale», si legge nelle argomentazioni del giudice. «La Stella di David – impressa sulla bandiera israeliana – simboleggia la razza ebraica». Secondo il giudice, insomma, l’imputata avrebbe strangolato deliberatamente l’attivista pro-Israele, e il fatto che per portare avanti la propria aggressione abbia usato una bandiera israeliana costituirebbe una prova della natura antisemita del presunto attacco.
L’equazione utilizzata dal tribunale statunitense mette in parallelo la religione ebraica ai propri simboli – in questo caso la stella di David – e quegli stessi simboli a Israele, poiché la stella di David è presente sulla sua bandiera. Come ha spiegato Matthew Mainen, avvocato di NJAC, la sentenza del giudice «consolida la giurisprudenza che equipara gli attacchi alla Stella di David e alla bandiera israeliana all’antisemitismo». Nelle future cause, spiega l’avvocato, l’accusa potrà citare questa vicenda «come prova dell’esistenza di uno standard giuridico che equipara l’antisionismo alla discriminazione antiebraica». Insomma, chiosa l’avvocato, «l’antisionismo è ovviamente antisemitismo».
Yemen: Israele bombarda una centrale elettrica
L’esercito israeliano ha colpito una centrale elettrica nella capitale yemenita Sana’a, controllata dal movimento Ansar Allah, meglio noto con il nome di Houthi. Il bombardamento è avvenuto all’alba di oggi, domenica 17 agosto, e, di preciso, ha preso di mira i generatori della centrale elettrica di Haziz, nel distretto di Sanhan, a sud della capitale. Da quanto comunicano i media ufficiali di Ansar Allah, sarebbero stati lanciati due distinti attacchi, che avrebbero messo fuori servizio alcuni dei generatori. Subito dopo i bombardamenti sarebbe scoppiato un incendio, che tuttavia sarebbe stato domato dalle autorità yemenite. Non sono stati riportati feriti.
Pisa, morta ventenne arrivata da Gaza malnutrita
È morta a Pisa Marah Abu Zuhri, la ventenne palestinese arrivata meno di 24 ore prima dalla Striscia di Gaza con un volo militare nell’ambito dell’operazione umanitaria del governo italiano. Lo rivela l’Azienda ospedaliero-universitaria pisana alla stampa, aggiungendo che la giovane era giunta in condizioni gravissime, segnata da una profonda malnutrizione, ed era stata ricoverata d’urgenza all’ospedale di Cisanello. Nonostante i primi interventi, una crisi respiratoria improvvisa ha causato l’arresto cardiaco che le è stato fatale. «Il sistema sanitario regionale con il proprio personale, che ringrazio, sarà sempre in prima fila per garantire massimo sostegno a favore della popolazione di Gaza», commenta il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani.