mercoledì 26 Novembre 2025
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Oltre 2 miliardi di semi conservati in 25 anni: il successo della banca dei semi più grande del mondo

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Millennium Seed Bank

Nella contea del Sussex, a sud dell’Inghilterra, si trova un caveau capace di resistere a incendi, inondazioni e persino a catastrofi globali. Non custodisce oro né opere d’arte, ma qualcosa di altrettanto prezioso: la biodiversità del pianeta. È la Millennium Seed Bank, la più grande banca di semi del mondo, che dal 2000 ad oggi ha raccolto e conservato oltre 2,5 miliardi di semi di circa 40.000 specie selvatiche, provenienti da ogni angolo della Terra.
Le raccolte partono da luoghi remoti, Madagascar, Thailandia, fino all’Artico svedese, dove botanici e ricercatori individuano piante autocto...

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Il governo italiano si è schierato con Israele per diffamare Francesca Albanese all’ONU

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«Il rapporto presentato oggi dalla Relatrice Specialle Albanese è del tutto privo di credibilità e imparzialità. Come Italia, non siamo sorpresi». Sono queste le parole con cui il rappresentante permanente per l’Italia all’ONU, Maurizio Massari, ha iniziato il suo discorso al Palazzo di Vetro di New York, in occasione della presentazione dell’ultimo rapporto della Relatrice Speciale per la Palestina Francesca Albanese. Il rapporto, dal titolo “Il genocidio a Gaza: un crimine collettivo”, denuncia la complicità degli Stati nel genocidio perpetrato da Israele sul popolo palestinese; in prima fila nella lista dei Paesi complici dei crimini israeliani, c’è proprio l’Italia. Massari ha criticato aspramente Albanese facendo eco all’intervento dell’omologo israeliano Danny Danon che ha definito la Relatrice una «strega fallita e malvagia». Le autorità italiane, insomma, confermano la loro linea nei confronti della Relatrice, già oggetto di sanzioni da parte degli Stati Uniti per le quali il governo ha preferito non esprimersi.

L’intervento di Maurizio Massari è arrivato in occasione della presentazione del rapporto di Francesca Albanese presso la sede delle Nazioni Unite di New York. Massari ha criticato Albanese giudicando il suo documento «parziale e poco credibile». Il motivo per cui – secondo Massari – mancherebbe di imparzialità non è dato saperlo, come ha affermato egli stesso: «Di fronte a un documento poco credibile, soprattutto sul piano dell’imparzialità, abbiamo scelto di non commentare la relazione. Non lo faremo nemmeno oggi». Nel suo intervento, Massari ha fatto allusione alle varie teorie sulla Relatrice che circolano online, senza menzionarne nessuna in maniera diretta; Albanese, secondo queste teorie, sarebbe finanziata da Hamas, tesi che non è mai stata supportata da nessuna prova. Il rappresentante italiano, inoltre, ha citato un recente caso di cronaca, in cui la Relatrice Speciale «sembrava addirittura mettere in dubbio la dichiarazione del sindaco locale che chiedeva il rilascio degli ostaggi israeliani».

In questo ultimo passaggio, Massari si riferiva alla cerimonia tenutasi a Reggio Emilia lo scorso 1° ottobre, in cui il sindaco della città ha consegnato alla Relatrice il primo tricolore, massima onorificenza cittadina. Durante il suo discorso, il primo cittadino si è augurato che «la fine del genocidio e la liberazione degli ostaggi siano condizioni necessarie per avviare un processo di pace», scatenando l’indignazione dei presenti. Albanese è intervenuta poco dopo, affermando che non dovrebbero esistere “condizioni necessarie” per avviare il processo di pace, e «perdonando» il sindaco per le sue parole; si è successivamente scusata per i modi con cui ha espresso la propria posizione, reiterando comunque il concetto. Albanese, insomma, non ha messo in discussione il rilascio degli ostaggi israeliani, ma affermato che Israele avrebbe dovuto smettere di massacrare i palestinesi a prescindere dalla questione degli ostaggi e che a rientrare a casa dovrebbero essere tutti gli ostaggi, israeliani e palestinesi.

Il discorso di Massari è seguito a quello di Danon, ben più piccato nei toni: l’ambasciatore israeliano ha accusato Albanese di provare a «maledire» Israele con «falsità e libelli», fallendo in ogni suo tentativo. Ha poi proseguito con l’analogia della stregoneria: «Signora Albanese, Lei è una strega; e questo rapporto è un’altra pagina del suo grimorio. Ha provato a maledire Israele con menzogne e odio, ma il Suo veleno ha fallito: ogni pagina di questo rapporto è una vuota magia; ogni accusa è una stregoneria inefficace, perché Lei è una strega fallita». Danon ha affermato che quelli che egli identifica con tentativi di affossare Israele da parte di Albanese sarebbero tutti finiti per ritorcerlesi contro: «Il 3 luglio ha chiesto sanzioni contro aziende di tutto il mondo, alcune tra le quali grandi imprese statunitensi; sei giorni dopo è stata sanzionata Lei».

Su quest’ultimo punto, Danon non ha tutti i torti: gli Stati – specialmente quelli del cosiddetto “blocco Occidentale” – hanno provato in ogni modo a divincolarsi dalle richieste di Albanese e a evitare di prendere contromisure nei confronti di Israele; la Relatrice, di contro, è stata sanzionata dagli Stati Uniti, che hanno preso una serie di misure che – come ha spiegato ella stessa – stanno avendo pesanti ripercussioni sul suo lavoro come esperta delle Nazioni Unite. In questo, la posizione espressa da Massari non si discosta dalla linea che il governo italiano ha assunto nei confronti della Relatrice: dopo l’emanazione delle sanzioni da parte degli USA, ha infatti sorvolato l’argomento, affermando – come sostiene il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani – che l’Italia non potrebbe fare niente, perché le sanzioni «non sono contro una cittadina italiana in quanto cittadina italiana» e sono unilaterali. Per assurdo, le stesse ragioni per cui Tajani sostiene che l’Italia non può fare nulla contro le sanzioni sono quelle per cui dovrebbe muoversi: le sanzioni ad Albanese violano infatti l’immunità funzionale della giurista garantita dall’incarico che ricopre.

Raid israeliano nel sud del Libano: ucciso un impiegato municipale

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Le truppe israeliane hanno effettuato un’incursione nella città di Blida, nel Libano del Sud, uccidendo un impiegato municipale. I media libanesi riportano che il raid è avvenuto nella notte, quando le truppe israeliane sono entrate nel Paese accompagnate da droni e veicoli blindati, prendendo d’assalto l’edificio del municipio. Il presidente del Paese, Joseph Aoun, ha condannato l’attacco israeliano, incaricando il comandante dell’esercito libanese di contrastare attivamente le incursioni israeliane nel Libano meridionale. Nelle ultime settimane, Israele sta intensificando i propri attacchi nel Libano del sud, dove, tuttavia, è in vigore un cessate il fuoco dallo scorso novembre.

Bill Gates fa retromarcia sul clima: “troppi sforzi nella riduzione delle emissioni”

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«Sebbene il cambiamento climatico abbia gravi conseguenze, in particolare per le popolazioni dei Paesi più poveri, non porterà all’estinzione dell’umanità». Dopo aver promosso tecnologie pulite e finanziato startup per l’idrogeno e per la decarbonizzazione, Bill Gates – che solo quattro anni fa aveva pubblicato un libro dal titolo Clima. Come evitare un disastroridimensiona l’emergenza climatica: la priorità non sarebbe più la drastica riduzione delle emissioni, ma il miglioramento delle condizioni umane nei Paesi più poveri. La sua svolta sul clima più che un cambio di visione somiglia a un adattamento strategico, che sposta il dibattito sul terreno che domina, quello della tecnologia privata e dell’innovazione finanziata dal capitale. Così, Gates rafforza la propria influenza globale e, attenuando l’allarmismo, punta ad accreditarsi come mediatore ideale, tra pragmatismo politico e sostenibilità economica nell’era Trump.

In un lungo articolo su Gates Notes, il fondatore di Microsoft invoca la retromarcia: «C’è una visione apocalittica del cambiamento climatico che recita così: “Tra pochi decenni, un cambiamento climatico catastrofico decimerà la civiltà. Le prove sono ovunque: basta guardare le ondate di calore e le tempeste causate dall’aumento delle temperature globali. Nulla è più importante che limitare l’aumento della temperatura”. Fortunatamente per tutti noi, questa visione è sbagliata». Negli ultimi anni, Gates ha costruito un impero verde, orientando parte delle sue risorse verso startup e fondi che puntano a innovazioni “green”. I suoi investimenti spaziano da soluzioni per l’accumulo di energia, al nucleare di nuova generazione, passando per l’idrogeno e altre tecnologie pulite. La sua iniziativa Breakthrough Energy è diventata veicolo finanziario per tecnologie fotovoltaiche, nucleari di nuova generazione e idrogeno pulito, mentre la startup Koloma sostenuta da Gates ha raccolto 245,7 milioni di dollari per la trivellazione di idrogeno «bianco», estratto da giacimenti naturali, con lo scopo dichiarato di ridurre le emissioni di CO₂.

Oggi, il filantrocapitalista più famoso al mondo imbocca la strada contraria e se la prende con gli allarmisti del clima – che lui stesso aveva ispirato – mettendo in discussione anche il metodo principale adottato per invertire la rotta del surriscaldamento globale: tagliare le emissioni di CO2. Nel novembre prossimo, alla conferenza internazionale sul clima COP30, Gates esorta a un «pivot strategico»: non più solo tagli delle emissioni, ma adattamento, rafforzamento dei sistemi sanitari, accesso all’elettricità pulita e alleviamento della povertà. Gates non nega la crisi climatica, ma ne ridimensiona la portata e accusa le istituzioni internazionali – «spinte da ricchi azionisti» – di aver imposto una guerra ai combustibili fossili che ha peggiorato le condizioni di vita nei Paesi poveri. La temperatura globale «non è il modo migliore per misurare i nostri progressi» e il successo climatico, scrive, si valuta dall’impatto sul benessere umano più che sulla colonnina di mercurio. Un cambio di paradigma che riecheggia la tesi del libro False alarm dell’economista Bjørn Lomborg, secondo cui «L’allarmismo ci rende difficile pensare in modo intelligente a soluzioni climatiche efficaci» e «sposta l’attenzione da altri problemi globali altrettanto importanti».

La solta di Gates arriva in perfetta corrispondenza con il riallineamento dell’élite capitalistica all’era di Donald Trump, una inversione di 180 gradi già compiuta anche dalle big tech statunitensi.

Il “nuovo realismo climatico” di Bill Gates rivela la consueta logica del filantrocapitalismo, quella fusione di profitto e altruismo di facciata che, come spiega Linsey McGoey in No Such Thing as a Free Gift, trasforma la filosofia del dono in un investimento e in uno strumento di pressione. La Gates Foundation, tra i maggiori finanziatori dell’OMS, influenza le agende pubbliche globali, senza rispondere a criteri democratici. Lo stesso schema si ripete su green: miliardi investiti in startup e brevetti producono rendimenti e controllo tecnologico più che un vero e proprio progresso ambientale. McGoey parla di «vincere il paradiso economicamente»: apparire benefattori sul palcoscenico mediatico, mentre si consolidano posizioni dominanti. La svolta climatica di Gates serve così ad allinearsi al nuovo corso energetico, in modo da tutelare i suoi stessi interessi industriali, mantenendo influenza politica e vantaggi economici.

Elezioni in Olanda: risultati sul filo tra nazionalisti e centro-sinistra liberale

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Tra ieri sera e oggi, in Olanda, è successo di tutto: le elezioni più al cardiopalma della storia di un paese, dove per decenni il processo elettorale è stato una corsa tra i soliti due o tre partiti, si sono concluse senza che si definisse nulla. Per tutta la notte, i Paesi Bassi sono tornati a essere un partner rispettato dall’establishment europeo, grazie alla vittoria del D66, il partito pro-UE per eccellenza. Non solo ha compiuto una rimonta clamorosa, passando da 9 a 26 seggi, ma ha anche imposto l’agenda al mondo progressista, fermando la sinistra rosso-verde ad appena 20 seggi.

A mezzanotte, quando lo spoglio era appena iniziato, il leader Rob Jetten, 38 anni, volto pulito e incaricato di cancellare due anni di governo di estrema destra, parlava già da premier, mentre gli opinionisti ipotizzavano le possibili coalizioni: liberali più sinistra e liberal-conservatori? Oppure centristi che guardano a destra, con il redivivo partito cristiano democratico CDA che ha quadruplicato i voti, con l’aggiunta dell’estrema destra “presentabile” di JA21, che ha fatto un vero boom passando da 1 a 9 seggi?

Poi, all’alba, con le prime proiezioni, tutto è cambiato: rilevare con precisione il PVV è da sempre un’impresa. Per ora i due partiti finiscono quasi pari: D66 e PVV potrebbero ricevere 26 seggi ciascuno, separati da pochi voti di differenza. Al momento, Wilders ha 1.984 voti in più. Chi ha vinto, insomma?

Il partito con più voti potrà recarsi dal sovrano per ottenere l’incarico di formare il governo, ma probabilmente il risultato definitivo non sarà noto prima di lunedì. Devono ancora essere scrutinate alcune sezioni del voto estero, mancano centinaia di voti da Amsterdam e Almere, e problemi tecnici – compreso un incendio in un seggio – rendono impossibile fornire una risposta immediata.

Inoltre, è necessario distinguere tra piano tecnico e piano politico. Seguendo la legge, se il PVV rimanesse il primo partito, Wilders potrà recarsi dal re per reclamare il diritto di formare la prossima coalizione. Sul piano politico, però, la situazione è diversa: contro il PVV è stato sollevato un vero “cordone sanitario” dopo che il partito aveva fatto cadere il governo. Non si tratta di un accordo formale come in Belgio, dove l’estrema destra è esclusa dagli esecutivi, ma di fatto nessun partito è disposto a entrare in coalizione con Wilders.

Con l’eccezione di alcune formazioni estreme, che complessivamente contano 45-50 seggi su 150, a Wilders manca il cosiddetto “partner junior”: un partito di medie dimensioni che affianchi il vincitore. Il parlamento disegnato dal risultato delle urne, infatti, è composto da cinque partiti di medie dimensioni, ciascuno con meno di 25 seggi, troppo pochi per evitare la necessità di una grande coalizione e senza alcun reale alleato per Wilders. A quel punto, la scelta ricadrebbe sul secondo e la formazione di Jetten non solo può già contare su diverse combinazioni possibili ma il partito liberal-progressista ha una lunga esperienza di governo. Rob Jetten si è mostrato molto più freddo e politico di Sigrid Kaag, la sua predecessora, con una vita all’ONU e un forte idealismo per la causa palestinese e i migranti. Jetten non ha posto paletti, dichiarandosi favorevole a qualche forma di limitazione dell’immigrazione, e ha scelto i temi più gettonati: a destra (stop ai migranti) e a sinistra (case popolari e affitti per la fascia media), unendo a tutto ciò una posizione europeista senza compromessi e un atteggiamento militarista convinto.

Le tensioni sociali del momento, a quanto pare, hanno aperto ampi spazi per i partiti centristi e per proposte pragmatiche e non ideologiche: in un sistema rigidamente proporzionale come quello olandese, quello di ieri si è delineato come un referendum di fatto su Wilders. E il ruolo di antagonista, vista la scarsa incisività di Pvda-GL, lista unica laburisti-verdi con appena 20 seggi e un leader ormai consumato come Timmermans – e della destra liberale VVD, con la successora di Mark Rutte, Dilan Yeşilgöz-Zegerius, poco convincente,   è toccato  a un politico giovane, moderno e pragmatico. Rob Jetten si propone come un nuovo Mark Rutte: liberale, ragionevole e cinico al punto giusto da abbracciare una sorta di nazionalismo – prima vero tabù per il D66 – e da ammorbidire anche quei pochi principi su cui il partito, membro di Renew Europe al Parlamento Europeo, non aveva mai fatto passi indietro, come le porte aperte a migranti e richiedenti asilo.

La BCE ha mantenuto invariati i tassi di interesse

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La Banca Centrale Europea ha mantenuto invariati i tassi di interesse per la terza volta di fila dopo otto riduzioni consecutive. I tassi di interesse sui depositi presso la banca centrale, sulle operazioni di rifinanziamento principali e sulle operazioni di rifinanziamento marginale rimarranno fissi al 2,00%, 2,15% e 2,40%, si legge in un comunicato della BCE. La notizia arriva il giorno dopo l’annuncio Federal Reserve degli Stati Uniti, l’omologo istituto finanziario della BCE negli USA, che ha tagliato i tassi statunitensi di 25 punti base.

Camerun in rivolta: migliaia nelle strade, la polizia arresta e uccide

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Il 27 ottobre il Consiglio Costituzionale del Camerun ha annunciato i risultati definitivi delle elezioni presidenziali, che hanno decretato il 92enne e presidente del Camerun dal 1982 Paul Biya, ancora una volta vincitore delle elezioni con il 53,6% dei voti. Il risultato, dall’esito quasi scontato, ha scatenato la rabbia dei cittadini camerunensi che, già prima dell’annuncio ufficiale, si sono riversati nelle piazze delle principali città per denunciare i brogli e contestare il governo del vecchissimo presidente. La risposta delle forze di polizia nei confronti dei manifestanti è stata spietata: lacrimogeni ad altezza d’uomo, proiettili di gomma, ma anche proiettili veri. Un bilancio conclusivo degli effetti della repressione non è possibile ma, secondo quanto riportato dal movimento Stand up for Cameroon, sarebbero almeno 23 i dimostranti uccisi dagli agenti.

Secondo il governo le vittime erano tra i manifestanti che hanno attaccato una brigata di gendarmeria e stazioni di polizia in due distretti. Ma la repressione del Governo era già in atto, prima del fine settimana, con il divieto di assembramento e l’inizio di arresti arbitrari, fino al fermo di venerdì sera di Anicet Ekane e Djeukam Tchameni, due figure di spicco della piattaforma politica dell’Unione per il Cambiamento che ha appoggiato il candidato Issa Tchiroma Bakary. Nelle settimane precedenti sono stati diversi gli arresti tra chi protestava contro la rielezione di Biya. A dirlo è lo stesso Ministro per l’Amministrazione Territoriale, Paul Atanga Nji, che ha dichiarato sabato ai giornalisti che il governo ha arrestato diverse persone perché sospettate di aver pianificato attacchi violenti con il pretesto delle proteste, senza però dare ulteriori informazioni. Dopo la riconferma di Biya annunciata lunedì, il nuovo e vecchio Presidente ha dichiarato su X che «i miei primi pensieri vanno a tutti coloro che hanno perso la vita inutilmente, così come alle loro famiglie, a causa della violenza post-elettorale».

Parole che, se pronunciate da un quarantennale dittatore, sembrano più lacrime di coccodrillo. In sette mandati presidenziali la costante è stata la repressione nei confronti del dissenso e l’uso della violenza come risoluzione dei problemi. Ne è un esempio il modo in cui viene affrontata una delle questioni più importanti del Camerun e cioè la situazione delle minoranze anglofone del nordovest e sudovest.

Una questione che ha le radici nel periodo coloniale, durante il quale, dopo la Prima Guerra Mondiale, il Camerun fu diviso tra francesi e inglesi. Raggiunta l’indipendenza nel 1960, l’anno successivo venne instaurata la Repubblica Federale del Camerun. Fino al 1972 le differenze e le spinte secessioniste non si fecero sentire, anche perché fu lasciata un discreta autonomia alle minoranze anglofone, ma tutto cambiò quando vennero scoperti diversi giacimenti di petrolio proprio al largo delle coste camerunensi. Dopo che un referendum aveva abolito la Repubblica Federale per concentrare i poteri nel governo centrale la pressione e la discriminazione sulle minoranze anglofone iniziò a farsi sentire come mai prima. Così, dal 2016 si combatte una sanguinosa guerra tra i gruppi secessionisti anglofoni e le Forze Armate Camerunensi. In questi anni la repressione delle forze governative ha portato a migliaia di morti, centinaia di villaggi rasi al suolo e più di un milione di sfollati.

L’ esercito è accusato di esecuzioni extragiudiziali, arresti arbitrari, sparizioni, prigionia illegale, tortura, nonché distruzione di case, scuole e centri sanitari. Su questa questione e sulla guerra aperta ai gruppi jihadisti nel nord est del Paese, sulle sponde del lago Ciad, si è giocata molta della campagna elettorale. Ma sia da una parte che dall’altra Biya nei suoi più di 40 anni di governo non ha trovato soluzioni se non repressive e di censura, un punto che ha spinto in piazza la giovane popolazione del Camerun, che vede l’età media dei suoi cittadini attestarsi a 24 anni, non più rappresentata da un presidente 68 anni più vecchio. Come se non bastasse, il 37% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il 23% in povertà assoluta. I camerunensi lamentano una corruzione dilagante e una gestione clientelare delle importanti e redditizie risorse del Paese, come petrolio e cacao, affiancate a un tasso di disoccupazione anche al 13,7% tra i giovani delle grandi città.

Issa Tchiroma Bakary, insieme alla maggior parte dei candidati perdenti hanno denunciato elezioni fraudolente e rigettato il risultato elettorale. Il governo però ha negato le accuse definendole «infondate e provocatorie» e dichiarando che più di 5.000 osservatori internazionali e nazionali hanno monitorato le elezioni. Se da una parte l’Unione Europea, tramite un suo portavoce, si dice «profondamente preoccupata della violenta repressione delle piazze», dall’altra accetta senza riserve il risultato elettorale. L’Unione Africana (UA)  invece, per voce del Presidente della Commissione, Mahmoud Ali Youssouf, si congratula con Biya, mentre gli osservatori dell’UA hanno affermato che le elezioni sono state «condotte in larga parte in conformità con gli standard regionali, continentali e internazionali». 

Ad oggi, la tensione rimane elevata. Le strade riprendono lentamente una certa normalità, ma l’atmosfera resta carica di sfiducia. Le forze di sicurezza continuano a pattugliare i punti-critici mentre i giovani delusi da decenni di governo unico chiedono un cambiamento. Questo ottavo mandato del 92enne Biya dovrà rispondere alle istanze di un futuro possibile per i giovani. Se questo non succederà, le proteste appena iniziate potrebbero segnare solo l’anticamera di rivolte generalizzate.

Benetton: dalla moda all’impero internazionale tra scandali e disastri

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Dietro la patina colorata del loro marchio di moda, la saga dei fratelli Benetton è segnata da una lunga scia di vicende oscure. I quattro fondatori - Luciano, Gilberto, Giuliana e Carlo - hanno nel tempo costruito un vastissimo impero finanziario che spazia dalla moda alla ristorazione e alla gestione delle infrastrutture stradali. Eppure, questa parabola ascendente è costellata di scandali di portata internazionale, come il crollo del ponte Morandi, la morte di più di 1.000 persone in un sito di produzione in Bangladesh e la pluridecennale controversia con il popolo Mapuche per il vastissimo...

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Il Senato approva in via definitiva la separazione delle carriere

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Il Senato ha approvato in via definitiva la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere nella magistratura, completando il quarto e ultimo passaggio parlamentare. La premier Giorgia Meloni ha definito il provvedimento «un traguardo storico» e «un passo verso un sistema più efficiente e vicino ai cittadini», annunciando che ora la parola passerà al referendum confermativo. In Aula tensioni e proteste da parte di Pd, M5s e Avs, che hanno esposto cartelli “No ai pieni poteri”. Scontro acceso anche durante l’intervento del senatore M5s Roberto Scarpinato, contestato dai banchi di Forza Italia.

3I/ATLAS: cometa rara o astronave aliena?

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3IATLAS cometa interstellare astronave aliena

Una cometa molto particolare sta attirando le attenzioni di scienziati, astronomi e curiosi più in generale. Soprannominata 3I/ATLAS e scoperta per la prima volta nel luglio del 2025 è una cometa interstellare, formatasi cioè al di là del nostro sistema solare, che ieri è passata nel punto più vicino alla Terra della sua traiettoria, a una distanza di 1,8 unità astronomiche. Per scienziati ed esperti non si tratta solo di un bello spettacolo, visto che il passaggio “ravvicinato” – parliamo di 167 milioni di miglia, quasi il doppio della distanza dalla terra dal sole – dovrebbe permettere un’osservazione e uno studio approfondito di quella che è considerata la terza cometa interstellare ad oggi scoperta. A differenza dei corpi celesti che orbitano intorno al sole con cicli più o meno regolari, la 3I/ATLAS, con la orbita iperbolica, passerà solo una volta nel nostro sistema solare per non tornare mai più. Ecco perché per scienziati ed osservatori l’occasione è di quelle da non farsi scappare.

Intanto però, la sua grandezza e la sua natura differente dalle comete che solitamente solcano i nostri cieli, stanno dando adito alle interpretazioni più disparate. Diverse testate italiane hanno diffuso la notizia che la NASA avrebbe attivato il protocollo di difesa planetaria, ma non c’è niente di vero. Molto più semplicemente è accaduto che l’International Asteroid Warning Network (IAWN), ente coordinato dalla NASA, ha organizzato una campagna di osservazione, descritta come l’ottava campagna osservativa dell’ente dal 2017. «Sebbene non rappresenti una minaccia, la cometa 3I/ATLAS rappresenta una grande opportunità per la comunità IAWN di effettuare un’esercitazione osservativa, grazie alla sua prolungata osservabilità dalla Terra e al suo elevato interesse per la comunità scientifica», scrivono infatti sul loro sito. E specificano che la campagna inizierà il 27 novembre 2025 per terminare il 27 gennaio 2026, invitando la “comunità osservativa” a partecipare e organizzando un workshop sulle tecniche per misurare correttamente l’astrometria cometaria. «Le comete presentano sfide uniche per misurazioni astrometriche accurate e previsioni orbitali», spiegano sottolineando che: «I corpi cometari sono dotati di caratteristiche morfologiche (chiome e code) che possono sistematicamente distogliere le misurazioni del centroide dal picco di luminosità centrale, il che rappresenta una sfida per la stima delle traiettorie delle comete».

Ma ci sono anche importanti scienziati che la pensano diversamente, arrivando a ipotizzare che non si tratti di una cometa, bensì di un’astronave aliena. Avi Loeb ha pubblicato un paper su arXiv.org, una piattaforma online di preprint, cioè di versioni preliminari o non ancora pubblicate ufficialmente di articoli scientifici creata nel 1991 dalla Cornell University, dal titolo inequivocabile: “L’oggetto interstellare 3I/ATLAS è una tecnologia aliena?”. Nell’articolo lo scienziato arriva a scrivere che «questo oggetto potrebbe essere tecnologico e potenzialmente ostile». La teoria viene presentata nel paper come «un esercizio pedagogico». Mentre in un articolo pubblicato su Medium scrive che lo studio: «Si basa su un’ipotesi notevole ma verificabile, secondo cui 3I/ATLAS è un artefatto tecnologico funzionante, a cui io e i miei due coautori non aderiamo necessariamente. Tuttavia, questa ipotesi merita un’analisi scientifica». Il fatto è che Avi Loeb non è uno scienziato qualsiasi, ma è il direttore dell’Institute for Theory and Computation all’interno dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, nonché il fondatore del progetto Galileo, un’iniziativa scientifica internazionale nata nel 2021 all’Università di Harvard con l’obiettivo di ricercare prove fisiche di tecnologia extraterrestre.

E anche Michiu Kaku, professore di fisica teorica al City College of New York e divulgatore scientifico, sembra propendere per questa ipotesi, come sottolineato in un’intervista rilasciata a Newsmax. «C’è una divisione nella comunità astronomica, con la maggioranza che dice che questo clamore non è giustificato, perché si tratta solo di una roccia che proviene dallo spazio profondo, e attraverserà il nostro sistema solare per la prima volta. Ma c’è anche chi dice che potrebbe trattarsi di un visitatore intelligente proveniente da un altro sistema solare».