giovedì 20 Novembre 2025
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Dopo anni di separatismo a Cipro nord vince l’idea di convivenza coi greco-ciprioti

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È raro vedere una capitale europea con una folla in piazza a festeggiare i risultati delle elezioni presidenziali, mentre a poche centinaia di metri di distanza, nell’altra metà della città, regna il silenzio e la quiete di una domenica sera qualsiasi. Nicosia, a Cipro, è l’ultima capitale divisa d’Europa, e qui la scena assume un significato particolare: nella centralissima Zahara Street, a due passi dalla zona smilitarizzata dell’ONU che da 51 anni separa le due comunità dell’isola, la folla festante di domenica scorsa, 19 ottobre, era turco-cipriota e si trovava, di fatto, in un altro Paese. La Repubblica Turca di Cipro del Nord, che domenica scorsa ha tenuto le elezioni presidenziali, non è riconosciuta dalla comunità internazionale: il governo ufficiale, quello del Sud, parla greco e ignora le attività dello Stato secessionista. Eppure, al di là della linea di cessate il fuoco tracciata oltre mezzo secolo fa, i meccanismi democratici sembrano funzionare: il candidato di centro-sinistra Tufan Erhürman, europeista e favorevole a una federazione con i greco-ciprioti, ha ottenuto un clamoroso 63% dei voti, sconfiggendo il rivale uscente, il nazionalista Ersin Tatar, vicino ad Ankara.

«Kıbrıs’ta AKP sandığa gömüldü» , «L’AKP seppellita nell’urna», rimbalza sui social turco-ciprioti dall’annuncio del risultato. L’AKP, partito di Erdoğan, non corre sull’isola, ma molti hanno vissuto il voto come un referendum tra restare ciprioti o avviarsi verso una futura, quasi inevitabile, assimilazione alla Turchia.

Ma soprattutto, è sembrata l’ultima possibilità di sbloccare quell’impasse che tiene l’isola ferma al 21 luglio 1974, quando un colpo di Stato orchestrato dai colonnelli greci per realizzare l’enosis – l’annessione alla “madre patria” – si concluse con l’invasione dell’esercito turco e l’occupazione del 37% del territorio. Da allora, molto è cambiato, ma non la divisione.

La convivenza tra le due comunità, come l’avevano immaginata gli ex colonizzatori britannici, durò appena tre anni; poi, dal 1963 al 1974 Cipro divenne una polveriera, dilaniata da scontri interetnici, enclavi, persone scomparse, fosse comuni e dall’intervento dei caschi blu dell’ONU. La maggioranza greco-cipriota, oltre l’80% della popolazione, non era disposta a condividere equamente il potere con la minoranza turcofona, circa il 20%.

Dopo l’invasione, i turco-ciprioti proclamarono la secessione. Nel 1983 nacque una seconda Cipro: uno Stato non riconosciuto, isolato dall’embargo e sostenuto solo da Ankara. Da allora, la storia dell’isola è rimasta sospesa in un’infinita discussione su come ricomporre la convivenza. Per trent’anni i cittadini delle due comunità poterono incontrarsi solo all’estero: sull’isola, i 158 chilometri di “buffer zone” dell’ONU restavano invalicabili.

Nel 2004 i greco-ciprioti sono entrati nell’Unione Europea; anche i turco-ciprioti, formalmente, ma la loro terra non riconosciuta no. Ora aperta al mondo ma ancora formalmente isolata. Inclusi solo sulla carta, vivono nel limbo delle dispute territoriali, sotto la presenza, o l’occupazione, a seconda dei punti di vista – dell’esercito turco. Stranieri in patria anche nella parte che amministrano.

Il voto di domenica ha scosso l’idea stessa di secessione: nessuno , dice lo tsunami elettorale per la “soluzione a due stati”, crede davvero che una repubblica grande meno del Molise, disseminato di basi militari, possa offrire un futuro a qualcuno. Nel Nord circola la lira turca, oggi crollata a 50 per un euro, e i cittadini turchi si muovono liberamente. L’economia, fondata su turismo, casinò, criptovalute e cemento, è al collasso; chi può emigra o cerca opportunità nella Cipro europea, dove però i greco-ciprioti li accolgono con diffidenza. Concittadini, ma sempre con le dovute distanze.

Non tutti, però, possono attraversare la Linea Verde controllata dall’ONU: né i cittadini turchi né i loro discendenti nati a Cipro dopo il 1974. Il destino dei 250.000 coloni anatolici, ormai pari ai turco-ciprioti, è il muro contro cui si sono infranti più volte i negoziati di pace: i greco-ciprioti non vogliono i coloni dentro casa e, d’altronde, alla terza generazione, è anche difficile immaginare espulsioni di massa. Resta il fatto che l’isola è troppo piccola per due Stati, ma lo scambio forzato di popolazioni – che fece di centinaia di migliaia di persone dei profughi – ha creato un labirinto di rivendicazioni e rancori tramandati di generazione in generazione.

Oggi, a Nord della Linea Verde, si festeggia la fine della presidenza Tatar e un possibile riavvicinamento all’Europa, ma pochi sanno come questo potrà realizzarsi.
Tra i turco-ciprioti, noti per la loro laicità, circola un detto: «In moschea si va solo per i funerali». Il velo è bandito dalla vita pubblica; l’alcol, i matrimoni civili, l’accettazione della comunità LGBT+ e la parità tra uomo e donna sono punti fermi di una società che si considera profondamente secolare.

Eppure  la crescente ingerenza di Ankara – che vede Cipro come un avamposto strategico nel Mediterraneo e una spina nel fianco di Bruxelles – sta facendo oscillare il secolarismo del nord e lascia segni evidenti, non solo nella cultura: un palazzo presidenziale faraonico e moschee sorte ovunque sono testimonianze del prezzo che i turco-ciprioti hanno pagato negli ultimi anni. Insieme alla pessima reputazione di “buco nero” del diritto e forziere dei capitali opachi di mezzo mondo.

Russi, cinesi, iraniani e persino israeliani investono in questo spicchio di Mediterraneo dove quasi tutto è possibile, fuori dai radar della comunità internazionale e delle istituzioni europee. Intanto, un numero indefinito di falsi studenti africani, ingannati con la promessa di un facile ingresso in Europa, finisce intrappolato nel circuito della schiavitù moderna: nei campi, nei cantieri o nei tanti sex club che punteggiano l’autostrada verso Guzelyurt (Morphou, come la chiamavano i greco-ciprioti).

Molti a Nord non amano i 30.000 soldati turchi di stanza sull’isola, ma hanno ancora viva la memoria degli scontri interetnici; e oggi, quella protezione dai nazionalisti greco-ciprioti presenta un conto salato che non tutti sembrano più disposti a pagare.

Starbucks, al centro del boicottaggio contro Israele, costretta a chiudere 200 negozi

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Sembra che il boicottaggio contro le aziende che appoggiano o finanziano Israele stia producendo i risultati sperati, almeno considerando le prestazioni delle grandi multinazionali finite nel mirino per il loro sostegno allo Stato ebraico, tra cui la nota catena statunitense di caffetterie Starbucks. L’azienda ha, infatti, annunciato che quest’anno chiuderà 200 punti vendita e taglierà oltre 900 posti di lavoro non legati alla vendita al dettaglio. La decisione si inserisce nel piano “Back to Starbucks” dell’amministratore delegato Brian Niccol per risollevare l’attività dopo un anno difficile. La catena statunitense non ha citato come motivazioni della chiusura di diversi punti vendita il boicottaggio legato alla questione palestinese da parte dei consumatori. Tuttavia, da diverso tempo l’azienda è finita nella bufera, al punto che negli USA alcune “celebrità” sono state attaccate da ondate di commenti critici sui social per essere state viste con il caffè Starbucks in mano.

A ben guardare, Starbucks non è una di quelle aziende che finanzia direttamente la distruzione di Gaza e non ha nemmeno filiali in Israele dal 2003. Inoltre, in una dichiarazione del 2014, l’azienda aveva apertamente dissipato le voci secondo cui l’amministrazione, insieme al fondatore Howard Schultz, contribuirebbe finanziariamente al governo israeliano o al suo esercito. La compagnia, però, è finita nel mirino degli attivisti a favore della Palestina e, in generale, di coloro che sono attenti alla situazione in Medio Oriente, in seguito al fatto che l’azienda ha rimosso un post del sindacato Starbucks Workers United su Twitter/X che esprimeva solidarietà al popolo palestinese. Successivamente, l’azienda ha intentato causa al sindacato per violazione del marchio, dichiarando la sua neutralità e cercando così di non perdere clienti né da una parte né dall’altra. Una mossa che non è piaciuta agli attivisti e che li ha portati a inserire la catena di caffetterie nella lista di aziende da boicottare, stilata dalla rete BDS.

In una dichiarazione, l’amministratore delegato della società, Niccol, ha affermato che l’azienda ha rivisto il proprio portafoglio di punti vendita e chiuderà quelli che non soddisfano le aspettative dei clienti o non mostrano un percorso verso la redditività. Inoltre, Starbucks eliminerà anche una serie di posizioni aperte non ancora ricoperte, insieme agli attuali 900 posti di lavoro non al dettaglio, in quella che Niccol definisce una «decisione difficile». Sebbene la dirigenza non parli apertamente di boicottaggio della catena, già nel 2023, successivamente a scioperi e a varie manifestazioni che si erano svolte contro Starbucks per la questione palestinese, le azioni della società erano scese di oltre il 7%, secondo un articolo della BBC. In una lettera al personale, il precedente amministratore delegato, Laxman Narasimhan, aveva scritto che «Le città di tutto il mondo, incluso il Nord America, hanno assistito a un’escalation di proteste. Molti dei nostri negozi hanno subito episodi di vandalismo. Vediamo manifestanti influenzati dalla falsa rappresentazione sui social media di ciò in cui crediamo».

A coordinare la campagna di boicottaggio contro le aziende che sostengono Israele è la Rete BDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), così temuta da Tel Aviv da accusare i suoi coordinatori di terrorismo. Tra le altre aziende inserite nella lista del boicottaggio compaiono anche Carrefour, McDonald’s, Domino’s Pizza, Pizza Hut e Papa John, HP, Puma e ESTÉE LAUDER. Il crollo delle azioni e delle vendite di alcuni di questi colossi dimostra che il boicottaggio è uno strumento efficace per sostenere la Palestina e mettere in difficoltà Israele: già lo scorso anno il direttore finanziario di McDonald’s, Ian Border, aveva infatti avvisato che le vendite del gruppo sarebbero diminuite a causa degli avvenimenti in Palestina. In seguito alle sue dichiarazioni, nel marzo 2024 le azioni della compagnia erano crollate del 3,9% perdendo quasi 7 miliardi di dollari in un giorno, mentre già a febbraio il gigante degli hamburger aveva riportato un calo significativo di vendite nella sua divisione commerciale internazionale. Un’altra azienda che ha subito gravi conseguenze per la campagna di boicottaggio lanciata da BDS è la catena di supermercati Carrefour. La multinazionale, infatti, aveva stretto una serie di partenariati strategici con Israele, aperto filiali negli insediamenti illegali e sostenuto attivamente l’esercito israeliano durante l’assedio della Striscia di Gaza. Quest’anno, dopo anni di vendite in calo, il gruppo francese ha ceduto la sua rete di 1.188 punti vendita alla società italiana NewPrinces Group, in un’operazione da un miliardo di euro.

Le attività di boicottaggio stanno, dunque, producendo l’effetto per cui sono state pensate anche e soprattutto nei confronti dei colossi multinazionali, segno che si tratta effettivamente di uno dei modi più diretti e efficaci da parte dei cittadini per aiutare la Palestina e ostacolare le aziende legate in modi diversi a Israele. Anche Starbucks, pur non dichiarandolo esplicitamente, potrebbe avere subito le conseguenze di questa campagna a favore del popolo palestinese.

Belgio frena sul prestito all’Ucraina con asset russi

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Il presidente del Consiglio europeo ha registrato la forte opposizione del primo ministro belga Bart De Wever al piano che prevede un prestito di 140 miliardi di euro all’Ucraina finanzato con beni russi congelati. De Wever ha chiesto garanzie complete sul rischio finanziario e ha sollevato preoccupazioni su possibili ritorsioni da parte di Russia qualora i beni vengano sequestrati, sostenendo che il Belgio non intende assumersi l’onere da solo. Al termine del vertice, i leader dell’UE hanno lasciato il tema in sospeso, affidando alla Commissione europea l’incarico di elaborare “opzioni” e rinviando una decisione definitiva al prossimo incontro di dicembre.

Belgorod, Ucraina attacca con oltre 130 droni: danni e feriti

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L’esercito ucraino ha colpito insediamenti nella regione di Belgorod con oltre 130 droni in un’unica giornata, secondo il comando operativo della regione, citato dalla Tass. A Belgorod città sono stati lanciati 31 droni — 23 abbattuti — con 11 civili feriti, tra cui due minorenni; l’attacco a una fermata dell’autobus ha causato 10 feriti accertati. Nel distretto di Belgorodskij 47 droni (35 distrutti) hanno ferito 9 persone, compreso un dodicenne. Altri attacchi hanno interessato i distretti di Borisovskij, Volokonskij, Valuysky, Shebekinsky, Graivoronsky e Krasnoyaruzhsky, provocando danni a case, auto, aziende e infrastrutture; in alcuni casi i sistemi di difesa hanno neutralizzato numerosi velivoli.

La polizia di Londra inizia a pattugliare la città coi droni

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La Metropolitan Police di Londra ha recentemente avviato la fase pilota del progetto “Drone as First Responder”, un’iniziativa volta a potenziare l’efficacia, la rapidità e l’accuratezza degli interventi di emergenza grazie all’impiego di droni. Questi velivoli, lanciati da remoto, sono progettati per raggiungere in pochi minuti le aree interessate, trasmettendo in tempo reale immagini video agli agenti in arrivo e raccogliendo registrazioni utili all’identificazione di eventuali sospetti. L’obiettivo è anticipare le tempistiche della risposta operativa, fornendo agli agenti dispiegati sul campo una visione immediata e dettagliata della situazione e, al contempo, creare un archivio visivo che possa supportare le loro indagini.

Il comunicato diffuso ieri dalla MET rivela che la sperimentazione è partita nel quartiere londinese di Islington, dove i droni sono alloggiati in apposite postazioni di ricarica sui tetti degli uffici di polizia, pronti a essere lanciati in risposta alle chiamate al numero di emergenza. Una volta in volo, i velivoli trasmettono immagini in tempo reale al centro operativo e agli agenti diretti sulla scena, con l’obiettivo di fornire una presenza sul campo entro due minuti. Il flusso video ricevuto viene dunque utilizzato per orientare le decisioni operative, indirizzare l’allocazione delle risorse e acquisire prove in condizioni in cui il contesto può evolvere rapidamente.

Il vantaggio dichiarato rispetto all’uso tradizionale degli elicotteri consiste in costi inferiori, funzionamento più discreto, maggiore flessibilità operativa e impatto complessivo ridotto pur garantendo capacità analoghe di sorveglianza e raccolta di informazioni. Il progetto, condotto nell’ambito dell’iniziativa nazionale del National Police Chiefs’ Council (NPCC), punta a estendersi entro la fine dell’anno anche al West End e a Hyde Park. La MET precisa inoltre che in passato i droni venivano impiegati solo su richiesta e in operazioni programmate, mentre con il modello Drone as First Responder (DFR) diventano invece risorse “a chiamata”, attivabili in pochi secondi e normalizzate nel dispiegamento operativo.

Da un lato l’esperimento promette di ridurre sensibilmente i tempi di intervento, dall’altro solleva questioni complesse relative alla normativa sull’uso dello spazio aereo urbano, alla tutela della privacy dei cittadini e ai meccanismi di controllo sull’impiego e la conservazione di dati visivi sensibili. Le autorità locali e i partner del pilota dovranno dunque definire con cura limiti operativi, criteri di attivazione e sistemi di supervisione per evitare che l’innovazione tecnologica comprometta diritti fondamentali Un’attenzione che, recentemente, non sembra rientrare nelle priorità del governo britannico.

Sotto la guida di Keir Starmer, il Regno Unito ha annunciato lo scorso 29 settembre l’introduzione di un’identità digitale gratuita e obbligatoria che tutti i lavoratori dovranno adottare entro la fine della legislatura. La misura è stata presentata come strumento per contrastare l’immigrazione irregolare e rafforzare la sicurezza dei confini. Accessibile tramite l’app “gov.uk Wallet”, il sistema consentirà di verificare rapidamente l’identità e lo status legale delle persone e di semplificare l’accesso ai servizi pubblici. La proposta ha però suscitato aspre critiche da parte di gruppi per i diritti civili, dell’opposizione e di segmenti dell’opinione pubblica, i quali denunciano rischi di deriva autoritaria, violazioni della privacy e possibili discriminazioni nei confronti delle fasce più vulnerabili della popolazione.

Contraffazione, nel 2025 in Italia sequestrati 527 milioni di beni

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Tra il 1° gennaio e il 30 settembre 2025 la Guardia di finanza ha effettuato circa 9.000 interventi contro la contraffazione, sequestrando quasi 527 milioni di beni e denunciando 3.344 responsabili, presentati oggi a Bari in occasione della “Giornata della lotta alla contraffazione per gli studenti” organizzata dal MIMIT e dal Ministero dell’Istruzione. Nel dettaglio: 48 milioni di prodotti contraffatti sequestrati e 2.600 denunciati; 542 interventi a tutela del Made in Italy con 28 milioni di articoli falsamente etichettati e 90 segnalati all’Autorità giudiziaria; 3.696 controlli sulla sicurezza con oltre 450 milioni di articoli non conformi e 580 denunciati; 1.609 violazioni contestate a consumatori, sanzionabili fino a 7.000 euro.

L’impero invisibile: radici e ascesa della famiglia Rockefeller

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1975, April 28 – Oval Office – The White House – Washington, DC – Gerald R. Ford, Rockefeller, Kissinger – standing near desk – Prior to Walking to Roosevelt Room for National Security Council Meeting to Discuss the Situation in South Vietnam

Poche dinastie hanno modellato il panorama economico, politico e sociale mondiale con la stessa forza e discrezione della famiglia Rockefeller. La loro storia non è solo la cronaca di un successo finanziario, ma la parabola di come un’ambizione implacabile, nata dalle umili radici del Rhineland tedesco, abbia dato vita al più grande monopolio industriale della storia e, successivamente, a un’influenza globale che perdura ancora oggi. Tutto ebbe inizio con John Davison Rockefeller Sr e la creazione della Standard Oil Company. Questo gigante, che arrivò a controllare oltre il 90% dell’industria petrolifera statunitense, divenne il simbolo del potere illimitato nell’età d’oro del capitalismo americano, scatenando al contempo un dibattito feroce su etica e monopolio che portò al suo storico smembramento nel 1911. Ma l’eredità dei Rockefeller non si esaurisce con il petrolio. Dopo aver raggiunto la vetta della ricchezza personale, la famiglia ha saputo orchestrare una seconda, più sottile, ascesa al potere attraverso una filantropia sistematica su scala industriale, la politica e la creazione di influenti circoli elitari. Dalla fondazione dell’Università di Chicago alla “Rivoluzione Verde”, dal Rockefeller Center alla Banca Chase Manhattan, fino al ruolo chiave nel Gruppo Bilderberg e nella Commissione Trilaterale, così come nel lancio di figure come Henry Kissinger, i Rockefeller hanno intrecciato la loro fortuna con le trame del potere mondiale.

Radici e ascesa della famiglia Rockefeller

In foto: il patriarca della dinastia Rockefeller, John Davison Rockefeller Sr.

Le radici della famiglia Rockefeller affondano nel Rhineland, in Germania, da cui Johann Peter Rockefeller emigrò in America intorno al 1723, stabilendosi nella regione dell’attuale Stato della Pennsylvania, allora come oggi abitato da una maggioranza di persone di origine tedesca, la cui capitale è Harrisburg. Il patriarca della dinastia miliardaria fu John Davison Rockefeller Sr., nato l’8 luglio 1839, a Richford, New York. Il suo successo economico iniziò nel 1859, quando entrò nel settore petrolifero con la perforazione del primo pozzo in Pennsylvania. Nel 1870, John D. Rockefeller, insieme al fratello William e ad altri soci chiave come Henry M. Flagler, organizzò e incorporò la Standard Oil Company of Ohio con un capitale di 1 milione di dollari. Il nome “Standard” fu scelto per segnalare ai clienti la qualità costante del loro cherosene raffinato, che eliminava le impurità presenti nei prodotti della concorrenza. Rockefeller dominò l’industria attraverso un’estrema efficienza operativa (integrazione verticale) e tattiche di consolidamento aggressive.

Il monopolio di Standard Oil e la sua scorporazione

Standard Oil ridusse drasticamente i costi operativi controllando la propria produzione di barili, il recupero dei sottoprodotti (come la benzina, che molti scartavano) e la produzione di acido solforico. La mossa più controversa fu la negoziazione di sconti segreti sulle tariffe ferroviarie e sui pagamenti sul petrolio spedito dai suoi concorrenti, in cambio di un elevato volume di spedizioni garantite. Questo forniva a Standard Oil un enorme vantaggio sui costi che i concorrenti non potevano eguagliare. Acquistando i concorrenti in bancarotta o costringendoli a vendere, Standard Oil controllava la raffinazione di circa il 90-95% di tutto il petrolio prodotto negli Stati Uniti entro il 1880. 

La giornalista e scrittrice statunitense Ida Tarbell

Nel 1882, il controllo fu formalizzato con la creazione dello Standard Oil Trust, il primo grande trust aziendale degli Stati Uniti, che governava circa 40 società sotto un unico consiglio di nove fiduciari. Le pratiche di Standard Oil furono oggetto di intense critiche pubbliche, in particolare con la serie di articoli di inchiesta di Ida Tarbell nel 1902. Nel 1911, la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso Standard Oil Co. of New Jersey vs. United States, ordinò lo smembramento della società per violazione dello Sherman Antitrust Act (1890). Dallo scioglimento emersero 34 società separate, tra cui i predecessori diretti di attuali giganti come ExxonMobil e Chevron

Filantropia sistematica e potere politico

John D. Rockefeller Sr., ritiratosi dalla leadership attiva nel 1896 pur restando il maggiore azionista, dedicò la seconda parte della sua vita alla filantropia sistematica. Nel secondo decennio del Novecento divenne il primo miliardario al mondo. Prima della sua morte, nel 1937, Rockefeller Sr. donò in totale 540 milioni di dollari, (cifra non aggiustata per l’inflazione) creando istituzioni che hanno plasmato il mondo moderno. Nel 1890 fondò l’Università di Chicago e nel 1902 il General Education Board, che promosse l’istruzione pubblica nel Sud degli Stati Uniti. Ovviamente, l’istruzione rispecchiava le visioni e i principi capitalistici della famiglia Rockefeller. Nel 1901 Rockefeller Sr. Fondò persino l’Istituto Rockefeller per la Ricerca Medica (oggi Rockefeller University) e fu strumentale nella creazione di scuole di sanità pubblica alla Johns Hopkins University così come ad Harvard. Le sue fondazioni sostennero la ricerca che portò al vaccino per la meningite e la febbre gialla. Sono tantissime le organizzazioni create dalla famiglia Rockefeller in vari settori della vita sociale e politica.

Rockefeller e la “Rivoluzione verde”

La Fondazione Rockefeller, creata nel 1913, è diventata nel tempo un attore globale, promotrice della Rivoluzione Verde e di programmi internazionali per la sanità e lo sviluppo. In alcuni periodi ha distribuito più aiuti esteri dell’intero governo statunitense. 

La rivoluzione messicana del 1910 diede avvio ad una stagione di tumulti in varie parti del mondo, tanto nei Paesi ricchi che in quelli poveri. Le rivendicazioni dei rivoluzionari contadini ebbero il loro apice quando venne eletto Presidente Lazaro Cardenas, il quale, oltre alla nazionalizzazione del settore petrolifero, compresa la compagnia statunitense Standard Oil, avviò un’ampia riforma agraria per rispondere alla fame delle masse povere del Paese: metà della terra coltivabile del Messico venne redistribuita ai contadini. La famiglia Rockefeller, proprietaria di Standard Oil, oltre ad aver subito l’oltraggio della nazionalizzazione, era ossessionata da principi e predizioni malthusiani rispetto a popolazione, cibo e ordine sociale.

Il premio Nobel per la Pace, l’agronomo e ambientalista statunitense Norman Borlaug. È stato definito il padre della ”Rivoluzione Verde”

Così, nel 1941, la Rockefeller Foundation mandò in Messico un giovane botanico di nome Norman Borlaug, futuro premio Nobel per la Pace (1970). La missione di Borlaug era quella di sviluppare specie coltivabili che aumentassero la produttività in modo da diminuire il prezzo del cibo per la popolazione urbana. Fu ciò che diede il via a quella che successivamente sarebbe stata definita come “rivoluzione verde”: applicazione su larga scala di specie vegetali geneticamente modificate (OGM), fertilizzanti, fitofarmaci, pesticidi e nuovi mezzi meccanici. E tante di queste cose andavano a nozze con il settore petrolifero e chimico e con quello delle banche.

Nel tempo, la rivoluzione verde si è espansa in tutto il mondo con l’obiettivo dichiarato della “lotta alla fame”. L’obiettivo non dichiarato era, ed è, quello di mantenere intatto lo status quo, l’ordine socioecologico capitalista. Abbiamo visto gli effetti di questa rivoluzione, specie in Sud America, Africa, Asia così come in India, il cui risultato è stato un aumento vertiginoso dei sucidi di contadini, morti a migliaia negli ultimi quarant’anni.

I successori: arte ma soprattutto banche, politica e circoli elitari

Sulla sinistra Nelson Rockefeller, quattro volte governatore di New York e vicepresidente degli Stati Uniti dal 1974 al 1977. Nella foto è insieme al 39º Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter

Il figlio, John D. Rockefeller Jr., si dedicò a consolidare l’immagine e l’eredità filantropica della famiglia. Costruì il Rockefeller Center a Manhattan (1940) e altri edifici prestigiosi. Sua moglie, Abby Aldrich Rockefeller, fu una delle fondatrici del Museum of Modern Art (MoMA) nel 1929. I figli di John D. Jr., noti come la “generazione dei fratelli” si divisero tra banche, politica e circoli elitari del gota della finanza e dei leader politici dell’Occidentale. Nelson Rockefeller fu quattro volte governatore di New York e vicepresidente degli Stati Uniti (1974-1977). Winthrop Rockefeller fu governatore dell’Arkansas. David Rockefeller Sr. (morto nel 2017) è stato un influente banchiere, presidente e CEO della Chase Manhattan Bank, che la famiglia ha a lungo controllato trasformandola in un’istituzione finanziaria globale. David Rockefeller Sr. è stato anche figura di spicco nella fondazione del Gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale.

Gruppo Bilderberg e Commissione Trilaterale

David Rockefeller Sr. è stato banchiere, presidente e CEO della Chase Manhattan Bank. Inoltre è stato anche figura di spicco nella fondazione del Gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale

Il Bilderberg Group, fondato nel 1954, è una sorta di “NATO economica” o una specie di consiglio d’amministrazione delle oligarchie mondialiste, che incarna lo spirito più estremo del neoliberismo e della globalizzazione. Il Gruppo, nato su iniziativa di David Rockefeller Sr., è nato con l’intento di riunire i leader europei con quelli statunitensi, con l’obiettivo di promuovere l’atlantismo e la cooperazione su questioni politiche, economiche e di difesa. Nella cerchia iniziale fu inserito il politico polacco Józef Retinger, preoccupato per la crescita dell’antiamericanismo nell’Europa occidentale, così come il principe Bernhard dei Paesi Bassi e l’ex primo ministro belga Paul van Zeeland e all’allora capo di Unilever, Paul Rijkens. Fu coinvolto anche Walter Bedell Smith, allora capo della CIA, che chiese al consigliere di Eisenhower, Charles Douglas Jackson, di occuparsi della cosa. Tra gli ex presidenti a capo del comitato direttivo del gruppo troviamo anche Peter Carington, VI barone Carrington, dal 1990 al 1998, il quale era stato Segretario generale della NATO fino a due anni prima. L’ultimo incontro del Gruppo Bilderberg è stato nel giugno di quest’anno a Stoccolma. Tra i partecipanti c’era anche Mark Rutte, attuale segretario generale della NATO. Tra i temi all’ordine del giorno la guerra in Ucraina, l’intelligenza artificiale, la sicurezza nazionale, l’industria della difesa, i minerali strategici e l’economia statunitense.  

David Rockefeller è stato anche ideatore della Commissione Trilaterale, organizzazione fondata nel 1973 per affrontare le sfide poste dalla crescente interdipendenza degli Stati Uniti e dei suoi principali alleati, Europa, Canada e Giappone, al fine di incoraggiare una maggiore cooperazione tra di loro. Insomma, una sorta di Bilderberg allargato a Canada e Giappone. Tra i lavori pubblicati da questa organizzazione è celebre quello del 1975, The Crisis of Democracyscritto da Michel Crozier, Samuel P. Huntington e Joji Watanuki. Il rapporto aveva osservato che i problemi di governance dei Paesi occidentali derivavano “da un eccesso di democrazia” chiedendo dunque azioni “per ripristinare il prestigio e l’autorità delle istituzioni governative centrali”.

Henry Kissinger: un prodotto della famiglia Rockefeller

Henry A. Kissinger nel 1975. In quell’anno, Kissinger era Segretario di Stato (il principale responsabile della politica estera USA) e fino a novembre anche Consigliere per la Sicurezza Nazionale. La carica di Segretario di Stato la mantenne dal 22 settembre 1973 al 20 gennaio 1977, sotto i presidenti Richard Nixon e Gerald Ford.

Per capire la profondità del potere politico della famiglia Rockefeller, talvolta nascosto, è utile e necessario parlare di un altro personaggio che ha avuto un’influenza e un potere non indifferente per lungo tempo: Henry Kissinger. Quest’ultimo incontrò per la prima volta David Rockefeller nel 1955, mentre era un insegnante ad Harvard. L’anno successivo, David presentò Kissinger ai suoi fratelli, i quali lo misero a capo del progetto di studi speciali del Rockefeller Brothers Fund, una delle fondazioni della famiglia. Nel 1957, per Kissinger si apre la porta del Bilderberg, quando David lo invitò alla conferenza di St. Simons Island, Georgia, USA. Il fratello maggiore di David Rockefeller, Nelson, prese allora Kissinger come suo stretto collaboratore.

Nella sua carriera politica, Nelson Rockefeller è stato assistente segretario di Stato per gli affari della Repubblica americana per i presidenti Franklin D. Roosevelt e Harry S. Truman (1944-1945), e come sottosegretario alla salute, all’istruzione e al benessere (HEW) sotto Dwight D. Eisenhower dal 1953 al 1954. È stato eletto per la prima volta governatore di New York nel 1958 ed è stato rieletto nel 1962, 1966 e 1970. Kissinger ha lavorato alle sue campagne per la nomination presidenziale repubblicana nel 1960, 1964 e 1968. Richard Nixon – due volte avversario di Rockefeller nelle primarie repubblicane – una volta eletto presidente degli Stati Uniti, scelse Kissinger prima come consigliere per la Sicurezza Nazionale (1969-1975) poi come segretario di Stato (1973-1977). Kissinger fu poi confermato da Gerald Ford dopo lo scandalo Watergate che obbligò Nixon a dimettersi nel 1974. Una volta che Ford divenne presidente scelse Nelson Rockefeller come suo vice-presidente.

Kissinger era di nuovo al Bilderberg nel 1964 e poi nel 1971, prima di essere finalmente cooptato dal Gruppo nel 1977, poche settimane dopo aver lasciato l’incarico di Segretario di Stato USA. Da allora non ha quasi mai mancato una riunione. È stato a lungo membro del comitato direttivo prima di essere inserito nel comitato consultivo del gruppo, una sorta di Bilderberg Hall of Fame. Questo organismo (che adesso non esiste più) ha garantito la coerenza e la continuità strategica dell’organizzazione ed era composto da diverse glorie precedenti del Comitato Direttivo, tra cui David Rockefeller, Giovanni Agnelli (allora presidente del gruppo FIAT), Henry J. Heinz II (allora CEO dell’H.J. Heinz Company) e William Bundy (alto funzionario della CIA, ex consigliere presidenziale, sottosegretario di Stato ed editore della rivista Foreign Affairs). 

Nel 1982, Henry Kissinger ha fondato la sua società di consulenza a New York, la Kissinger & Associates. Tra le personalità che Kissinger ha cooptato nel corso degli anni come partner di Kissinger Associates ci sono i tre ex presidenti del Gruppo Bilderberg fino ad allora: Barone Carrington (ex Segretario Generale della NATO), Barone Roll de Ipsden e Etienne Davignon: tutti con ruoli apicali nell’azienda di Kissinger. La società, durante la sua attività, ha consigliato aziende come American Express, Anheuser-Busch, Coca-Cola, Daewoo, Midland Bank, H. J. Heinz, ITT Corporation, LM Ericsson, Fiat e Volvo.

Inoltre, attraverso le sue parole, i suoi scritti e le sue azioni, Henry Kissinger ha formato generazioni di diplomatici, politici e strateghi di ogni tipo. Come professore universitario ha influenzato persone come Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum (WEF), il quale ha ammesso più volte di aver consultato regolarmente il suo “amico e mentore” Kissinger, e di essersi a lui ispirato. Kissinger ha partecipato regolarmente al WEF a partire dal 1980 fino all’anno prima della sua morte.

Nel corso della sua lunga vita, Kissinger ha fornito consulenze a diversi organismi del governo federale (National Security Council, Council on Foreign Relations, RAND Corporation, Arms Control and Disarmament Agency, Dipartimento di Stato. Tutto questo lo ha fatto come uomo della famiglia Rockefeller, lanciato da David e Nelson, e a loro rimasto fedele per tutta la vita.

La famiglia Rockefeller oggi

La dinastia Rockefeller, pur non avendo più un singolo membro in cima alle classifiche di ricchezza personale, rimane un nome di influenza duratura. 

Nel 1913, la fortuna di Rockefeller ha raggiunto il picco stimato in quasi un miliardo di dollari (circa 29,3 miliardi di dollari in dollari di oggi). Nel 1934, John D. Rockefeller Jr. istituì fondi irrevocabili per i suoi figli e poi fece lo stesso per i suoi nipoti nel 1952. Questi trust hanno permesso il trasferimento di ricchezza in gran parte esentasse attraverso le generazioni. Ora, la fortuna dei Rockefeller ammonta a poco più di 10 miliardi di dollari ed è divisa tra circa 200 membri della famiglia. Parte della ricchezza della famiglia è gestita anche da Rockefeller Capital Management

Poi ci sono le fondazioni. Molte di queste sono ancora oggi forti. Ad esempio, la Fondazione Rockefeller, il Fondo Rockefeller Brothers e il fondo David Rockefeller hanno una dotazione combinata di oltre 5 miliardi di dollari. Oltre al capitale economico, che rimane comunque di tutto rispetto, dobbiamo considerare il capitale sociale e politico accumulato dalla famiglia Rockefeller in un secolo e mezzo di storia al vertice delle trame statunitensi e mondiali. 

La storia dei Rockefeller è la quintessenza della trasformazione del potere nel capitalismo moderno. Nata dal monopolio spietato della Standard Oil, la dinastia ha saputo convertire la ricchezza in influenza strutturale. La loro filantropia sistematica non è stata un semplice atto di beneficenza, ma un meccanismo per plasmare l’istruzione, la scienza e, soprattutto, l’ordine sociale. L’esempio della “Rivoluzione Verde” ne è la prova più critica: un intervento presentato come lotta alla fame che, in realtà, ha consolidato il potere dei settori petrolifero e finanziario, con gravi conseguenze socio-ecologiche. Infine, attraverso la creazione di circoli elitari come Bilderberg e la Commissione Trilaterale (e il lancio di Henry Kissinger), la famiglia ha esercitato un’autorità discreta ma profonda sulla geopolitica occidentale. Il potere dei Rockefeller non risiede più in un singolo patrimonio, ma nel loro capitale sociale e politico.

Lituania: “jet russi hanno violato lo spazio aereo”. Mosca smentisce

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Nella sera di ieri, mercoledì 23 ottobre, la Lituania ha denunciato una violazione dello spazio aereo da parte della Russia. Ad accusare Mosca è stato il presidente lituano, Gitanas Nausėda, che ha parlato di una «palese violazione del diritto internazionale e dell’integrità territoriale della Lituania» e annunciato che il ministero degli Esteri del Paese avrebbe convocato i rappresentanti dell’ambasciata russa per parlare dell’accaduto. A sconfinare in area lituana sarebbero stati due jet SU-30, per 18 secondi. Nella tarda sera, è arrivata la replica da Mosca: il ministero della Difesa ha affermato che gli aerei stavano conducendo un volo di addestramento nell’exclave russa di Kaliningrad e che non avrebbero sconfinato in territorio lituano.

Bologna: intera palazzina sfrattata con la violenza per far posto ai turisti

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A Bologna gli affittuari degli appartamenti di un’intera palazzina sono stati sfrattati dalle proprie case per fare spazio a un b&b di lusso. È la denuncia della Piattaforma di Intervento sociale PLAT, sindacato metropolitano. L’edificio, spiega il PLAT, è di proprietà di un’impresa privata, che ha recentemente recapitato agli affittuari – da sempre in regola con i pagamenti – una lettera di fine locazione; ieri, giovedì 23 ottobre, continua il sindacato, sono stati effettuati gli sfratti di due tra gli ultimi appartamenti locati – entrambi abitati da famiglie con minori – per i quali è stata mobilitata la celere in tenuta antisommossa e manganelli. Le forze dell’ordine hanno caricato un gruppo di manifestanti radunatisi davanti alla palazzina in presidio solidale, e sono entrate negli appartamenti sfondando porta e pareti: dopo avere abbattuto la porta del primo appartamento con l’ausilio di una squadra di fabbri, hanno aperto un varco verso il secondo buttando giù il muro divisorio a martellate.

Gli sfratti nella palazzina sono stati effettuati da decine di agenti in tenuta antisommossa nella mattina di ieri. L’edificio si trova in Via Michelino 41 ed è, si legge in un post del PLAT, di una «multiproprietà dal fatturato di tre milioni di euro». Gli agenti hanno sfrattato le famiglie «ad appena pochi giorni» dal rinvio dei contratti di locazione, dopo che i proprietari dell’edificio hanno recapitato delle lettere di finita locazione agli affittuari. Sul posto, assieme agli agenti, è arrivata anche una squadra di fabbri: i video che circolano online, postati dallo stesso sindacato, mostrano i fabbri intenti a buttare giù la porta del primo appartamento con piede di porco e flessibile, mentre la famiglia si trovava ancora all’interno dell’alloggio. Mentre i fabbri abbattevano la porta, un individuo – presumibilmente un rappresentante del PLAT – discuteva con un agente fuori dall’appartamento chiedendo l’intervento degli assistenti sociali: «Gli assistenti sociali non possono venire sul posto», ha affermato l’agente, «perché hanno indicazioni che non devono venire».

Una volta abbattuta la porta, un folto gruppo di poliziotti è entrato nell’appartamento, abitato da una famiglia con tre minori, di cui una pare essere una bambina affetta da autismo; il padre, invece, avrebbe un disturbo cardiaco. Trascinato il nucleo familiare fuori dall’appartamento, gli agenti si sono spostati verso il secondo alloggio. Questo confina con il primo, ed è stato raggiunto dalla squadra di poliziotti a colpi di martellate: gli agenti hanno aperto una voragine nella parete che divideva i due appartamenti, e sono entrati mentre dentro si trovava ancora la famiglia di locatari. Nel frattempo, di fuori, una cinquantina di persone si sono riunite in presidio solidale per provare a fermare gli sfratti. Gli agenti hanno sfoderato scudi e manganelli e caricato il presidio nei pressi dell’ingresso dello stabile, ferendo alcuni dei presenti; in un video del PLAT si vede un rappresentante sindacale ferito alla testa.

Terminata la violenta operazione di sfratto dei due nuclei familiari, il sindacato ha simbolicamente portato la porta sfondata del primo appartamento in Comune: «L’assessore alla casa ha dichiarato che la responsabilità è del Governo che non investe soldi per calmierare gli affitti e taglia sul welfare, portando avanti con il decreto sicurezza un attacco alla vita delle persone», si legge in un post del gruppo. Dopo la visita in comune, il PLAT ha rilanciato la mobilitazione, e organizzato un presidio che si terrà oggi alle 19 in Piazza del Nettuno.

In Gran Bretagna le aziende stanno aumentando il salario minimo dei lavoratori a basso reddito

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salario minimo

Dal prossimo aprile, migliaia di lavoratori britannici riceveranno un aumento di stipendio. Ma non per effetto di una legge. A riconoscere loro un salario più alto saranno oltre 16.000 aziende che hanno aderito volontariamente al programma del Real Living Wage, una forma di retribuzione alternativa al salario minimo legale, calcolata ogni anno in base al costo reale della vita. La tariffa salirà da 12,60 a 13,45 sterline l’ora nel resto del Paese (circa il 6,7% in più) e da 13,85 a 14,80 sterline a Londra, dove il costo della vita è più alto. Un incremento che riguarda circa mezzo milione di i...

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