sabato 22 Novembre 2025
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L’intelligenza artificiale è sempre più protagonista delle truffe sulle fatture

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Molte aziende che avevano accolto l’arrivo dell’intelligenza artificiale con l’obiettivo di sfoltire i costi e aumentare vertiginosamente la produttività si trovano ora ad affrontare un uso imprevisto, ma estremamente comune, dello strumento: la frode. Negli ultimi mesi, sempre più imprese hanno segnalato la circolazione di note spese, fatture e ricevute contraffatte generate con strumenti di IA per la creazione di immagini che, complice la rapida evoluzione tecnologica, sono sempre più in grado di produrre falsificazioni sofisticate quasi indistinguibili dai documenti autentici.

Piattaforme di controllo delle spese come AppZen e Ramp hanno registrato un’impennata di casi sospetti: AppZen ha rilevato che a settembre 2025 circa il 14% dei documenti fraudolenti individuati era generato da sistemi di intelligenza artificiale, mentre solo l’anno precedente la percentuale era prossima allo zero. Ramp, dal canto suo, ha intercettato oltre un milione di dollari di fatture false in appena un trimestre. Questi numeri indicano una diffusione capillare della falsificazione digitale, anche perché le nuove ricevute sintetiche non sono più semplici immagini grossolane bensì riproduzioni accurate di documenti autentici, complete di loghi, codici a barre, numeri fiscali coerenti, subtotali aritmeticamente corretti e persino texture e pieghe della carta. La qualità è tale che anche revisori esperti e addetti ai controlli faticano a distinguere con certezza un documento reale da uno generato da un algoritmo.

I dati, riportati inizialmente dal Financial Times, evidenziano come l’intelligenza artificiale abbia reso estremamente semplice e rapida la creazione di contenuti visivi realistici, abbattendo in maniera sensibile la necessità da parte dei truffatori di padroneggiare competenze grafiche o di avere accesso a strumenti professionali. Bastano pochi comandi testuali per generare ricevute credibili, mentre i sistemi di controllo tradizionali basati su verifiche visive o riconciliazioni manuali faticano a individuare le manipolazioni prodotte da modelli avanzati. Inoltre, le immagini sintetiche possono eludere facilmente i controlli digitali rimuovendo i metadati o trasformando i file in screenshot, il che rende quasi impossibile risalire alla loro origine.

Il problema si inserisce in un quadro più ampio di crescita generale delle frodi digitali. Secondo quanto divulgato da UK Finance del Regno Unito, nel primo semestre del 2025, le perdite totali per attività fraudolente hanno superato i 629 milioni di sterline, con un incremento del 3% rispetto all’anno precedente. Tra le forme più diffuse si segnalano truffe sugli investimenti e frodi legate alle criptovalute, spesso alimentate da deepfake o da falsi endorsement digitali. Secondo la Polizia Postale, nel 2024, in Italia, le segnalazioni di truffe online sono aumentate del 15% rispetto il campione dell’anno precedente, mentre le somme sottratte sono passate da 137 milioni di euro a 181 milioni, un incremento di circa il 32%. Nella maggior parte questi casi sono caratterizzati da tecniche ben note – phishing, raggiri, schemi piramidali –, tuttavia un report di Experian Italia avvisa che il 73% degli esperti intervistati in Italia e all’estero ritiene che l’IA generativa abbia modificato in modo permanente il panorama delle frodi.

Uno spaccato più ampio era stato offerto nel maggio 2024 da Deloitte, la quale stimava che l’impatto complessivo delle frodi basate su intelligenza artificiale nel settore finanziario potrebbe arrivare a toccare i 40 miliardi di dollari entro il 2027, qualora non vengano adottate misure di contenimento efficaci. La stessa Deloitte ha poi prodotto per il governo australiano un rapporto che, appoggiandosi sui modelli di intelligenza artificiale, conteneva al suo interno numerose citazioni inventate di sana pianta. Colta in flagrante, il gigante della consulenza fiscale ha rimborsato in parte i costi della sua commissione.

Il fenomeno delle ricevute generate dall’IA è la punta dell’iceberg di una trasformazione più ampia e contrastare questa ondata di frodi richiederà una revisione profonda dei meccanismi di controllo e delle strategie di sicurezza aziendale. Le difese devono includere soluzioni tecnologiche avanzate, magari basate a loro volta sull’IA, ma anche cambiamenti organizzativi profondi: aggiornamento delle policy interne, controlli incrociati sistematici, formazione mirata del personale e l’adozione di una cultura del controllo continuo. Le aziende devono promuovere un maggiore grado di attenzione e di spirito critico, valori che si muovo in antitesi a quella fantasia manageriale che vorrebbe scaricare sulle macchine funzioni cognitive al fine di aumentare il carico di lavoro pro capite dei singoli dipendenti.

Libano: l’UNIFIL abbatte un drone israeliano

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La Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL) hanno annunciato di avere abbattuto un drone israeliano. Il drone è stato abbattuto ieri pomeriggio attorno alle 17:45, nei pressi della zona di Kfarkila, nel sud del Libano, perché il velivolo si era avvicinato a una pattuglia ONU e aveva sganciato una granata. «Pochi istanti dopo», comunica l’UNIFIL, «un carro armato israeliano ha sparato contro le forze di peacekeeping». Non sono stati registrati feriti. Israele ha commentato la vicenda sostenendo che il drone stesse svolgendo una missione di ricognizione. L’episodio di ieri segue diverse altre aggressioni lanciate da Israele nei confronti dei militari dell’ONU, una delle quali nella medesima area.

Napoli: arrestati per aver protestato contro la multinazionale del farmaco israeliana Teva

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Tre attivisti sono stati arrestati dalla Polizia di Stato durante una protesta contro la multinazionale farmaceutica israeliana Teva, svoltasi sabato 25 ottobre all’interno del Pharmexpo, la fiera ospitata nella Mostra d’Oltremare di Fuorigrotta, a Napoli. La contestazione dei manifestanti, circa cinquanta, riuniti sotto le sigle della rete BDS, Rete Napoli per la Palestina e Centro Culturale Handala Al, aveva come obiettivo lo stand dell’azienda, accusata di essere «storicamente complice dell’occupazione in Palestina». Secondo la Questura, l’intervento delle forze dell’ordine è scattato dopo «il lancio di transenne all’esterno della Mostra d’Oltremare» e aggressioni ai danni degli agenti; una ricostruzione contestata fermamente dagli attivisti, che parlano di un presidio pacifico e di una «improvvisa e gratuita la carica delle forze dell’ordine», denunciando una brutale repressione.

I tre arrestati – due uomini e una donna, di 22, 33 e 46 anni – sono accusati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. La ricostruzione ufficiale della Questura, riportata dai media, afferma che «un gruppo di manifestanti ha tentato di entrare nel padiglione 5 della Mostra d’Oltremare, hanno divelto le transenne e le hanno scagliate contro i poliziotti e li hanno aggrediti fisicamente». L’esito dello scontro avrebbe causato infortuni a tre agenti. La versione degli attivisti dipinge invece una realtà completamente diversa. «I tre attivisti napoletani arrestati per avere contestato la presenza dell’azienda israeliana Teva al Pharma Expo di Napoli hanno subito minacce, una carica gratuita, aggressioni fisiche e violenza da parte delle forze dell’ordine», recita un comunicato diramato dai gruppi. I manifestanti raccontano di un presidio esterno, di un flash mob davanti allo stand in cui sono state lette accuse sulla complicità dell’azienda con le politiche del governo israeliano, e di ingressi successivi attraverso passaggi laterali non presidiati; poi, dicono, «all’uscita, improvvisa e gratuita è scattata la rappresaglia delle forze dell’ordine e i fermi tramutati in arresti».

«Per le giornate di venerdì e sabato erano state convocate iniziative di mobilitazione in solidarietà col popolo palestinese in occasione della Mostra d’Oltremare, dove si trovava lo stand di Teva», racconta Walter Iannuzzi, attivista presente alla manifestazione, a L’Indipendente. Per sabato era stato convocato un presidio pubblico a uno degli ingressi della Mostra d’Oltremare, che si è svolto con grande tranquillità nel corso della mattina. «C’era anche una contrattazione aperta con le forze dell’ordine per poter fare entrare una delegazione per leggere un comunicato prodotto dagli organizzatori rispetto all’iniziativa che si stava svolgendo – spiega Iannuzzi –. Dopo un’iniziale apertura, c’è stato un diniego immotivato da parte della Questura di Napoli, nonostante fosse arrivato dal presidente dell’ente Mostra in beneplacito per fare entrare qualcuno all’interno. La Questura ha dunque affermato che per motivi di ordine pubblico non potevamo accedere dal lato di viale Kennedy». A quel punto, il presidio si sarebbe sciolto senza tensioni. «Dopo di che – prosegue l’attivista – siamo entrati alla mostra da altri ingressi non vietati, pagando regolarmente il ticket previsto di 1 euro, e ritrovati in gran parte entrando nel padiglione in cui si svolgeva l’evento. Lì abbiamo aperto uno striscione ed effettuato una contestazione mostrandolo insieme alle bandiere».

La Questura contesta proprio in questo frangente un’aggressione da parte degli attivisti, che però la rispediscono al mittente: «La Polizia parla di lanci di transenne: transenne che, come dimostrano i video che abbiamo fatto circolare in rete, nemmeno c’erano», dice Iannuzzi. L’iniziativa è durata non più di 15 minuti. «Subito dopo, alla presenza delle Forze dell’ordine, concordiamo un’uscita dal padiglione in tranquillità». Gli attivisti sono dunque usciti di fronte all’entrata da cui avevano fatto ingresso pagando il biglietto. «Qui l’uscita ci viene sbarrata da plotoni delle forze dell’ordine. “Vi facciamo andare via, ma qualcuno deve venire con noi”, ci dicono gli operatori della Questura, indicando persone che a loro dire devono essere fermate. Alla nostra richiesta di spiegazioni, hanno chiamato i plotoni lì presenti, che ci hanno circondato e spintonato con gli scudi. Hanno buttato la gente a terra, procedendo con intimidazioni, calci, schiaffi». A quel punto, secondo il racconto dell’attivista, sarebbero state prese due persone e portate via, poi la polizia avrebbe identificato uno ad uno i manifestanti con ripresa video e richiesta del documento (anche a persone molto note che sovente si rapportano con le forze dell’ordine per richiedere l’autorizzazione ad organizzare iniziative pubbliche). «Il clima è stato fortemente intimidatorio e le persone sono state invitate a uscire uno alla volta, con l’indicazione per ognuna di un’uscita diversa – conclude Iannuzzi –. Contandoci, scopriamo che le persone portate via erano 4. Una di loro è stata rilasciata, mentre le altre tre sono state tradotte in arresto».

Il motivo della protesta è sempre stato esplicito: gli organizzatori accusano Teva, leader nel settore dei farmaci generici, di avere un ruolo non secondario nell’occupazione in Palestina, portando avanti quello che la campagna BDS chiama “apartheid sanitario” a causa delle «rivendite a prezzo maggiorato di prodotti farmaceutici sul territorio palestinese e di inaccessibilità ai vaccini per i bimbi palestinesi». L’azienda è oggetto di una campagna internazionale di boicottaggio che invita medici, farmacisti, pazienti e istituzioni ad astenersi dalla prescrizione, dall’acquisto e dalla rivendita dei suoi prodotti.

L’Argentina non si è stancata del liberismo: Milei vince le elezioni di metà mandato

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«Oggi è una giornata storica»: così il presidente argentino Javier Milei ha celebrato la sorprendente vittoria alle elezioni legislative di metà mandato di ieri, domenica 26 ottobre. Con la promessa all’elettorato di proseguire con le riforme economiche intraprese, ha inoltre annunciato che l’Argentina avrà il parlamento «più riformista della storia». Si votava per rinnovare circa la metà dei seggi della Camera dei Deputati e un terzo di quelli del Senato: il partito di Milei, La Libertad Avanza (LLA), ha ottenuto quasi il 41% dei voti e ha vinto nelle sei più grandi province del Paese, tra cui quella di Buenos Aires, dove aveva subito una pesante sconfitta nelle elezioni provinciali del 7 settembre scorso. La principale forza di opposizione, la coalizione peronista di centrosinistra, si è fermata al 31%. L’affluenza è stata del 67,85%, un dato record dal ritorno della democrazia nel 1983, che conferma un calo della partecipazione degli elettori. La vittoria, che ribalta tutti i pronostici, è stata celebrata sui social dal presidente statunitense Donald Trump, che è intervenuto direttamente nella campagna elettorale con un piano di aiuti all’economia argentina e ha più volte minacciato di interromperlo nel caso in cui il suo alleato Milei fosse uscito sconfitto dalle urne.

L’Argentina, invece di archiviare la stagione delle ricette ultraliberiste, sembra volerla rilanciare, come se il dolore economico fosse solo un effetto collaterale necessario della “cura Milei”. Una cura che molti economisti definiscono “tossica”, ma che l’elettorato ha deciso di confermare, scommettendo ancora una volta sul presidente argentino, nonostante il calo di popolarità. Alcuni scandali, infatti, lo hanno coinvolto personalmente, a partire dal caso del meme-coin “Libra”, una cripto-moneta che Milei aveva promosso sui social, poi tracollata in borsa rovinando centinaia di investitori. Negli ultimi sei mesi, era sembrato che La Libertad Avanza dovesse ridimensionare i suoi obiettivi in queste elezioni, abbandonando le speranze di cambiare radicalmente la situazione in parlamento, controllato dalle opposizioni. Nell’ultimo comizio che si è tenuto giovedì nella città di Rosario, Milei già non brandiva più l’iconica motosega e ha chiamato gli elettori a «non arrendersi» e a «cambiare l’Argentina sul serio», promettendo per la seconda parte del mandato «le riforme di cui il Paese ha bisogno».

Dietro la narrazione trionfalista, l’Argentina resta un Paese lacerato. Dal suo insediamento nel dicembre 2023, Javier Milei ha promesso una “rivoluzione libertaria” fondata su drastici tagli allo Stato, deregolamentazione e più potere al mercato. Con il decreto urgente 70/2023 ha smantellato numerose leggi sociali e liberalizzato settori strategici come affitti, sanità, commercio estero e ambiente. In pochi mesi, l’inflazione – pur ridottasi rispetto ai picchi del 2023 – ha continuato a erodere i redditi, mentre i salari pubblici sono stati congelati e le sovvenzioni energetiche cancellate. Il deficit ha superato i tre miliardi di dollari nel secondo trimestre del 2025, aggravando la crisi sociale. Le classi medie si sono impoverite, i ceti popolari sono precipitati nella precarietà e le proteste sono tornate a moltiplicarsi nelle strade di Buenos Aires e nelle province. In questo scenario, gli Stati Uniti sono intervenuti con una linea di credito da 20 miliardi di dollari per sostenere le riserve della banca centrale argentina, un salvataggio politico che somiglia a un guinzaglio: l’Argentina, ancora una volta, si ritrova legata agli interessi geopolitici e finanziari degli Stati Uniti, che non regalano denaro, ma comprano influenza. Il prestito prevede nuove privatizzazioni, ulteriori tagli e un’apertura ancora più ampia al capitale straniero, accentuando la dipendenza del Paese da interessi esterni e riducendo la sua autonomia politica. L’appoggio plateale di Donald Trump alla campagna di Milei, culminato in un endorsement entusiasta, è il segnale più chiaro di questa convergenza: due populismi, due volti dello stesso capitalismo selvaggio.

Eppure, molti argentini hanno visto in Milei l’unico uomo disposto a “fare piazza pulita”. Il linguaggio della rottura, della rabbia contro “la casta”, ha funzionato meglio di qualsiasi programma economico. Le sue comparsate in televisione, i discorsi infuocati, il richiamo all’ordine e alla libertà assoluta hanno sedotto un elettorato esasperato, disposto a sacrificare persino le tutele sociali pur di punire il sistema politico tradizionale. Oggi, l’Argentina si risveglia con un governo più forte e un popolo più fragile. Milei può vantarsi di aver vinto la battaglia politica, ma la guerra economica è tutt’altro che conclusa: la sua “motosega” non ha tagliato gli sprechi, ha tagliato semmai il tessuto sociale. Dietro i sorrisi delle piazze e i tweet di congratulazioni americani, si intravede una nazione che rischia di essere svenduta a pezzi, tra shock economico e dipendenza estera. La sua vittoria non è la prova che l’Argentina crede nel neoliberismo: è la prova che non riesce più a immaginare un’alternativa. Milei potrà contare ora su un Parlamento più favorevole, ma il suo programma resta divisivo e incerto nei risultati. Il prezzo della fedeltà dell’Argentina al liberismo rischia di essere altissimo: un Paese più disciplinato nei conti, ma più diseguale, più vulnerabile e meno sovrano. E finché la libertà verrà confusa con la legge del più forte, la motosega continuerà a ronzare, scavando solchi sempre più profondi tra chi ha tutto e chi non ha più nulla.

Elezioni in Camerun: almeno 4 morti nelle proteste contro il governo

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A Douala, in Camerun, almeno quattro persone sono morte durante le proteste scoppiate prima dell’annuncio ufficiale dei risultati delle elezioni presidenziali del 12 ottobre. I dati provvisori indicano la vittoria del presidente uscente Paul Biya, al potere dal 1982 e ora verso l’ottavo mandato. Le manifestazioni, guidate dai sostenitori dell’oppositore Issa Tchiroma Bakary, denunciano brogli e mancanza di trasparenza. Nonostante il divieto del governo, centinaia di persone sono scese in piazza in varie città. A Douala si sono verificati violenti scontri con la polizia, che ha usato lacrimogeni e idranti. Le autorità affermano che i manifestanti hanno attaccato gli agenti.

Il PD dell’Emilia-Romagna è l’essenza stessa del “greenwashing”

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A inizio anno, sugli autobus di Reggio Emilia, è comparsa una scritta: «Questo servizio compensa CO2». La firma è di TIL, l’azienda che gestisce il trasporto pubblico locale e che fornisce navette e minibus per stazione, ospedale e scuole del territorio. Tutti mezzi che viaggiano ancora a diesel o benzina e che, inevitabilmente, inquinano. In che senso, allora, compensano CO2? La risposta sta nei cosiddetti “crediti di sostenibilità”, quote che TIL acquista dal Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano. In pratica, l’azienda versa una somma di denaro per “appropriarsi” virtualmente di una parte dell’aria pulita prodotta dagli alberi del parco. Ogni credito corrisponde a una tonnellata di CO2 equivalente prodotta dai propri mezzi e che, secondo i calcoli, verrebbe poi assorbita dalla foresta. Il progetto è partito nel 2023 e i dati più recenti parlano di oltre 30 aziende aderenti: dal trasporto pubblico alla produzione di macchinari agricoli, dalla distribuzione di gas alla cosmesi, fino alla ristorazione. Tutte hanno pagato per acquistare qualcosa che la natura offre da sempre, gratuitamente, a tutti: aria pulita. Per alcuni si tratta di un’iniziativa virtuosa, che permette alle imprese di compensare almeno in parte il proprio impatto ambientale. Per altri, è un’operazione di facciata che consente di sbandierare una presunta “neutralità climatica” senza modificare in alcun modo i processi produttivi o le fonti di inquinamento; insomma, un caso da manuale di greenwashing. Piccolo caso di studio di quello che per il PD in Emilia-Romagna appare un modo di procedere più che consolidato. 

Sempre più cemento, nel rispetto dell’ambiente

In foto: Stefano Bonaccini, ex presidente della Regione Emilia-Romagna

Continuare a inquinare mentre si sbandiera a ogni occasione il rispetto per l’ambiente. Non lo fanno solo le aziende, ma anche la politica e l’Emilia-Romagna sembra particolarmente abile in questo gioco. Un’abilità portata avanti soprattutto da chi governa il territorio da decenni: il Partito Democratico. Un primo esempio è la legge urbanistica regionale approvata dalla giunta Bonaccini nel 2017. Presentata come il provvedimento che avrebbe «bloccato definitivamente il consumo di suolo e la cementificazione», avrebbe dovuto favorire la riqualificazione di quartieri e aree dismesse. Solo pochi mesi fa, in un comunicato ufficiale della Regione, è stata definita «una normativa che sta dando risultati concreti». La realtà raccontata dai dati, però, è ben diversa. Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), in Emilia-Romagna il consumo di suolo non si è mai fermato: la regione è ancora al secondo posto in Italia per superficie cementificata ogni anno. La costruzione intensiva e il taglio degli alberi lungo le sponde dei fiumi sono stati inoltre indicati come una delle cause principali della devastante alluvione che ha colpito la Romagna nel 2023 e degli allagamenti nell’entroterra emiliano l’anno successivo. «Nemmeno le quattro alluvioni che hanno colpito la nostra regione sembrano averci insegnato qualcosa – ha dichiarato Legambiente – visto che sono ancora previste nuove strade, autostrade, poli logistici, ipermercati… Chiediamo alla Regione un cambio di rotta deciso». Nonostante questi dati, l’attuale presidente della Regione, Michele de Pascale – che da sindaco di Ravenna ha detenuto il record regionale di consumo di suolo – ha già annunciato l’intenzione di introdurre nuove deroghe alle costruzioni, per non rallentare la corsa di quella che il suo predecessore definiva «la locomotiva d’Italia».

Alberi in vaso alberi abbattuti 

Anche il PD di Bologna sembra aver fatto propria l’arte del greenwashing. Mentre in città nascono comitati che si oppongono all’abbattimento di alberi nei parchi pubblici per fare spazio a nuove costruzioni – come nel caso delle scuole Besta o dei giardini di San Leonardo – a luglio 2025 l’amministrazione comunale ha deciso di collocare in sette piazze del centro storico 110 alberelli in vaso. Si tratta di arbusti di dimensioni ridotte, poco più di quattro metri di altezza e con una chioma di pochi centimetri, che nelle intenzioni del Comune dovrebbero contribuire a mitigare le ondate di calore estive. Una strategia sulla quale gli esperti hanno parecchie riserve, senza contare il fatto che si teme per la salute degli stessi alberi, esposti al caldo torrido del centro città e senza possibilità alcuna di espandere le proprie radici: figurine verdi messe sotto l’occhio delle telecamere, mentre nelle zone meno osservate della città si continua ad abbattere a tutto spiano.

Sempre a Bologna è in corso una protesta dei cittadini del quartiere Bertallia-Lazzaretto, periferia nord-ovest della città, una zona stretta tra la ferrovia e l’aeroporto dove, negli ultimi anni, è comparsa un’area verde inaspettata: un bosco spontaneo cresciuto su una vecchia cava, chiusa e bonificata anni fa. Un ecosistema ormai maturo, popolato da acacie, ailanti, pioppi e querce. Un polmone verde che assorbe l’acqua, filtra l’aria, favorisce la biodiversità e mitiga, questa volta sul serio, l’effetto “isola di calore”.

Il Comune però ha deciso che anche qui deve nascere una zona residenziale e si appresta ad abbattere buona parte dell’area. Di fronte alle proteste dei cittadini anche in questo caso l’amministrazione Dem si è affrettata a dare una verniciata “green” al progetto. Le parole pronunciate dalla vicesindaca Emily Clancy in difesa di una nuova colata di cemento fanno ricorso alla più classica retorica istituzionale: «Questa visione – ha spiegato in consiglio comunale – si traduce in un progetto paesaggistico che amplia e qualifica le superfici verdi, rafforza la continuità ecologica fra i comparti, contribuisce alla costruzione di una rete verde interconnessa e integra in modo virtuoso il verde pubblico con gli spazi abitativi, favorendo un equilibrio tra natura e insediamento urbano». 

«Noi vogliamo che venga fatta chiarezza su cosa si intenda per “verde” e su come si valuta il valore ecologico di un ecosistema esistente – ha risposto Licia Podda, biologa che fa parte del comitato per la salvaguardia di Bertallia-Lazzaretto -. Un bosco rinaturalizzato, cresciuto spontaneamente nel tempo, non può essere considerato equivalente a un prato piantumato o a una fila di alberelli decorativi. Serve trasparenza, aggiornamento dei dati ambientali e soprattutto un confronto reale con chi quel territorio lo vive ogni giorno».

Il greenwashing anche sulla sabbia

Il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad

Spostandoci in Romagna possiamo trovare un’altra amministrazione comunale, sempre a guida PD, alle prese con un altro caso di greenwashing. A Rimini il consiglio comunale ha appena approvato il nuovo Piano per l’Arenile. Il progetto prevede un aumento del 37% delle spiagge libere, con l’obiettivo dichiarato di migliorare l’accessibilità e la qualità ambientale della zona. Tuttavia, dietro questa facciata ecologica si celano concessioni importanti che aprono la strada a una massiccia espansione delle strutture balneari, che potranno svilupparsi per una lunghezza di 250 metri e costruire aree per lo sport e ristoranti con terrazzi vista mare. Ma non solo: tra le novità più controverse c’è la possibilità di realizzare maxi piscine fino a 300 metri quadrati direttamente sulla spiaggia. Da una parte quindi si cede un po’ di spazio alla sabbia, libera da lettini e ombrelloni, mentre dall’altro si permette agli stabilimenti di aumentare significativamente le proprie superfici costruite, trasformando di fatto la spiaggia in un vero e proprio spazio urbanizzato. In questo scenario, la costruzione di piscine e infrastrutture diventa una strategia per “compensare” la perdita di superficie sabbiosa, offrendo nuovi servizi per attrarre visitatori e sostenere l’economia locale sempre più masochisticamente legata al turismo. «Questo piano proietterà la spiaggia nel futuro», ha dichiarato il sindaco Jamil Sadegholvaad. Un futuro fatto, ancora una volta, di cemento. Cemento dove parcheggiare le macchine, cemento dove sedersi a mangiare, cemento dove giocare a padel, cemento da riempire d’acqua per fare il bagno, visto che il mare non basta più – e, soprattutto, non si paga.

Ed è proprio qui che il cerchio del greenwashing si chiude. Dalla CO2 “compensata” con crediti di sostenibilità, ai boschi sacrificati in nome di “reti verdi” disegnate a tavolino, fino alle spiagge urbanizzate mascherate da progetti di riqualificazione, il filo conduttore è lo stesso: raccontare di stare proteggendo l’ambiente mentre lo si consuma, un po’ alla volta. Un trucco ben confezionato, fatto di slogan, piani strategici e conferenze stampa, che promette sostenibilità ma consegna cemento. 

USA e Cina trovano accordo per evitare nuovi dazi

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Gli Stati Uniti e la Cina hanno raggiunto un accordo che frena l’imposizione di nuovi dazi fino al 100% sulle merci cinesi, mentre la Cina rinvierà di un anno l’entrata in vigore dei controlli sulle esportazioni di terre rare. Nel contempo, è stato incluso nel quadro un’intesa specifica su TikTok: la Cina accetta di facilitare una ristrutturazione della piattaforma, mentre gli USA rinunciano per ora a nuove misure tariffarie drastiche. I dettagli dell’accordo per la vendita dell’app sarebbero stati definiti e la firma finale potrebbe arrivare durante il vertice APEC. L’accordo segna una temporanea de-escalation nella guerra commerciale tra le due superpotenze, aprendo la strada all’incontro tra il presidente USA Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping.

Irlanda, alle presidenziali vince la candidata pro-Palestina e contro la NATO

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Ha criticato duramente la NATO, ha votato contro i trattati dell’UE, ha condannato Israele per la guerra a Gaza parlando apertamente di genocidio, ha promesso di difendere la neutralità militare del suo Paese. Con questi punti del suo programma, Catherine Connolly, 68 anni, ex sindaco della città occidentale di Galway, è stata eletta presidente dell’Irlanda. Nel silenzio pesante della bassa affluenza elettorale, Connolly, ha conseguito una vittoria netta nelle presidenziali irlandesi, imponendosi con circa il 63% dei voti, contro il 29,5% della sfidante Heather Humphreys. La candidata indipendente di sinistra, che negli ultimi nove anni ha ricoperto il ruolo di deputata socialista dell’opposizione nel parlamento irlandese, ha raccolto il sostegno compatto delle forze progressiste e dei partiti a sinistra del Labour, grazie a una campagna che ha avuto come temi centrali la denuncia delle politiche militari occidentali e un forte impegno a sostegno del popolo palestinese. Il risultato segna una rottura rispetto alle precedenti candidature dell’establishment e invia un segnale nitido al governo di Dublino: l’elettorato guarda altrove, premia il coraggio e la divergenza su tematiche calde e chiede una voce che non si limiti all’ordinaria rappresentanza.

Proveniente da un quartiere popolare di Galway e con un passato da avvocata e psicologa clinica, Connolly ha costruito la sua carriera prima nel partito laburista, poi come indipendente, fino a diventare deputata dal 2016 e nel 2020 è stata eletta vicepresidente della Dáil Éireann, la camera bassa dell’Oireachtas (Parlamento) della Repubblica d’Irlanda. Il suo successo elettorale è stato favorito da un’inedita alleanza trasversale delle forze di sinistra, tra cui Sinn Féin, che hanno deciso di concentrare il sostegno su di lei. Contestualmente, la campagna della candidata ha puntato con forza sui temi critici della crisi abitativa, del costo della vita e della disillusione verso i grandi partiti governativi. Sul piano delle idee, Connolly ha fatto della difesa della neutralità nazionale e della critica delle politiche militari occidentali il cuore della sua proposta. Ha ripetutamente denunciato l’espansione della NATO a est e la militarizzazione europea in seguito dell’Operazione Speciale, sostenendo che l’Irlanda non debba allinearsi automaticamente alle logiche dei blocchi. Le sue posizioni hanno sollevato polemiche per il rischio di alienarsi gli alleati dell’Irlanda e, in particolare, ha dovuto affrontare le domande dei suoi sostenitori durante un evento elettorale in un pub di Dublino, dopo aver paragonato gli attuali piani della Germania per aumentare la spesa per la difesa alla militarizzazione nazista degli anni Trenta. Nonostante le critiche, è rimasta ferma nella sua opposizione ai piani dell’UE per il programma ReArm Europe, che prevede un aumento della spesa per il riarmo di 800 miliardi di euro e ha precisato di voler tutelare la tradizione irlandese di neutralità militare, di fronte alle richieste di un maggiore contributo del Paese alla difesa europea. Durante la sua campagna elettorale, ha affermato che dovrebbe essere indetto un referendum sul piano governativo per rimuovere il “triple lock“, un sistema a tre componenti che regola le condizioni per l’impiego di soldati irlandesi in missioni internazionali. La procedura richiede l’approvazione delle Nazioni Unite, la decisione del governo e un voto del Dáil.

Sul fronte geopolitico, Connolly ha assunto una posizione decisa sulla questione palestinese, condannando le operazioni israeliane nella Striscia di Gaza e parlando apertamente di «genocidio». A settembre è stata criticata per aver definito Hamas «parte integrante del tessuto del popolo palestinese» e per aver difeso il diritto dell’organizzazione politica e militare a svolgere un ruolo futuro in uno Stato palestinese. Questa posizione ha suscitato la disapprovazione del Primo Ministro Micheál Martin, leader del Fianna Fáil, e del Ministro degli Esteri Simon Harris, leader del Fine Gael, l’altro partito del governo di centro-destra irlandese. Martin l’ha criticata per essere apparsa riluttante a condannare le azioni del gruppo militante nell’attacco del 7 ottobre 2023 contro Israele. In seguito, Connolly ha aggiustato il tiro, dichiarando di aver «condannato totalmente» le azioni di Hamas, ma non si è tirata indietro nel continuare a criticare i crimini di Israele nella Striscia di Gaza. Nel dibattito presidenziale finale trasmesso in televisione martedì scorso, è stato chiesto a Connolly come avrebbe trattato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump – che possiede un resort di golf in Irlanda e ha intenzione di visitarlo quando ospiterà l’Irish Open l’anno prossimo – in una eventuale visita del tycoon nel Paese e se fosse pronta a sfidarlo in prima persona in merito al sostegno degli Stati Uniti a Israele nella guerra a Gaza. «Il genocidio è stato reso possibile e finanziato dal denaro americano», ha esordito Connolly, che si è detta disponibile a incontrare il presidente USA e a confrontarsi con lui su questi temi.

Lo stile schietto di Connolly e il suo messaggio di uguaglianza sociale e inclusività hanno conquistato molti, soprattutto i giovani elettori. Nei dibattiti presidenziali trasmessi in televisione, ha affermato che rispetterà i limiti del suo incarico, sebbene nel suo discorso di accettazione abbia anche affermato che avrebbe parlato “quando necessario” come presidente. La carica presidenziale in Irlanda, sebbene prevalentemente simbolica, ricopre un ruolo di rappresentanza nazionale e internazionale e può incidere nei contenuti del dibattito pubblico. In questo caso, la scelta popolare rivela una Repubblica che vuole affermare un’identità autonoma, che valorizzi pluralismo, diversità e impegno di pace, in direzione opposta a una Europa che sembra aver intrapreso la strada della guerra permanente. Le sfide immediate per la nuova presidente comprendono la gestione della coesione sociale in un Paese attraversato da tensioni su immigrazione, casa e riconciliazione nord-sud, oltre all’ipotesi di tenere un referendum sul sistema del triple lock. Con la vittoria di Connolly, l’Irlanda recupera la propria vocazione storica alla neutralità, proiettandosi sulla scena internazionale come voce autonoma e critica nei confronti dell’ordine globale, decisa a rivendicare un modello politico fondato sulla sovranità, la pace e la solidarietà tra i popoli.

Attacco di droni ucraini su Mosca, sospesi i voli negli aeroporti

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Nella notte, decine di droni ucraini hanno colpito la regione di Mosca, secondo quanto riferito dal sindaco Sergey Sobyanin. Le difese aeree russe avrebbero abbattuto circa 30 velivoli, mentre gli aeroporti di Domodedovo e Zhukovsky hanno sospeso temporaneamente le operazioni per motivi di sicurezza. Esplosioni sono state segnalate in diverse zone della capitale e nei sobborghi, e un incendio sarebbe divampato in un deposito di petrolio a Serpukhov. Non si registrano vittime.

In Italia i nidi di tartarughe marine registrano un nuovo record

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Nel 2025 l’Italia ha registrato oltre 700 nidi di tartarughe marine Caretta caretta, il massimo storico secondo il progetto europeo LIFE Turtlenest coordinato da Legambiente. In due anni la nidificazione è cresciuta del 60%, con Sicilia (oltre 220 nidi), Calabria (180) e Campania (114) in testa. Il progetto, che coinvolge partner in Italia, Spagna e Francia, punta alla conservazione e al monitoraggio della specie. Si segnala inoltre l’arrivo di nuove femmine nidificanti. Legambiente chiede ora una tutela legale stabile per le spiagge di riproduzione.
Il numero di nuovi nidi è in crescita costa...

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