La Guardia di finanza e la Polizia postale hanno smascherato una maxi truffa da 80 milioni di euro legata a falsi investimenti nel fotovoltaico, che ha coinvolto almeno seimila persone in tutta Italia. Il sito www.voltaiko.com, fulcro della frode, è stato sequestrato insieme a 95 conti correnti, beni di lusso, lingotti d’oro e criptovalute. Dieci le persone indagate nell’operazione “Cagliostro”. Il gruppo criminale prometteva rendimenti elevati tramite leasing di pannelli solari mai esistiti, vincolando i capitali per tre anni in uno schema piramidale basato sui soldi dei nuovi investitori.
Valutazione d’impatto generazionale: la strana (ma forse importante) legge approvata in Italia
Il Parlamento ha approvato in via definitiva la legge che introduce la Valutazione di Impatto Generazionale (VIG) per ogni nuova norma. La VIG è un insieme di pratiche e sistemi di analisi che sondano il possibile effetto delle nuove norme sui più giovani e sulle generazioni future. Il provvedimento istituisce un sistema di valutazione degli effetti sociali, ambientali e intergenerazionali delle nuove leggi, attuando quanto previsto dall’articolo 9 della Costituzione riformato nel 2022. Non è ancora noto come la VIG verrà implementata nel sistema normativo: entro sei mesi il Governo dovrà emanare i decreti attuativi per definirla nel dettaglio, e istituire un Osservatorio presso la Presidenza del Consiglio con il compito di monitorare le proposte di legge e avanzarne di altre. Le associazioni che ne hanno promosso l’istituzione hanno celebrato l’approvazione della legge, auspicandosi che non finisca per risolversi in un passaggio formale e privo di contenuto.
La VIG viene introdotta nella nuova legge sulla semplificazione e il miglioramento del sistema normativo, approvata il 29 ottobre. A normarla sono gli Articoli 4 e 5. Il principio su cui si basa la VIG è quello secondo cui “le leggi della Repubblica promuovono l’equità intergenerazionale anche nell’interesse delle generazioni future” (comma 1 dell’Articolo 4), che richiama la riformulazione dell’Articolo 9 della Costituzione così come modificato nel 2022: “[La Repubblica] tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Il provvedimento descrive la VIG come “uno strumento informativo che consiste nell’analisi preventiva degli atti normativi del Governo, ad esclusione dei decreti-legge, in relazione agli effetti ambientali o sociali indotti dai provvedimenti, ricadenti sui giovani e sulle generazioni future, con particolare attenzione all’equità intergenerazionale”. La VIG, insomma, valuterebbe gli effetti delle norme in programma sulle generazioni future per assicurare l’equità tra le generazioni.
La VIG verrà svolta nell’ambito dell’Analisi di Impatto della Regolamentazione (AIR), disciplinata dall’Articolo 14 della legge 246 del 2005. L’AIR consiste nella “valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di intervento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, mediante comparazione di opzioni alternative”. Essa, analogamente alla VIR, valuta i possibili effetti delle nuove leggi sulle comunità locali valutando per esempio i costi ed eventuali alternative, con l’obiettivo di garantire la libertà individuale e il corretto funzionamento della concorrenza. Il governo ha ora sei mesi di tempo per individuare i criteri generali e le procedure della VIG, nonché i casi in cui essa non si applicherà. Verrà inoltre istituito l’Osservatorio nazionale per l’impatto generazionale delle leggi che avrà “funzioni di monitoraggio, analisi, studio e proposta dei possibili strumenti” per assicurare l’equità intergenerazionale; l’organizzazione e il funzionamento dell’Osservatorio verranno definiti con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entro i prossimi due mesi. I membri dell’Osservatorio, comunque, non avranno diritto ad alcuno stipendio o gettone di sorta.
A promuovere l’introduzione della VIG è stata, tra le altre l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), che ha accolto positivamente la legge. «La VIG non deve però diventare un semplice adempimento burocratico», ha ammonito il direttore scientifico del gruppo, «e va svolta al meglio, anche per coinvolgere di più la società nell’attività legislativa». La sua istituzione risponde a una esigenza emersa da tempo, tanto in Italia, quanto in seno alle istituzione europee: colmare il divario generazionale. L’espressione “divario generazionale” indica il “ritardo” accumulato dalle persone fino ai 35 anni nel raggiungimento della maturità economica e sociale rispetto alla generazione dei loro genitori: in Italia, i ragazzi escono di casa dopo i 30 anni, il 14% delle persone tra i 15 e i 19 anni non è impegnato né nel lavoro né nello studio (i cosiddetti “Neet”), e l’età media in cui si diventa genitori è in costante aumento.
Nel 2022, per contrastare il divario generazionale, l’UE ha chiesto ai Paesi di adottare misure per includere i giovani nel processo decisionale e per valutare l’impatto delle politiche su di essi, il cosiddetto “Youth Check”. In Italia è stata implementata una forma di Youth Check nel 2021, con l’istituzione del Comitato per la Valutazione dell’Impatto Generazionale delle Politiche Pubbliche (COVIGE), un organo di monitoraggio che valuta gli effetti delle politiche pubbliche sui cittadini di età compresa tra i 14 e i 35 anni e che identifica le politiche più efficaci da adottare. L’anno seguente, il COVIGE ha avanzato le Linee guida per la valutazione dell’impatto delle politiche generazionali, poi adottate con decreto ministeriale, e implementate da alcuni enti territoriali. L’istituzione della VIG si colloca sulla scia delle richieste dell’UE e delle politiche che l’Italia porta avanti da tempo, e sarebbe tesa a fare un passo avanti nell’istituzionalizzazione delle politiche per i giovani.
Giamaica, uragano Melissa ha causato almeno 19 morti
Almeno 19 persone sono morte in Giamaica a causa dell’uragano Melissa, che negli ultimi giorni ha colpito duramente l’isola. Lo ha riferito il ministro dell’Informazione Dana Morris Dixon, precisando che nove vittime si trovano nella regione occidentale di Westmoreland. Il governo britannico ha organizzato voli charter per rimpatriare i cittadini rimasti bloccati, circa ottomila. La Giamaica è infatti una popolare meta turistica e membro del Commonwealth. Il ministero degli Esteri del Regno Unito ha invitato i connazionali a registrarsi per ricevere aggiornamenti. La priorità resta ai voli umanitari, ma è attesa la ripresa anche di quelli commerciali.
Moda di seconda mano: da trend a servizio del futuro?
Il mercato globale dei capi di seconda mano è in continua crescita, con un aumento annuo del 10%. Dagli attuali 220 miliardi di fatturato, si stima che possa arrivare a toccare i 360 miliardi nel giro dei prossimi cinque anni. I numeri sono quelli generati da un rapporto di BCG per Vestiaire Collective, piattaforma di rivendita di abiti usati, ma basta buttare un occhio anche su Vinted per capire come questo mercato sia in costante evoluzione. Ed il motivo è semplice: la moda è in una fase di precaria immobilità. I prezzi sono alti (considerati dazi per le esportazioni e gli stipendi medi), la situazione geopolitica attuale alquanto instabile e la minaccia costante del fast fashion stanno mettendo a dura prova l’intero settore. Ma il vero problema, più sottile ma altrettanto insidioso, arriva dalla rottura dell’equazione prezzo/valore. Le persone sono sempre meno disposte a pagare cifre elevate per un valore percepito che appare sempre più sproporzionato rispetto a ciò che effettivamente ricevono. È il segnale palese che i vecchi modelli di business non sono più efficaci, né per le persone né per il pianeta. Ed è in questo contesto che il second hand, da nicchia, sta diventando un’opportunità di crescita anche per quei brand che lo hanno sempre guardato con sospetto.
Mentre i numeri delle piattaforme di rivendita crescono in maniera vertiginosa (di tutte, da Vestiarie a Vinted, ma anche ThredUp, The Real Real, Depop, e Bay), alcuni marchi hanno deciso di intraprendere la strada del second hand e inserirla nella loro strategia. È il caso di Ganni, marchio danese, che in collaborazione con Vestiaire Collective, ha inserito un servizio dedicato dove i clienti possono inviare i loro capi usati direttamente sulla piattaforma; una volta autenticati, ricevono automaticamente una card del valore del prezzo del capo più un 10% (con opzione di ritiro a domicilio in UE e UK). Un’operazione che premia la fedeltà con un credito immediato, rafforzando l’idea di circolarità e senso di appartenenza ad una “community”, non spontanea ma direzionata dal marchio stesso.
Simile ma diverso l’approccio di Calvin Klein e del suo programma di ritiro Re-Calvin. I clienti, aprendo una sezione speciale del sito del marchio, possono stampare un’etichetta ed inviare in maniera gratuita qualsiasi capo di abbigliamento o accessori (incluso intimo e costumi). Da qui i capi possono essere donati, riciclati o convertiti in energia da rifiuti. Gli utenti, grazie ad una mail, ricevono notizie su quale “fine” hanno fatto le loro donazioni.
Questi due esempi, pur con le loro differenze, dimostrano che la circolarità può diventare un servizio che il brand può offrire ai loro clienti senza affidarsi ad enti di gestione esterna, tenendo il cliente all’interno del circuito del marchio; una sorta di servizio post-acquisto che mantiene vivo il legame con il brand stesso (e di questi tempi far affezionare e rendere fedeli i clienti è cosa sempre più difficile). In un sistema con crepe da tutte le parti, aprirsi a nuove opportunità e modelli di business è una via di salvezza, non solo per la propria impresa ma per tutto il settore. La moda, così com’è, sa di vecchio e non risponde alle esigenze attuali né delle persone né tantomeno dell’ambiente.
Approcci similari hanno una valenza multipla, sia in termini di monetizzazione sia in termini di impegno, dove il cliente si sente parte di un proposito più grande mentre il brand “educa” i consumatori alla responsabilità. Non che la sostenibilità sia la spinta motivante principale per i marchi: il problema dei magazzini e degli invenduti esiste da sempre (perché da sempre si producono più capi del necessario per abbattere i costi con le quantità, altra follia del fashion business) e mentre prima erano gli outlet a tirare su il fatturato di molte aziende, adesso le piattaforme online offrono la stessa opportunità senza il peso di importanti costi fissi di gestione.
Dall’altra parte, il rischio principale è che il second hand sovrasti la vendita dei capi nuovi, mangiando una buona parte di profitti. Il secondo punto dolente riguarda la logistica e la gestione del flusso dei capi su larga scala, soprattutto per l’aspetto di verifica dei falsi, imprescindibile per i marchi di lusso. Motivo per cui servono partnership forti con chi sviluppa strumenti tecnologici.
L’ultimo rischio, ma forse è il primo, è quello di trasformare l’acquisto di second hand in acquisti compulsivi di capi di seconda mano: con la smania di velocizzare i metodi di compravendita e la fama in crescita di questo tipo di comportamento, il pericolo è quello di ritrovarci davanti ad un ”fast fashion dell’usato”, dove invece di instillare valori di qualità e durata nel tempo, si continua ad alimentare il ricambio rapido e l’accumulo.
La circolarità come obiettivo e strumento per sviluppare nuovi business va bene, purché venga fatto con consapevolezza e per generare valore e valori, non solo economici.
Pakistan e Afghanistan prolungano la tregua
Dopo gli scontri di inizio ottobre, Pakistan e Afghanistan hanno concordato di estendere il cessate il fuoco. A dare la notizia è stato il ministero degli Esteri turco, che ha gestito il tavolo delle trattative a Istanbul assieme al Qatar. «Tutte le parti hanno concordato di istituire un meccanismo di monitoraggio e verifica che garantisca il mantenimento della pace e imponga sanzioni alla parte che viola le regole», si legge in un comunicato. Alla dichiarazione turca ha fatto eco quella del portavoce talebano Zabihullah Mujahid. Il 6 novembre si terrà un secondo incontro – sempre a Istanbul – per definire meglio il funzionamento del meccanismo di monitoraggio.
Rapporto ISTAT: in Italia i salari reali sono calati dell’8,8% negli ultimi quattro anni
Nonostante la crescita delle buste paga, il portafoglio degli italiani pesa meno di quanto non lo facesse quattro anni fa. A certificarlo sono gli ultimi dati dell’Istat sui contratti collettivi e le retribuzioni contrattuali, che prendono in esame il terzo trimestre del 2025. Negli ultimi tre mesi, rimarca l’ufficio italiano di statistica, la crescita tendenziale delle retribuzioni contrattuali ha rallentato rispetto al trimestre precedente, pur mantenendosi al di sopra dell’inflazione; i salari reali, tuttavia, rimangono inferiori dell’8,8% rispetto a quelli di gennaio 2021. L’aumento dei salari nominali rivendicato dal governo Meloni, insomma, è ancora ben lontano da compensare l’incremento dei prezzi degli ultimi anni, che sta lentamente erodendo il potere di acquisto degli italiani.
I dati dell’Istat analizzano la situazione per i lavoratori dipendenti. Secondo l’ufficio, l’indice delle retribuzioni contrattuali lorde a settembre 2025 è rimasto invariato rispetto al mese precedente, ma ha registrato un aumento tendenziale (ossia su settembre 2024) del 2,6%; «l’aumento tendenziale è stato più marcato (3,3%) per i lavoratori della pubblica amministrazione, rispetto a quello dei dipendenti dell’industria (2,3%) e dei servizi privati (2,4%)», precisa l’Istat; il settore specifico a registrare l’aumento tendenziale maggiore è quello dei ministeri, con un aumento del 7,2%, seguito da quello della difesa, con un incremento del 6,9%. Inoltre, la retribuzione oraria media nel periodo gennaio-settembre 2025 è cresciuta del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2024.
Nonostante la situazione positiva in termini tendenziali, l’Istat sottolinea come in questo terzo trimestre del 2025 l’aumento dei salari nominali si sia arrestato rispetto allo scorso trimestre. A ciò si aggiunge il fatto che la ripresa sull’inflazione resta ancora troppo tenue. «Le retribuzioni contrattuali in termini reali», ossia adeguati all’inflazione, «a settembre 2025 restano al di sotto dell’8,8% ai livelli di gennaio 2021», sottolinea infatti l’ufficio di statistica, fotografando una realtà nota ormai da tempo: il potere di acquisto degli italiani va calando da anni. Confrontando il Belpaese con l’Unione Europea, l’Italia figura tredicesima nella graduatoria che confronta i poteri di acquisto degli europei. Secondo il Purchasing power standard (PPS), una moneta artificiale che consente di confrontare i dati sul reddito tra Paesi con diverso costo della vita, il reddito parametrato degli italiani è infatti di 25.145 PPS, contro una media europea di 27.506; in questa particolare classifica, l’Italia risulta l’ultima tra le grandi Nazioni, sotto a Germania, Francia, e Olanda e la prima tra le piccole.
Il governo italiano si è schierato con Israele per diffamare Francesca Albanese all’ONU
«Il rapporto presentato oggi dalla Relatrice Specialle Albanese è del tutto privo di credibilità e imparzialità. Come Italia, non siamo sorpresi». Sono queste le parole con cui il rappresentante permanente per l’Italia all’ONU, Maurizio Massari, ha iniziato il suo discorso al Palazzo di Vetro di New York, in occasione della presentazione dell’ultimo rapporto della Relatrice Speciale per la Palestina Francesca Albanese. Il rapporto, dal titolo “Il genocidio a Gaza: un crimine collettivo”, denuncia la complicità degli Stati nel genocidio perpetrato da Israele sul popolo palestinese; in prima fila nella lista dei Paesi complici dei crimini israeliani, c’è proprio l’Italia. Massari ha criticato aspramente Albanese facendo eco all’intervento dell’omologo israeliano Danny Danon che ha definito la Relatrice una «strega fallita e malvagia». Le autorità italiane, insomma, confermano la loro linea nei confronti della Relatrice, già oggetto di sanzioni da parte degli Stati Uniti per le quali il governo ha preferito non esprimersi.
L’intervento di Maurizio Massari è arrivato in occasione della presentazione del rapporto di Francesca Albanese presso la sede delle Nazioni Unite di New York. Massari ha criticato Albanese giudicando il suo documento «parziale e poco credibile». Il motivo per cui – secondo Massari – mancherebbe di imparzialità non è dato saperlo, come ha affermato egli stesso: «Di fronte a un documento poco credibile, soprattutto sul piano dell’imparzialità, abbiamo scelto di non commentare la relazione. Non lo faremo nemmeno oggi». Nel suo intervento, Massari ha fatto allusione alle varie teorie sulla Relatrice che circolano online, senza menzionarne nessuna in maniera diretta; Albanese, secondo queste teorie, sarebbe finanziata da Hamas, tesi che non è mai stata supportata da nessuna prova. Il rappresentante italiano, inoltre, ha citato un recente caso di cronaca, in cui la Relatrice Speciale «sembrava addirittura mettere in dubbio la dichiarazione del sindaco locale che chiedeva il rilascio degli ostaggi israeliani».
In questo ultimo passaggio, Massari si riferiva alla cerimonia tenutasi a Reggio Emilia lo scorso 1° ottobre, in cui il sindaco della città ha consegnato alla Relatrice il primo tricolore, massima onorificenza cittadina. Durante il suo discorso, il primo cittadino si è augurato che «la fine del genocidio e la liberazione degli ostaggi siano condizioni necessarie per avviare un processo di pace», scatenando l’indignazione dei presenti. Albanese è intervenuta poco dopo, affermando che non dovrebbero esistere “condizioni necessarie” per avviare il processo di pace, e «perdonando» il sindaco per le sue parole; si è successivamente scusata per i modi con cui ha espresso la propria posizione, reiterando comunque il concetto. Albanese, insomma, non ha messo in discussione il rilascio degli ostaggi israeliani, ma affermato che Israele avrebbe dovuto smettere di massacrare i palestinesi a prescindere dalla questione degli ostaggi e che a rientrare a casa dovrebbero essere tutti gli ostaggi, israeliani e palestinesi.
Il discorso di Massari è seguito a quello di Danon, ben più piccato nei toni: l’ambasciatore israeliano ha accusato Albanese di provare a «maledire» Israele con «falsità e libelli», fallendo in ogni suo tentativo. Ha poi proseguito con l’analogia della stregoneria: «Signora Albanese, Lei è una strega; e questo rapporto è un’altra pagina del suo grimorio. Ha provato a maledire Israele con menzogne e odio, ma il Suo veleno ha fallito: ogni pagina di questo rapporto è una vuota magia; ogni accusa è una stregoneria inefficace, perché Lei è una strega fallita». Danon ha affermato che quelli che egli identifica con tentativi di affossare Israele da parte di Albanese sarebbero tutti finiti per ritorcerlesi contro: «Il 3 luglio ha chiesto sanzioni contro aziende di tutto il mondo, alcune tra le quali grandi imprese statunitensi; sei giorni dopo è stata sanzionata Lei».
Su quest’ultimo punto, Danon non ha tutti i torti: gli Stati – specialmente quelli del cosiddetto “blocco Occidentale” – hanno provato in ogni modo a divincolarsi dalle richieste di Albanese e a evitare di prendere contromisure nei confronti di Israele; la Relatrice, di contro, è stata sanzionata dagli Stati Uniti, che hanno preso una serie di misure che – come ha spiegato ella stessa – stanno avendo pesanti ripercussioni sul suo lavoro come esperta delle Nazioni Unite. In questo, la posizione espressa da Massari non si discosta dalla linea che il governo italiano ha assunto nei confronti della Relatrice: dopo l’emanazione delle sanzioni da parte degli USA, ha infatti sorvolato l’argomento, affermando – come sostiene il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani – che l’Italia non potrebbe fare niente, perché le sanzioni «non sono contro una cittadina italiana in quanto cittadina italiana» e sono unilaterali. Per assurdo, le stesse ragioni per cui Tajani sostiene che l’Italia non può fare nulla contro le sanzioni sono quelle per cui dovrebbe muoversi: le sanzioni ad Albanese violano infatti l’immunità funzionale della giurista garantita dall’incarico che ricopre.
Raid israeliano nel sud del Libano: ucciso un impiegato municipale
Le truppe israeliane hanno effettuato un’incursione nella città di Blida, nel Libano del Sud, uccidendo un impiegato municipale. I media libanesi riportano che il raid è avvenuto nella notte, quando le truppe israeliane sono entrate nel Paese accompagnate da droni e veicoli blindati, prendendo d’assalto l’edificio del municipio. Il presidente del Paese, Joseph Aoun, ha condannato l’attacco israeliano, incaricando il comandante dell’esercito libanese di contrastare attivamente le incursioni israeliane nel Libano meridionale. Nelle ultime settimane, Israele sta intensificando i propri attacchi nel Libano del sud, dove, tuttavia, è in vigore un cessate il fuoco dallo scorso novembre.
Bill Gates fa retromarcia sul clima: “troppi sforzi nella riduzione delle emissioni”
«Sebbene il cambiamento climatico abbia gravi conseguenze, in particolare per le popolazioni dei Paesi più poveri, non porterà all’estinzione dell’umanità». Dopo aver promosso tecnologie pulite e finanziato startup per l’idrogeno e per la decarbonizzazione, Bill Gates – che solo quattro anni fa aveva pubblicato un libro dal titolo Clima. Come evitare un disastro – ridimensiona l’emergenza climatica: la priorità non sarebbe più la drastica riduzione delle emissioni, ma il miglioramento delle condizioni umane nei Paesi più poveri. La sua svolta sul clima più che un cambio di visione somiglia a un adattamento strategico, che sposta il dibattito sul terreno che domina, quello della tecnologia privata e dell’innovazione finanziata dal capitale. Così, Gates rafforza la propria influenza globale e, attenuando l’allarmismo, punta ad accreditarsi come mediatore ideale, tra pragmatismo politico e sostenibilità economica nell’era Trump.
In un lungo articolo su Gates Notes, il fondatore di Microsoft invoca la retromarcia: «C’è una visione apocalittica del cambiamento climatico che recita così: “Tra pochi decenni, un cambiamento climatico catastrofico decimerà la civiltà. Le prove sono ovunque: basta guardare le ondate di calore e le tempeste causate dall’aumento delle temperature globali. Nulla è più importante che limitare l’aumento della temperatura”. Fortunatamente per tutti noi, questa visione è sbagliata». Negli ultimi anni, Gates ha costruito un impero verde, orientando parte delle sue risorse verso startup e fondi che puntano a innovazioni “green”. I suoi investimenti spaziano da soluzioni per l’accumulo di energia, al nucleare di nuova generazione, passando per l’idrogeno e altre tecnologie pulite. La sua iniziativa Breakthrough Energy è diventata veicolo finanziario per tecnologie fotovoltaiche, nucleari di nuova generazione e idrogeno pulito, mentre la startup Koloma sostenuta da Gates ha raccolto 245,7 milioni di dollari per la trivellazione di idrogeno «bianco», estratto da giacimenti naturali, con lo scopo dichiarato di ridurre le emissioni di CO₂.
Oggi, il filantrocapitalista più famoso al mondo imbocca la strada contraria e se la prende con gli allarmisti del clima – che lui stesso aveva ispirato – mettendo in discussione anche il metodo principale adottato per invertire la rotta del surriscaldamento globale: tagliare le emissioni di CO2. Nel novembre prossimo, alla conferenza internazionale sul clima COP30, Gates esorta a un «pivot strategico»: non più solo tagli delle emissioni, ma adattamento, rafforzamento dei sistemi sanitari, accesso all’elettricità pulita e alleviamento della povertà. Gates non nega la crisi climatica, ma ne ridimensiona la portata e accusa le istituzioni internazionali – «spinte da ricchi azionisti» – di aver imposto una guerra ai combustibili fossili che ha peggiorato le condizioni di vita nei Paesi poveri. La temperatura globale «non è il modo migliore per misurare i nostri progressi» e il successo climatico, scrive, si valuta dall’impatto sul benessere umano più che sulla colonnina di mercurio. Un cambio di paradigma che riecheggia la tesi del libro False alarm dell’economista Bjørn Lomborg, secondo cui «L’allarmismo ci rende difficile pensare in modo intelligente a soluzioni climatiche efficaci» e «sposta l’attenzione da altri problemi globali altrettanto importanti».
La solta di Gates arriva in perfetta corrispondenza con il riallineamento dell’élite capitalistica all’era di Donald Trump, una inversione di 180 gradi già compiuta anche dalle big tech statunitensi.
Il “nuovo realismo climatico” di Bill Gates rivela la consueta logica del filantrocapitalismo, quella fusione di profitto e altruismo di facciata che, come spiega Linsey McGoey in No Such Thing as a Free Gift, trasforma la filosofia del dono in un investimento e in uno strumento di pressione. La Gates Foundation, tra i maggiori finanziatori dell’OMS, influenza le agende pubbliche globali, senza rispondere a criteri democratici. Lo stesso schema si ripete su green: miliardi investiti in startup e brevetti producono rendimenti e controllo tecnologico più che un vero e proprio progresso ambientale. McGoey parla di «vincere il paradiso economicamente»: apparire benefattori sul palcoscenico mediatico, mentre si consolidano posizioni dominanti. La svolta climatica di Gates serve così ad allinearsi al nuovo corso energetico, in modo da tutelare i suoi stessi interessi industriali, mantenendo influenza politica e vantaggi economici.









